ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

domenica 17 maggio 2009

"Lo schiacchianoci": danzando sulle note di Pëtr Il'ič Čajkovskij

«Uno dei più bei doni della danza, non soltanto per i bambini, ma per chiunque ami l’elemento magico del teatro». Sta tutto in queste parole del coreografo e danzatore russo George Balanchine il fascino del balletto Lo schiaccianoci, che l’associazione sportiva dilettantistica “Amici della danza”, diretta da Maria Luisa Milani, presenta alle 21.00 di lunedì 18 maggio al teatro Sociale di Busto Arsizio.
Lo spettacolo, che gode del patrocinio del Comune di Busto Arsizio, vedrà in scena una sessantina di giovani allieve della scuola bustese, accompagnate da due ballerini professionisti: Massimo Dalla Mora e Daniele Lucchetti. I costumi sono a cura della ditta Porselli e di Bruna Scazzosi; le scenografie portano la firma di Corinna Colombo e Cesare Maino.
Lo schiaccianoci, balletto in due atti e tre scene con prologo ed epilogo su musiche di Pëtr Il'ič Čajkovskij, mutua la propria trama dalla favola borghese ottocentesca Nüssknaker und Mäusekönig (Lo schiaccianoci e il re dei topi) di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, nella versione liberamente rivisitata e privata dai suoi elementi drammatici e horror da Alexandre Dumas padre.
Al centro della vicenda c’è una bambina di Norimberga, la dolce e romantica Clara (interpretata in questo allestimento da Natalia Colombo), che si prepara a festeggiare il Natale con i propri parenti ed amici. Fra i tanti invitati al sontuoso ricevimento, si distingue uno strano personaggio di nome Drosselmeyer, un po’ prestigiatore e un po’ giocattolaio, che regala alla protagonista alcuni pupazzi meccanici, ma soprattutto uno schiaccianoci di legno a forma di soldatino. A mezzanotte, quando gli ospiti si congedano, la piccola Clara si addormenta su una poltrona del divano e precipita in un sogno/incubo fantastico, nel quale il nuovo giocattolo si trasforma in un bellissimo e coraggioso principe azzurro, con cui combattere contro l'esercito dei topi e, una volta vinta la battaglia, partire in viaggio per il paese delle delizie. Qui vivono la fata Confetto e altri personaggi di fantasia, come il Cioccolato, il Caffè, il Bastoncino di zucchero candito e i Cannoncini alla crema. Clara trascorre con loro una notte da favola. Ma tutti i sogni, si sa, durano poco: al risveglio balli e suoni sono svaniti; accanto alla piccola c'è solo il suo amato schiaccianoci di legno.
A fare da colonna sonora allo spettacolo, per le coreografie di Maria Luisa Milani, saranno, come già ricordato, alcune delle musiche più allegre, sognanti e divertenti nate dal genio di Pëtr Il'ič Čajkovskij: dalla Marcia al Trepak (o Danza russa), dal Valzer dei fiori alla Danza della fata Confetto.

Didascalie
[Foto 1 e 2] Immagini di repertorio delle produzioni dell'associazione sportiva dilettantistica Amici della danza

Informazioni utili
Lo schiaccianoci.
Teatro Sociale, piazza Plebiscito 8 - 21052 Busto Arsizio (Varese). Data: lunedì 18 maggio 2009, ore 21.00. Ingresso: € 15.00. Sito internet: www.teatrosociale.it.

Per saperne di più
www.amicidelladanza.blogspot.com

mercoledì 13 maggio 2009

«Quell’amore di Francesca», musica lirica e letteratura sulle tracce di un mito dantesco

