ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 23 marzo 2010

Milano, alla galleria Ala la pittura scultorea di Turi Simeti

Ci sono artisti che sembrano dire una sola parola per tutta la vita, rimanendo coerentemente fedeli a un iniziale assunto pittorico o scultoreo. Uno di questi è Turi Simeti (Alcamo-Trapani, 1929). La sua ricerca creativa, da quasi cinquant'anni (la prima mostra, una collettiva, è del 1963), ruota attorno a un ristretto numero di elementi, sempre identici: la costituzione di un apparato architettonico aggettante, la pittura monocroma frontale e l'introduzione nelle proprie composizioni di una o più forme ellittiche od ovoidali differenti per colore, grandezza e posizione sulla tela.
Il risultato di questo procedere -lo ha scritto Francesco Tedeschi- è «una pittura che sa di scultura», dove è evidente l'interesse dell'artista siciliano per l'analisi del rapporto spazio-luce e del lento dinamismo creato sulla tela dai moduli seriali. Un dinamismo, questo, dai poetici ritmi musicali, simile a una danza di purificazione dell'anima tesa a portare lo “spettatore” in contatto con il mistero cosmico. A ciò concorrono un uso razionale del segno e un metodo costruttivo di ascendenza scultorea, oltre a una pittura «ton sur ton», che trova la propria base teorica nel minimalismo, ma da cui se ne discosta per le implicazioni emozionali.
Turi Simeti compie la sua iniziazione artistica alla fine degli anni Cinquanta, nell'ultima fase della stagione informale. Le sue prime opere riprendono la lezione materica e cromatica di Alberto Burri. L'avvio artistico è, infatti, caratterizzato da tele a fondo scuro o bianco, con frammenti di stracci, tessuti e altri materiali, a cui fanno seguito, sul principio degli anni Sessanta, lavori monocromi dal fondo nero, su cui sono applicate buste commerciali rossastre, bruciacchiate e annerite. E' questo il primo passo di Turi Simeti verso la ricerca della serializzazione dell'arte. Una ricerca che, in quegli stessi anni, porta l'artista a realizzare, sulla scia di Agostino Bonalumi ed Enrico Castellani, i grandi Legni ovali e i Cartoni neri, opere dove compare per la prima volta la forma ellittica sovrapposta alla tela in precise sequenze ritmiche che tendono a ricoprire l'intero spazio compositivo. Da qui l'artista siciliano, che nel 1965 entra a far parte del gruppo Zero Avantgarde, costituitosi sotto l'egida di Lucio Fontana, prosegue nella propria ricerca di una nuova configurazione dell'arte in rapporto alla spazio, giungendo a realizzare sul finire degli anni Sessanta le sue prime estroflessioni e introflessioni. Si tratta di opere, a cui Turi Simeti lavora tutt'oggi, in cui una forma ogivale in legno, fissata trasversalmente sul telaio, in posizione solitamente decentrata, crea una danza di luci e ombre, resa ancora più evidente dallo sfondo monocromo delle tele, nell'uniforme stesura di toni forti come il rosso, il giallo, il blu, il bianco e il nero. L'artista invita così lo spettatore a mettere in relazione spazi, oggetti, movimenti, «in modo che - ebbe a dire Friedrich W. Heckmanns, nel catalogo della mostra tedesca alla galleria Uli Lang di Biberach del 1996- tutto ciò giunga a dischiudere stati d'animo di armonica quiete».
Una selezione di questi opere sono esposte, fino a sabato 10 aprile, alla galleria a Salvatore + Caroline Ala di Milano. Si tratta di una ventina di acrilici su tela, realizzati tra il 1992 e il 2009, nei quali è evidente come la dinamicità sia il fattore essenziale della produzione dell'artista di Alcamo. Il bisogno di rompere la rigidità della superficie –un bisogno già presente, seppure in modo latente nelle ripetizioni seriali degli esordi e nelle successive essenzializzazioni degli anni Settanta e Ottanta- si rivela nei lavori degli ultimi anni sia nella disposizione marginale degli elementi sia nella loro combinazione o in sequenza o in piena libertà di movimento nello spazio sia, ancora, nell'inclinazione dei rilievi ellittici.
Non minore importanza in questa ricerca della terza dimensione in pittura è la scelta coloristica. Simeti predilige toni più caldi rispetto a quelli di qualche decennio fa (blu, bianco, giallo, rosso e nero sono i colori prediletti di quest’ultima stagione pittorica) e crea sulla tela sfumature impreviste che sottolineano la singolarità e l'unicità del suo lavoro. E', dunque, la componente emotiva, tanto bistrattata dai minimali, ad assumere grande importanza nell'attuale produzione del maestro siciliano.
Il risultato è, per usare le parole di Gianluca Ranzi, «uno spettacolo poderoso e ineffabile ammantato della danza di luce e ombra che fa vibrare gli ovali che premono dal di sotto della tela, come a voler fuoriuscire dallo spazio limitato del quadro, a voler forzare il limite della pelle della pittura che li contiene».

