ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 27 febbraio 2018

«Performing Pac», a Milano tre giornate sulle arti performative

Tre giorni di incontri, flashback, proiezioni e performance, gratuiti e aperti al pubblico (non solo degli addetti ai lavori), con artisti, curatori, critici, studiosi: dal 1° al 3 marzo al Pac- Padiglione d’arte contemporanea di Milano racconta le arti performative.
Il format è lo stesso che nel 2017 aveva portato l’istituzione milanese a indagare il restauro e la conservazione della street art.
Il tema scelto per il 2018 è quello della performatività, sviluppato attraverso eventi di vario genere che metteranno al centro dell’attenzione il corpo e l’interazione attiva con lo spazio, e saranno lo spunto per raccontare, per la prima volta anche attraverso materiali d’archivio del Pac, il ruolo dell’artista nelle arti performative e l’evoluzione della funzione delle istituzioni nel promuoverle.
Come si racconta oggi il corpo nell’arte? Quali e quante sono le eredità raccolte da chi lavora con pratiche artistiche che oggi vengono definite performance? Queste alcune delle domande a cui proverà a rispondere la tre giorni milanese.
Di prestigio gli ospiti attesi: giovedì 1 marzo ci sarà Susanne Franco, docente di storia della danza e del teatro all’Università Ca’ Foscari di Venezia; venerdì 2 marzo Lois Keidan, direttrice della Live Art Development Agency LADA di Londra; sabato 3 marzo André Lepecki, capo del Dipartimento di Perfomance Studies alla Tisch School of the Arts di New York.
Ai tre incontri si affiancheranno altrettanti live perfomance realizzate da artisti attivi sia nell’ambito della performance, come Dora Garcia e Paulien Oltheten, sia in quello della danza, come Annamaria Ajmone e Cristina Kristal Rizzo, che riproporranno alcuni loro lavori in una nuova versione.
Nel contesto degli incontri e delle live performance, per la prima volta il Pac aprirà il suo archivio rileggendo due mostre che ha realizzato nel passato in omaggio a due artisti simbolo della performance: Vito Acconci e Gina Pane. Nella mostra «Exploding House» (PAC, 1981), a cura di Zeno Birolli, Vito Acconci passava dalle sue celebri e irriverenti performance a interagire con lo spazio tramite un coinvolgimento diretto del pubblico, mentre in «Partitions Opere Multimedia 1984-1985» (PAC, 1985), a cura di Lea Vergine, Gina Pane abbandonava le provocazioni degli anni Settanta per approdare a una sintesi concettuale, mentale e analitica.
Saranno questi due flashback a riproporre i temi che avevano toccato il dibattito artistico dell’epoca, fornendo ancora oggi importanti spunti di riflessione. Una rilettura non attraverso le opere, ma con documenti, fotografie, recensioni e corrispondenze provenienti dall’archivio storico del PAC – scandagliato per l’occasione dagli studenti del Dipartimento di beni culturali e ambientali dell’Università degli Studi di Milano – che di quelle mostre permetteranno anche di ricostruirne il backstage.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Anne Historical, Aphasia Treatment Situations, PAC Milano 2017. photo Nico Covre; [fig. 2] Vito Acconci, Exploding House, Pac Milano 1981; [fig. 3] Ikea, Rizzo-Ajmone © Luca Ghedini

Informazioni utili
pacmilano.it

domenica 25 febbraio 2018

Cantina Kaltern, un’etichetta d’autore per il Cabernet Sauvignon 2015

L’arte enologica incontra il design. Succede con il bando di concorso «kunst.stück» (in italiano: «opera d'arte»), lanciato per il terzo anno consecutivo dalla Cantina Kaltern, una delle aziende vitivinicole più importanti dell'Alto Adige. Il progetto è rivolto ad artisti emergenti, chiamati a realizzare un'etichetta d'arte che sappia interpretare il vitigno più rappresentativo dell’anno.
In questa edizione l’incoronazione a «kunst.stück» è andata a un Cabernet Sauvignon Riserva, un vitigno originario del Bordeaux, ma ormai ambientato in molte zone vinicole del mondo, che ha trovato condizioni ideali nei vigneti caldi e soleggiati che cingono il lago di Caldaro. Del resto, la temperatura media che vi regna durante il periodo vegetativo è identica a quella della sua originaria francese.
A Caldaro, il Cabernet Sauvignon esprime un carattere inimitabile, sfoggiando un’eleganza che non ha eguali. Coccolato dal sole mediterraneo, resta comunque una creatura delle montagne, e in un’annata a dir poco eccezionale come quella del 2015 (al centro del concorso), la natura ha esaltato questi pregi del territorio in una combinazione rara, degna di una vera opera d’arte.
Un’opera d’arte sarà anche la sua etichetta che verrà applicata sulle 2015 magnum, una speciale edizione in tiratura limitata, come era già avvenuto nelle due passate edizioni: la prima con il Pinot Bianco 2014, interpretato dall'artista di passione Claudio Paternoster, la seconda con il Kalterersee 2016, rappresentato dal designer e docente milanese Stefano Mandato.
Il tema del concorso di quest'anno è «Un vino di mondo, di casa a Caldaro», proprio in omaggio al Cabernet Sauvignon Riserva 2015 ha visto le sue uve maturare davvero alla perfezione, conferendo loro al tempo stesso carattere mediterraneo e la freschezza delle montagne altoatesine.
Il bando per gli artisti è aperto fino all'8 aprile 2018, alle ore 21.00; l’iniziativa è tesa ad offrire a giovani, magari ancora sconosciuti, l’opportunità di un palco dal quale presentare al pubblico la propria opera.
Grazie all’etichetta applicata sulle 2.015 magnum, la presentazione nell’ambito di un evento e alla comunicazione sui media, l’artista vincente potrà garantirsi visibilità su larga scala. L’artista, inoltre, si aggiudicherà un premio in denaro di 500 euro e avrà la possibilità di tenere una mostra al winecenter a Caldaro, dove sono già esposte opere di artisti contemporanei quali Ulrich Moroder, Robert Bosisio, Ernst Müller o Josef Scherer.
Le etichette d'arte pervenute saranno esaminate entro il 14 maggio da una giuria interna e una selezione delle stesse verrà pubblicata sul sito di Cantina Kaltern. Qui saranno gli utenti, wine lovers e non, a votare, entro il 30 giugno, la loro «etichetta del cuore», decretando così il vincitore del concorso.

Informazioni utili 
http://www.kellereikaltern.com/it/vini-lago-caldaro/notizie/concorso-di-idee-kunststueck-2015/

