ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 6 febbraio 2015

Venezia, un museo tutto nuovo per il vetro di Murano

Dalla produzione dell’antica Roma fino alle sperimentazioni del Novecento, passando per le creazioni del Rinascimento e i virtuosismi innovativi del Settecento: il racconto di una grande storia, quella del vetro, va in scena a Murano in una veste inedita.
Spazi espositivi quasi raddoppiati che consentiranno di mostrare parti della collezione finora rimaste nei depositi, un progetto museografico totalmente rinnovato, allestimenti e percorsi ridisegnati con l’intento di creare un fascinoso e inatteso dialogo tra ambienti contemporanei e sale antiche, anche grazie all’abbattimento delle barriere architettoniche e alla messa in opera di due ascensori, caratterizzano la nuova proposta del Museo del vetro, una delle dodici realtà della Fondazione musei civici di Venezia, che lunedì 9 febbraio riapre al pubblico dopo un consistente intervento di restauro.
L’ampliamento degli spazi, con il recupero di una parte delle ex Conterie (vecchia fabbrica per la lavorazione delle perle in pasta vitrea, vicina alla basilica di San Donato) e il restyling della sale storiche di Palazzo Giustinian (dove il museo ha sede dal 1861) sono stati realizzati con la curatela di Chiara Squarcina, su progetto museografico di Gabriella Belli e per l’allestimento di Daniela Ferretti, grazie alla collaborazione dell’Amministrazione comunale e al cofinanziamento del Fondo di sviluppo regionale dell'Unione europea.
Il nuovo museo ha l’aspetto di un fascinoso withe cube, che mantiene negli archi e nelle trabeazioni le linee architettoniche del preesistente edificio e che coniuga la luce artificiale con quella naturale, proveniente dall’affaccio sulla Fondamenta Giustinian.
Un’originale «Onda del tempo», scandita da circa cinquanta opere scelte dall’età romana al Novecento, introduce nel mondo del vetro, esemplificando in maniera suggestiva le tappe salienti della storia muranese e le evoluzioni tecnico-stilistiche che l’hanno accompagnata. Totem informativi e contenuti video, realizzati con la collaborazione delle vetrerie presenti sull’isola, completano il percorso, raccontando la straordinarietà di un lavoro frutto di una difficile simbiosi tra ideazione artistica, abilità artigianale, capacità quasi alchemica nella costruzione di composti chimici unici e conoscenza di una materia sfuggente e imprevedibile.
Ma con il suo open space e i sette metri d’altezza, il nuovo volume è destinato a ospitare, al piano terra, anche mostre ed eventi temporanei, a cominciare dal tributo allo scultore Luciano Vistosi, del quale verranno esposte, dal 9 febbraio al 30 maggio, una selezione di sue opere bianche e nere, fortemente plastiche, dinamiche, imponenti e capaci soprattutto di catturare la luce.
Il percorso museale vero e proprio, articolato in aree tematico-cronologiche, si dipana al primo piano e ha inizio nel portego, il sontuoso salone con l’affresco allegorico di Francesco Zugno sul soffitto, restaurato per l’occasione.