Dalle tragedie di Silvio Pellico e Gabriele D’Annunzio alla Fantasia sinfonica di Pëtr Il'ič Čajkovskij, senza dimenticare l’opera scultorea di Auguste Rodin, il ciclo incisorio di Gustave Dorè e la parodia teatrale di Antonio Petito. Ma anche i disegni e le pitture di Jean Auguste Dominique Ingres, Dante Gabriele Rossetti, Mosè Bianchi e Gaetano Previati. Sono innumerevoli gli artisti che, dal Settecento ad oggi, hanno rivolto la propria attenzione all’appassionante storia d’amore e di morte tra Francesca da Polenta e Paolo Malatesta. Tanto è vero che un catalogo, ancora in corso di redazione, ha censito l’esistenza di duecentocinquanta componimenti letterari e teatrali, oltre trecento opere d’arte visiva, centocinquanta eventi musicali e dieci film dedicati alla coppia adulterina che Dante Alighieri rese immortale nelle pagine del Canto V dell’Inferno, quello incentrato sui «peccatori carnali che la ragion sommettono al talento», puniti da una «bufera infernal che mai non resta».
La storia dell’avvenente e sfortunata fanciulla ravennate, per la quale Gabriele D’Annunzio coniò l’espressione «un fiore in mezzo a tanto ferro», e del suo amante, giovane uomo che Giovanni Boccaccio definì «piacevole» e «costumato», sale sul palcoscenico del ridotto Luigi Pirandello, nuovo spazio dedicato al «teatro di parola e di ricerca» del Sociale di Busto Arsizio.
Giovedì 14 maggio, alle ore 21.00, la sala di piazza Plebiscito ospita, infatti, lo spettacolo multimediale Quell’amore di Francesca, per la regia di Antonio Signorello.
L’appuntamento, organizzato in occasione del primo anniversario della scomparsa del tenore catanese Vittorio Tosto (Catania, 1962 – Milano, 2008), nasce da un’idea dello stesso artista siciliano, che si è avvalso, per la prima andata in scena (Milano, 1997), della collaborazione del regista Franco Vacchi.
Due i momenti in cui si articola la serata, che vedrà salire sul palco le soprano Donatella Giansanti, Stefania Megale e Yoko Takada, il tenore Antonio Signorello, gli attori Delia Cajelli, Gerry Franceschini e Mario Piciollo, accompagnati dalla pianista Véronique Garnier Heurtebise, dalla violinista Claudia Monti e dalla giovane clarinettista Irene Valentini. L’appuntamento prevede anche la partecipazione del coro Vox Media di Bresso, diretto da Angelo Bernardelli.
Nella prima parte la poesia entra in connubio con la musica attraverso brani che affiancano grandi compositori del calibro di Wolfgang Amadeus Mozart, Giacomo Puccini, Gioacchino Rossini, Francesco Paolo Tosti, Giuseppe Verdi e Riccardo Zandonai a scrittori, drammaturghi e poeti di levatura internazionale quali Dante Alighieri, Giosuè Carducci e William Shakespeare. Ecco così, per esempio, i colori crepuscolari della melodia Serenata di Riccardo Zandonai dialogare con la febbrile giostra di sensazioni emotive del sonetto shakespeariano CXXIX o, ancora, con le gioiose note della romanza pucciniana Sole e amore e con il malinconico notturno mozartiano Se lontan ben mio tu sei.
Ampio spazio in questa sezione introduttiva viene data anche alla poco conosciuta passione per la poesia di Vittorio Tosto, del quale vengono proposte quattro sue opere -I due soli, Un abbraccio, Reminiscenza e Pausa- accostate a composizioni, realizzate per l’occasione, dal collega musicista Angelo Bernardelli.
La seconda parte della serata conduce, invece, il pubblico –ha scritto lo stesso tenore catanese- «non solo verso l’accostamento di musica e poesia, ma addirittura a un osmotico divenire l’una l’altra, in un mutuo scambio, che, attraverso il filo conduttore della lettura del V canto dell’Inferno dantesco, propone tre momenti chiave dell’opera Francesca da Rimini di Riccardo Zandonai». Un’opera, questa, che può essere considerata una vera e propria gemma del primo Novecento musicale italiano, grazie alla raffinata scrittura del compositore roveretano, che ha creato una partitura più di sentimenti, di atmosfere che di caratteri, concorrendo così a far scaturire in azione scenica cantata, su versi di Gabriele D’Annunzio, la tragica vicenda di lussuria e sangue che ebbe per protagonisti Paolo e Francesca, uccisi per mano del fratello e marito Gianciotto, mentre leggevano un racconto cavalleresco evocante l’infedeltà della regina Ginevra nei confronti di re Artù.
L’ingresso è libero e gratuito, previa prenotazione del posto allo 0331 679000.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Giuseppe Palanti, Abbraccio fatale, manifesto pubblicitario per l’opera Francesca da Rimini di Riccardo Zandonai. 1914. Particolare; [fig. 2] Mosè Bianchi, Paolo e Francesca, 1877 c.. Acquarello e oro su carta, cm 64,5×85,5. Milano, Galleria civica d’arte moderna; [fig. 3] Gaetano Previati, Paolo e Francesca, 1901. Olio su tela, cm 230×260. Ferrara, Galleria civica d’arte moderna; [fig. 4] Jean-Auguste-Dominique Ingres, Paolo e Francesca sorpresi da Gianciotto, 1845 c. Olio su tela, cm 22×15. Chantilly, Musée Condé; [fig. 5] Gustave Dorè, Paolo e Francesca all’Inferno, 1861. Inchiostro e guazzo bianco su carta, mm 387×292. Strasburgo, Musée d’Art Moderne et Contemporain.