venerdì 23 febbraio 2018

«Il giuramento», la storia di Mario Carrara al Menotti di Milano

Ci vuole coraggio a dire «no» e così, per non cedere al ricatto di chi si crede più forte e non omologarsi all’osanna della folla, abbandonare per sempre le certezze della propria quotidianità, restando fedeli solo alla propria coscienza. Certe volte quel coraggio lo si paga con una severa solitudine e molte difficoltà, altre volte con la vita stessa. Spesso quei «no» -frutto di ideali di dignità, onestà intellettuale e coerenza interiore- finiscono per essere dimenticati, fino a quando la Storia li sottrae al proprio oblio e li trasforma in torce che illuminano la strada verso la libertà e il sogno di un mondo migliore. È il caso della vicenda dei dodici professori universitari che nel 1931 rifiutarono di firmare il giuramento di fedeltà al regime fascista, consapevoli di andare incontro a conseguenze pesantissime per le proprie vite professionali e personali.
Erano solo dodici uomini su milleduecentotrentotto. Si chiamavano Gaetano de Sanctis, Mario Carrara, Giorgio Levi della Vida, Vito Volterra, Lionello Venturi, Bartolo Nigrisoli, Ernesto Bonaiuti, Fabio Luzzato, Piero Martinetti, Giorgio Errera, Francesco Ruffini ed Edoardo Ruffini.
«Erano differenti –ricorda Giorgio Boatti nel libro «Preferirei di no» (Einaudi, Torino 2011), dedicato alle loro storie- per origini, carattere, modi di pensare, attitudini sociali e radicamento alla vita».
Avevano in comune solo una cosa: si sentivano estranei alla servile grevezza del mondo che li circondava. E con la loro scelta di andarsene, perdendo per sempre la cattedra, diedero inconsapevolmente ai loro allievi una lezione indimenticabile, forse la lezione più bella della loro carriera: insegnarono, per usare le parole del filosofo Piero Marinetti, «che le cose esteriori in fondo poco importano e che nulla ci è tolto quando ci resta ciò che deve accompagnarci in vita e in morte». Fu una lezione quella, però, che gli allievi avrebbero capito solo dopo, forse troppo tardi.
Alla storia, liberamente romanzata, di uno di questi dodici coraggiosi professori universitari è dedicato lo spettacolo «Il giuramento» del drammaturgo e giornalista Claudio Fava, prodotto dal Teatro Stabile di Catania, in scena fino a domenica 25 febbraio al Menotti di Milano.
A portare in scena questo bel testo di impegno civile sono David Coco, Stefania Ugomari Di Blas, Antonio Alveario, Simone Luglio, Liborio Natali, Pietro Casano, Federico Fiorenza, Luca Iacono e Alessandro Romano.
Le musiche sono firmate da Cettina Donato, compositrice, arrangiatrice e pianista italiana, prima donna italiana a dirigere orchestre sinfoniche con repertorio jazz.
La storia raccontata, che si avvale della regia rigorosa, semplice e proprio per questo saggia di Ninni Bruschetta, è quella di Mario Carrara (Guastalla, 2 novembre 1866 – Torino, 10 giugno 1937) , medico legale e docente universitario, che insegna ai suoi studenti a coltivare il gusto del dubbio, ma anche a non intrupparsi, travestirsi ed esibirsi.
«Vedovo, solitario, ironico e inacidito al tempo stesso», con un impegno volontario nel carcere di Torino dove va a lenire più le pene del cuore che quelle del corpo, Carrara è un uomo semplice, che vive per la scienza, «ancora abituato -racconta Claudio Fava- a censire gli uomini e le anime con l’algida geometria di Cesare Lombroso: fronte, ossa, sguardo, fiato, pelle…». Ma è anche un uomo capace di guardare al dettaglio, al particolare con la curiosità di chi sa che non tutto è come sembra.
Attorno a lui corre l’Italietta conformista dei primi anni del Fascio: gli studenti con la tessera del Guf, le camicie nere inamidate, i fez col fiocco, le canzoncine come «Faccetta nera», il finto perbenismo, le conversazioni vaghe e discrete dei colleghi, le brume umide di una città del Nord e quel sentimento comune ai più di non voler guardare in faccia alla realtà, perché voltare gli occhi altrove è più facile e tranquillo.
«Sulla politica, fatta di goliardia e di lettere maiuscole, Carrara -racconta ancora Claudio Fava- nutre un disagio estetico più che ideologico. Gli sembrano ridicoli certi suoi studenti inamidati in camicia nera e pugnaletto. Gli vengono a noia le finte orazioni dei colleghi più anziani sulla patria e sul destino. Troppo poco per un turbamento o per una ribellione: la vita potrebbe scorrere senza pieghe».
Ma certe volte il destino bussa alla porta e bisogna prendere una decisione: Carrara non giura la sua sottomissione e fedeltà al fascismo. Non vuole. Non può.
Il resto è storia: il medico di Guastalla, ormai 65enne, viene escluso da tutte le cariche pubbliche. La sua casa è perquisita nell'ambito dell'operazione che porta all'arresto di Vittorio Foa e Massimo Mila. Nell’ottobre del 1936 è arrestato per attività contro il regime fascista e solo la sua età avanzata lo salva dal confino. Detenuto alle carceri Nuove di Torino, continua a lavorare al suo «Manuale di medicina legale» fino alla morte, avvenuta nel giugno del 1937.
A guidare lui e gli altri nella scelta di non giurare fu, secondo Fava, «l’incapacità della menzogna, il rigore illuminista del sapere, la noia per le liturgie del fascismo. Ma anche l’intuizione sul destino del Paese, sul modo in cui furbizie e conformismi avrebbero trasformato l’Italia di quegli anni in una terra senza libertà e senza decenza».
Ecco così sotto i riflettori del teatro Menotti di Milano un importante lavoro d’impegno civile che racconta la storia di un'Italia a cui era rimasta solo un'estrema risorsa di dignità: il diritto di dire no, senza pensare alle conseguenze di quel gesto coraggioso.
Ma il Mario Carrara che racconta Claudio Fava non è un eroe e un martire, è un uomo qualunque che sente il bisogno di vivere in libertà. Improvvisamente capisce anche le menzogne della sua vita monotona: le pastiglie rosse e blu, il pezzetto di mela che mangia ogni mattina in istituto, l'amore sempre sopito per la sua giovane assistente Tilde.
Il Carrara interpretato da David Coco non vuole dare insegnamenti, vuole sono essere onesto con la propria coscienza: «Io lo faccio solo per me», dice. Non vuole diventare un modello, vuole solo dimenticare quello che lo circonda, quella parata di uomini diventati manichini nelle mani del potente di turno: «Io sono uno scienziato, perché devo essere politico?», afferma ancora il protagonista. L'unico giuramento che sa di dover fare è quello di Ippocrate, gli altri non gli sono utili per guarire un uomo o per fare un'autopsia.
«Ribellarsi si può sempre, basta volerlo», così senza retorica e senza luci della ribalta, sembra dire il Mario Carrara di Claudio Fava allo spettatore, invitandolo a rispondere, nel silenzio della propria coscienza, a una domanda chiara: «Tu giureresti?», «Tu avresti giurato?».

Informazioni utili 
Teatro Menotti, via Ciro Menotti 11 – Milano. Prezzi: intero 28.00 € + 1.50 € prevendita, ridotto over 65/under 14 - 14.00 € + 1.50 € prevendita, martedì e mercoledì posto unico 14.00 € + 1.50 € prevendita. Orari biglietteria: dal lunedì al sabato, dalle ore 15.00 alle ore 19.00; domenica (solo nei giorni di spettacolo) ore 14.30-16.30; cquisti online con carta di credito su www.teatromenotti.org. Orari spettacolo: martedì, giovedì e venerdì, ore 20.30; mercoledì e sabato ore 19.30 (eccetto le prime ore 20.30); domenica ore 16.30; lunedì riposo. Informazioni: tel. 02 36592544 o biglietteria@tieffeteatro.it

giovedì 22 febbraio 2018

Musica allo Squero: da Bach a Brahms, dodici concerti sull’acqua

Si apre sabato 24 febbraio la nuova stagione dello Squero, lo scenografico auditorium dell’Isola di San Giorgio Maggiore, recentemente riqualificato in sede di concerti attraverso un accurato ed elegante intervento conservativo, premiato anche con il Torta 2017, che ha messo in luce l’ottima acustica dello spazio, un tempo adibito ad officina per la riparazione delle barche. Ad aprire la stagione saranno il violoncellista Mario Brunello con Francesco Galligioni, violoncello e viola da gamba, e Roberto Loreggian, organo e clavicembalo, che eseguiranno con violoncello le sonate per violino bachiane n.1 BWV 1014, n.3 BWV 1016 e la sonata per viola da gamba e cembalo n.1 BWV 1027.
Seguiranno altri undici appuntamenti promossi dalla Fondazione Giorgio Cini, in collaborazione con Asolo Musica, che vedranno protagonisti anche Il Quartetto di Venezia, Giovanni Sollima e Federico Gugliemo.
Mario Brunello ritornerà sul palco dello Squero anche il 24 marzo e il 27 ottobre, sempre accompagnato da Francesco Galligioni (viola da gamba) e Roberto Loreggian (organo e clavicembalo). Il repertorio prevede l’esecuzione delle «Sei suonate a cembalo concertato e violino solo BWV 1014-1019» e le «Tre sonate per viola da gamba e clavicembalo BWV 1027-1029».
Il Quartetto di Venezia, gruppo in residenza alla Fondazione Giorgio Cini dal 2017, proporrà, in questa stagione, un progetto speciale sul repertorio cameristico di Robert Schumann e di Johannes Brahms. Si inizierà il 21 aprile e il 19 maggio con due esecuzioni in quartetto; il gruppo sarà, poi, affiancato nei successivi appuntamenti da Alessandro Carbonare al clarinetto (3 marzo), da Andrea Lucchesin al pianoforte (13 ottobre), da Danilo Rossi alla viola (24 novembre) e, infine, da Danilo Rossi alla viola e da Mario Brunello al violoncello (10 novembre).
Di Robert Schumann verranno eseguiti i tre quartetti dell’op. 41 i soli scritti dal compositore tedesco per questo complesso strumentale, e che presentano, secondo il musicologo Mauro Masiero «caratteri unitari, come le tonalità impiegate e la ricomparsa di disegni melodici». Seguirà, quindi, l’esecuzione del primo capolavoro di Schumann che unisce il pianoforte al quartetto d’archi, il quintetto in Mi bemolle maggiore op.44 che «mette subito in campo l’imponente potenziale sonoro dell’ensemble». Di Johannes Brahms verrà, invece, eseguito il ciclo integrale di quartetti per archi, op. 51 n.1 e 2. e op. 67 n.3, quattro quintetti, due per archi, op. 111 n.2 e op. 88 n.1; per archi e clarinetto, op. 115, e per pianoforte e archi, op 34. Mentre l’ultimo appuntamento con il «Quartetto di Venezia» sarà dedicato ai due sestetti del compositore amburghese.
La nuova stagione dello Squero prevede, inoltre, due appuntamenti con Giovanni Sollima, violoncellista di fama internazionale e compositore italiano tra i più più eseguiti nel mondo dai grandi interpreti, fra i quali la Chicago Symphony, Gidon Kremer e Patti Smith. Il 7 aprile terrà il concerto «Ba-Rock Cello», che vedrà un incrocio tra diversi generi musicali; mentre il 12 maggio sarà la volta di «Folk Cello», programma che include l’esecuzione di musiche tradizionali del Salento, della Sicilia, dell’Islanda e dell’Australia. In entrambi i concerti Giovanni Sollima eseguirà dei brani da lui composti.
Il cartellone, infine, prevede un unico appuntamento con il violinista e direttore Federico Guglielmo, che si esibirà insieme all’ensemble «L’Arte dell’Arco», costituito da Gianpiero Zanocco, secondo violino, Francesco Galligioni, violoncello, Ivano Zanenghi, liuti, e Roberto Loreggian, cembalo (17 novembre), in un programma dedicato ad Antonio Vivaldi intitolato «Suonate a solo e da camera». Un programma, dunque, vario che, spaziando da Bach a Vivaldi, permetterà di godere buona musica cullati dalle onde della Laguna veneta.