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Turi Simeti, Polittico colorato, 2006, tela sagomata, acrilico, 30 x 200 cm; [fig. 2] Turi Simeti, Sei ovali rossi, 2006, tela sagomata, acrilico, 150 x 90 cm; [fig. 3] Turi simeti, Superficie gialla con cinque ovali, 2005, tela sagomata, acrilico, 150 x 200 cm; [fig. 4] Turi Simeti, Tre ovali color cielo, 2008,
tela sagomata, acrilico, 200 x 140 cm.

Informazioni utili
Turi Simeti. Galleria Salvatore è Caroline Ala, via Monte di Pietà, 1 – Milano. Orari: da martedì a sabato, 10.00-19.00. Ingresso libero e gratuito. Informazioni: tel. 02.8900901 o galleria.ala@iol.it. Fino a sabato 10 aprile 2010.

Pinocchio, un burattino tra i libri della Biblioteca di Busto Arsizio

«C'era una volta... -Un re!- diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. C'era una volta un pezzo di legno […]». Era il luglio 1881 e il Giornale dei bambini, inserto settimanale del quotidiano Il Fanfulla, pubblicava la prima puntata di Storia di un burattino, romanzo di Collodi (pseudonimo dello scrittore Carlo Lorenzini) destinato a diventare, con il titolo Le avventure di Pinocchio, il libro più tradotto al mondo dopo la Bibbia. Esuberante fino allo sfinimento, intollerante a qualsiasi regola, bugiardo di fronte all’evidenza, ma anche fiducioso nel prossimo, disposto a fare ammenda dei propri errori e ingenuo come solo i sognatori sanno essere, il «burattino più discolo di tutti i discoli» ha conquistato generazioni di piccoli lettori. Agli albori del Novecento, Le avventure di Pinocchio contavano, infatti, ben trecentomila copie stampate; oggi il libro può essere letto in oltre duecentocinquanta lingue (latino ed esperanto compresi) e dialetti. La mostra Pinocchio. Il capolavoro di Collodi nella Biblioteca di Busto, realizzata in occasione dello spettacolo per bambini Tutti allegramente insieme a Pinocchio, intende ripercorrere la fortuna del capolavoro collodiano, a partire dal 1883 (data della sua prima pubblicazione a volume), attraverso esemplari storici, libri illustrati, traduzioni e saggi critici conservati presso la stessa Biblioteca civica di Busto Arsizio. Ad aprire l’esposizione, articolata in cinque sezioni e una quarantina di volumi, sono tre edizioni "antiche" dell’opera: una pregevole copia del 1912 con illustrazioni di Carlo Chiostri, edita dalla Benporad di Firenze, dialoga, infatti, con una riproduzione tipografica, risalente al 1967, e una ristampa anastatica, datata 1983, della prima edizione di Storia di un burattino, quella con i disegni originali in nero di Enrico Mazzanti, pubblicata nel 1883 dalla Felice Paggi Libraio Editore di Firenze. Il percorso, curato dalla dottoressa Loredana Vaccani, prosegue, quindi, con una curiosa sezione dal titolo Pinocchio e…dintorni, che allinea cinque rivisitazioni della storia del burattino più amato al mondo, tra le quali una traduzione in lingua latina, il Pinoculus di Enrico Maffaccini (Bemporad, Firenze 1950), e una in dialetto bustocco, Ul Pinochiu dul Collodi (Lions Club, Busto Arsizio 1997), a cura di Mariolino Rimoldi e con illustrazioni di Elisabetta Mariani, che ambienta la storia nella Busto Arsizio dell'Ottocento, facendo volare la Fata turchina sopra le cupole delle basiliche di San Giovanni Battista e di Santa Maria di piazza. Ad animare la terza sezione della rassegna sono, invece, tredici edizioni del libro collodiano datate tra il 1990 e il 2010, che riportano illustrazioni, tra gli altri, di Emanuele Luzzati (Nuages, Milano 2002), Alvaro Mairani (Lito editrice, Milano 1990) e Cecco Mariniello (Piemme, Casale Monferrato 2002), ma anche saggi di Italo Calvino (Einaudi, Torino 2002) e della coppia Carlo Fruttero e Franco Lucentini (Oscar Mondadori, Milano 2009). Non manca in questa parte una curiosità bibliografica: il Pinocchio di Futiqua, nome d'arte dell'illustratore bolognese Giocondo Faggioni. Le sue opere (18 tavole a colori e 54 disegni), preparate tra il 1945 e il 1949, rimasero abbandonate negli archivi della Giunti di Firenze per quasi cinquant'anni, fino a quando nel 2000 vennero ritrovate, in seguito a un riordino della casa editrice, e videro –finalmente- la luce. La mostra, che nei giorni scorsi è stata presentata presso le sale del teatro Sociale di Busto Arsizio, prosegue, quindi, con una parte intitolata E' sempre Pinocchio, che allinea, in ordine cronologico, una decina di esemplari con rivisitazioni della storia originale, come gli adattamenti per la prima infanzia di Roberto Piumini (EL, Trieste 2002) e Giusi Quarenghi (Giunti Kids, Firenze 2006), con illustrazioni rispettivamente di Lucia Salemi e Nicoletta Costa, o la poetica e coloratissima animazione dei maestri della Walt Disney, vincitrice nel 1941 di due premi Oscar. A chiudere l’esposizione è una sezione sulla fortuna di Collodi e del suo romanzo, contenente quattordici saggi su Pinocchio scritti tra il 1964 e il 2006, tra i quali si segnalano due riletture teatrali: Pinocchio da Carlo Collodi. Musiche originali di Alessandro Nidi (Teatro alla Scala–Rizzoli, Milano 1992) e Pinocchio nero. Diario di un viaggio teatrale di Marco Baliani (Rizzoli, Milano 2005). Cambiano mode e generazioni, dunque, ma la storia del burattino «condannato» dal suo naso ad essere sincero in un mondo di ipocrisia continua a solleticare la fantasia di grandi e piccini, senza mai conoscere eclissi ed oblio, forse perché, per dirla con le parole di Benedetto Croce, questo libro «trova facilmente la via del cuore». 