Informazioni utili
Quell'amore di Francesca. Teatro Sociale - ridotto Luigi Pirandello, piazza Plebiscito 8 - 21052 Busto Arsizio (Varese). Data: giovedì 14 maggio 2009, ore 21.00. Ingresso: libero e gratuito, previa prenotazione del posto. Prenotazioni telefoniche possono essere effettuate allo 0331.679000, in orario lavorativo: dal lunedì al venerdì, dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 15.00 alle 18.00, e il sabato,dalle 9.30 alle 12.30. Informazioni: tel. 0331.679000. Sito internet: www.teatrosociale.it.

martedì 12 maggio 2009

Milano, al Poldi Pezzoli cinque incontri per conoscere i grandi restauri italiani

Compie otto anni il ciclo di appuntamenti Grandi restauri tra tradizione e innovazione, organizzato dal museo Poldi Pezzoli di Milano, in collaborazione e con il sostegno di Intesa Sanpaolo. Tema di questa edizione sarà il restauro di oreficerie, sculture in cartapesta, pitture su vetro e pietra.
Ad inaugurare la rassegna, che si propone da sempre come occasione di aggiornamento e confronto fra storici dell’arte e restauratori, sarà una conferenza dal titolo Il busto reliquiario di San Gennaro (1304 – 1305) nella cappella del tesoro di San Gennaro a Napoli, tenuta da Giovanni Morigi, consulente per il restauro dei metalli per le più prestigiose istituzioni internazionali. L’appuntamento, fissato per le 18.00 di mercoledì 13 maggio, permetterà di approfondire la conoscenza di questo capolavoro della scultura e dell’oreficeria gotica d’inizio Trecento, commissionato da Carlo II d’Angiò a quattro maestri orafi francesi per celebrare il millenario del martirio e della morte di San Gennaro.
Realizzato in argento prevalentemente sbalzato, cesellato e dorato, il prezioso busto, che raffigura il santo in abiti vescovili, è composto da più parti -la testa, le spalle, il colletto-, è finemente decorato con pietre preziose e mostra ben 63 bottoni circolari in smalto blu o rosso con gigli d’oro.
Nel corso dell’incontro verranno, inoltre, presentati gli interventi di restauro eseguiti su altre due importanti oreficerie sacre appartenenti al tesoro di San Gennaro a Napoli: il Tabernacolo del sangue di San Gennaro o Tempietto, utilizzato per trasportare durante le processioni la teca contenente l’ampolla del sangue, l’effige e la reliquia del Santo, e la Stauroteca di San Leonzio, realizzata per il vescovo di Napoli Leonzio tra il 646 e il 653.
Gli appuntamenti alla casa-museo di via Manzoni, tutti ad ingresso gratuito, proseguiranno con Clarice Innocenti, direttrice del Museo dell’Opificio delle pietre dure di Firenze, che mercoledì 20 maggio intratterrà i presenti con una conferenza dal titolo L’Altare d’argento del Battistero di Firenze (1366-1483). Sarà, poi, la volta di Rita Bassotti, restauratrice e docente di tecniche esecutive e di restauro presso l’Istituto Centrale del Restauro (ISCR), che mercoledì 27 maggio terrà un incontro dal titolo La Madonna in cartapesta di Jacopo Sansovino al Bargello (1540-1550). Giuseppe Basile, già direttore presso l’ISCR del Servizio per gli interventi sui Beni artistici e storici, sarà, invece, protagonista della conferenza La vetrata della Cappella della Maddalena in San Francesco ad Assisi (ultimi anni del XIII secolo), in cartellone il 3 giugno. E, infine, mercoledì 10 sarà la Anna Rastrelli, nota archeologa che, tra i numerosi incarichi, ha diretto il restauro del Sarcofago delle Amazzoni e la progettazione di quello della statua in bronzo dell’Arringatore, due capolavori del Museo Archeologico Nazionale di Firenze.
«Con questa iniziativa – fanno sapere dalla casa-museo milanese- si riconferma la volontà del Poldi Pezzoli di rappresentare un centro di aggiornamento e di formazione permanente su uno dei temi salienti legati al nostro patrimonio artistico. Gli incontri in programma si rivolgono non solo agli addetti ai lavori, ma anche agli studenti, agli insegnanti e a tutto il pubblico che segue con interesse le sorti dei nostri beni culturali».

