ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 11 marzo 2014

«Rhome», la grande bellezza della Capitale raccontata dai migranti

Trentaquattro migranti, dodici fotografi, sessantotto scatti e una città: sono questi i numeri della mostra «Rhome - Sguardi e memorie migranti», allestita fino a mercoledì 30 marzo a Roma, negli spazi di Palazzo Braschi, per iniziativa dell’Assessorato alla cultura e della Sovrintendenza capitolina, con il plauso dell’Unar – Ufficio nazionale anti-discriminazioni razziali e con la collaborazione di Zetema Progetto Cultura, dell’associazione «éarrivatoGodot», del Cnr – Centro nazionale delle ricerche e di Officine Fotografiche Roma.
L’esposizione, curata da Claudia Pecoraro, nasce come iniziativa di rilievo nell’ambito delle attività cittadine di prevenzione e contrasto delle discriminazioni razziali. Quello dei migranti è, infatti, un vero e proprio popolo a Roma, dove vivono oltre 352mila stranieri, con un’età media di circa 37 anni, single in oltre il 50% dei casi. Trentaquattro di loro, appartenenti a quattordici comunità e di ventisette differenti nazionalità, hanno scelto di raccontare la propria storia e il proprio rapporto con la «Città eterna» davanti all’occhio del fotografo.
«Qual è un luogo di Roma che non dimenticherai mai e che porterai con te anche se dovessi andare a vivere altrove?» è la domanda che fa da filo rosso alla mostra a Palazzo Braschi. Ogni migrante, insieme a un fotografo, è andato nel posto scelto per costruire l’immagine da esporre; le parole dell’uno hanno fatto da regia al lavoro dell’altro. In una specie di intervista a microfono spento, i trentaquattro protagonisti di «Rhome» raccontano così perché hanno lasciato il proprio Paese, in quale luogo e per quale motivo –a Roma– si sono sentiti accolti o rifiutati.
Ne è nata una galleria di volti e luoghi che tratteggia la stretta appartenenza dei migranti interpellati a una città che, talvolta, ha sostituito affettivamente quella di origine, diventando punto di arrivo e di ritorno per le loro nuove vite.
Ci sono immagini che fanno parte dell’iconografia classica di Roma. Il camerunense Jacques Ngomsi ha chiesto, per esempio, a Massimo Bottarelli di ritrarre la magnificenza della Basilica San Pietro. La rumena Cameluşa Strachinaru ha indicato al fotografo Ernesto Notarantonio la Fontana di Trevi. Il peruviano Roberto Montoya ha condotto Marco Santi a immortalare piazza di Spagna. Mentre l’iracheno Nabaz Kamil Nori ha fatto imprimere sulla pellicola fotografica a Nazzareno Falcone le mura antiche del Colosseo.