 Didascalie delle immagini 
[fig. 1] Illustrazione di Enrico Mazzanti per il romanzo Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, edito nel 1883 dalla casa editrice Felice Paggi Libraio Editore di Firenze; [fig. 2 e fig. 3] Illustrazione di Carlo Chiostri per il romanzo Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, edito nel 1901 dalla casa editrice Benporad di Firenze (la Biblioteca civica di Busto Arsizio conserva una copia del 1912); [fig. 4] Illustrazione di Emanuele Luzzati per il romanzo Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, edito nel 2002 dalla casa editrice Nauges di Milano; [fig. 5] Illustrazione di Cecco Mariniello per romanzo Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, edito nel 1998 dalla casa editrice Piemme di Casale Monferrato. Informazioni utili Pinocchio. Il capolavoro di Collodi nella Biblioteca di Busto. Biblioteca civica di Busto Arsizio, piazza Vittorio Emanuele II, 3 - Busto Arsizio. Orari: lunedì-venerdì 9.00-12.30 e 14.30-19.00; sabato 9.00-12.30 e 14.30-18.00. Ingresso libero e gratuito. Catalogo: disponibile in mostra. Informazioni: tel. 0331.635123. Fino al 31 marzo 2010.

lunedì 22 marzo 2010

Una sirena per il manifesto balneare «Rimini 2010»