Didascalie delle figure
[fig. 1]Jacopo Sansovino, Madonna col Bambino, circa 1550; cartapesta. © Museo Nazionale del Bargello, Firenze; [fig. 2] Maestro Etienne, Godefroy, Milet d’Auxerre, Guillaume de Verdelay, Busto-reliquiario di San Gennaro, 1304-1305; argento sbalzato, cesellato, dorato.© Tesoro Vecchio della Cattedrale, Napoli.

Informazioni utili

Grandi restauri tra tradizione e innovazione. Museo Poldi Pezzoli, via Manzoni 12 - Milano. Da mercoledì 13 a mercoledì 10 giugno, ore 18.00. Note. Gli incontri sono gratuiti e sono aperti a tutto il pubblico interessato.La disponibilità dei posti è fino a esaurimento. Per informazioni: tel. 02.794889/02.796334. Sito web: www.museopoldipezzoli.it.

giovedì 23 aprile 2009

C'era una volta «Nannarella»: storia di una grande attrice italiana

Roma, 1945. L’occupazione nazista è appena terminata, eppure in una strada dello storico quartiere Pigneto, via Raimondo Montecuccoli, una donna di 37 anni corre, al grido di «Francesco, Francesco!», dietro al camion con il quale i soldati tedeschi stanno portando via il suo compagno, un giovane tipografo militante nella Resistenza partigiana. Quella donna era l’attrice Anna Magnani (Roma, 1908 – ivi, 1973) nei panni della schietta e volitiva «sora Pina», figura in parte ispirata alla storia di Teresa Gullace. E quella corsa disperata e fiera, con il braccio proteso in avanti e il palmo della mano spalancato per un ultimo contatto con l’uomo amato, fino alla caduta mortale sotto le raffiche del mitra di un soldato tedesco, è la «scena madre» del film Roma città aperta (1945) di Roberto Rossellini, prima pellicola e grande capolavoro del cinema neorealista italiano, che la critica internazionale premiò con la Palma d’oro al Festival di Cannes 1946 e con tre Nastri d’argento, uno dei quali proprio per la miglior attrice. Nasceva così il mito di Anna Magnani, «una bruna e non bella, ma con occhi –ebbe a dire Giulio Cesare Castello- di una divorante, fonda, febbrile vivezza, lucenti sopra le occhiaia peste, tra ciocche di capelli eternamente arruffati e spioventi», il cui temperamento schietto, rude, vulcanico, indipendente e caparbio, ma allo stesso tempo dolce e fragile, ne fece non solo «l’emblema […] dei corrosivi, motteggianti umori e dei palpiti emotivi della gente di Roma», ma anche l’anima di una delle stagioni più alte del nostro cinema, il Neorealismo. Alla figura di questa diva-antidiva -capace, con un istrionismo proprio solo dei grandi interpreti, di passare dalla comicità più sfrenata alla profonda drammaticità, dalle assi del palcoscenico al cinema e alla televisione- è dedicato il seminario-spettacolo Nannarella. In ricordo di Anna Magnani, in programma alle 21.00 di giovedì 26 marzo al Sociale di Busto Arsizio, presso gli spazi del ridotto Luigi Pirandello, nell’ambito della rassegna Donna è…teatro e del cartellone BA Teatro-Stagione cittadina 2008-2009, che riunisce, sotto l’egida e il contributo economico dell’amministrazione comunale, le programmazioni di Palkettostage–International theatre productions e dei teatri Manzoni, San Giovanni Bosco e Sociale. L’appuntamento, per la regia di Delia Cajelli, ripercorrerà la vicenda umana e lavorativa di quella che Gilles Jacob ha definito la «Lupa romana», prima interprete italiana a vincere il prestigioso premio Oscar come miglior attrice protagonista, attraverso la drammatizzazione di alcune pagine dell’appassionante romanzo-biografia Nannarella, scritto dal giornalista e autore televisivo Giancarlo Governi nel 1981 e ripubblicato dai tipi della Minimum Fax lo scorso anno, in occasione del centenario dalla nascita dell’artista, in una versione rivisitata e ricca di documenti inediti, aneddoti curiosi e testimonianze di amici e compagni di lavoro, da