Lo stesso luogo, considerato da molti stranieri la «carta di identità di Roma» e il «simbolo dell’Italia nel mondo», è stato raccontato da Massimo Bottarelli per la cilena Rosita Castro Dominguez, da Claudio Imperi per l'inglese Laura Sampedro e da Gianclaudio Hashem Moniri per l’indiana Sanjay Kansa Banik. Il camerunense Jean Claude Moniri ha, invece, fatto fotografare ad Elda Occhinero la via dei Fori imperiali; mentre la francese Celine Cougoule ha raccontato di portare nel proprio cuore la vista del Pincio, la californiana Roberta Escamilla Garrison quella del Pantheon e la russa Ekaterina Suleymanova l'Appia antica con il suo silenzio.
Ci sono, poi, in mostra luoghi che rappresentano una personale geografia del cuore. L’albanese Adriano Haska ha fatto, per esempio, imprimere sulla carta fotografica a Emanuele Inversi uno scorcio di via Magnanapoli, la strada in cui lavora. Shammi Perera ha chiesto a Marco Marotto di ritrarre la sua casa in via Molfetta. Mentre l’eritrea Ascalu Tesfai Tzegu ha condotto il fotografo Gaetano Di Filippo alla scuola Fausto Cecconi di Centocelle, dove hanno studiato i suoi figli. José Augusto Alves Dos Santos ha, invece, segnalato come suo posto preferito il Centro di studi brasiliani, dove negli anni Ottanta, appena giunto a Roma, si incontrava con i suoi connazionali e studiava musica. Mentre la statunitense Susan Levenstein ha invitato Alessandro Amoruso a fotografare la pasticceria del ghetto, un luogo nel quale si è sempre sentita ben accolta e che ricorda per «i ‘mattoni’, quei meravigliosi dolci ebraici che, come il vino del contadino, sono sempre uguali ma sempre diversi».
La cinese Wang Fang ha scelto, infine, l’Ospedale Cristo Re: «la porta del Pronto soccorso –ha raccontato- significa, per me, un confine. Qui ho partorito. Questo luogo è la separazione dal mondo di prima al mondo di dopo: ero donna e sono diventata mamma, da ragazza sono diventata moglie. Qui è nato un prodotto misto, frutto di due razze, italiana e cinese. Ha cambiato tutta la mia vita. Prima avevo un po’ di dubbio se andar via dall’Italia o rimanere. Ora c’è una cosa più importante, che è diventata il centro del mio mondo e che mi tiene legata qui».
Storie di integrazione e accoglienza scorrono, dunque, lungo le pareti di Palazzo Braschi raccontando «la grande bellezza» di una città che sa incantare con la sua storia millenaria e i suoi monumenti, che sa emozionare con la sua capacità di aprirsi all’altro.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Sanjay Kansa Banik. Foto di Gianclaudio Hashem Moniri. Officine Fotografiche Roma; [fig. 2] La Pasticceria del ghetto ebraico, luogo segnalato da Susan Levenstein. Foto di Alessandro Amoruso. Officine Fotografiche Roma; [fig. 3] Celine Cougoule. Foto di Nazzareno Falcone. Officine Fotografiche Roma; [fig. 4] Cupola di San Pietro, luogo scelto da Jacques Ngomsi. Foto di Massimo Bottarelli. Officine Fotografiche Roma; [fig. 5] Wang Fang. Foto di Elda Occhinero. Officine Fotografiche Roma