Coda verde prato, viso di conchiglia, sorriso malizioso e occhialini a 3D: è una sirena moderna, disincantata e piena di gioia di vivere quella disegnata dalla talentuosa fumettista e illustratrice Francesca Ghermandi (Bologna, 1964), la «mamma» di Pasticca, per il manifesto balneare Rimini 2010.
Dopo la pittura seducente di Milo Manara, il disegno pop di Jovanotti, il richiamo tribale di Pablo Echaurenn e il gioco di parole di Alessandro Bergonzoni, la lunga storia dell’affiche balneare riminese vede, dunque, per la prima volta un’autrice donna dare volto e colori all’immagine testimonial per la campagna di promozione turistica della cittadina romagnola.
La ricchezza cromatica e l’elegante segno dell’artista bolognese -nota, tra l’altro, per aver realizzato la sigla animata della 62° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e alcuni modelli d’orologio per la Swatch- fanno proprio e innovano l’idea cardine di uno dei manifesti-simbolo della cartellonistica legata alla città di Rimini, quello realizzato nel 1922 da Marcello Dudovich. La pinna rossa del pesce disegnato, a pennarello e grafite, da Francesca Ghermandi vuole, infatti, ricordare il festoso delfino tratteggiato dal maestro triestino. Identico è, poi, nei due lavori lo spirito di libertà, fantasia e ironia che si respira.
L’artista bolognese mostra, inoltre, tutta la modernità della nuova dimensione riminese: una città che ha nel mare e nell’estate la sua naturale vocazione, ma che, al tempo stesso, offre altre possibilità, dalle grandi mostre d’arte (organizzate dallo scorso autunno da Marco Goldin) al divertimento per i giovanissimi.
«L'idea che ho cercato per le immagini –spiega Francesca Ghermandi- è quella di «Rimini come luogo a più dimensioni», dove c'è spazio per altre visioni oltre al mare. Con i colori ho cercato di rendere la sensazione dell'estate. La pinna rossa ricorda il pesce rosso del vecchio manifesto di Dudovich. Per arrivare a realizzare l'immagine di Rimini, a differenza dei disegni che faccio di solito (che vengono stampati molto più in piccolo degli originali e si guardano nel limite di una pagina) mi sono immaginata di guardare una pagina gigantesca e con i colori vivaci dei manifesti del circo».
E’ nata così un’immagine giocosa che, a partire dal periodo pasquale, farà la sua comparsa sui manifesti, le cartoline, la pubblicità e i materiali di informazioni turistica realizzati dall’assessorato al Turismo del Comune di Rimini.
Con questa opera Francesca Ghermandi entra, inoltre, ufficialmente a far parte della collezione del Museo della città e della galleria di grandi personaggi che -dal 2000 ad oggi- hanno rappresentato la cittadina romagnola, dando ideale proseguimento alla celebre tradizione che, dagli anni Venti del XX secolo, ha consentito di annoverare tra i creatori di immagini balneari legate a questa città artisti quali Adolfo Busi, Alberto Bianchi, Ugo Nespolo, Milton Glaser e René Gruau.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Manifesto di Francesca Ghermandi per
Rimini 2010; [fig. 2] Manifesto di Marcello Dudovich per Rimini 1922