Federico Fellini a Giovanni Ralli, da Alberto Sordi a Marisa Merlini, da Renato Rascel a Franco Zeffirelli. La narrazione –che vedrà in scena Ambra Greta Cajelli, Gerry Franceschini, Mario Piciollo, Anita Romano e la piccola Gaia Verrini- si apre con l'immagine di una bambina che cammina per mano a un’anziana signora, intonando la struggente Reginella di Libero Bovio. La bambina è Anna Magnani e l’anziana signora è l’amata nonna, la donna che si prese cura di lei durante tutta l’infanzia, trasmettendole la passione per la musica e il pianoforte. E’ così che, all’età di 17 anni, «Nannarella» si iscrive alla prestigiosa Accademia di Santa Cecilia e, per un gioco del destino, finisce a calcare le tavole del palcoscenico. Frequentando il conservatorio, la giovane si imbatte, infatti, ogni giorno negli allievi della scuola di recitazione Eleonora Duse, diretta da Silvio D’Amico. La loro allegria la contagia e un giorno del 1927, su consiglio di Paolo Stoppa, fa il provino di ammissione e viene accettata. Due anni dopo è l’ora della prova del pubblico: Anna Magnani entra a far parte della compagnia Vergani-Cimara, diretta da Dario Nicodemi, per passare, nel 1934, all’avanspettacolo e alla rivista con i fratelli De Rege nel ruolo di attrice, soubrette e cantante, e per finire a lavorare, nel 1941, con Totò in una serie indimenticabile di spettacoli: Quando meno te l’aspetti, Volumineide, Che ti sei messo in testa? e Con un palmo di naso. Il cinema bussa alla porta nel 1934 con il film La cieca di Sorrento di Nunzio Malasumma; il successo, però, arriva solo nel 1945 con Roma città aperta di Roberto Rossellini, toccante affresco dell’inverno che la capitale dovette subire sotto il giogo nazista. Cala così il sipario sulla cosiddetta «stagione cinematografica dei telefonici bianchi», con le sue ragazze graziose e sognanti alla ricerca del grande amore, e inizia l’epoca del Neorealismo, con i suoi film girati nei luoghi della vita reale e tesi a rappresentare la quotidianità nel suo farsi. Anna Magnani diventa il volto simbolo di questa nuova avventura cinematografica tutta italiana, regalando alla nostra storia una straordinaria carrellata di personaggi femminili dal temperamento indomito e dalla grande umanità, in lotta contro le ingiustizie e le delusioni della vita, “armate” solo della propria dignità e del proprio orgoglio. Ecco così la popolana impegnata in politica de L’onorevole Angelina (1947), la madre abbagliata dai falsi miti di Bellissima (1951), la detenuta del film Nella città dell’inferno (1958), la comparsa cinematografica di Risate di gioia (1960), e l’ex prostituta in cerca di redenzione di Mamma Roma (1962), solo per fare qualche esempio. Contemporaneamente, Anna Magnani si emancipa dal ruolo di star totalmente italiana e si afferma anche all’estero: La carrozza d’oro (1952) di Jean Renoir la rende beniamina in Francia; il film La rosa tatuata di Daniel Mann, su soggetto di Tennessee Williams, le procura, il 21 marzo 1956, l’ambita statuetta come miglior attrice protagonista e le consente di girare altri due film negli studios, Selvaggio è il vento (1957) di George Cukor e Pelle di serpente di Sidney Lumet (1959). Il teatro la vede ritornare in scena nel 1965 con le intense interpretazioni de La lupa di Giovanni Verga, per la regia di Franco Zeffirelli, e della Medea di Jean Anouilh, nell’allestimento di Giancarlo Menotti. Il commiato, straziante e bellissimo, è affidato alla piccola apparizione nel film Roma (1972), dove Federico Fellini riprende Anna Magnani durante una camminata per le vie della «città eterna», fino al portone di casa, esaltandola come simbolo della romanità e consegnando alla storia il suo sorriso ora irridente, ora canzonatorio, ora gioioso: il sorriso di «Nannarella». 