Il grande ambiente è intitolato agli antichi maestri muranesi, spesso anonimi, che furono espressione della golden age del vetro veneziano, quella che spazia dal Trecento a tutto il Seicento, nota soprattutto per l’invenzione di Angelo Barovier, che ottenne una sostanza pura chiamata «cristallo», per l’introduzione della decorazione graffita a punta di diamante (intaglio) e per l’ideazione del «vetro ghiaccio», la lavorazione a filigrana, e della tecnica a «mezza stampatura». Tantissime sono le opere eccezionali qui esposte: manufatti con stemmi dogali o papali, creazioni famose come il «Cesendello» decorato a embrici e oro -caratteristica lampada pensile foggiata su modelli orientali- o pezzi unici, tra i quali la celeberrima «Coppa Barovier», databile tra il 1470 e il 1480, uno dei vetri più antichi al mondo tra quelli decorati a smalti policromi fusibili.
Dal salone, prima di proseguire verso i manufatti del XVIII secolo, con il complesso «Trionfo» appartenuto alla famiglia Morosini e gli originalissimi fixés sous verre con scene di ambiente veneziano alla maniera di Pietro Longhi, si può accedere a una piccola sezione dedicata ai vetri di epoca romana con reperti rinvenuti negli scavi e nelle necropoli di Enona, Asseria e Zara; mentre lungo le pareti sono allineate antichissime olle funerarie.
La sala dedicata al «Gusto della mimesi» tra Sette e Ottocento, con i soffiati in calcedonio, i famosi lattimi e la «stravagante» e «fallace» avventurina, segna il ritorno al vetro non trasparente. Nel vicino soppalco, che si affaccia sulle Conterie grazie a una grande vetrata, è presente, invece, un focus sulle perle veneziane e le murrine.
Il percorso espositivo prosegue, quindi, con una sezione dedicata al periodo «buio» del vetro veneziano, nella quale sono esposti arredi e dipinti che richiamano il gusto mitteleuropeo di inizio Ottocento e che documentano il dilagare in laguna di manufatti boemi, un dilagare favorito dall’imposizione da parte del governo asburgico di dazi sulle importazioni di materie prime e sull'esportazione delle produzioni locali.
Tra i protagonisti di questo periodo ci sono Pietro Rigaglia e Antonio Salviati, maestro vetraio che nel 1866 dà vita a una fornace di soffiati a Murano presentando, l’anno successivo all’Esposizione universale di Parigi, più di cinquecento tipi diversi di vetri. Vittorio Zecchin, Archimede Seguso, Alfredo Barbini, Carlo Scarpa e Napoleone Martinuzzi sono, invece, gli artisti scelti per rappresentare il XX secolo.
Prima di lasciare il museo, di nuovo al piano terra, il percorso offre una «finestra» sul design moderno e contemporaneo in una sala intitolata a Marie Angliviel de la Beaumelle, la creatrice dei famosi goti, recentemente scomparsa.
Qui, grazie all’allestimento volutamente flessibile, potranno essere esposte opere della collezione attualmente conservate nei depositi o lavori di giovani artisti, secondo la volontà dell’abate Vincenzo Zanetti, che nell’Ottocento istituì questo museo quale memoria storica di un universo misterioso e affascinante, di un’arte unica e preziosa che vede in Venezia la sua prima ambasciatrice.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1]  Facciata di Palazzo Giustinan sede del Museo del Vetro a Murano dal 1861, antico palazzo dei Vescovi di Torcello. Si affaccia sul Canal Grande di Murano; [fig. 2] Coppa Barovier. Vetro soffiato blu dipinto a in smalti policromi e oro, con due medaglioni incornicianti due busti, uno femminile e uno maschile, tra due scene, la cavalcata ed il bagno alla fontana dell’amore o della giovinezza. Venezia, 1460-1470 c..Museo del Vetro, Murano; [fig. 3] Vaso, in vetro giallo opaco incamiciato di cristallo. Soffiato in stampo e lavorato a mano libera. Venezia, XVI – XVII secolo. Museo del Vetro, Murano; [fig. 4] Dieci mazzetti di conterie policrome. Murano, Ultimi decenni del XIX secolo. Museo del Vetro, Murano