Informazioni utili
Rhome. Sguardi e memorie migranti. Museo di Roma – Palazzo Braschi, piazza Navona, 2 – Roma. Orari: martedì-domenica, ore 10.00-20.00 (la biglietteria chiude un’ora prima); chiuso il lunedì. Ingresso gratuito. Informazioni: tel. 06.0608 (tutti i giorni, ore 9.00-21.00). Sito web: www.museodiroma.it. Fino al 30 marzo 2014.

lunedì 10 marzo 2014

Venezia, riapre al pubblico Palazzo Cini a San Vio

Giotto, Sandro Botticelli, Filippo Lippi, Piero di Cosimo, Guariento e Dosso Dossi: è un viaggio tra i pittori di area toscana e ferrarese quello che propone la collezione di Palazzo Cini a San Vio, casa-museo veneziana la cui riapertura è programmata per questa primavera, in occasione dei sessant’anni dell’Istituto di storia dell’arte della Fondazione Giorgio Cini.
Main partner dell’iniziativa, che prevede anche un’importante campagna di studio delle opere conservate e la pubblicazione di un catalogo generale per il 2015, è Assicurazioni Generali.
In attesa dell’evento, in agenda dal 24 maggio al 2 novembre, «la Fondazione Cini -spiega Luca Massimo Barbero, direttore dell'Istituto di storia dell'arte- ha iniziato dei lavori di miglioramento dell'illuminazione e conservazione dei dipinti, rendendo più agevole il percorso espositivo pur mantenendo la dimensione domestica, intima ed esclusiva della casa-museo. Inoltre, per promuovere la conoscenza di questi capolavori e per restituire la preziosità filologica delle opere custodite, sono stati coinvolti studiosi di arte antica di nuova generazione per l’analisi dei dipinti e degli oggetti che si trovano all’interno del palazzo». Con la riapertura di queste sale, la città avrà, dunque, l'opportunità di scoprire pregevoli dipinti del periodo tra il XIII e il XVI secolo e significativi esempi di arti applicate, ma anche di accedere, per almeno sei mesi l’anno, alla straordinaria residenza appartenuta a Vittorio Cini, che gli eredi hanno donato alla fondazione veneziana esattamente trent’anni fa e che è ubicata nel cosiddetto Museums mile, tra le Gallerie dell'Accademia, la Collezione Peggy Guggenheim e Punta della Dogana.
Nelle sale del primo piano nobile, arredate con mobili e oggetti d'arte che riflettono il carattere originario dell'abitazione e il gusto personale del suo proprietario, sono esposti una trentina di dipinti di scuola toscana, come «Il giudizio di Paride» di Sandro Botticelli e la «Madonna con il Bambino e due angeli» di Piero di Cosimo, donati da Yana Cini Alliata di Montereale alla fondazione nel 1984. Nelle stesse sale sono visibili anche una serie di dipinti rinascimentali di scuola ferrarese, concessi nel 1989 da Ylda Cini Guglielmi di Vulci, tra i quali si segnala il «San Giorgio» di Cosmè Tura. Non mancano in esposizione, poi, significativi esempi di arti applicate, come un servizio completo di porcellana della manifattura settecentesca veneziana dei Cozzi, placchette e cofanetti d'avorio della bottega degli Embriachi, smalti rinascimentali, oreficerie, sculture in terracotta, credenze, cassapanche di notevole importanza, tra le quali un raro cassone nuziale senese della metà del Trecento e una portantina napoletana del Settecento.
Una collezione, dunque, ricca e preziosa quella di Palazzo Cini della quale viene dato, in questi giorni, un piccolo assaggio nella mostra «Pontormo e Rosso Fiorentino. Divergenti vie della Maniera», in programma al Palazzo Strozzi di Firenze. All’interno dell’esposizione, curata da Carlo Falciani e Antonio Natali, si trova, infatti, il «Doppio ritratto di amici» del Pontormo, pregevole esempio di caratterizzazione psicologica dei personaggi, la cui raffinata tessitura materica è tutta giocata sulla trasparenza delle lacche.


Didascalie delle immagini
[fig. 1] Scala ovale di Palazzo Cini a San Vio, in Venezia, progettata da Tomaso Buzzi; [fig. 2] Pontormo (Jacopo Carucci; Pontorme, Empoli 1494-Firenze 1557), «Doppio ritratto di amici», 1523-1524. Olio su tavola e lacche. cm 88,2 x 68. Venezia, Fondazione Giorgio Cini; [fig. 3] Piero di Cosimo, «Madonna con il Bambino e due angeli», 1505-1510 circa. Olio su tavola, 116x85 cm. Venezia, Fondazione Giorgio Cini

Informazioni utili
Palazzo Cini, Campo San Vio, Dorsoduro 864 – Venezia. Orari: ore 11.00–19.00, chiuso il martedì (ultimo ingresso ore 18.15). Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00. Catalogo: disponibile in mostra guida breve (€ 4,00). Informazioni: info@cini.it. Sito web: www.cini.it. Dal 24 maggio al 2 novembre 2014.