Informazioni utili
Stagione concertistica 2017/2018. Lo Squero - Isola di San Giorgio Maggiore (Venezia). Ingresso. biglietto intero €30,00, biglietto ridotto Soci “Asolo Musica” € 20,00, biglietto ridotto per studenti fino ai 26 anni €10,00.Prevendita on-line: https://www.boxol.it/auditoriumlosquero. Prevendita telefonica al numero +39.392.4519244 (dal lunedì al giovedì, dalle ore 10 alle ore 13). Informazioni: info@asolomusica.com. Dal 24 febbraio al 17 novembre 2018.  


mercoledì 21 febbraio 2018

«Il vendicatore oscuro»: un romanzo noir sul Caravaggio

Sono quasi passati tre anni da quando la casa editrice Electa di Milano dava vita alla collana «ElectaStorie», nata con l’intento di raccontare i fatti ed i personaggi reali protagonisti della grande arte attraverso il linguaggio della narrativa.
I volumetti di questa serie, inaugurati con «Amedeo, je t’aime» di Francesca Diotallevi e «L’orologio di Orfeo» di Simon Goodman, narrano le vicende biografiche che si nascondono dietro agli artisti famosi o le vicissitudini delle grandi collezioni, dentro a un contesto storico e geografico fortemente caratterizzato.
Nell’ambito di questa collana, sta per nascere un nuovo filone, «ElectaStorie - Noir», nel quale il mistero, con vicende criminali di furti e assassini, incontra l’arte. Ad inaugurare la collana sarà il volume «Il vendicatore oscuro» di Annalisa Stancanelli, che verrà presentato il prossimo 28 febbraio, alle ore 10.30, all’Accademia di Belle Arti di Brera, nel Salone napoleonico.
L’incontro vedrà la presenza di Giuseppe Bonini, Giuseppe Di Napoli ed Enrica Melossi.
Il libro è ambientato nella Siracusa barocca del 1608; il romanzo si ispira alla vita del Caravaggio, che proprio nella città siciliana si rifugia dopo l’evasione dalle prigioni di Malta.
L’autrice, dirigente scolastica a Siracusa e collaboratrice del quotidiano «La Sicilia», racconta i mesi della clandestinità del Merisi a Siracusa, città dove il pittore si nasconde, grazie all’aiuto dei monaci e del suo protettore Vincenzo Mirabella, per sfuggire all’ira dei Cavalieri di Malta che lo vogliono morto.
La vita di questo enfant terrible dell’arte si presta come poche altre ad essere raccontata nella forma romanzata del noir: in un continuo susseguirsi di colpi di scena, Caravaggio riesce ad evitare il misterioso personaggio che lo perseguita commettendo omicidi intorno a lui, non potendo tuttavia impedire che altri muoiano al suo posto.
Nel romanzo l'autrice conferisce anche un notevole spazio alla vicenda religiosa di Santa Lucia che viene raccontata con dovizia di particolare ed un'accurata ricostruzione storica. Nel libro, ispirato dal dipinto «Il seppellimento di Santa Lucia», custodito a Siracusa nella Chiesa di Santa Lucia la Badia, la scrittrice e ricercatrice narra la storia delle reliquie della Santa Patrona di Siracusa, il furto del corpo e le committenze religiose dell'epoca legate al culto della Santa, la statua d'argento e vari dipinti di cui furono incaricati i pittori più celebri. Un'attenzione particolare viene data anche ai riti religiosi legati alla Festa di Santa Lucia che proprio nel 1600 inizia ad avere le caratteristiche attuali.
Un romanzo dalla trama avvincente, in cui l’autrice sfrutta molti degli avvenimenti per raccontare l’arte di Caravaggio, la pittura dal vero e la committenza, il tutto nell'affascinante cornice della Sicilia seicentesca.

Informazioni utili 
Annalisa Stancanelli, «Il vendicatore oscuro», Mondadori Electa – Collana Electa Storie – noir. Note: formato 15,5 x 23,3 cm, brossura pagine 118, prezzo 16,90 €. In uscita da marzo 2017.

lunedì 19 febbraio 2018

«Katagami e Katazome», a Venezia una mostra sulla decorazione dei tessuti in Giappone

Sono ormai passati cinque anni da quando il Museo di Palazzo Mocenigo, a Venezia, è stato oggetto di un radicale intervento di restyling e ampliamento dei suoi spazi espositivi, che ha interessato la sede di San Stae, con nuovi percorsi museali dedicati al profumo.
Ora ad essere oggetto di un nuovo intervento è il primo piano nobile, dove per tutto il 2018 verranno esposti, a rotazione, oggetti delle collezioni permanenti, a cominciare da una ricchissima raccolta di tessuti e abiti di ambito orientale di proprietà della Fondazione di Venezia, schedati dalla storica Doretta Davanzo Poli e appartenenti alle collezioni del Centro studi di storia del tessuto e del costume di Palazzo Mocenigo.
L’esposizione sarà affiancata, fino al prossimo 22 aprile, da un interessante approfondimento sulla simbologia e sulla decorazione dei tessuti in Giappone, in particolare sugli stilemi Katagami e Katazome, che interesserà la «White Room» al piano terra del museo, dedicata alle esposizioni temporanee e a tema.
I rapporti di Venezia con l’Oriente fanno da filo conduttore alla rassegna lagunare, che si tiene in un luogo significativo per lo studio di questi scambi culturali e commerciali come il palazzo della famiglia Mocenigo, una delle più importanti e prestigiose dinastie del patriziato veneziano, che, come noto, ha dato alla Repubblica ben sette Dogi, oltre a un gran numero di procuratori, ambasciatori, capitani, ecclesiastici e letterati.
La residenza veneziana approfondisce questo importante capitolo della storia della città attraverso l’esposizione di una ventina di esemplari rappresentativi scelti tra gli oltre quattrocento manufatti (tra abiti, tessuti e paramenti sacri occidentali e orientali), appartenuti alla collezione avviata in Spagna dai genitori di Mariano Fortuny, in particolar modo dalla madre Cecilia, e fonte di ispirazione costante per l’artista nella sua attività di stampa su stoffa e di stilista di moda.
Come non pensare, a tal proposito, a quanto scritto dal poeta francese Henri de Régnier, nel suo libro «L’altana ou de la vie vènitienne»: «[…] Ecco i pesanti velluti di Venezia, di Genova o dell’Oriente, sontuosi o delicati, vivaci o gravi, con ampi ramages, con figure o fogliami, velluti che dogi o califfi hanno forse indossati; ecco i broccati dai toni accesi, le sete dalle delicate sfumature; ecco i paramenti sacri e quelli di corte; ecco gli affascinanti taffetas e i satins lucenti, disseminati di fleurettes e di fasci di fiori, con i quali nel XVIII secolo si facevano i vestiti per le donne e gli abiti per gli uomini; ecco le stoffe di tutti i colori e di tutte le fibre: alcune evocano la forma dei corpi che hanno vestito, le altre sono in lunghe pezze e in scampoli, altre ancora ridotte a minuscoli frammenti».
In questo contesto la presentazione di pezzi Katagami e Katazome nella «White Room» del museo rappresenta a tutti gli effetti un approfondimento sul tema: l’esposizione, che gode del patrocinio del Consolato generale del Giappone a Milano, illustra, infatti, un aspetto particolare della storia culturale ed etnografica degli artigiani giapponesi, con particolare riferimento al tessuto d’abbigliamento, in particolar modo dei kimono.
I tanti esempi di tessitura e stampa presentati e provenienti dalle collezioni private di Ishimi Ousugi, Nancy Stetson Martin e Franco Passarello, che cura anche l’allestimento, dimostrano con evidenza la lunga tradizione e l’alta qualità degli abiti indossati nel Paese orientale.
La mostra affianca ad abiti e tessuti stampati con la tecnica katazome le matrici katagami, una sorta di stencil, utilizzato per la loro realizzazione e appartenenti a un periodo che va dall’Ottocento ai primi anni del Novecento, e dunque corrispondenti ai periodi Edo e Meiji.