Informazioni utili
Museo del vetro, Fondamenta Giustinian, 8 – Murano (Venezia). Orari: dal 1° aprile al 31 ottobre, ore 10.00-18.00; dal 1° novembre al 31 marzo, ore 10.00–17.00; la biglietteria chiude un'ora prima; 
aperto tutti i giorni, escluso il 25 dicembre, il 1° gennaio e il 1° maggio. Ingresso: intero € 10,00; ridotto € 7,50; biglietto scuole € 4,00. Informazioni: call center 848082000 (dall’Italia); +3904142730892 (dall’estero), info@fmcvenezia.it. Sito internet: www.visitmuve.it. Inaugurazione: domenica 8 febbraio 2015, dalle ore 10.00 alle ore 17.00; ingresso su invito e fino ad esaurimento dei posti disponibili. Dal 9 febbraio 2015. 

giovedì 5 febbraio 2015

Da Rossetti a Vinovo, il fascino e lo splendore della porcellana torinese in mostra alla Fondazione Accorsi-Ometto

Era il 1725 quando Torino vedeva nascere, grazie al talento creativo di Giovanni Battista Rossetti e del nipote Giorgio Giacinto, la sua prima manifattura di maioliche. Sabbie di Antibes, piombo e stagno di provenienza inglese, argille della collina torinese diedero vita all’impasto della prima ceramica sabauda e alla produzione di oggetti ordinari e preziosi per una clientela molto vasta, tra i quali spiccavano soprammobili e servizi da tavola dipinti di blu sul fondo bianco dello smalto, decorati con motivi floreali e «a grottesca» del tipo «alla Berain», identici a quelli che, negli stessi anni, Filippo Juvarra utilizzava per impreziosire le volte delle residenze sabaude. Solo successivamente, più o meno intorno alla metà del secolo, la fabbrica dei Rossetti arrivò a un tipo di decoro rococò e policromo, con ghirlande floreali e ornati a forma di conchiglia posti intorno a scene galanti e soggetti mitologici.
Ma la storia della maiolica in terra piemontese, negli anni a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento, è legata anche ai nomi di altre due fabbriche, la Vische e la Vinovo, come ben racconta la mostra «Fascino e splendore della porcellana di Torino», allestita fino al 28 giugno al Museo di arti decorative Accorsi - Ometto, per la curatela di Andreina d’Agliano e di Cristina Maritano.
Grazie allo spoglio di documenti di archivio e alla revisione di oggetti presenti in raccolte pubbliche e private, la rassegna focalizza l’attenzione sulle storie di chi faceva uso quotidiano dell’«oro bianco» all’interno delle dimore signorili, attraverso ceramiche, ma anche diversi esempi di argenteria, tele e incisioni.
Ad aprire il percorso espositivo è un quadro di Martin van Meytens raffigurante il conte Giacinto Roero di Guarene, proprietario delle ceramiche Rossetti; si prosegue, quindi, entrando in un cabinets des porcelaines, nel quale vengono esposti diversi esemplari Blanc de Chine e alcune statuine di dignitari cinesi in porcellana a pasta tenera, eseguite nella manifattura torinese fra il 1737 e il 1743. Oltre alla produzione bianca, sono in mostra lavori dipinti in policromia, fra cui un vaso di Palazzo Madama, ente che collabora alla rassegna promossa dalla Fondazione Accorsi-Ometto.
La mostra propone, poi, una sezione dedicata alla manifattura fondata nel 1765 dal conte Ludovico Birago di Vische, che nella sua breve attività (1765-1768) vide produrre statuine e prototipi ispirati ai disegni rocaille di Meissonnier e dell’argentiere torinese Boucheron, come documentano due opere esposte: una zuccheriera dipinta in monocromia porpora e una straordinaria salsiera.
Una serie di sculture in porcellana bianca verniciata e in biscuit prendono, quindi, in esame la produzione della manifattura di Vinovo negli anni in cui alla direzione ci furono Giovanni Vittorio Brodel e Pierre Antoine Hannong, autore della formula della porcellana dura in Francia.
