ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 3 agosto 2012

Da Città della Pieve a Fontignano: sulle tracce del Perugino nelle terre del Trasimeno

«Divin pittore» è un'etichetta non facile da portare. Giovanni Santi, padre di Raffaello Sanzio, la usò, nel suo «Cronaca rimata» (1485 ca.), un lungo poema in terzine scritto in onore del duca di Urbino, Federico da Montefeltro, per due allievi della prestigiosa bottega fiorentina di Andrea Verrocchio: «due giovin par d'etade e par d'amori,/Leonardo da Vinci e l'Perusino, Pier della Pieve, che son divin pictori».
L'artista e scienziato Leonardo -grazie al suo genio multiforme, impossibile da imprigionare in qualsiasi formula- se ne liberò presto. A Pietro Vannucci (Città della Pieve, 1450 ca.–Fontignano, 1523), detto il Perugino, l'etichetta rimase, invece, attaccata per sempre. La sua pittura, pervasa da un senso di pace e di armonia ultraterrena con figure dall'aspetto dolce e malinconico ad animare paesaggi agresti di rara bellezza e dalle raffinate luminosità, ne fece uno dei principali protagonisti dell'arte rinascimentale italiana, uno degli artisti che più incontrarono il gusto del tempo e della committenza: il papato, le corporazioni religiose, le corti e i signori.
E’ sufficiente sfogliare il catalogo delle iperbole che alcuni contemporanei usarono a proposito del suo modo di dipingere per capire quanto fosse grande la sua fama nei decenni a cavallo tra il Quattrocento e il Cinquecento. Tre esempi su tutti lo dimostrano: il nobile Agostino Chigi, in una lettera al padre Mariano, definì il Perugino «il meglio mastro d'Italia» (1500); un anonimo corrispondente del duca di Milano, Gian Galeazzo Sforza, aggiunse che le sue «cose» avevano «aria angelica et molto dolce» (1485 ca.); mentre Sabba da Castiglione ebbe a scrivere di lui che era un pittore «valente, delicato, vago, piacevole et diligente» («Ricordi», 1505-1515). Anche Giorgio Vasari, che pur non provava grande simpatia per il maestro di Raffaello (sue sono le accuse di avarizia, irreligiosità e scarsa inventiva), fu costretto a dichiarare ne «Le vite» (1568) che la sua arte «tanto piacque al suo tempo che vennero molti di Francia, di Spagna, d'Alemagna e d'altre province per impararla».
Lo stile figurativo limpido, pacato e apparentemente semplice del Perugino, in cui la lezione luminosa di Piero della Francesca diventa un tutt'uno con il plasticismo del Verrocchio, si impose, infatti, a tal punto da diventare un canone da imitare, dando vita a quel vasto fenomeno derivativo che Roberto Longhi definì efficacemente «editoriale peruginesca». Poi, con l'affrancarsi delle novità introdotte in pittura da Michelangelo Buonarrotti e dallo stesso Raffaello, venne la stagione del progressivo accantonamento e della morte quasi in oblio.
Artista molto legato al territorio d’origine, il Perugino, la cui opera più famosa è senz’altro la «Consegna delle Chiavi» (1482) per la Cappella Sistina, dipinse alcuni dei suoi ultimi lavori per le chiese e le pievi comprese nel territorio tra la natia Città della Pieve e lo specchio lacustre del Trasimeno, in borghi carichi di suggestioni come Panicale e Fontignano. Questi stessi luoghi fanno da fondale a molte delle scene raffigurate dall’artista, scene per nulla secondarie nell'organizzazione delle opere, che passano, nel corso degli anni, da una descrizione idealizzata e aspra, di ascendenza tardo-gotica, a una realistica, che si ispira alla lezione dei fiamminghi, ma che è sempre ancorata all'esperienza personale dell'artista. E’ il caso dell’«Adorazione dei Magi» (1504) per l’Oratorio di Santa Maria dei Bianchi a Città della Pieve, un affresco dalle atmosfere rarefatte e bucoliche, la cui integrazione armonica tra figure e paesaggio, l’abilità nella resa delle vesti fluenti dei tanti personaggi raffigurati e la varietà dei costumi sono «elementi che appartengono -si legge nella monografia edita da Skira, per la collana «I classici dell’arte»- al miglior Perugino di quel periodo e che rivelano la sua capacità di mantenere un alto livello di qualità quando la volontà prende il posto della mera pratica di mestiere».
Sempre nel borgo umbro, diventato famoso per essere stato il set della fiction «Carabinieri», l’artista lasciò altre due sue opere, nel Duomo: la «Madonna con Bambino e i Santi Pietro, Paolo, Gervasio e Protasio» (1514) e il «Battesimo di Gesù» (1510 ca.), lavoro, quest’ultimo, che trova riscontro in una tavola di uguale soggetto conservata al Kunsthistorisches Museum di Vienna e nell’affresco della Nunziatella di Foligno. Nella Chiesa di Santa Maria dei Servi è, invece, possibile ammirare una meravigliosa «Deposizione dalla croce» (1517), nella quale il Perugino offre il meglio di sé nella fusione dei colori che non hanno più nulla della compostezza lucida e un po’ priva d’energia delle tavole più accademiche del periodo.
Il viaggio, dopo aver visto la Chiesa di San Pietro (con il fondo raffigurante «Sant’Antonio Abate tra i Santi Paolo eremita e Marcello») e l’esterno della casa natale dell’artista, può proseguire verso il piccolo borgo di Panicale, che conserva l’opera «Madonna con il bambino e la Maddalena» e il «Martirio di San Sebastiano» (1505), un affresco nel quale appare evidente quell’enfasi artificiosa ed esagerata nel ritrarre le figure che, lentamente, fece diventare il Perugino un personaggio marginale nella storia dell’arte.
Una tappa merita, infine, la chiesa dell'Annunziata di Fontignano, dove venne dipinto anche un «Presepe», staccato a metà dell’Ottocento e oggi conservato al Victoria and Albert Museum di Londra, e all’interno della quale si trova l'ultimo lavoro dell'artista: la «Madonna con il bimbo in trono». La tradizione racconta che, proprio mentre dipingeva quest'opera, il maestro fu colpito dalla peste che lo uccise. Il Perugino era ormai, da tempo, lontano dal gotha dell'arte, escluso dalle grandi imprese culturali e dai dibattiti che animavano Roma e Firenze. I grandi committenti si erano stancati della sua pittura. Quella formula rasserenante e tranquilla che tanto attrae gli stressati turisti di oggi, quel «museo delle cere -scrisse Carlo Castellaneta- dove le statue muovono le labbra e pronunciano parole che il nostro udito terreno non afferra», aveva fatto il suo tempo.

Didascalie delle immagini 
[fig. 1] Pietro Vannucci detto il Perugino, «Adorazione dei Magi», 1504. Città della Pieve, Oratorio di Santa Maria dei Bianchi; [fig. 2] Pietro Vannucci detto il Perugino, «Il martirio di San Sebastiano», 1505. Panicale, chiesa di San Sebastiano;[fig. 3] Pietro Vannucci detto il Perugino, «La deposizione dalla Croce» (particolare dello «Svenimento di Maria»), 1517. Città della Pieve, Chiesa di Santa Maria dei Servi

Informazioni utili 
STT del Trasimeno, piazza Mazzini, 10 – Castiglione del Lago (Perugia), tel. 075.9652484 o info@iat.castiglione-del-lago.pg.it. Sito internet: www.pietroperugino-trasimeno.net.

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