Informazioni utili
Venezia e l’Oriente. La collezione della fondazione di Venezia. Palazzo Mocenigo, Centro studi di storia del tessuto e del costume, Santa Croce, 1992 – Venezia. Orari: fino al 31 marzo ore 10.00 – 16.00 | dal 1° aprile ore 10.00 – 17.00 | la biglietteria chiude mezz’ora prima. Ingresso: intero € 8,00, ridotto € 5,50. Informazioni: info@fmcvenezia.it, call center 848082000 (dall’Italia), +3904142730892 (dall’estero). Sito internet: www.mocenigo.visitmuve.it. Fino al 22 aprile 2018

domenica 18 febbraio 2018

«L'anima e il sangue», la vita di Caravaggio diventa un film

Caravaggio arriva al cinema. Esce lunedì 19 febbraio in oltre trecentoquaranta sale italiane, grazie alla distribuzione di Nexo Digital, il documentario realizzato da Sky, in collaborazione con Magnitudo Film, su Michelangelo Merisi, uno degli artisti più amati, controversi e misteriosi della storia dell'arte.
La regia del progetto è stata affidata a Jesus Garces Lambert, mentre a dare voce all’artista, al suo io interiore, è Manuel Agnelli, frontman degli «Afterhours» e giudice di «X Factor», che racconterà i continui moti d’animo del Caravaggio, riproducendo le sfumature del suo carattere e tradendo le emozioni, spesso violente, che albergavano in lui, aiutando così lo spettatore a entrare in contatto con l’animo e la mente dell’inquieto genio seicentesco.
«Caravaggio – L’anima e il sangue», questo il titolo del film che rimarrà in cartellone fino al 21 febbraio, racconta, dunque, l’esistenza tormentata dell’artista e la sua propensione a vivere sempre sull’orlo dell’abisso attraverso scene fotografiche contemporanee, essenziali e simboliche, che focalizzano l’attenzione su sentimenti quali la costrizione e la ricerca della libertà, il dolore, la passione, l’attrazione per il rischio, la ricerca della misericordia, fino alla richiesta di perdono e redenzione.
Lo spettatore si ritroverà così a vivere un’esperienza cinematografica emozionale, inquieta e quasi tattile anche grazie all’ultra risoluzione di un girato in sorgente in 8K (7680x4320 pixel), che permette di carpire i dettagli delle opere riprese, di percepire la singola pennellata restituendo così la voluttuosità e la consistenza materica della produzione dell’artista. Ad aiutare questa esperienza visiva sarà anche il formato Cinemascope 2:40, che consente una visione più allungata e orizzontale dell’immagine, molto vicina all’effettiva visione dell’occhio umano, con il risultato di rendere l’immagine percepita meno rafforzata e artefatta.
A queste scelte visive si aggiunge il trattamento di post produzione della luce, protagonista nella rappresentazione delle opere caravaggesche, che regala un’esperienza di immersione di fortissimo impatto visivo, assolutamente inedita e pionieristica.
Il film racconta l’uomo e l’artista attraverso un’approfondita indagine investigativa effettuata attraverso documenti originali preziosissimi, mostrati per la prima volta sul grande schermo, tra cui quelli custoditi all’Archivio storico diocesano di Milano, che conserva l'atto di battesimo datato 29 settembre 1571, e all’Archivio di Stato di Roma, scrigno ricco di testimonianze preziosissime, documenti originali mostrati per la prima volta sul grande schermo, capaci di proiettarci nella vita e nei guai di Caravaggio, come querele e verbali dei processi a suo carico, che restituiscono il ritratto di un personaggio tenebroso e sanguigno, spavaldo e incline alle baruffe. Non mancano i contratti delle commesse, come quella per la Cappella Contarelli e la Cappella Cerasi, e i libri contabili del Pio Monte della Misericordia di Napoli.
La narrazione -che si avvale della consulenza scientifica di Claudio Strinati, Mina Gregori e Rossella Vodret- si sviluppa attraverso cinque città, una quindicina di luoghi e una quarantina di opere, tra le più celebri e rappresentative della produzione caravaggesca, come «Canestra di frutta», «Ragazzo morso da un ramarro», «Bacchino Malato», la «Vocazione di San Matteo», «Giuditta e Oloferne», «Scudo con la Testa di Medusa», «Davide con la testa di Golia», «Sette Opere di Misericordia» e «Decollazione di San Giovanni Battista».
Artista rivoluzionario e per questo spesso poco amato dai contemporanei, Caravaggio girò l’Italia in cerca di fortuna o forse in cerca di se stesso, sfuggendo ai nemici che sempre si creava al suo passaggio. Milano, Firenze, Roma, Napoli, la Sicilia e Malta sono i luoghi che lo videro lavorare, dalle prime nature morte, di grande realismo, fino alle ultime tele, complesse scene di figure sacre e profane, di luce e di ombra che attraversano la tempestosa vita di un uomo tormentato nello spirito.
In questo excursus narrativo e visivo l'uomo Caravaggio e la sua vita tormentata sono ricostruiti attraverso una ricerca documentale approfondita, condotta in stretto riferimento con la sua esistenza fatta di luci e ombre, contrasti e contraddizioni, genio e sregolatezza, e che trova nei suoi capolavori l’eco delle esperienze personali.
Va, infine, sottolineato che il film compie un’operazione senza precedenti, riposizionando virtualmente l’opera rifiutata «La Madonna dei Parafrenieri» nella sede a cui era originariamente destinata, ovvero l’attuale Altare di San Michele Arcangelo nella Basilica di San Pietro, proprio di fianco al Baldacchino del Bernini.
Nella grande tela, di quasi tre metri di altezza per due di larghezza, Caravaggio rappresenta la Vergine con Cristo bambino e Sant’Anna impegnati in una lotta contro il serpente, simbolo del male. La giovane madre è inondata dalla luce, protagonista assoluta dell’azione, con le fattezze di Maddalena Antognetti, descritta in molte cronache come «Lena donna di Michelangelo», cortigiana e concubina del Caravaggio, mentre alla Santa Patrona della Confraternita è affidato un ruolo da comprimaria, avvolta dall’oscurità e raffigurata come una donna anziana e fragile.
Quando Caravaggio consegnò l’opera, l’8 aprile del 1606, rilasciò al Decano della confraternita l’unica dichiarazione scritta di suo pugno che ci sia pervenuta, in cui si dichiara «contento e satisfatto» del dipinto realizzato; fu invece inappellabile il verdetto: «Rifiutata». L’opera rimase così nella sua collocazione originaria solo pochi giorni, rimossa rapidamente, e ben presto si sparse la voce che fosse stato Scipione Borghese, nipote di Papa Paolo V, a determinare il rifiuto dell’opera in modo da poterla acquistare a buon prezzo e arricchire così la sua collezione di dipinti del Caravaggio, oggi ammirabile nella Galleria Borghese.
«Caravaggio – l'anima e il sangue» si configura, dunque, come un’immersione assolutamente inedita e pionieristica nelle opere e nell'animo di Caravaggio, un film palpitante che racconta l’arte di un uomo la cui audacia e genio furono tormento ma anche slancio verso una gloria affidata all’eternità.

Informazioni utili
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sabato 17 febbraio 2018

«Lightquake», quando la luce si fa arte

Quindici artisti e due sedi espositive per un omaggio alla poetica della light art: si presenta così il progetto «Lightquake», in cartellone fino al 25 febbraio in due spazi espositivi del Polo museale dell’Umbria, ovvero la Rocca Albornoz - Museo nazionale del Ducato di Spoleto e il Palazzo Ducale di Gubbio.
Le due rassegne offrono al visitatore, attraverso installazioni luminose e opere interattive, un’esperienza di notevole qualità percettiva, che permette di indagare il ruolo della luce, forma di comunicazione immediata e partecipativa, dalla forte valenza emotiva.
Il progetto, ideato da Rosaria Mencarelli, è stato realizzato da Paola Mercurelli Salari, con la direzione artistica di Gisella Gellini e Claudia Bottini e con la collaborazione di Fabio Agrifoglio e degli studenti del corso Light Art e Design della Luce del Politecnico di Milano.
Nata per sostenere il recupero del patrimonio culturale danneggiato dal sisma che ha colpito il centro Italia nel 2016, la rassegna è corredata da una raccolta fondi e ha una piccola appendice al Tempietto del Clitunno, dove è presente un’installazione luminosa di Carlo Dell’Amico, e alla galleria ADD Ard di Spoleto, dove espongono Mario Agrifoglio e Nicola Evangelisti.
Protagonista a Gubbio è la light art, forma di arte contemporanea che trasforma luoghi e città, nata intorno alla metà del XX secolo e affermatasi grazie alle opere di Dan Flavin e James Turrell. Il mezzo di espressione di questo linguaggio, a cui devono molto l’arte concettuale e il minimalismo, e il fine dell’opera è la luce.
In vari spazi del Palazzo Ducale espongono tre artisti: nel cortile interno c’è «La macchina del tempo» di Federica Marangoni, una delle più importanti light artist italiane che fin dagli anni Settanta realizza monumentali installazioni luminose; mentre nel transetto destro è possibile ammirare due opere di luce site specific realizzate dall’artista umbro Stefano Frascarelli e dal toscano Saverio Mercati, che cambiano la percezione e la spazialità delle stanze di Palazzo Ducale.
La Rocca di Spoleto guarderà, invece, all’esperienza della Black Light, la luce nera, con la mostra itinerante «La luce che colora il buio», già allestita a Milano e Como. Il nucleo degli artisti a Spoleto è composto da: Mario Agrifoglio, Nino Alfieri, Alessio Ancillai, LeoNilde Carabba, Claudio Sek De Luca, Giulio De Mitri, Nicola Evangelisti, Maria Cristiana Fioretti, Federica Marangoni, Yari Miele, Ugo Piccioni e Sebastiano Romano.
La Black Light è uno strumento espressivo in grado di coinvolgere lo spettatore in una esperienza sensoriale dove la realtà non appare con il solito aspetto ma si veste di colori, di forme e di spazialità insolite e sorprendenti.
La luce nera, affascinante ossimoro, non serve, infatti, per illuminare in modo convenzionale, ma si utilizza per far apparire in modo diverso gli oggetti o lo spazio circostante, sia per scopi spiccatamente pratici che in ambito artistico.
Anche se di solito il pubblico generico la associa alle scenografie del Cirque du Soleil o alle ambientazioni delle discoteche, la black light fu usata per la prima volta dal grande artista Lucio Fontana, con il suo ambiente spaziale a luce nera del 1949.
Successivamente, negli anni Sessanta, decennio che vide la nascita dell’optical art e dell’arte cinetica, Gianni Colombo la ripropone con il suo «Spazio Elastico», che vince il premio per la pittura alla Biennale di Venezia del 1986 e che Bice Curiger ha riproposto all’edizione del 2011, proprio all’ingresso del padiglione principale ai Giardini.
Data la peculiarità del tema e delle opere esposte, l’allestimento presenta ambienti oscurati con gradazioni diverse, in modo da valorizzare al meglio le opere esposte e offrire un coinvolgente percorso espositivo.
Grande spazio nel percorso espositivo è dato alla figura di Mario Agrifoglio, unico artista scomparso, che fa da trait d’union per il concept della mostra, nella quale sono esposte opere che indagano il rapporto luce e materia, sperimentando le interazioni con materiali veicolatori di luce, come il vetro, oppure gli effetti di speciali pigmenti fotosensibili, luminescenti o fluorescenti, il tutto con la luce di Wood.
Il tutto confermerà un modo di dire che fa da filo rosso tra le opere esposte: «il buio non esiste, è soltanto l’assenza della luce».