Un servizio da cioccolata introduce alla produzione vascolare del periodo Hannong, dalla quale si evince l'influsso di Meissen e Vincennes – Sèvres sulla produzione della fabbrica attraverso opere come uno splendido porta tè, proveniente da Ca' Rezzonico, e alcuni manufatti delle collezioni di palazzo Pitti. Si arriva, quindi, a una tavola imbandita con vasellame, abbinato a splendidi argenti e vetri dell'ultimo quarto del Settecento, che ricreano un ambiente di grande splendore al quale fanno anche riscontro alcuni quadri; il centro tavola riporta, per esempio, una serie di «Gridi di strada» in porcellana, raffiguranti mestieri e personaggi di piazze e mercati dell’epoca, cui fa da sfondo un'opera del pittore Giovan Michele Graneri (1679-1755), tra i più celebri artisti di bambocciate piemontesi.
Vengono, quindi, prese in esame varie tipologie scultoree della manifattura Vinovo in diversi periodi di gestione, da quella di Pierre Antoine Hannong a quella dello scultore Giovanni Lomello. Tra i pezzi esposti spiccano una bellissima «Visitazione di Maria» (1789), una «Vergine addolorata» e un'«Assunzione», attribuibile molto probabilmente allo scultore Tamietti. Si trovano, poi, opere legate alla committenza di casa Savoia, fra le quali si segnalano il gruppo della «Maestà sabauda», proveniente da Palazzo Madama, e due straordinari vasi attribuibili agli anni di regno di Carlo Emanuele IV (1796-1802).
Il percorso espositivo prevede, quindi, un omaggio alla produzione vascolare realizzata sotto la direzione  di Vittorio Amedeo Gioanetti, che rilevò la manifattura nel 1780 tenendola fino alla morte, avvenuta nel 1815. Fra gli oggetti di spicco sono da segnalare un servizio da caffè a fondo verde e i due ritratti dei sovrani Vittorio Amedeo III e Maria Antonietta di Borbone, eseguiti a bassorilievo dallo scultore Giovanni Battista Bernero (1736–1796) da cui derivano alcuni ritratti a medaglione in porcellana. Mentre a chiudere la mostra è una sezione dedicata alla scultura neoclassica di stampo archeologico e mitologico di Giovanni Lomello, in cui compaiono alcuni lavori di alta qualità come «Mario che piange sulle rovine di Cartagine», il «Prometeo» e alcune teste di imperatori, desunti dai tomi delle «Antichità di Ercolano», conservati alla Biblioteca reale di Torino.
Contestualmente, Palazzo Madama ospita la mostra «Il mondo in una tazza» che documenta l'evoluzione delle forme e la varietà dei decori nelle tazzine da tè, caffè e cioccolata prodotte dalle manifatture europee nel Settecento, ripercorrendo tutti i temi raffigurati: dai motivi di origine cinese e giapponese a quelli tratti dai libri di storia naturale, dai paesaggi derivati da incisioni olandesi e tedesche alle scene mitologiche e della letteratura cavalleresca.
La rassegna, visitabile fino al 19 aprile, presenta anche l'installazione «Esistenza di porcellana» dell’artista Matilde Domestico, ispirata alle poesie di Emily Dickinson.
Il lavoro unisce oggetti e frammenti di carta e di porcellana su cui emergono parole in acciaio. Intorno una superficie di polvere di marmo di Carrara, il caolino, un materiale refrattario. Tutti gli elementi nel complesso rimandano all’idea di fabbrica, a una realtà viva e produttiva. In sottofondo una base sonora composta dalla sovrapposizione ed elaborazione di rumori meccanici, suoni metallici ripetitivi registrati all'interno dei reparti di fabbricazione dell'industria porcellane Ipa, si propaga tra le tintinnanti ceramiche antiche e contemporanee.