Vedi anche

Rimini 2009, un’estate firmata da Alessandro Bergonzoni

mercoledì 10 febbraio 2010

"Il barbiere di Siviglia", coup de théâtre alla Gioacchino Rossini

Un’eccellente medicina contro le preoccupazioni e le difficoltà della vita di tutti i giorni: così si presenta Il barbiere di Siviglia, opera buffa in due atti che il compositore pesarese Gioacchino Rossini, allora già conosciuto al grande pubblico per il successo dei lavori lirici L’italiana in Algeri (1813) e Il turco in Italia (1814), scrisse all’inizio del 1816, in poco meno di tre settimane, per le celebrazioni carnevalesche del teatro Argentina di Roma.
A far rivivere sul palco del teatro Sociale di Busto Arsizio la magia del capolavoro rossiniano, definito dalla critica come «il più grande poema musicale comico, satirico e umoristico dell’umanità», sarà il Teatro dell’Opera di Milano, già protagonista in questa stagione di un apprezzato allestimento del melodramma La traviata di Giuseppe Verdi.
L’appuntamento è fissato per la serata di venerdì 12 febbraio (ore 21.00), nell’ambito di BA Teatro, stagione cittadina che, sotto l’egida e con il contributo economico dell’amministrazione comunale di Busto Arsizio, riunisce i cartelloni di PalkettoStage international theatre productions e dei teatri Manzoni, San Giovanni Bosco e Sociale.
Insieme con i giovani cantanti-attori del teatro dell’Opera di Milano, guidati dal regista Mario Riccardo Migliara, saranno in scena l’Orchestra filarmonica di Milano e la Corale lirica ambrosiana, dirette rispettivamente da Vito Lo Re e Roberto Ardigò.
Il componimento, su libretto di Cesare Sterbini, trae la propria trama della commedia Le barbier de Séville ou La précaution inutile di Pierre-Augustin-Caron de Beaumarchais, già oggetto di varie versioni musicali, tra le quali quella, molto applaudita, di Giovanni Paisiello, i cui sostenitori (secondo i pettegolezzi del tempo) fischiarono lungamente il debutto della versione rossiniana.
Nonostante l’insuccesso della prima rappresentazione, andata in scena il 20 febbraio 1816 con il titolo Almaviva ossia l’inutile precauzione (l’attuale nome sarà utilizzato solo a partire dalla ripresa bolognese dello stesso anno), il capolavoro del musicista marchigiano, con il suo meccanismo teatrale perfetto e le sue frizzanti e giocose invenzioni musicali, era destinato a diventare uno dei più grandi successi del teatro musicale italiano, incantando, tra gli altri, personaggi del calibro di Ludwig van Beethoven, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Stendhal e Giuseppe Verdi, che ebbe a dire: «Non posso che credere “Il barbiere di Siviglia”, per abbondanza d'idee, per verve comica e per verità di declamazione, la più bella opera buffa che esista».
La vicenda è ambientata nel tardo Settecento ed ha come scenario la calda e solare Spagna. Qui il maturo don Bartolo tiene segregata in casa la pupilla Rosina, che egli desidererebbe sposare. Il barbiere Figaro, fantasioso e pieno di risorse, aiuta l’innamorato conte di Almaviva a conquistare la giovane, che ricambia i suoi sentimenti. Dopo arditi travestimenti, scambi di biglietti, colpi di scena e la corruzione di don Basilio, maestro di musica della fanciulla, Figaro e Almaviva riescono a compiere il loro progetto: i due giovani innamorati si sposano, don Bartolo riceve in dono la dote della ragazza e l’opera si chiude nell’allegria generale.
Tra i brani entrati prepotentemente nell’immaginario collettivo, per quella che il critico Giuseppe Radiciotti ha definito la «giocondità serena e benefica» delle loro note, si ricordano l’ ouverture iniziale, la cavatina Largo al factotum e l’ aria La calunnia è un venticello.
L’allestimento del Teatro dell’Opera di Milano, grazie alla regia e all’ideazione scenica di Mario Riccardo Migliara, evidenzia l’estremo umorismo, la pazzia giocosa e i coup de théâtre presenti nel libretto e nella musica rossiniana.
La scenografia ricalca un antico palco della Commedia dell’arte, che, a seconda delle scene, si trasforma in balcone, in disimpegno o in interno casa. Giganteschi ventagli danno vita alla piazza di Siviglia; cavalli a dondolo, pezzi di domino, fionde e varie frivolezze trovano dimora tra le mura della casa di don Bartolo, settecentesco Peter Pan, animato dall'idea di possedere tutto e tutti. Sul palco ci saranno anche pupet mecanique, bambole meccaniche a grandezza naturale, tipiche del Settecento, e un gigantesco orologio che funziona al contrario. Una girandola di artifici anima, dunque, questa versione del capolavoro rossiniano, dando ancora più vigore a quell’insieme di burla, gags, estrema energia dettata dall’amore e spirito vitale giovanile che sprigiona da tutto Il barbiere di Siviglia.

Didascalie delle immagini
[fig. 1, 2 e 3] Una scena dell'opera buffa Il barbiere di Siviglia, con il teatro dell'Opera di Milano. Foto di repertorio

Informazioni utili

Il barbiere di Siviglia, con il teatro dell'Opera di Milano. Data: venerdì 12 febbraio 2010, ore 21.00. Biglietti: € 32,00 per la platea, € 25,00 per la galleria, € 20,00 per il ridotto, riservato a giovani fino ai 21 anni, ultra 65enni, militari, soci TCI (previa presentazione della tessera nominale), Cral, biblioteche, dopolavoro e associazioni con minimo dieci persone. Informazioni: tel. 0331.679000. Sito internet: www.teatrosociale.it.