Informazioni utili 
«Lightquake». Rocca Albornoz – Museo Nazionale del Ducato di Spoleto (Pg) e Palazzo Ducale di Gubbio (Pg). SPOLETO - dal martedì alla domenica, dalle ore 9.30 alle ore 18.00, lunedì chiuso, ultimo ingresso 45 minuti prima della chiusura. GUBBIO - dal martedì alla domenica, dalle ore 8.30 alle ore 19.30, lunedì chiuso, ultimo ingresso 30 minuti prima della chiusura. Aperture straordinarie in occasione di eventi speciali, ponti e festività. Ingresso: La mostra è compresa nel biglietto d’ingresso alle due strutture museali. I possessori del biglietto di un museo hanno diritto al biglietto ridotto dell’altro. SPOLETO: intero € 7,50, ridotto € 3,75 (da 18 a 25 anni), gratuito fino a 17 anni, fatte salve le agevolazioni previste dal regolamento di ingresso ai luoghi della cultura italiani, consultabili nel sito web del MiBACT. Spoleto Card: Red Card € 9,50, Green Card € 8,00 (+ 65, da 15 a 25 anni, gruppi oltre 15 persone). GUBBIO: intero € 5,00, ridotto € 2,50 (da 18 a 25 anni), gratuito fino a 17 anni, fatte salve le agevolazioni previste dal regolamento di ingresso ai luoghi della cultura italiani, consultabili nel sito web del MiBACT. Ingresso gratuito in entrambi i musei la prima domenica del mese. Visite guidate: SPOLETO gruppi fino a 20 unità € 80,00 (in lingua € 100,00); scuole fino a 20 unità visita tematica mostra + Rocca € 60,00; percorsi educativi a tariffa agevolata € 30,00 (classi fino a 20 unità) nei giorni 13,20 dicembre, 17,24,31 gennaio, 7,14,21 febbraio dalle 10.00 alle 12.00. GUBBIO gruppi fino a 20 unità € 80,00 (in lingua € 100,00); scuole fino a 20 unità visita guidata mostra + Palazzo Ducale € 60,00. L’ingresso alla mostra e al museo è gratuito per le scuole. Tariffe personalizzate per visite guidate alla mostra + città e itinerari turistici regionali. Tutte le visite guidate a Spoleto a Gubbio sono garantite solo su prenotazione. Info e prenotazioni: Call center Sistema Museo 199151123 o callcenter@sistemamuseo.it. Sito internet: www.sistemamuseo.it. Fino al 25 febbraio 2018.

giovedì 15 febbraio 2018

«Tutti in maschera», con «Culturando», gli «Attori in erba» e il Tarlisu

Pulcinella, Arlecchino, Pantalone, Colombina, il dottor Balanzone, Brighella, ma non solo: l’Italia è un paese ricco di maschere regionali. Alcune sono nate in ambito teatrale, negli anni di maggior diffusione della Commedia dell’arte, altre sono state inventate appositamente per festeggiare il Carnevale. Sarà questo l’argomento al centro del laboratorio ludico-educativo «Tutti in maschera» che «Culturando» promuove per il pomeriggio di venerdì 16 febbraio, dalle ore 16.30, negli spazi del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio.
 L’appuntamento, inserito nell’ambito delle attività promosse ai bambini e ai ragazzi dalla scuola multidisciplinare di teatro «Il cantiere delle arti», è una lezione straordinaria dei corsi «I piccoli attori» (dai 5 ai 10 anni) e «Attori in erba» (dagli 11 ai 15 anni), i cui allievi, in questa stagione, stanno approfondendo proprio il magico mondo della Commedia dell’arte, importante patrimonio della tradizione teatrale italiana, attraverso i progetti «Ti conosco, mascherina!» e «Tra maschere, lazzi e canovacci».
 In occasione del Carnevale, la festa più colorata e folle dell’anno, i giovani iscritti di «Culturando» -trentasei bambini e ragazzi di età compresa tra i 6 e i 15 anni- hanno deciso di aprire le porte del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio anche ai loro coetanei per una festa in maschera senza coriandoli e stelle filanti, ma con due ospiti d’eccezione. Grazie alla preziosa collaborazione della Famiglia Sinaghina, presieduta da Rolando Pizzoli, il palcoscenico di via Calatafimi accenderà, infatti, i riflettori sul Tarlisu (interpretato da Antonio Tosi, detto «Ul pedela») e sulla Bumbasina (impersonata da Jenny Castiglioni), le due maschere tipiche di Busto Arsizio, omaggio alla prestigiosa storia tessile della città.
 L’incontro, studiato dalla Famiglia Sinaghina sul modello di quelli in programma in questi giorni nelle scuole cittadine, avrà inizio alle 17.00 e sarà anticipato, a partire dalle ore 16.30, da un allegro e colorato truccabimbi, a cura di «Ci pensa Pippi», servizio di animazione e party planning di Solbiate Olona. Ai bambini verrà, infine, proposto dagli insegnanti di «Culturando» -ovvero dagli attori Gerry Franceschini e Davide De Mercato, con le colleghe Serena Biagi e Anna De Bernardi- un percorso tra le maschere più rappresentative della Commedia dell’arte, dall’avaro Pantalone al vanaglorioso Capitan Spaventa e al pedante dottor Balanzone.
Dando spazio alla propria fantasia e creatività, i più piccoli avranno così modo di conoscere il fantastico modo del travestimento e l’eterno gioco del teatro attraverso una storia magica e lontana nel tempo, fatta di attori girovaghi, carrozzoni con teatri smontabili, bauli pieni di bellissimi abiti di scena e maschere.
 Come camminano gli «zanni» Brighella e Arlecchino? Qual è il chiodo fisso di Pulcinella? Che cosa sono le «tiritere» del dottor Balanzone e le «smargiassate» di Capitan Spaventa? Che cosa direbbe la civettuola e astuta Colombina all’amica-rivale Isabella, la «giovane innamorata» della Commedia dell’arte? Queste alcune delle domande a cui bambini e ragazzi, attraverso l’interazione e il gioco, sapranno rispondere alla fine del pomeriggio, che si chiuderà con un piccolo momento di festa, aperto anche ai genitori e ai nonni.
 La seconda parte del laboratorio sarà per «I piccoli attori» e gli «Attori in erba» una sorta di ripasso di quanto imparato in questi mesi, in vista del saggio-spettacolo «In viaggio con le maschere della Commedia dell’arte» (il titolo è ancora provvisorio), in programma venerdì 18 maggio, alle ore 20.45.
 Il conto alla rovescia per l’appuntamento è già partito sulla pagina Facebook di «Culturando» (@associazioneculturando), dove nelle prossime settimane verranno diffusi, periodicamente, approfondimenti sulla Commedia dell’arte e sulle maschere della tradizione italiana, oltre ad alcuni canovacci nati in seno al laboratorio di scrittura creativa della scuola «Il cantiere delle arti», condotto da Annamaria Sigalotti. Sul profilo dell’associazione sono, inoltre, in corso di pubblicazione alcuni video sulla favola musicale «C’era una volta…Gioachino Rossini», che gli «Attori in erba» hanno portato in scena a Busto Arsizio lo scorso maggio, la cui ambientazione era la città di Bologna nei giorni di Carnevale del 1806 e in cui la sezione dedicata all’opera «Il barbiere di Siviglia» era ispirata alla tradizione della Commedia dell’arte.
 L’ingresso al laboratorio «Tutti in maschera» è gratuito per i bambini di Busto Arsizio e dei paesi limitrofi; è gradita conferma della propria presenza all’indirizzo info@associazioneculturando.com o al numero 347.5776656.