Didascalie delle immagini 
[fig. 1, fig. 2, fig. 3] Ritratti di Anna Magnani; [fig. 4] Gerry Franceschini in una scena del seminario-spettacolo "Nannarella. Omaggio ad Anna Magnani", prodotto dall'associazione Educarte-teatro Sociale di Busto Arsizio. 

Informazioni utili 
Nannarella. In ricordo di Anna Magnani. Teatro Sociale - ridotto "Luigi Pirandello", piazza Plebiscito 8 - 21052 Busto Arsizio (Varese). Data: giovedì 26 marzo 2009, ore 21.00. Ingresso: intero: € 8.00, ridotto € 6.00 (giovani fino ai 21 anni, ultra 65enni, militari, Cral, biblioteche, dopolavoro e associazioni con minimo dieci persone). Orari botteghino: il botteghino, ubicato negli uffici del primo piano, è aperto nelle giornate di lunedì, mercoledì e venerdì, dalle 16.00 alle 18.00. Prenotazioni telefoniche possono essere effettuate allo 0331.679000, in orario lavorativo: dal lunedì al venerdì, dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 15.00 alle 18.00, e il sabato,dalle 9.30 alle 12.30. Informazioni: tel. 0331.679000. Sito internet: www.teatrosociale.it.

sabato 7 marzo 2009

Eleonora Duse e Gabriele D'Annunzio, una storia d'amore tra teatro e letteratura

«Gli perdono di avermi sfruttata, rovinata, umiliata. Gli perdono tutto, perché ho amato». Morendo a migliaia di chilometri di distanza dal suo Paese natale, sola e gravemente malata, è a Gabriele D'Annunzio che pensa Eleonora Duse (Vigevano, 3 ottobre 1858–Pittsburgh, 21 aprile 1924), straordinaria attrice drammatica di fine ‘800 e inizio ‘900, che ha infiammato le platee di mezzo mondo e che ha ammaliato personaggi del calibro di Konstantin Stanislavskij, Anton Cechov, Charlie Chaplin, George Bernard Shaw, Isadora Duncan, Matilde Serao e Sibilla Aleramo.
La travagliata e intensa storia d'amore con il Vate, iniziata dopo la separazione dal marito Tebaldo Checchi (suo collega di lavoro nella Compagnia Città di Torino e padre della figlia Enrichetta) e il sofferto distacco dall’amante Arrigo Boito (personalità di spicco della Scapigliatura milanese e stimato librettista di Giuseppe Verdi), sembra aver lasciato un segno indelebile nel cuore della Divina.
La passione tra questi due leggendari protagonisti della cultura italiana fin de siécle scoppia a Venezia nel settembre 1894 e dura una decina d’anni. Attrazione fisica, curiosità intellettuale e interesse pratico caratterizzano la relazione, durante la quale Gabriele D’Annunzio scrive cinque opere teatrali dedicate all’attrice -Sogno di un mattino di primavera, La Gioconda, La gloria, Francesca da Rimini e Sogno d’un tramonto d’autunno- ed Eleonora Duse sostiene finanziariamente le imprese artistiche e le dissolutezze del suo compagno, amandolo contro ogni ragionevolezza. Numerosi sono, infatti, i tradimenti sentimentali e professionali che la Divina deve sopportare: l'alcova del Vate continua a essere affollata di donne. I suoi segreti più intimi vengono messi nero su bianco nel romanzo Il fuoco. Due grandi tragedie dannunziane a lei destinate, La città morta e La figlia di Iorio, vengono affidate, all’ultimo, dal suo stesso amante ad altre due interpreti: Sarah Bernhardt ed Irma Gramatica.
Eleonora Duse  fu, dunque, una donna dalla vita travagliata, che -malgrado questo- seppe fondere il suo straordinario talento artistico e il suo fascino misterioso e seduttivo, rivoluzionando l'arte della recitazione, con la sua capacità di trasmettere emozioni e di comunicare messaggi attraverso un linguaggio non verbale, caratterizzato da movenze impercettibili e sguardi
