ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 18 novembre 2014

In mostra a Parigi l’arte dell’amore e del piacere ai tempi delle geishe

La bellezza femminile, l’immaginario erotico e le abitudini di vita del Giappone si svelano alla Pinacothèque de Paris, dove è allestita la mostra «L’art de l’amour au temps des geishas. Les chefs-d’oeuvre interdits de l'art japonais», per la curatela di Francesco Paolo Campione, direttore del Museo delle culture di Lugano, e la direzione artistica di Marc Restellini.
Disegni, pitture, stampe e immagini dell’Ottocento colorate a mano, oltre a una quarantina di opere d’arte applicata appartenenti alle collezioni dei musei d'arte orientale di Torino e Venezia, per un totale di duecentocinquanta reperti datati tra il XVII secolo e i giorni nostri, in massima parte conservati all'Heleneum di Lugano, compongono il percorso espositivo, nel quale sono messe per la prima volta organicamente a confronto le opere tradizionali del periodo Edo con le fotografie della Scuola di Yokohama e soprattutto con le opere d’arte contemporanea d’ispirazione erotica e pornografica che ne sono la diretta prosecuzione artistica e culturale.
L'esposizione, della quale rimarrà documentazione in un catalogo in lingua francese pubblicato dalla casa editrice Giunti di Firenze, è frutto di una ricerca condotta dal Museo delle culture di Lugano e sostenuta anche dalla Fondazione «Ceschin Pilone» di Zurigo, che è stata avviata nel 2006 e che ha già dato vita a due mostre sull'arte erotica giapponese, una al Palazzo Reale di Milano nel 2009, l’altra all’Heleneum di Lugano nel 2010.
Al centro dell’esposizione parigina, alla quale ne è contemporaneamente affiancata una sul Kamasutra nell’arte indiana, si trova un nucleo di oltre centocinquanta stampe che raffigurano le «belle donne», soggetto della tradizione ukiyo-e che viene definito bijin-ga, e una variegata serie di circostanze erotiche, raffigurazioni per le quali in Giappone si usa il termine shunga, letteralmente «immagini della primavera», così da rievocare alla mente la gioiosa vita del principe ereditario tra letti di piacere.
I due generi, entrambi creati con la tecnica della xilografia policroma, raggiunsero la loro massima fioritura nel periodo dello shogunato Tokugawa, tra il 1603 e il 1867. In estrema sintesi, essi sono la manifestazione di una riflessione etica ed estetica sulla brevità e sulla transitorietà dell’esistenza umana, che esprime -a diversi livelli- i valori del ceto borghese delle grandi città, composto da mercanti, artigiani, medici, insegnanti e artisti. Queste persone, dette chōnin, erano escluse dal potere politico, ma avevano un tenore di vita economicamente fiorente, grazie al quale si affermò una concezione edonistica dell’esistere, in contrasto con la rigida morale neoconfuciana sostenuta dalla classe guerriera dei samurai, che reggeva in quei secoli il governo centrale del Giappone. I chōnin offrivano, infatti, uno stile di vita raffinato, ostentavano il lusso, organizzano feste, frequentano i teatri, i bordelli e le case da tè. Il termine ukiyo-e, che designa l’arte ispirata a tale genere di vita, finì così per diventare sinonimo di «moderno» e fu usato per esprimere una sorta di filosofia incentrata sul gusto di un’esistenza piacevole e, per quanto possibile, appagante dei desideri personali.
«I bijinga e gli shunga -spiegano al Museo delle culture di Lugano- sono composizioni semplici, ma non povere. La loro «semplicità» è il risultato della ricerca profonda di un’associazione formale che giunge allo schematismo, anche se -è bene sottolinearlo- nel gesto pittorico o nel bulino, non vi è mai tecnicismo o rarefazione artata, ma piuttosto la pienezza senza ripensamento di un’idea a lungo maturata, prima di diventare forma». Basti pensare alle ōkubie, le «immagini dal grande collo» di Kitagawa Utamaro, attraverso le quali il volto sembra effettivamente spiccare il volo dal corpo, trascendendone la materialità per porsi quasi a un livello spirituale.
Gli shunga, usati per album dalla diffusione semi-clandestina o anche come illustrazioni per racconti erotici e per manuali destinati all’educazione delle giovani spose e delle cortigiane, giunsero, poi, in Europa nella seconda metà dell’Ottocento, ovvero dopo che il Giappone fu costretto ad aprire le sue isole alle navi straniere e agli scambi commerciali col mondo occidentale. Diventarono così motivo di ispirazione diretta di letterati e artisti della levatura di Zola, Klimt e Van Gogh, e influirono in modo significativo sulla riflessione artistica nell’ambito dell’Orientalismo della fine del XIX e dell’inizio del XX secolo, proprio nello stesso frangente in cui l’interesse per questo genere artistico stava andando ad affievolirsi nel Paese natale, finendo per diventare un tabù.
Una mostra, dunque, che non lascia spazio all’immaginazione quella della Pinacothèque de Paris, dove il massimo della crudezza erotica, rappresentata da amplessi (anche saffici) nei quali si vede nudo solo il sesso dei soggetti raffigurati in sontuosi abiti da sera, si sposa con il massimo dell’artificio artistico, dove corpi intrecciati, volti distaccati e colori dalle tonalità più varie raccontano di un mondo lontano, un mondo di coinvolgente sensualità e di estatica raffinatezza.

Disascalie delle immagini
[Fig. 1] Utagawa Kunisada - Kesa Gozen, moglie di Watanabe Wataru (Watanabe Wataru no tsuma Kesa Gozen) - 1843-1847. Museo delle culture, Lugano. © 2014 Museo delle culture, Foto A. Quattrone; [fig. 2] Keisai Eisen, Senza titolo, 1835-1840 ca. Museo delle culture, Lugano. © 2014 Museo delle culture, Archivio iconografico; [fig. 3] Kitagawa Utamaro, Libro illustrato. Abbracciare Komachi (Ehon Komachi biki) - 1802. Museo delle Culture, Lugano. © 2014 Museo delle Culture, Foto A. Quattrone; [fig. 4] Utagawa Hiroshige I, La notte di primavera (Haru no yowa), 1851. Museo delle culture, Lugano. © 2014 Museo delle Culture, Archivio iconografico.

Informazioni utili   
«L’art de l’amour au temps des geishas. Les chefs-d’oeuvre interdits de l'art japonais». Pinacothèque de Paris, 28 Place de la Madeleine  - Parigi (Francia). Orari: tutti i giorni, ore 10.30-18.30, mercoledì e venerdì apertura notturna fino alle ore 21.Ingresso: intero € 13,00, ridotto € 11,00. Informazioni: tel. +33142680201 o billetterie@pinacotheque.com. Sito web: www.pinacotheque.com.Fino al 15 febbraio 2015. 

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