martedì 13 febbraio 2018

«Perfetta», Geppi Cucciari e il mondo femminile

Si tinge ancora di rosa il palcoscenico del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio. Dopo la commedia «Queste pazze donne», che lo scorso 25 gennaio ha visto in sala circa seicento spettatori, la stagione «Mettiamo in circolo la cultura», inserita nel cartellone cittadino «BA Teatro», offre nuovamente uno sguardo autentico, divertente e disincantato sul mondo femminile.
Mercoledì 21 febbraio, alle ore 21, la sala di via Calatafimi aprirà le porte a una delle novità più attese del nuovo anno teatrale: l’one woman show «Pefetta», su testo e per la regia di Mattia Torre, noto sceneggiatore, regista e autore teatrale romano, che ha, tra l’altro, scritto per il programma «Parla con me» di Serena Dandini e, dal 2007, per la prima, la seconda e la terza stagione di «Boris», andata in onda su Fox Italia, e per «Boris – il film».
Le musiche originali dello spettacolo, che debutterà il prossimo venerdì 16 febbraio al teatro Moderno di Grosseto, sono di Paolo Fresu e i costumi di Antonio Marras. Il disegno luci porta la firma di Luca Barbati; assistente alla regia è Giulia Dietrich.
Protagonista di «Perfetta» è l’ironica e tagliente Geppi Cucciari, noto volto televisivo che, dopo l’esordio a «Zelig» del 2001, si è destreggiata tra spettacoli teatrali come il musical «La famiglia Addams» e abili conduzioni radiofoniche e televisive, tra cui quelle per i programma «Un giorno da pecora» di Radio2 e per le trasmissioni televisive «Per un pugno di libri» e «Le parole della settimana» di Rai3, che la vedono rispettivamente accanto a Piero Dorfles e Massimo Gramellini.
«Perfetta» si configura come una sorta di «radiografia sociale ed emotiva, fisica, di ventotto comici e disperati giorni» raccontati attraverso le quattro fasi del ciclo femminile. Il monologo teatrale parla, dunque, -si legge nella sinossi- di «una donna  che  conduce  una  vita  regolare,  scandita  da  abitudini  che  si ripetono ogni giorno, e che come tutti noi lotta nel mondo. Ma è una donna, e il suo corpo è una macchina faticosa e perfetta che la costringe a dei cicli, di cui gli uomini sanno pochissimo e di cui persino  molte  donne  non  sono  così  consapevoli».
Ha, dunque, tutti gli ingredienti per accontentare l’affezionato pubblico del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio (quasi trecentoquaranta gli abbonati della sala) lo spettacolo «Perfetta», scelto da Maria Ricucci dell’agenzia «InTeatro» di Opera (Milano)  per la stagione «Mettiamo in circolo la cultura», ideata con l’intento di offrire al pubblico occasioni di riflessione, ma anche di divertimento leggero, attraverso otto spettacoli di prosa con noti personaggi della scena contemporanea, da Lorella Cuccarini a Giampiero Ingrassia, da Vanessa Gravini a Ivano Marescotti, passando per Debora Caprioglio, Gianfraco Jannuzzo, Valentina Lodovini e Max Pisu.
La stagione teatrale del Manzoni di Busto Arsizio proseguirà nella serata di venerdì 9 marzo, alle ore 21, con la commedia «Alla faccia vostra», pièce leggera e divertente scritta da Pierre Chesnot, autore anche dell'ormai celebre «L’inquilina del piano di sopra», che promette due ore di divertimento e risate. In scena, nei panni dei protagonisti, due attori d’eccezione: l’esilarante Gianfranco Jannuzzo e la splendida Debora Caprioglio, coppia ormai collaudata del teatro brillante italiano, già vista insieme in «È ricca, la sposo e la ammazzo».
Il costo del biglietto per lo spettacolo «Perfetta» è fissato ad € 33,00 per la poltronissima, € 30,00 (intero) o € 27,00 (ridotto) per la poltrona, € 28,00 (intero) o € 25,00 (ridotto) per la galleria. Le riduzioni sono previste per studenti, over 65 e per gruppi (Cral, scuole, biblioteche e associazioni) composti da minimo dieci persone. Il diritto di prevendita è di euro 1,00.
Il botteghino del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio sarà aperto da mercoledì 14 gennaio con i seguenti orari: dal lunedì al sabato, dalle ore 17 alle ore 19. I biglietti sono già comodamente acquistabili on-line, tramite il circuito Crea Informatica, sui siti www.cinemateatromanzoni.it e www.webtic.it.
Per maggiori informazioni sulla programmazione della sala è possibile contattare il numero 339.7559644 o lo 0331.677961 (negli orari di apertura del botteghino e in orario serale, dalle ore 20.30 alle ore 21.30, tranne il martedì) o scrivere all’indirizzo info@cinemateatromanzoni.it.


Informazioni utili
Cinema teatro Manzoni, via Calatafimi, 5 - Busto Arsizio (Varese), tel. 0331.677961 (dal lunedì al venerdì, dalle 17.00 alle 19.00, e in orario serale), info@cinemateatromanzoni.it. Sito internet: www.cinemateatromanzoni.it.  

domenica 11 febbraio 2018

A Milano una mostra sui disegni di Fausto Melotti per «Linee»

È una mostra importante dal punto di vista storico e filologico quella che presenta in questi giorni la galleria Tonelli di Milano. Fino al prossimo 28 febbraio lo spazio espositivo di via Aurelio Saffi propone «Sul disegno», rassegna curata da Marco Meneguzzo, che allinea venti disegni di Fausto Melotti (1901-1986), di cui ben diciotto esposti per la prima volta assieme. Questi lavori, di recente acquisizione, sono tutti databili ai primi anni Settanta, uno dei periodi più fecondi dell’artista trentino, e sono stati in parte utilizzati per accompagnare la pubblicazione dei due quaderni di «Linee», editi l’uno nel 1975, l’altro nel 1978 per i tipi della casa editrice Adelphi.
Considerato uno dei maggiori scultori del Novecento, Fausto Melotti è noto anche come scrittore e poeta. Suoi sono una serie di aforismi acuti, pungenti, lirici e talvolta amari, raccolti in volume alla vigilia dell’ultima felice stagione artistica.
In questo contesto di rinnovata creatività, la pratica del disegno, come della grafica, diventa fondamentale: non tutti i disegni esposti sono progetti di sculture, ma tutti possiedono quella particolare atmosfera di sottile narratività, e stilisticamente si ricollegano ai lavori dell’anteguerra, molto più di quanto non si possano ricondurre le sculture degli anni Settanta e Ottanta a quelle degli anni Trenta.
«Linee» è un titolo che richiama alla mente «un note-book» o per usare le parole che si trovano nel risvolto di copertina scritto da Giuseppe Zampa, «uno zibaldone d’artista che raccoglie riflessioni, ricordi, moralità, poesie, agudezas, considerazioni tecniche». Si ritrova qui la purezza e la brevità delle forme dell’artista: il timbro aereo delle sculture si fa in queste pagine parola e segno. Le incisioni arricchiscono e completano il volume, conferendole, in ragione della tiratura limitata, un alto pregio bibliografico. A tal proposito Giorgio Manganelli, sulle pagine del quotidiano «Il messaggero», ha parlato per questi aforismi di «frammenti di una storia delicata, inquietante grazia; forse raccontata in una lingua in cui abbiamo accesso nei sogni, nei giochi». In occasione della mostra, di concerto col curatore Marco Meneguzzo, la Galleria Tonelli ha inteso fornire a collezionisti, studiosi e appassionati uno strumento storico-critico, basato sullo studio analitico di questo gruppo di disegni, che si è concretizzato in un ampio volume, per certi aspetti sistematico, sul disegno melottiano, e sui metodi di comparazione tra disegni e sculture, alla ricerca di temi e stilemi sia comuni che peculiari al disegno e alla scultura.
Il risultato è un volume bilingue (italiano-inglese), edito da Silvana Editoriale, di oltre centocinquanta pagine: un lungo saggio introduttivo del curatore sulla pratica del disegno, precede le singole ampie schede, sempre curate da Meneguzzo, che mostrano apparentamenti e temi ricorrenti nella poetica melottiana, attraverso l’accostamento visivo di disegni e sculture concettualmente vicini a quelli esposti; una biografia «raccontata» a cura della storica dell’arte Sarah Boglino e una bibliografia completano il volume.
Il percorso espositivo è arricchito da una ventina di sculture e ceramiche, come il «Vaso Sole» del 1950, i «Bambini» del 1953, il «Cavallino» del 1960, Il grande «Contrappunto Piano», nella versione unica, del 1973, uno dei lavori più famosi e importanti dell’artista, o ancora vasi, ciotole e altre ceramiche degli anni Cinquanta e Sessanta.  Un’occasione preziosa, dunque, quella offerta da Milano per accostarsi al mondo lirico, lieve e delicato di Fausto Melotti, grande interprete dell’Astrattismo italiano.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1]Fausto Melotti, Disegno, 1978, matita e tempera su carta pesante con impronta feltro, 41x28 cm; [fig. 2] Fausto Melotti, Disegno, 1970, matita e carboncino su carta pesante con impronta feltro, 33,2x25,3 cm; [fig. 3] Fausto Melotti, Vaso, 1961, ceramica policroma smaltata, h 15 cm