giovedì 6 marzo 2014

Dai beni Unesco alla Fiera veneziana: tutta la cultura del Baden-Württemberg

Quattro beni per un viaggio in seimila anni di storia: si potrebbe riassumere con questa frase il ricco patrimonio Unesco del Baden-Württemberg, land nel sud-ovest della Germania, confinante con Francia e Svizzera, che offre una grande varietà di panorami e paesaggi, dagli incontaminati boschi della Foresta nera alla vivacissima Stoccarda, senza dimenticare il lago di Costanza. Ed è proprio su questo specchio lacustre, a Unteruhldingen, che è possibile vedere uno dei beni più carichi di storia della Germania: il Museo archeologico delle palafitte, tra i più grandi in Europa nel suo genere, con una ventina di case ricostruite dell’età della pietra e del bronzo (circa 4.000 – 850 a. C.), periodo nel quale un gruppo di agricoltori della regione si stabilì presso i laghi alpini e costruì i propri insediamenti direttamente sull’acqua, proteggendosi dall’umidità del suolo e dalle inondazioni con l’edificazione di abitazioni poggiate su pali.
Un altro patrimonio Unesco tedesco, ubicato sul lago di Costanza, è l’isola di Reichenau, oggi famosa per le sue coltivazioni di frutta e verdura e nell’VIII secolo nota per essere la sede di uno dei monasteri benedettini più importanti della Germania meridionale. La cattedrale di Santa Maria e di San Marco, la chiesa dei Santi Pietro e Paolo e quella di San Giorgio sono i tre edifici romanici ancora visibili sull’isola, tutti costruiti tra il IX e il XII secolo, i cui preziosi affreschi murari raccontano il passato glorioso del luogo, che vide il primo insediamento abbaziale nel 724 ad opera del vescovo itinerante e abate benedettino San Pirmino.
Un altro monastero tedesco, dal 1993 tra i siti Unesco, è l’abbazia cistercense di Maulbronn, considerata uno tra i complessi monastici meglio conservati a nord delle Alpi. All’interno di questa costruzione, che ha fatto da scenario anche al film «Il nome della rosa», si trovano esempi di tutti gli stili architettonici del Medioevo, dal romanico al tardo-gotico, ma ad affascinare è soprattutto la profonda sensazione di pace e di sacralità che emanano le pietre di questo monastero, ammirato, tra gli altri, da Keplero, Hölderlin ed Herman Hesse.
A chiudere il percorso tra i beni Unesco del Baden-Württemberg è il Limes, uno dei monumenti archeologici più lunghi e impressionanti in Europa, ai quali è dedicato anche un museo ad Aalen, nella regione del Giura Svevo. Si tratta di un insieme di fortini, torri di guardia, mura e palizzate, estesi per oltre cinquecento chilometri e collocati sul confine dell’Impero romano, tra il Reno e il Danubio.
Ottima occasione per visitare questi quattro luoghi sono i festeggiamenti che, nel 2014, interesseranno il Ludwigsburg, uno dei castelli barocchi più grandi d'Europa, che, a partire dal 1704, il duca Eberhard Ludwig fece trasformare in quella che oggi viene chiamata «Versaille di Svevia». Nella cittadina, a pochi chilometri da Stoccarda, si stanno preparando due grandi eventi: l’annuale «Festival del Castello», la più antica e importante rassegna di musica classica della regione, e la «Fiera veneziana», che ogni due anni porta in Germania un pezzo della città lagunare.
Dal 15 maggio al 30 luglio, solisti, orchestre, strumentisti, cori e ballerini di fama internazionale daranno vita a più di settanta eventi in alcune delle location storiche più suggestive del land; cuore della manifestazione, nata nel 1932, sarà il concerto «Klassik Open Air» negli scenografici spazi del castello sul lago di Monrepos, uno degli altri castelli di Ludwigsburg. Dal 12 al 14 settembre, un mare colorato di maschere e costumi, acrobati, musicanti, danzatori e teatranti trasformeranno, invece, la città in un sogno veneziano. Gruppi di artisti nazionali e internazionali si esibiranno in ogni angolo della piazza, con performance teatrali, musicali e pirotecniche. Una festa per gli occhi sarà anche il suggestivo mercato dell’arte e dell’artigianato con oggettistica tipica della città lagunare: dalle maschere ai tessuti, dal vetro di Murano all’arte orafa. Una tradizione, questa fiera, giunta in Germania nel 1768 grazie al duca Carl Eugen, che, durante un viaggio nella città italiana, scoprì e subito si innamorò delle feste in maschera del tempo e pensò di importarle nella sua città, trasformando così la sua piazza del Mercato in piazza San Marco. 