Didascalie delle immagini   
[Fig. 1] Manifattura di Vinovo (periodo Gioanetti, 1780-1815), «Zampognaro», 1780-1790; [fig. 2] Manifattura di Vinovo (periodo Gioanetti, 1780-1815), «Visitazione», 1783. Porcellana; [fig. 3]  Manifattura di Vinovo (periodo Gioanetti, 1780-1815), Coppia di candelieri, 1780-1785. Porcellana. Collezione privata; [fig. 4] Manifattura di Vinovo (periodo Gioanetti, 1780-1815), Servito da caffè, 1785 circa. Porcellana. Collezione privata; [fig. 5] Manifattura di Vinovo (periodo Hannong, 1776-1779), Porta tè, 1776-1779. Porcellana. Venezia, collezione Nani Mocenigo, in deposito presso Ca’ Rezzonico, Museo del Settecento veneziano

Informazioni utili
«Fascino e splendore della porcellana di Torino. Rossetti, Vische, Vinovo. 1737-1825». Museo di arti decorative Accorsi – Ometto, Via Po, 55 - Torino. Orari: martedì-venerdì, ore 10.00–13.00 e ore 14.00–18.00; sabato e domenica,ore 10.00–13.00 e ore   14.00–19.00. Ingresso: inrero € 8,00, ridotto € 6,00, con abbonamento Torino Musei € 3,00. Informazioni: tel. 011.837.688 int. 3. Sito web: www.fondazioneaccorsi-ometto.it. Fino al 28 giugno 2015. 

«Il mondo in una tazza». Palazzo Madama - Museo civico d’arte antica, piazza Castello - Torino. Orari: martedì - sabato, ore 10.00 - 18.00; domenica, ore 10.00 - 19.00; chiuso il lunedì (la biglietteria chiude un'ora prima). Ingresso:   intero € 10,00, ridotto € 8,00, gratuito  per ragazzi fino ai 18 anni e abbonati Musei Torino Piemonte. Informazioni: tel. 011.4433501. Sito web: www.palazzomadamatorino.it. Fino al 19 aprile 2015. 


mercoledì 4 febbraio 2015

«I vestiti dei sogni», abiti da Oscar in mostra a Roma

Dallo scialle verista che Francesca Bertini indossa nella pellicola «Assunta Spina» del 1915, vera e propria icona del cinema muto, all'abito barocco di Salma Hayek per il film, ancora inedito, che Matteo Garrone ha tratto dal «Cunto de li cunti» di Giambattista Basile. È un viaggio lungo un secolo quello offerto dalla mostra «I vestiti dei sogni», allestita al Museo di Roma in Palazzo Braschi, gioiello barocco-neoclassico affacciato su piazza Navona, per la curatela di Gianluca Farinelli, direttore della Fondazione Cineteca di Bologna, e con l’allestimento luci di Luca Bigazzi, uno tra i più apprezzati direttori della fotografia nel panorama contemporaneo.
Un centinaio di abiti originali, decine di bozzetti, fotografie, sequenze filmiche e una selezione di oggetti, tra i quali spicca l’unicum della pressa che Danilo Donati costruì per foggiare gli abiti dell’«Edipo Re» di Pier Paolo Pasolini, pongono l’accento su una maestria artigianale tutta italiana, quella che ha visto tanti nostri costumisti  -da Vittorio Nino Novarese a Gino Sensani, da Piero Tosi a Gabriella Pescucci, da Piero Gherardi a Milena Canonero (fresca candidata all’Oscar per «The Gran Budapest Hotel»)- lavorare con prestigiose case sartoriali come Tirelli, Peruzzi, Gattinoni, Fanani, Annamode e Attolini per abbigliare star nazionali e internazionali del cinema e dare così materia, luce e colori a film come «Marie Antoinette» di Sofia Coppola o «Barry Lyndon» di Stanley Kubrick.
Il percorso espositivo, visibile fino a domenica 22 marzo, è impaginato secondo un ordine cronologico e muove dalle origini della «settima arte» -con il muto e le sue dive bizantineggianti, medusee e serpentine- per giungere fino ai giorni nostri con l’omaggio al film «La grande bellezza», capace di ridare al cinema italiano un nuovo Oscar dopo quindici anni da quello vinto con «La vita è bella». Ecco così gli audaci abiti di Lyda Borelli per «Rapsodia satanica» del 1915, fatti di veli, trasparenze e punti vita all’altezza del seno, e la giacca colorata e da dandy di Daniela Ciancio per Tony Servillo, diretto da Paolo Sorrentino, nei passi di Jep Gambardella.
Nel mezzo c’è una galleria di abiti impressi nella memoria di generazioni e generazioni di amanti del cinema, a cominciare dal vestito in sontuosa crinolina indossato da Claudia Cardinale nella parte di Angelica per il gran ballo del film «Il gattopardo» di Luchino Visconti e da quello in organza e satin, altrettanto bianco, che Maria de Matteis disegnò per Audrey Hepburn, protagonista nel 1956 del film «Guerra e pace» di King Vidor.
Non mancano, poi, lungo il percorso espositivo il tailleur indossato da Anna Magnani per «Bellissima», la giacca di Totò per «Uccellacci e uccellini», il vestito di Alberto Sordi cucito Gianna Gissi per «Il Marchese del Grillo» di Mario Monicelli, il bustino di Sandra Milo in «Giulietta degli spiriti», ma anche le creazioni di Gabriella Pescucci per «L’età dell’innocenza» di Martin Scorsese o gli abiti cardinalizi di Lina Nerli Taviani per il film «Habemus papam» di Nanni Moretti: tanti modi diversi, questi, per far emergere il senso di una scuola, di una tradizione artigianale italiana che ha fatto grande il cinema al pari del lavoro di registi e attori.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Costume di Piero Gherardi per il film «Giulietta degli spiriti» di Federico Fellini; [fig. 2] Costumi di Milena Canonero per il film «Marie Antoniette» di Sophia Coppola; [fig. 3] Bozzetto per il costume di Audrey Hepburn per il film «Guerra e pace». Cineteca di Bologna, Fondo Renzo Renzi 