Informazioni utili
Fausto Melotti. Sul disegno. Galleria Tonelli, via Aurelio Saffi, 33 (angolo corso Magenta) – Milano. Orari: dal lunedì al venerdì, dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 19.45; sabato, dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 19.45. Ingresso libero. Informazioni: tel. 02.4812434; 333.1426971; info@galleriatonelli.it. Fino al 28 febbraio 2018. 

venerdì 9 febbraio 2018

«Venezia Pop»: Luciano Zarotti e gli anni di Ca’ Pesaro

Ha scritto pagine importanti per la storia della Galleria internazionale d’arte moderna di Ca’ Pesaro e, di conseguenza, per la storia dell’arte a Venezia. Stiamo parlando della duchessa Felicita Bevilacqua La Masa, il cui impegno per la destinazione del palazzo di San Stae quale casa delle Avanguardie e dei «giovani artisti ai quali spesso è interdetto l’ingresso nelle grandi mostre» fu determinante.
Alla figura di questa donna generosa e lungimirante sarà dedicata, nei prossimi mesi, una serie di esposizioni, la prima delle quali analizza la figura di Luciano Zarotti e la sua attività tra i primi anni Settanta e la fine degli anni Ottanta.
Dell’artista, nato a Venezia nel 1942, il museo conserva due importanti tele -«La finestra del poeta» e «Paesaggio»- provenienti dalle Esposizioni Bevilacqua La Masa, una sorta di contro-Biennale- che rappresentano l’alto traguardo di un’intera stagione artistica condensata in lavori ricchi di coraggio e ambizione.
La mostra, allestita fino al prossimo 18 febbraio, intende dare conto della prodizione di Luciano Zarotti, considerato uno dei «figli Bevilacqua La Masa», tra i primi anni Settanta e la fine degli anni Ottanta.
Nel 1967 l’artista, all'epoca venticinquenne, avvia la sua attività all'interno dell'istituzione veneziana, in uno degli studi concessi ai giovani artisti a Palazzo Carminati; qui lavorerà fino al 1975.
A Parigi, dove soggiorna a più riprese negli anni precedenti, l'impatto con la pop art europea scuote profondamente la sua cultura visiva basata sulla tradizione figurativa veneziana.
Dall'incontro con i disegni di Graham Sutherland il suo trasporto verso la natura, le isole e l'acqua della laguna s’innesta in una simbologia vegetale che diviene elemento di primo piano nella composizione dei suoi dipinti.
Assieme alla scoperta delle piscine di David Hockney, dei suoi tuffi, dei suoi blu, queste immagini si stendono in una partitura accordata su un nuovo sentimento dello spazio che il premio a Robert Rauschenberg, alla Biennale d'arte del 1964, comincia a far circolare anche a Venezia.
Le grandi tele presenti in mostra, ed esposte al secondo piano, sintetizzano i risultati di vent'anni di ricerche, in cui Zarotti fonde in una personale visione pittorica i molti stimoli provenienti dalle esperienze contemporanee, mantenendo al centro del suo racconto l’indagine sul mistero dell’esperienza umana e affiancando a una nuova sintassi compositiva il tonalismo, la tavolozza, la tecnica e le materie, l’attenzione alla luce appresi dai maestri veneziani del passato.
Completa la mostra, nelle salette al piano terra, una selezione di incisioni con le quali, fin dalla sua prima personale alla Bevilacqua La Masa, nel 1970, l’artista sperimenta composizioni, segni, effetti chiaroscurali, in lastre spesso di grandi dimensioni, cosa non consueta nella tradizione calcografica, in un percorso complementare a quello della sua pittura.
Lo stile pittorico dell’artista, a cui sarà dedicato in mostra anche un video a cura di Pierantonio Tanzola, è ben descritto da Elisabetta Barisoni, responsabile di Ca’ Pesaro, nel catalogo edito dalla casa editrice Antiga (Crocetta del Montello, TV, 2018): «Nei tormentati anni Settanta si leva un urlo umano, in cui si mescolano numerose eco, di Francis Bacon e Lucian Freud, di David Hockney e di Georg Baselitz, di David Salle e di Enzo Cucchi, di Richard Hamilton e di Chaïm Soutine, condensate in una figurazione espressiva e in una coerenza creativa che è soprattutto ed esclusivamente la firma di Luciano Zarotti».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Luciano Zarotti, «Il pittore e la modella», (lo studio del Maestro), 1979 - 2017, olio e tempera grassa su tela, cm 290x480; [fig. 2] Luciano Zarotti, «Il tuffatore», 1978, olio su tela, cm 130x185; [fig. 3] Luciano Zarotti, «La stanza», 1974, tempera magra su tela, cm 175x200

Informazioni utili
«Veneziano Pop. Luciano Zarotti e Ca' Pesaro negli anni '70-'80». Ca’ Pesaro, Galleria internazionale d’arte moderna, Santa Croce, 2076 – Venezia. Orari: martedì-domenica, ore 10.00 - 17.00 (la biglietteria chiude un’ora prima); chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 7,50, ridotto scuole € 4,00. Informazioni: info@fmcvenezia.it | 848082000 (dall’Italia) | +3904142730892 (dall’estero). Sito internet: http://capesaro.visitmuve.it/. Fino al 18 febbraio 2018.

mercoledì 7 febbraio 2018

Art for Kids, alla scoperta della Commedia dell'arte

La storia delle maschere di Arlecchino e Pulcinella, che ogni anno a Carnevale escono dal baule dei ricordi per diventare realtà viva sui palcoscenici, inizia in Italia nella seconda metà del Cinquecento, ma varca presto i confini nazionali e attraversa, cambiandolo, il teatro mondiale.
A quel tempo si formano delle compagnie di attori professionisti chiamati «comici dell’arte»: sono autori, interpreti, registi dei loro spettacoli e il loro modo di fare teatro viene chiamato Commedia dell’arte (dove il termine «arte» va inteso nel significato medioevale di «mestiere») o Commedia all’italiana.
La particolarità di questo nuovo genere è la «recita a soggetto»: gli attori non interpretano cioè testi letterari o copioni del teatro classico, ma si servono di «canovacci», ovvero di semplici tracce che delineano situazioni, intrecci e finali. Questi racconti, detti anche «scenari», contengono, inoltre, l’ordine delle scene, le entrate e le uscite.
Su queste trame, gli attori improvvisano, secondo le richieste e i desideri del pubblico, dialoghi, scherzi, frizzi, lazzi e burle, dando sfogo a tutto il loro estro di ballerini, acrobati, mimi e cantanti.
Questo modo di recitare si chiama «teatro all’improvviso». Improvvisare non significa, però, «recitare a caso», ma saper sfruttare al momento giusto certe dosi teatrali e suscitare, quindi, nel pubblico divertimento e partecipazione.
Per rendere i personaggi più riconoscibili, gli attori usano costumi e maschere di cuoio sul volto, e i personaggi stessi sono detti maschere o «tipi fissi», rappresentando i caratteri della società, aspetti eterni e immutabili dell’animo umano.
Ci sono, per esempio, il vecchio avaro (Pantalone), il servo fannullone (Arlecchino o Pulcinella) e quello obbediente e astuto (Brighella), la giovane innamorata (Isabella, Flaminia o Rosalba), il pretendente alla sua mano (Leandro, Lelio o Fabrizio), il militare (capitan Spaventa o capitan Fracassa, Rugantino, Scaramouche), il dottore pedante e un po’ saccente (Balanzone), la servetta civettuola (Colombina, Corallina, Smeraldina).
Ogni maschera, di origine regionale e con un proprio dialetto, ha un proprio repertorio di battute e detti che la caratterizzano; sono, per esempio, tipiche le «tiritere» del dottor Balanzone, interminabili sproloqui senza senso, e le «smargiassate» di Capitan Spaventa, discorsi roboanti da persona vanagloriosa.
La Commedia dell’arte prende vita nelle piazze, nei mercati, nei luoghi frequentati dalla gente semplice, dove si incominciano a rappresentare situazioni che parlano dei temi della vita, come l’amore, la povertà, la tirannia del forte sul debole.
Un’altra grande novità della Commedia dell’arte è la partecipazione delle donne agli spettacoli; prima di allora le parti femminili erano affidate solo a uomini giovani.
Gli attori si riuniscono in piccole compagnie e vanno di villaggio in villaggio, cercando di mettere insieme ogni giorno il pranzo con la cena (spesso il pubblico paga il «biglietto» con uova, verdura e, nel migliore dei casi, con una gallina per il brodo).
Viaggiano su carrozzoni che di sera si trasformano in palcoscenici illuminati da lanterne magiche, usano costumi vistosi e multicolori, e la musica accompagna il loro arrivo e le loro rappresentazioni.
Dopo due secoli, verso la metà del Settecento, la Commedia dell’arte incomincia a decadere; al suo posto si sviluppa un nuovo tipo di teatro. Le commedie sono completamente scritte, per mano di un autore. Il più grande rappresentante di questo genere è Carlo Goldoni (1707-1792), autore della riforma della Commedia dell’arte, che sostituisce i tipi fissi e le maschere con i caratteri, ripresi dalla vita di tutti i giorni, il canovaccio con il testo drammaturgico. L'autore si propone di far divertire il pubblico, ma si sforza sempre di comunicare un messaggio educativo, che tende a premiare gi autentici valori umani, a porre in buona luce le classi sociali medie o basse, denunciando invece la sciocca superficialità della mentalità degli aristocratici o degli arricchiti.
La Commedia dell’arte continua, però, ad affascinare ancora il pubblico di oggi per quella sua storia magica fatta di attori girovaghi, carrozzoni con teatri smontabili, bauli pieni di bellissimi abiti di scena e maschere della tradizione. Una storia, questa, che, dalla metà del Cinquecento alla riforma goldoniana, ha visto i comici dell’arte viaggiare di città in città, di paese in paese, chiamando tutti quanti a vedere i loro spettacoli con musica vivace, sonagli e, come ricorda Francesca Rossi nel libretto «Ti conosco, mascherina», con annunci roboanti: «Tragicommedia e meraviglie, avari, guerrieri e damigelli un soldo e un cosciotto per chi si siede un pane e una pera per chi sta in piedi!».