Per saperne di più 
www.pfahlbauten.eu 
www.reichenau.de 
www.kloster-maulbronn.de 
www.aalen-tourismus.de 
 www.schlossfestspiele.de 
www.ludwigsburg.de 

Didascalie delle immagini 
[Fig.1 ] Ludwigsburg. Foto: Tourismus & Events Ludwigsburg; [fig. 2] Museo Palafitte Unteruhldingen. Foto: Tourismus-Marketing GmbH Baden-Württemberg; [fig.3] Abbazia cistercense di Maulbronn. Facciata esterna della chiesa

Informazioni utili 
 Ufficio turistico del Baden-Württemberg, Esslinger Straße 8 - 70182 Stoccarda (Germania), tel +49(0)7.11/23858-0, fax +49(0)7 11/23858-98, info@tourismus-bw.de. Sito internet: www.tourism-bw.com

mercoledì 5 marzo 2014

Trasferta veneziana per «Lo schermo dell’arte»

Si apre con un omaggio al pittore iraniano Bahman Mohassess, la cui arte provocatoria ed eccentrica è stata paragonata a quella di Francis Bacon, la trasferta veneziana del film festival «Lo schermo dell’arte», progetto nato a Firenze nel 2008 con l’intento di esplorare, analizzare e promuovere le relazioni tra cinema e creatività contemporanea. Giovedì 6 marzo, alle ore 18, il teatrino di Palazzo Grassi ospiterà, infatti, il lungometraggio «Fifi Howls From Happiness», girato nel 2013 dalla pittrice e film-maker Mitra Farahani, nel quale si raccontano gli ultimi due mesi di vita di Bahman Mohassess, artista poco conosciuto nel nostro Paese, scomparso dall’Iran negli anni Sessanta e ritrovato dalla regista a Roma nel 2010, due mesi prima della morte, che, con spirito iconoclasta, ha distrutto la quasi totalità della sua produzione artistica.
Nove in tutto i film in agenda, a ingresso gratuito e in versione originale (con i sottotitoli in italiano), che, fino a domenica 9 marzo, animeranno il teatrino di Palazzo Grassi, mille metri quadrati composti da un auditorium con una capacità di duecentoventicinque posti, completo di due spazi di foyer e di aree tecniche -camerini, sala regia, cabina per la traduzione simultanea-, restituito da François Pinault alla città nella tarda primavera del 2013, dopo un progetto di restauro dai tratti minimalisti firmato dall’architetto giapponese Tadao Ando in stretto dialogo con la Soprintendenza per i Beni architettonici e paesaggistici di Venezia.
Dopo l’omaggio a Bahman Mohassess, nel pomeriggio di venerdì 7 marzo (alle ore 18), si accenderanno i riflettori su Sol Lewitt con il film scritto e diretto dall’olandese Chris Teerink, vincitore del «Prix du meilleur portrait» al Montreal film festival del 2013 e del «Filaf d’or» al Festival International du livre d’art & du film di Perpignan dello stesso anno. Il lungometraggio -già presentato in Italia nell’ambito dell’«Artecinema» di Napoli e al Centro Pecci, nelle due sedi di Prato e di Milano- indaga la forza comunicativa del linguaggio concettuale che l’artista americano ha espresso con i suoi noti wall drawings, come quelli per la Cupola del Bonnefanten Museum di Maastricht, attraverso interviste ad amici e colleghi come Jan Dibbets, Lawrence Weiner e il falegname Fausto Scaramucci, che ha lavorato con Sol Lewitt alla produzione delle strutture bianche per la serie delle «Complex Forms».
