ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

giovedì 22 maggio 2014

Astratta e antichissima: la pittura aborigena contemporanea in mostra a Milano

Hanno forme astratte e cromie di inattesa modernità, ma traggono ispirazione da una storia millenaria, di almeno quarantamila anni, popolata da figure ancestrali, leggende, miti e pratiche rituali. Stiamo parlando dei dipinti dell’arte aborigena contemporanea, ai quali la galleria Isarte di Milano, dal 2006 punto di riferimento del settore per i collezionisti italiani e non solo, dedica la mostra «I colori del deserto», con lavori inediti per il pubblico italiano, provenienti principalmente dalla collezione di Anne de Wall, co-fondatrice del Museo di arte contemporanea aborigena di Utrecht, uno dei più importanti in Europa.
L’esposizione, visitabile da venerdì 23 maggio a giovedì 5 giugno, allinea, nello specifico, una ventina di opere eseguite tra gli anni Ottanta e il 2013 da una quindicina di artisti indigeni delle comunità Lajamanu, Yuendumu, Papunya, Kintore e Kanpi, noti in ambito internazionale e già storicizzati, tra i quali Maureeen Baker, George Ward Tjungurrayi, Ningura Napurrula, Lorna Brown Napanangka e Thomas Tjapaltjarri.
Accanto ad acrilici su tela come «Salt on the Mina Mina» (2002) di Dorothy Napangardi, «Woman Cooking Sweet Damper» (1989) e «Tingari Cycle» (2000) di Ronnie Tjampitjinpa, caratterizzati ora dal rigore grafico che anima il nord Australia ora dalla vivacità cromatica e dallo tecnica puntiforme del Deserto centrale, sono esposte opere su corteccia di eucalipto di David Murruwarrda e Namyal Bopirri, oltre a un eccezionale dipinto di grandi dimensioni eseguito a sette mani nella comunità di Wangkatjungka.
La mostra offre, dunque, l’occasione per conoscere più da vicino la pittura aborigena contemporanea, espressione artistica che presenta una stupefacente assonanza con le forme astratte delle avanguardie europee, la cui nascita risale a una quarantina d’anni fa. È, infatti, il 1971 quando Geoffrey Bardon, un insegnante di educazione artistica di Sydney, riesce a convincere gli abitanti della piccola comunità aborigena di Papunya Tula, nel deserto dell’Australia centrale, a raffigurare i propri simboli -forse i più antichi del mondo- con le tecniche della pittura occidentale.Il tentativo di fissare un’arte che spesso utilizzava dei supporti effimeri come la sabbia e il corpo umano era già stato fatto in passato, per esempio negli anni Quaranta dall’antropologo Charles Mountford, lasciando come documento solo una serie di disegni a pastello. Il maestro Geoffrey Bardon non poteva, dunque, immaginare che, questa volta, la sua proposta di fissare sulla tela le storie mitiche del Dreamtime (esseri ancestrali che percorsero la terra formando il paesaggio e le specie viventi) avrebbe dato vita a un movimento pittorico che si sarebbe propagato rapidamente da Papunya Tula, a nord-ovest di Alice Springs, in tutta l’Australia, formando differenti scuole artistiche ad Utopia, Balgo Hills, Fitzroy Crossing, Tiwi islands e Spinifex e coinvolgendo centinaia di autori di ogni età e sesso, anche se più forte sembra essere la presenza femminile.
Con il passare degli anni, la pittura aborigena contemporanea è diventata un fenomeno artistico di portata internazionale. Importanti case d’asta, come Sotheby’s e l’australiana Lawson&Menzies, tengono periodicamente degli incanti dedicati a questo settore, che ha visto una costante crescita di mercato. In Europa sono nate diverse gallerie specializzate e sono state formate collezioni pubbliche e private di notevole importanza, come il Museo d’arte aborigena di Utrecht e la collezione Essl di Vienna. Grandi mostre come la recente rassegna «Australia» alla Royal Accademy di Londra confermano, poi, il sempre maggiore interesse del pubblico verso questo movimento espressivo, che sembra avvicinarsi alla figurazione di Keith Haring, al primitivismo di Pablo Picasso e all'indole bizzarra dei lavori di Paul Klee e che è forma visiva di una memoria millenaria, intrisa di intimismo e sacralità.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Dorothy Napangardi, «Salt on Mina Mina», 2002, acrilico su tela, 122x122cm; [fig. 2] Maureen Baker, Senza titolo, acrilico su tela, 150x120cm; [fig. 3] Esther Giles Nampitjinpa, Senza titolo, acrilico su tela, 55x70cm

Informazioni utili 
«I colori del deserto». Isarte, corso Garibaldi, 2 (interno) - Milano. Orari: martedì-sabato, ore 11.00-13.00 e ore 15.00-19.00. Ingresso libero. Informazioni: cell. +39.335.6941228 o info@isarte.net. Sito internet: www.isarte.net. Inaugurazione: giovedì 22 maggio, ore 18.00. Dal 23 maggio al 5 giugno 2014.

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