[Questo approfondimento sulla Commedia dell'arte è stato scritto nell'ambito del laboratorio di scrittura creativa della scuola multidisciplinare di teatro «Il cantiere delle arti», promossa dall'associazione «Culturando» al cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio. Il progetto dedicato alle maschere della tradizione si chiuderà nella serata di venerdì 18 maggio con un saggio-spettacolo che vedrà salire in scena trentasei bambini e ragazzi tra i 6 e i 15 anni, iscritti ai corsi «Piccoli attori» e «Attori in erba»]

Per saperne di più 
Casalini, Angelini, Crepaldi, «Maschere – Un libro per leggere, per fare teatro, per divertirsi», Editrice Piccoli, Torino 1997; 
Gina Bellot e Viviana Benini, «Storie di maschere», Nuove edizioni romane, Roma 1980; 
Gina Bellot, «Comandi, sior paròn. Storie e storielle del Carnevale di Venezia», Nuove edizioni romane, Roma 2007; 
Vito Montemagno, «Le maschere. Caratteri, storia e costumi», Capitol, Bologna 1990; 
Carla Poesio, «Le maschere italiane», Edizioni Primavera, Firenze 1992; 
Francesca Rossi, «Ti conosco, mascherina», edizioni corsare, Spello 2011.

lunedì 5 febbraio 2018

Lotto e Leopardi, due artisti a Recanati

Ci sono artisti che devono attendere secoli per essere compresi e questo dato rappresenta, per certi versi, la capacità della loro arte di non esaurirsi nel tempo in cui è nata, ma di saper parlare anche alle generazioni future. È il caso della produzione artistica di Lorenzo Lotto, pienamente compresa solo nel Novecento, anche grazie all’opera di Bernard Berenson, che, nel 1895, pubblicò un’innovativa monografia sul maestro veneziano.
Fu, questo, l’inizio di una riscoperta dell’artista, al quale nella seconda metà del secolo scorso vennero dedicate mostre significative, a partire da quella di Ancona del 1950, che allineò alcuni dei suoi quadri più belli -e all’epoca quasi sconosciuti-, per giungere alla memorabile monografica del 1953 negli spazi di Palazzo Ducale a Venezia, per la curatela di Pietro Zampetti.
Un ulteriore importante tassello nella rivalutazione di Lorenzo Lotto è stato fatto dal convegno tenutosi nel 1980, in occasione del quinto centenario della nascita dell’artista, sempre per la curatela di Pietro Zampetti, che ha messo in luce i rapporti del maestro con Dürer e con la grafica nordica, la sua presenza a Roma negli anni e nel cantiere Vaticano di Raffaello, gli incroci e le tangenze stilistiche con Pordenone, Correggio e Tiziano.
Ad interessare furono anche il profilo esistenziale, spirituale e psicologico del pittore. Di lui piacevano l’inquietudine e il nomadismo, il girovagare per i paesi e le parrocchie dell'Italia minore, le committenze marginali ed eccentriche, il suo ritiro, negli anni estremi della vita, «solo, senza fidel governo et molto inquieto de la mente» come fratello laico nella Santa Casa di Loreto, città dove morì negli ultimi mesi del 1556.
Proprio a breve distanza dalla città marchigiana, nel centro di Recanati, è in corso una mostra dedicata a Lorenzo Lotto, nella quale la sua opera viene posta in relazione con quella di un’altra anima inquieta che ha dato lustro a questa terra: Giacomo Leopardi, la cui poetica si è articolata soprattutto intorno al racconto dell’infelicità umana. Villa Colloredo Mels è lo scenario di questo inedito dialogo tra due uomini meditativi e contemplativi, che sentirono l’esigenza di rendere visibile -l’uno attraverso la pittura, l’altro per mezzo della scrittura- la realtà e il proprio conflitto interiore.
Lorenzo Lotto fu definito da Bernard Berenson «il primo pittore italiano ad essere sensibile ai mutevoli stati dell’animo umano», un «pittore psicologico in un’epoca che stimava quasi soltanto forza e gerarchia, un pittore personale in un’epoca in cui la personalità stava per diventare meno stimata del conformismo, evangelico di cuore in un paese in cui un cattolicesimo rigido e senza anima ogni giorno più rafforzava la sua presa».
Il pittore veneto ha mostrano nelle sue opere fragilità, debolezze e turbamenti, uomini e donne che ci comunicano la loro solitudine quasi per chiederci la complicità di uno sguardo, di una parola, quasi per chiamarci a un rapporto di amicizia, per essere ascoltati.
La mostra di Recanati prende avvio da alcuni capolavori che l’artista veneto ha lasciato a Recanati, a cominciare dalla splendida e rivoluzionaria «Annunciazione», di proprietà museo civico di Villa Colloredo Mels, tela in cui la Vergine è colta alle spalle e ha quasi il timore di volgere il capo verso l’angelo. Questa tela è esposta a Recanati, nell’allestimento curato dall’ architetto Bruno Mariotti dello studio CH Plus, accanto ad altre significative testimonianze della pittura di Lorenzo Lotto, sempre di proprietà del museo: il polittico di San Domenico, la pala della «Trasfigurazione» e il «San Giacomo Maggiore». Si trovano, inoltre, esposte altre significative testimonianze dell’artista come la travolgente «Caduta dei Titani», di collezione privata, e i ritratti «Giovane gentiluomo» delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, il «Gentiluomo con lettera (Fioravante Avogaro)», di raccolta privata, e il «Ritratto di Ludovico Grazioli» della Fondazione Cavallini Sgarbi.
Al percorso lottiano si unirà strettamente quello su Leopardi con l’esposizione straordinaria di documenti, manoscritti e cimeli del poeta, unici e significativi, la cui selezione e cura scientifica è stata affidata alla professoressa Laura Melosi e al dottor Lorenzo Abbate della cattedra leopardiana dell’Università di Macerata. Un’occasione, questa, per scoprire le singolari assonanze tra due artisti, che -per usare le parole di Vittorio Sgarbi- a Recanati «hanno lasciato il loro segreto».

Informazioni utili
Solo, senza fidel governo et molto inquieto de la mente. Lorenzo Lotto dialoga con Giacomo Leopardi. Villa Colloredo Mels – Recanati. Orari: dal martedì alla domenica, ore 10.00-13.00 e ore 15.00-18.00; chiuso il 25 dicembre e il 1° gennaio. Ingresso: biglietto unico mostra e circuito Recanati Musei intero € 10,00; ridotto € 7,00 (gruppi minimo 15 persone, possessori di tessera FAI, Touring Club, Italia Nostra, Coop, Alleanza 3.0 e precedenti Adriatica, Bordest, Estense, gruppi accompagnati da guida turistica abilitata); ridotto € 5 (Recanati Card, aderenti Campus l’Infinito, gruppi da 15 a 25 studenti); omaggio minori fino a 19 anni (singoli), soci Icom, giornalisti muniti di regolare tesserino, disabili e la persona che li accompagna. Con il biglietto di mostra si accede al circuito museale di Recanati: Musei Civici di Villa Colloredo Mels, Museo dell’Emigrazione Marchigiana, Museo Beniamino Gigli, Torre del Borgo. Informazioni e prenotazioni: Sistema Museo Call center 0744.422848 (dal lunedì al venerdì, ore 9-17, sabato, ore 9-13, escluso i festivi) - callcenter@sistemamuseo.it; Villa Colloredo Mels, tel. 071.7570410 - recanati@sistemamuseo.it. Sito: www.infinitorecanati.it. Fino all’8 aprile 2018.