Informazioni utili
«I vestiti dei sogni - La scuola italiana dei costumisti per il cinema». Palazzo Braschi, ingresso da Piazza Navona, 2 e da Piazza San Pantaleo, 10 - Roma. Orari: martedì-domenica, ore 10.00-20.00; la biglietteria chiude alle ore 19.00. Ingresso (integrato museo e mostra): intero € 11,00, ridotto € 9,00. Informazioni: tel. 06.0608 (tutti i giorni, ore 9.00 - 21.00). Sito internet: www.museodiroma.it o www.cinetecadibologna.it. Fino al 22 marzo 2015.  

martedì 3 febbraio 2015

Leonardo da Vinci, il Fai rende omaggio al genio rinascimentale con un corso di storia dell’arte

Il 2015 sarà l’anno di Leonardo da Vinci. Il merito è senza dubbio della grande mostra, curata da Pietro Marani e Maria Teresa Fiorio per Expo Milano 2015, che dal 15 aprile al 19 luglio traccerà un ritratto a tutto tondo del poliedrico genio rinascimentale attraverso opere come il «Musico» della Pinacoteca ambrosiana, il «San Gerolamo» dei Musei vaticani, la «Scapigliata» della Galleria nazionale di Parma, la «Madonna Dreyfuss» della National Gallery di Washington e tre lavori di inestimabile valore provenienti dal Louvre di Parigi quali la «Bella Ferronière», il «San Giovanni Battista» e l’«Annunciazione».
Il Fai – Fondo per l’ambiente italiano non si lascia sfuggire l’occasione offerta da questo importante espositivo, che coinvolgerà non solo Palazzo Reale, ma anche altri luoghi leonardeschi della città come il Cenacolo della Basilica di Santa Maria delle Grazie o il Castello sforzesco, e, da giovedì 26 febbraio a mercoledì 16 dicembre, presenta il corso di storia dell’arte «Leonardo - Una vita», curato da un comitato scientifico di alto profilo accademico composto da Simone Albonico, Guido Beltramini, Vittoria Romani, Gianni Romano e Jacopo Stoppa, sotto il coordinamento del professor Giovanni Agosti.
Venticinque le lezioni in programma a Milano, prima al teatro Dal Verme (tutti i giovedì, fino all’11 giugno, dalle ore 18 alle ore 19.15) e poi, a partire dal 23 settembre, nell’Aula magna dell’Università degli studi di Milano (il mercoledì pomeriggio, sempre dalle ore 18 alle ore 19.15), che tracceranno, sul filo della cronologia, l’intera parabola del grande pittore, architetto, scienziato e ingegnere, nato a Vinci nel 1452 e morto in Francia nel 1519, la cui notorietà è legata a capolavori, invenzioni e misteri, la cui fama affascina ancora oggi, come dimostrano, per esempio, le tante interpretazioni legate al dipinto «La Gioconda» del Louvre.