venerdì 8 gennaio 2010

Sul lago di Garda il «Divino Infante» è da collezione

«L’Epifania tutte le feste si porta via», recita un vecchio adagio popolare. Non è così sulle sponde occidentali del lago di Garda, nella cittadina di Gardone Riviera, dove fino a domenica 17 gennaio, nei giorni concomitanti con la Pasqua e per tutta il periodo estivo sarà possibile visitare il museo del Divino Infante.
Dopo essere stata esposta a Brescia, Perugia, Milano, Parma, Cremona, ma anche a Monaco di Baviera e a Vienna, la preziosa collezione di Hiky Mayr Hinterkircher, la più significativa raccolta di bambini Gesù esistente in Europa, ha, infatti, trovato stabilmente casa negli spazi dell’ex hotel Villa Ella, a pochi passi dal Vittoriale degli Italiani, la celebre dimora di Gabriele D’Annunzio.
Dal 19 novembre 2005, in una struttura ottocentesca di oltre mille metri quadrati, situata in via dei Colli e articolata su due piani, è, dunque, possibile vedere oltre duecentocinquanta manufatti in legno intagliato e policromato, cera, terracotta e cartapesta dipinta, tutti di produzione italiana, che raccontano tecniche, usi, iconografie legati al tema della scultura avente per soggetto il Divino Infante e, in alcuni casi, la Maria Bambina, figura per la cui iconografia, nata nel ‘700 e legata soprattutto all’area lombarda, si fa riferimento alla francescana Chiara Isabella Fornari da Todi. Semplici oggetti artigianali destinati a un pubblico popolare e all'uso commerciale si alternano così ad opere di alto livello artistico, costruite da maestranze provenienti quasi esclusivamente dal sud Italia, e in particolare da Napoli e dalla Sicilia.
I lavori esposti, molti dei quali realizzati tra il XVII e il XVIII secolo, sono principalmente opere devozionali che non avevano uno specifico impiego presepiale, ma che erano connesse a un diffusissimo culto, come documentano le loro stesse dimensioni (60-90 centimetri per gli infanti in piedi, 50-60 per quelli assisi). Esposte sugli altari, portate in processione o destinate all'utilizzo domestico, queste «bambole sacre», dipinte a mano e spesso abbellite con preziosi accessori e vesti di seta, spesso intessute di perle, rubini ed altre gemme, furono, infatti, a partire dal Medioevo, un veicolo per l'attuazione di un rapporto più concreto e familiare con la sfera ultraterrena.
Numerose sono le tipologie di Gesù Bambino raccolte in oltre trentacinque anni di ricerche dalla tedesca Hiky Mayr Hinterkircher, residente sul lago di Garda da più quarant’anni. Si spazia dal Divino Infante ignudo o in fasce, seduto e in piedi, al Piccolo Re benedicente, passando per i bambini vestiti con abiti scelti in relazione allo svolgersi dell'anno liturgico, molti dei quali presentano simboli della Passione come la croce, i chiodi o un teschio. Camminando tra le sale, non si può non rimanere affascinati dalla straordinaria qualità della scultura, nonché dalla precisione della resa anatomica e dall’accuratezza del dettaglio, accresciuta dalla policromia (i gomiti del Bambino sono rossi, le labbra rosa-turgido, i dentini bianchi) e dalla polimatericità (gli occhi sono in pasta di vetro).
Non mancano, poi, in questa curiosa esposizione, la cui maggior parte delle opere sono state indicizzate nel 2003 in una prestigiosa pubblicazione da parte della casa editrice milanese Franco Maria Ricci, teche sontuose e piccolissime scatole che venivano utilizzate per il trasporto e l’esibizione del Divino Infante durante le processioni e successivamente collocate nella stanza di preghiera che si trovava nelle case delle famiglie nobili.
Chiude il percorso tra questi piccoli incanti della nostra tradizione religiosa, molti dei quali sono stati restaurati dalla loro stessa proprietaria, un presepe napoletano del Settecento, che si estende per oltre venticinque metri quadrati e che conta, sparsi in un’ambientazione suggestiva, circa duecento personaggi (per la maggior parte intagliati nel legno, con teste, mani e piedi in terracotta) e una sessantina di animali.

Didascalie delle immagini
[fig. 1]
Gesù Bambino. Italia del Sud, seconda metà del XVIII secolo; [fig. 2] Gesù Bambino dormiente nel giardino dell’Eden. Italia del Sud, seconda metà del XIX secolo; [fig. 3] Maria Bambina in culla, sotto una campana di vetro. Italia, inizi del XX secolo. Cera, occhi in pasta di vetro. Dimensioni cm. 38 x 30 x 18; [fig. 4]
Gesù Bambino seduto. Italia del Sud, seconda metà del XVIII secolo. Legno intagliato e dipinto, occhi in pasta di vetro. Veste in seta color crema con ricami in oro e argento e perline applicate; monogramma IHS ricamato. Altezza cm 42; [fig. 5] Particolare della Natività del presepe del Museo del Divino Infante.

Per saperne di più

Il Museo del Divino Infante

Informazioni utili
Museo del Divino Infante, via dei colli, 34 - Gardone Riviera (Brescia). Orari: 10.00-18.00; chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 5,00, gruppi, ragazzi, anziani, disabili € 4,00, gratuito per i bambini fino ai 6 anni. Informazioni: tel. 0365.293105, fax 0365.293106, cell. 335.360520 o 347.8880691. Fino al 17 gennaio 2010.