Sul grande schermo del teatrino di Palazzo Grassi sarà, dunque, protagonista il film «Open Field–Gabriel Orozco» (venerdì 7 marzo, ore 19.30) che il regista Juan Carlos Martin ha tratto da dieci anni di registrazioni sul lavoro dell’ artista messicano, consacrato dalle recenti retrospettive allestite, tra il 2009 e il 2011 al MoMA di New York, al Centre Pompidou di Parigi e alla Tate Modern di Londra, come uno dei più importanti della sua generazione. Toccherà, poi, alla proiezione del film «Black Drop» di Simon Starling (venerdì 7 marzo, ore 20.45), in cui l’artista britannico ricostruisce le relazioni fra cinema e ricerche astronomiche attraverso le osservazioni dei transiti di Venere sul Sole, soffermandosi in particolare sulla nascita del revolver fotografico di Pierre Jules César Janssen (1874) e sulla sua influenza sul fucile fotografico di Etienne Jules Marey e sul cinematografo dei fratelli Lumière.
Ad aprire il programma del terzo giorno di proiezioni sarà, invece, il film «Sculpture: Constantin Brancusi» (sabato 8 marzo, ore 18) di Alain Fleischer, fondatore e direttore di Le Fresnoy- Studio national des arts contemporaines. Nel documentario, straordinarie vedute d'insieme dello studio dell'artista, riallestito nel 1997 dall'architetto Renzo Piano in un padiglione adiacente il Centre Pompidou di Parigi, si accompagnano a fotografie e filmati realizzati dallo stesso Constantin Brancusi, tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso, con l’intento di documentare il proprio lavoro. Si terrà, quindi, la proiezione del film «Meeting With Olafur Eliasson» (sabato 8 marzo, ore 18.30), girato dal brasiliano Marco Del Fiol durante l’installazione della prima personale in America Latina dell’artista islando-danese. Mentre le sorelle inglesi Jane e Louise Wilson proporranno il loro film «The Toxic Camera» (sabato 8 marzo, ore 19.00), che tratta delle irreversibili conseguenze delle radiazioni causate dal disastro nucleare di Chernobyl. A chiudere la serata di proiezioni sarà il lungometraggio «Restricted Sensation» (sabato 8 marzo, ore 19.30), ambientato nella Lituania sovietica degli anni Settanta, nel quale lo scultore Deimantas Narkevicius, al suo primo film a soggetto, racconta dell’intolleranza del regime contro intellettuali e omosessuali.
Ultima tappa della trasferta veneziana del festival «Lo schermo dell’arte» sarà la proiezione di «Memories of Origin-Hiroshi Sugimoto» (domenica 9 marzo, ore 17.00), film di Yuko Nakamura sul fotografo giapponese che, proprio in occasione dell’edizione 2013 della manifestazione toscana, ha ripreso, dopo quindici anni nei quali non vi aveva più lavorato, la sua celebre serie dei «Theaters», immortalando la sala Liberty del cinema Odeon. Un appuntamento, dunque, da non perdere quello di Palazzo Grassi per conoscere grandi protagonisti della contemporaneità come Gabriel Orozco e Olafur Eliasson attraverso il linguaggio sempre affascinante del documentario e del cinema d’arte.