«La biografia, sempre fondata su una sceneggiatura di testimonianze contemporanee (non limitate ai soli scritti dell’artista), sarà interrotta –spiega il professor Giovanni Agosti, docente di storia dell’arte moderna all’Università degli studi di Milano,- in sette occasioni affidate a specialisti di riconosciuta competenza che daranno vita a diorami in grado di offrire fondali alla comprensione della narrazione principale. Le lezioni saranno tenute da giovani studiosi, che dialogheranno in brevi video-interviste con personaggi noti del mondo delle scienze. A dare voce alle testimonianze del passato sarà un gruppo di attori usciti dalla scuola di Luca Ronconi», quella del Piccolo Teatro di Milano.
Tra i docenti si segnala la presenza degli studiosi Stefano de Bosio, Francesco Caglioti (Università Federico II di Napoli), Claudio Gulli (Scuola normale superiore di Pisa), Chiara Pidatella (The Warburg Institute di Londra) e Barbara Savy (Università degli studi di Padova).
«Ma il corso non si limita alle lezioni. I giovani studiosi – racconta ancora il professor Agosti -accompagneranno gli iscritti in visite ad hoc: nelle sale del Museo nazionale della scienza e della tecnologia a scoprire la meccanica leonardesca, nel cantiere della Sala delle Asse nel Castello sforzesco e persino tra i muri del refettorio di Santa Maria delle Grazie per contemplare il Cenacolo, che tanti milanesi hanno visto magari una volta sola nella vita o forse neanche quella».
Le iscrizioni al corso, che vanta il patrocinio della Regione Lombardia e del Comune di Milano, sono aperte negli uffici milanesi del Fai – Fondo per l’ambiente italiano in via Carlo Foldi o a Villa Necchi Campigli. Il costo per la frequenza dell’intero ciclo di lezioni è fissata ad euro 139,00 per gli adulti ed 80,00 per i giovani fino ai 25 anni; mentre ogni singola lezione ha un tagliando di ingresso di 10,00 euro per gli adulti e 3,00 per i giovani.
Per maggiori informazioni sul programma delle lezioni è possibile consultare le pagine www.fondoambiente.it/Cosa-facciamo/Index.aspx?q=leonardo-corso-d-arte-fai-2015 o www.facebook.com/pages/I-grandi-Maestri-dellArte/103416429759972. L’Ufficio cultura e ricerca del Fai – Fondo per l’ambiente è a disposizione per informazioni e iscrizioni ai numeri 02.467615252/349 o all’indirizzo e-mail ufficio_cultura@fondoambiente.it.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Cover del pieghevole realizzato per il corso «Leonardo. Una vita» promosso dal Fai - Fondo per l'ambiente italiano. Nell'immagine: Leonardo da Vinci, «Una donna nel paesaggio», 1517-18, Royal Collection Trust/ © Her Majesty Queen Elizabeth II, 2014; [fig. 2] Leonardo da Vinci, «Ultima cena» (particolare), 1494-1498. Tempera grassa su intonaco, 460×880 cm. Milano, Convento di Santa Maria delle Grazie; [fig. 3] Leonardo da Vinci, Testa di donna detta «La Scapiliata», primo decennio del XVI secolo. Terra d’ombra, ambra inverdita e biacca su tavola, cm 24,6 x 21. Provenienza: Collezione Gaetano Callani, nella Galleria nazionale di Parma dal 1839. Inventario N. 362

