ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

giovedì 13 luglio 2017

Pintoricchio e «il mistero svelato di Giulia Farnese»

«Ritrasse sopra la porta d'una camera la Signora Giulia Farnese nel volto d'una nostra Donna, e nel medesimo quadro la testa d'esso Papa Alessandro che l'adora»: una affermazione di poco, o nessun interesse, per la storia dell’arte se non per il fatto che a metterla nero su bianco fu, nel 1550 e ancora nel 1568, Giorgio Vasari, all'interno della biografia del Pintoricchio, contenuta nell’opera «Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori».
L’affermazione del famoso biografo aretino elevava a rango di verità storica un gossip del tempo, riportato per scritto anche da François Rabelais e Stefano Infessura, secondo cui il controverso papa Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia (1431-1503), nutriva una vera e propria predilezione per la raffinata, giovane e bellissima Giulia Farnese (1475-1524), ironicamente nota alla corte pontificia come «sponsa Christi», tanto da farla ritrarre all’interno dei suoi appartamenti in Vaticano, nelle fattezze della Vergine, con lui adorante, in ginocchio, ai suoi piedi.
Ma quella riportata da Giorgio Vasari era solo una diceria malevola o una verità storica? E la Madonna raffigurata, bellissima ed eterea, chi era? Era veramente la concubina del papa? E che fine hanno fatto i frammenti dell’affresco, fatto staccare, centocinquanta anni dopo la sua realizzazione, da papa Alessandro VII, al secolo Fabio Chigi (1655-1667), e smembrato in tre parti, con l’intento di dimenticare quella vicenda, frutto visibile di un pontificato, quello di Rodrigo Borgia, che aveva assecondato intrecci dinastici, veleni di palazzo, calunnie e gelosie? A queste domande prova a rispondere, dopo secoli di ricerche e di indagini scientifiche, la mostra «Pintoricchio pittore dei Borgia. Il mistero svelato di Giulia Farnese», allestita fino al 10 settembre ai Musei capitolini di Roma, per la curatela di Cristina Acidini, Francesco Buranelli, Claudia La Malfa e Claudio Strinati, con la collaborazione di Franco Ivan Nucciarelli e con la supervisione di Francesco Buranelli.
L’esposizione, corredata da un interessante catalogo della Gangemi editore, vuole introdurre il visitatore in quello stupefacente periodo della cultura romana di fine Quattrocento e nel grande fermento umanistico che lo caratterizza, tutto rivolto alla riscoperta della memoria dell'antica Roma, sulla quale la Chiesa, quasi una sorta di «nuova Atene», fonda il proprio «rinascimento» politico e religioso.
Sono gli anni in cui l'arte della stampa, da poco inventata da Johannes Gutenberg, fiorisce e molti editori aprono le proprie stamperie in città, a partire da Sweynheym, Pannatz e Eucharius Silber che hanno una sede a Campo de’ Fiori. Vengono pubblicate le opere dei grandi retori latini, Cicerone e Quintiliano, dei filosofi greci, dei poeti e dei drammaturghi antichi. I monumenti della classicità sono ammirati da pellegrini e visitatori e i cortili dei grandi palazzi dei membri della Curia e del mondo laico si riempiono di statue, rilievi e iscrizioni antiche. Alessandro VI è amante del lusso, del bello e dell’arte al pari dei suoi contemporanei: tra l’autunno del 1492 e la fine del 1494, chiama a Roma uno degli artisti più estrosi del tempo, Bernardino di Betto, detto il Pintoricchio (c.1454-1513), per fargli decorare il suo appartamento nel Palazzo apostolico della Basilica di San Pietro, sei grandi stanze nel corpo quattrocentesco fatto edificare da papa Niccolò V, cui è stata aggiunta una torre.
Tra pitture ricche di contenuti umanistici e teologici, che evocano in maniera sapiente l’arte romana antica e che dimostrano l’interesse del pittore per l’ornato prezioso, si trovava l’opera citata dal Vasari nelle sue «Vite». Quel dipinto, menzionato dall'artista e scrittore aretino in modo fuggevole, e solo per raccontare l’adorazione di papa Borgia per la «Signora Giulia» -una passione adulterina per altro condannata pubblicamente da Girolamo Savonarola- si impregnò, con il tempo, di storie e significati tali da offuscare, alla sensibilità del tempo, il valore artistico nella sua composizione d’insieme.
Oggi sappiamo che, quasi sicuramente, Giorgio Vasari non ebbe mai accesso agli appartamenti papali e che per descriverli si servì prevalentemente di informazioni di seconda mano e delle incisioni a stampa che (soprattutto per le Stanze di Raffaello) iniziarono ben presto a far scuola di quelle meraviglie.
