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lunedì 27 marzo 2017

Art For Kids: «La Cenerentola» di Rossini, ovvero «la bontà in trionfo»

Esistono circa trecentoquarantacinque versioni differenti della storia di Cenerentola. La vicenda della fanciulla povera e maltrattata che, a dispetto delle sorellastre invidiose e poco avvenenti, riesce a sposare un bel principe azzurro con il quale vivere per sempre «felice e contenta» è, infatti, presente in tutte le culture del mondo, dall’America alla Norvegia, già a partire da epoche molto remote.
La versione più antica della favola fu scritta in Cina nel IX secolo, con circa settecento anni di anticipo rispetto alla prima stesura occidentale, che si deve allo scrittore Gianbattista Basile, autore nel 1634 del racconto in dialetto napoletano «La gatta Cenerentola», inserito in una raccolta di fiabe popolari intitolata «Lo cunto de li cunti ovvero la tratteneimento de peccerille», detta anche «Pentamerone».
Le due varianti più conosciute della storia, insieme con quella del cartone animato di Walt Disney (1950), sono scritte dal francese Charles Perrault, autore nel 1697 di «Cendrillon», e dai fratelli Grimm, che nel 1812 diedero alle stampe «Aschenputtel».
Le due fiabe si differenziano per il messaggio contenuto nel finale: nella prima, le sorellastre sono perdonate da Cenerentola e non subiscono alcun castigo per la loro cattiveria; nella seconda sono, invece, punite da due colombe fatate che strappano loro gli occhi. Nella storia di Charles Perrault trionfa, dunque, il perdono, in quella dei fratelli Grimm il castigo. Il racconto dello scrittore francese inventa, poi, particolari, che ci sono diventati così familiari da sembrare inscindibili dalla fiaba: la madrina fatata, la zucca trasformata in cocchio, il ritorno a casa allo scoccare della mezzanotte e la scarpina di vetro.
Anche Gioachino Rossini volle cimentarsi con questa storia romantica e appassionante, che si chiude con il lieto fine. Nacque così il dramma giocoso in due atti «La Cenerentola, ossia la bontà in trionfo», che il librettista Jacopo Ferretti trasse dall’omonima favola di Charles Perrault (1697), ma anche dai lavori operistici «Cendrillon» di Charles Guillaume Etienne per Nicolò Isouard (1810) e «Agatina, o la virtù premiata» di Francesco Fiorini per Stefano Pavesi (1814).
L’opera fu scritta tra la fine del 1816 e gli inizi del 1817, in poco più di una ventina di giorni, per i festeggiamenti carnevaleschi al teatro Valle di Roma. Il debutto si ebbe la sera del 22 gennaio 1817, duecento anni fa.
Il lavoro non ottenne il successo sperato: la musica piacque molto, ma l’esecuzione fu pesantemente criticata a causa della preparazione frettolosa. Gioachino Rossini era, però, ottimista. Agli amici diceva: «gli impresari faranno a pugni per allestirla come le prime donne per poterla cantare». Il tempo gli diede ragione: nel giro di pochi mesi «Cenerentola» fu rappresentata in molti teatri italiani e, con gli anni, è diventata una dei titoli più amati del repertorio operistico.
Non trovandosi a proprio agio tra fate e prodigi vari, il compositore pesarese ne fece una storia edificante basata sulle doti morali della protagonista, fermamente convinta che la bontà sia destinata a trionfare sulla cattiveria e abbia il potere di convertire persino gli animi più malvagi, piuttosto che sull’incantevole scenografia della zucca trasformata in carrozza.
Gioachino Rossini sostituì così la celebre scarpetta con un braccialetto. «Mandò in pensione» la fatina e mise al suo posto il saggio filosofo Alidoro, precettore del principe Ramiro. Sarà lui ad aiutare Angelina, detta Cenerentola, a realizzare il suo sogno d’amore: sposare un uomo bello, nobile, ricco e di buoni e onesti sentimenti.
Per dare vita a una girandola di travestimenti ed equivoci esilaranti, che ben si sposano con i travolgenti «crescendo rossiniani», il compositore aggiunse, poi, un personaggio buffo, il cameriere Dandini. La matrigna, infine, venne sostituita con un patrigno, Don Magnifico, un uomo tanto disonesto quanto ridicolo, che si è riempito di debiti per vivere nel lusso e soddisfare i capricci delle sue due figlie: Clorinda e Tisbe.
La musica è divertente e frizzante. Tra i brani più famosi c’è l’ouverture, presa in prestito da un altro lavoro rossiniano di minor successo: «La Gazzetta» del settembre 1816.
L’intera vicenda narrata viene, invece, ben riassunta nella cavatina «C’era una volta un re», nella quale si parla di un sovrano che vuole prendere moglie, trova tre candidate possibili e, alla fine, sceglie colei che dimostra dolcezza e amore anziché cedere alle lusinghe della ricchezza. È questa una semplice aria in re minore che si svolge su un tempo di barcarola, ovvero un brano in cui il movimento ritmico ricorda quello ondulatorio delle gondole veneziane. Il carattere visionario di quest’aria trova coronamento nella morale finale del coro: «Tutto cangia a poco a poco. / Cessa alfin di sospirar. / Di fortuna fosti il gioco: incomincia a giubilar».

Per saperne di più
Fiorella Colombo e Laura Di Biase, «La Cenerentola – Un percorso di sensibilizzazione e avvicinamento all’opera di Gioachino Rossini», Erga edizioni, Genova 2009;
Cristina Pieropan, «La Cenerentola», Nuages, Milano 2010 (le prime due immagini pubblicate sono tratte da questo libro);
Cecilia Gobbi e Nunzia Nigro, «Alla scoperta del melodramma – La Cenerentola di Rossini», Curci, Milano 2015 (la terza immagine pubblicata è tratta da questo libro).

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