espressivi. L'intensità delle interpretazioni, il faticoso lavoro di penetrazione psicologica dei personaggi e lo stile scarno, privo di enfasi declamatoria e con scene e costumi semplici, fecero, infatti, dell’attrice veneta l'antesignana del teatro moderno, in netto contrasto con la sua storica rivale, Sarah Bernhardt.
Figlia d'arte, Eleonora Duse esordì a quattro anni nella compagnia di giro del padre, interpretando la parte di Cosetta nei Miserabili di Victor Hugo. La prima prova della sua bravura, secondo una tradizione biografica consolidata che ha le proprie origini nel romanzo Il fuoco di Gabriele D’Annunzio, risale, invece, al 1873 con l’interpretazione della Giulietta shakespeariana, sul palco dell’Arena di Verona. Mentre è del 1879, con la rappresentazione della Teresa Raquin di Emile Zola a Napoli, che l’attrice ottiene la sua definitiva consacrazione. Da allora, fatta eccezione per la difficile parentesi dannunziana e il ritiro dalle scene negli anni compresi tra il 1909 e il 1921, la Divina miete un successo dietro l’altro, da La locandiera di Carlo Goldoni a La cavalleria rusticana di Giovanni Verga, da Antonio e Cleopatra di William Shakespeare a La porta chiusa di Marco Praga, da Monna Vanna di Maurice Maeterlinck a I bassifondi di Maksim Gor'kij, senza dimenticare i numerosi allestimenti di opere teatrali scritte da Giuseppe Giacosa, Alexandre Dumas figlio e del prediletto Henrik Ibsen, del quale l’artista porta in scena Casa di bambola, Spettri, Rosmersholm, La donna del mare ed Hedda Gabler.
Due le rappresentazioni più note della Duse: l’interpretazione del Romeo e Giulietta di William Shakespeare all’Arena di Verona e la mancata partecipazione alla tragedia La figlia di Iorio di Gabriele D’Annunzio.
La prima rappresentazione è passata alla storia per l’innovativa recitazione di netto stampo tardo-romantico dell’attrice, che colorò l’intera opera di un connotato tipicamente simbolista e liberty-decadente come l’uso di un bouquet di fiori: Eleonora Duse –ricorda, infatti, Renato Simoni, sulle pagine del Corriere della Sera- «aveva profumato la tragedia con la grazia fragile di una rosa che, tra le sue mani, assumeva, ad ogni atto e ad ogni frase della passione, un significato nuovo».
La figlia di Iorio è, invece, nota per un gossip d’antan. La parte della protagonista dell’opera, Mila di Codro, era stata promessa da D’Annunzio alla Duse. A pochi giorni dalla “prima”, l’attrice veneta, che aveva già studiato il copione a memoria e preparato l’abito, venne sostituita da Irma Gramatica. Il Vate mandò un fattorino a ritirare il costume di scena, con accluso un biglietto: «Il teatro è un mostro che divora i suoi figli: devi lasciarti divorare». Di fronte all'evidenza del tradimento, la «Divina» gli scrisse: «Non ti difendere, figlio, perché io non ti accuso. Non parlarmi dell'impero della ragione, della tua vita carnale, della tua sete, di vita gioiosa. Sono sazia di queste parole! Da anni ti ascolto dirle…Parto di qui domani. A questa mia non c'è risposta». In effetti, non ci fu mai una replica a quell’addio, se non molti anni dopo, quando Gabriele D’Annunzio, alla notizia della scomparsa dell’attrice, disse: «E’ morta quella che non meritai».

Didascalie delle immagini[fig. 1] Mario Nunes Vais, Eleonora Duse, Roma, 1910 ca. [fig. 2] Eleonora duse come Margherita Gautier ne La signora delle camelie di Alexander Dumas. Fils.Fotografia di Mario Nunes Vais, 1904 circa. [fig. 3] La copertina del Times, dedicata ad Eleonora Duse.