La storiografia ci dice anche che, come spesso accade, il «venticello della calunnia» che qualcuno alitò in maniera impalpabile, ma efficace sulla decorazione dell’appartamento Borgia si rivelò vincente: papa Pio V (Antonio Ghislieri, 1566-1572) fece nascondere l’opera da una doppia pesante tappezzeria da parati e da un nuovo dipinto della «Madonna del Popolo». Alessandro VII, con la complicità del cardinale nipote Flavio I Chigi, lo disperse in più frammenti: le due immagini della Madonna e del Bambino, ormai due dipinti a sé stanti con cornici volutamente differenti e circa duecento numeri di distanza nell’inventariazione, entrarono a far parte della collezione privata dei Chigi, mentre il ritratto di Alessandro VI scomparve definitivamente. L’esatta composizione del dipinto, tuttavia, non andò perduta grazie a una copia realizzata nel 1612 dal pittore Pietro Fachetti.
Oggi, a oltre cinquecento anni da quei fatti e grazie alla disponibilità dei proprietari delle opere, è possibile presentare per la prima volta vicini i due frammenti: quello del volto della Madonna, mai esposto fino a ora, insieme a quello ben noto del «Bambino Gesù delle mani», conservato all’interno della collezione della Fondazione Guglielmo Giordano di Perugia.
Ma la mostra offre anche l’occasione di rivedere la «leggenda» sulla presenza del ritratto di Giulia Farnese nell’appartamento Borgia, destituendo di ogni fondamento una delle convinzioni più durevoli della storia dell’arte moderna. Le sembianze della Vergine risultano, infatti, vicinissime al più classico tipo dei volti di Madonna del Pintoricchio: un viso dolcemente allungato, senza nessuna ricerca ritrattistica, pieno di amorevole concentrazione e assorto compiacimento nei confronti della scena alla quale sta assistendo. Ne da prova il confronto fra l’opera al centro della mostra e altre due tele del pittore entrambe esposte a Roma: la «Madonna della Pace» di San Severino Marche e la «Madonna delle Febbri» di Valencia, alle quali sono accostate un’altra trentina di capolavori del Rinascimento e sette antiche sculture di età romana, provenienti dalle raccolte capitoline, che documentano quanto l’artista abbia attinto all’antico.
Il volto ritrovato della «Madonna» del Pintoricchio, messo accanto al «Bambino delle mani», ci permette, dunque, di ricomporre parzialmente un’opera di forte valenza iconografica ed evidente significato teologico, riconoscendovi, invece, una rarissima iconografia di investitura divina del neoeletto pontefice. Una lettura, questa, «che spazza definitivamente il campo da tutte le precedenti interpretazioni decisamente più “terrene”, -dichiara Francesco Buranelli- che ne hanno al tempo stesso tramandato la memoria e provocato la distruzione e che restituisce alla Chiesa e al mondo un’opera somma che ha già pagato un caro prezzo per la miopia del genere umano».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Bernardino di Betto, detto Pintoricchio (Perugia c. 1454 – Siena 1513), Bambin Gesù delle mani, frammento della distrutta Investitura divina di Alessandro VI, c. 1492-1493. Dipinto murario entro cornice seicentesca, cm 48,6 x 33,5 x 6,5 circa. Perugia, Fondazione Guglielmo Giordano; [fig. 2] Bernardino di Betto, detto Pintoricchio (Perugia c. 1454 – Siena 1513), Madonna, frammento della distrutta Investitura divina di Alessandro VI, c. 1492-1493. Dipinto murario entro cornice seicentesca, cm 39,5 x 28, 5 x 5. Collezione privata; [fig. 3] Bernardino di Betto, detto Pintoricchio (Perugia c. 1454 – Siena 1513), Madonna della Melagrana, c. 1508-1509. Tempera su tavola, cm 54.5 x 41. Siena, Pinacoteca Nazionale, inv. 387; [fig. 4] Bernardino di Betto, detto Pintoricchio (Perugia c. 1454 – Siena 1513), Madonna delle Febbri, c. 1497. Olio su tavola, cm 158 x 77,3. Valencia, Museo de Bellas Artes de Valencia (colleción Real Academia de Bellas Artes de San Carlos), inv. 273

Informazioni utili 
«Pintoricchio pittore dei Borgia. Il mistero svelato di Giulia Farnese». Musei Capitolini - Palazzo Caffarelli, piazza del Campidoglio – Roma. Orari: tutti i giorni, ore 9.30-19.30; la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso (integrato per il museo e comprensivo di tassa di turismo): intero € 15,00, ridotto € 13,00. Catalogo: Gangemi editore, Roma. Informazioni: tel. 060608 (tutti i giorni, ore 9.00 - 19.00). Sito internet: www.museicapitolini.org; www.museiincomune.it. Fino al 10 settembre 2017 

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