Didascalie delle immagini

[fig. 1] Un frame del film «Memories  of Origin. Hiroshi Sugimoto»  di Yuko Nakamura; [fig. 2] Un frame del film «Black Drop»  di  Simon Starling. Cortesy  dell'artista e di Neugerriemschneider, Berlin;   [fig. 3] Un frame del film «Fifi Howls From Happiness» di Mitra Farahani; [fig. 4]  Un frame del film su Sol Lewitt, scritto e diretto dall’olandese Chris Teerink, 

Informazioni utili 
«Lo schermo dell’arte». Teatrino di Palazzo Grassi, San Marco 3260 – Venezia. Ingresso libero, fino ad esaurimento dei posti disponibili. Informazioni: www.schermodellarte.org o www.palazzograssi.it. Da giovedì 6 a domenica 9 marzo 2014.

martedì 4 marzo 2014

Una fiaba in uno scatto: un concorso per fotografi al premio Andersen

Un click, uno solo e ben riuscito, per dare forma alle parole senza tempo di Hans Christian Andersen: è questo il senso di «Scatti da favola», la prima edizione del concorso fotografico nato in seno al Premio Andersen - Baia delle favole, promosso dal Comune di Sestri Levante e da Artificio 23, con il patrocinio e il sostegno, tra gli altri, del Ministero per il Beni e le Attività culturali.
«La principessa sul pisello», «La sirenetta», «Il brutto anatroccolo», «Le scarpette rosse», «La piccola fiammiferaia» e «I vestiti nuovi dell’imperatore» sono le sei storie che fotografi professionisti e amatori potranno reinterpretare con la propria creatività.
Le iscrizioni al concorso, gratuito e aperto a persone di qualsiasi nazionalità ed età, rimarranno aperte fino al 30 aprile. Per partecipare è necessario pubblicare sul sito www.andersepremio.it una o più fotografie (fino a un massimo di quattro, in formato jpeg o tiff e con dimensioni massime pari a 2500 pixel sul lato maggiore e 1600 sul lato minore). Le immagini dovranno contenere, nella didascalia, titolo, nome dell’autore e titolo della fiaba di ispirazione.
Vanità, amore, bellezza, bruttezza, bontà d’animo, povertà, lusso, affetti e dispetti in famiglia sono solo alcuni dei temi dai quali trarre spunto per comporre il proprio scatto. A fare la differenza tra un’immagine e l’altra sarà non solo l’abilità tecnica, ma anche la capacità di sintesi, l’idea di raccontare una storia con un solo click.
«La vita quotidiana, il lavoro, la famiglia, gli amici, i vicini di casa e ciò che accade in strada – raccontano gli organizzatori del premio- sono fonti inesauribili di scenari coloriti, a saperli cogliere, così come lo è la cronaca sui giornali». Non a caso «Il Secolo XIX» è media partner dell’iniziativa e fra i giurati compare Stefano Rolli, che ogni giorno disegna la vignetta della prima pagina del giornale. In giuria ci sono altre personalità del «racconto per immagini» come Giorgio Bergami, che ha lavorato come fotoreporter per Sandro Pertini a «Il Lavoro» e che per l’Agenzia Publifoto ha immortalato personaggi come Liz Taylor e Maria Callas, Alberto Terrile fotografo creativo attivo nel campo dello spettacolo e della pubblicità, Mario Benvenuto, art director dell’agenzia «Supervisione», e Roberto Montanari, fondatore di «Carpe Diem» e del festival «Una penisola di luce» di Sestri Levante.
Ma che cosa cercheranno i giurati tra le fotografie in concorso? Qual è il quid che farà la differenza tra uno scatto e un altro? La capacità di rappresentare non solo il vissuto narrativo, ma anche quello emozionale delle fiabe. «Oggi l'immagine – raccontano gli organizzatori- appare, infatti, non come un sostituto della parola ma come una sua integrazione, talvolta anche imprescindibile, che carica di ironia, sarcasmo o malinconia e spessore ciò che si legge: può esserne la chiave interpretativa».
Le selezioni avranno inizio il 2 maggio; le trenta migliori fotografie che verranno pubblicate sulle pagine del quotidiano «Il Secolo XIX» e le dieci finaliste saranno messe on-line su sito www.ilsecoloxix.it e sul profilo Facebook del Premio H.C. Andersen. A vincere saranno le tre foto più votate, cioè quelle che riceveranno il maggior numero di like da parte del pubblico. Medici senza frontiere. Saranno, inoltre, possibili menzioni speciali e riconoscimenti indetti dalla giuria.
L’autore dello scatto che otterrà il maggior numero di preferenze sarà ospite del festival, a Sestri Levante; il secondo e terzo classificato saranno premiati da
Detto questo, avete in mente un’immagine di successo per raccontare le vicende del brutto anatroccolo o le disavventure della piccola fiammiferaia? Non vi resta che prendere la vostra macchina fotografica e fare lo scatto che varrà un premio.

Vedi anche 
Premio Andersen – Baia delle favole, un concorso per fiabe inedite 

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Immagine promozionale dello spettacolo «Le scarpette rosse», per la regia di Leonardo Pischedda; [fig. 2] Ritratto di Stefano Rolli, uno dei giurati del premio; [fig. 3] Ritratto di Alberto Terrile, uno dei giurati del premio 

Informazioni utili 
 Premio Andersen - Scatti da favola. Quota di iscrizione: nessuna. Data di consegna materiali: 30 aprile aprile 2014. Indirizzo per la consegna dei materiali Sito web: www.andersenpremio.it. Informazioni: Segreteria del concorso: informagiovani@comune.sestri-levante.ge.it e andersen@comune.sestri-levante.ge.it; tel. 0185.458490 (lunedì, ore 10.00-13.00 e ore 14.00-17.00; mercoledì, ore 10.00-13.00 e ore 14.00-17.00; venerdì, ore 9.00/13.00).