Informazioni utili 
«Leonardo. Una vita». Teatro Dal Verme, via San Giovanni sul Muro, 2 - Milano  (dal 26 febbraio all'11 giugno 2015); Università degli Studi di Milano - Aula Magna, via Festa del Perdono, 7 - Milano (dal 23 settembre al 16 dicembre 2015). Orari: ore 18.00-19.15. Costi: intero corso - € 139,00 per gli adulti, € 80,00 per i giovani fino ai 25 anni; una lezione - € 10,00 per gli adulti, € 3,00 per i giovani fino ai 25 anni. Informazioni e prenotazioni: Ufficio cultura e ricerca del Fai – Fondo per l’ambiente italiano, via Carlo Foldi, 2 - Milano, tel. 02.467615252/346 (dal lunedì al venerdì, dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 17) o indirizzo e-mail ufficio_cultura@fondoambiente.it; Villa Necchi Campiglio, via Mozart, 14 - Milano, tel. 02.76340121 (dal mercoledì alla domenica, dalle 10 alle 18). Sito internet: www.fondoambiente.it/Cosa-facciamo/Index.aspx?q=leonardo-corso-d-arte-fai-2015. Pagina Facebook: www.facebook.com/pages/I-grandi-Maestri-dellArte/103416429759972. Dal 26 febbraio al 16 dicembre 2015.

lunedì 2 febbraio 2015

Dai samurai a Mazinga: il Giappone è a Treviso

Era l’8 luglio del 1853 quando quattro «navi nere», ovvero quattro battelli a vapore occidentali, attraccarono, sotto il comando del commodoro statunitense Matthew Perry, nel porto di Uraga, all’imboccatura della baia di Tokyo, mettendo fine a secoli di isolamento politico e commerciale del Giappone. Fino ad allora, un editto emanato dallo shōgun Tokugawa Iemitsu nel 1641 aveva, infatti, vietato agli stranieri l'ingresso nel Paese e gli scambi mercantili erano consentiti solo con la Cina e l’Olanda.
Il colpo dato alla politica isolazionista nipponica, detta sokoku, da questa dimostrazione di forza americana fu tale che lo shōgun Tokugawa Ieyoshi, allora capo militare e politico del Paese, decise di ritirarsi subito a vita privata, lasciando l’incarico al figlio Iesada, al quale si deve il trattato di Kanegawa con l'apertura dei porti di Shimada e Hakodate ai commerci internazionali, e morendo -si racconta- non più di un mese l’episodio delle «navi nere» per il dolore.
Quindici anni dopo, caduto definitivamente lo shōgunato, l'avvento al potere dell'imperatore Mutsuhito segnò l'inizio dell'era Mejii (1868-1912), un periodo di profonde trasformazioni politiche, economiche e sociali che rese il Giappone una moderna potenza internazionale, ma che lo vide anche affermare nel mondo la sua cultura millenaria e i suoi valori tradizionali. Se il Sol Levante fu debitore verso l'Occidente per il rinnovamento dei suoi costumi e per il miglioramento delle sue condizioni di vita, l'Europa non rimase, infatti, immune al fascino dei feroci guerrieri samurai e delle raffinate geishe, all’antico e immutabile rituale del tè o, ancora, all’alto livello qualitativo delle arti decorative nipponiche con porcellane, lacche e tessuti che diedero vita, soprattutto in Francia, al fenomeno del «giapponismo».
Il 1868 fu, dunque, una data spartiacque per l’Estremo Oriente che, da allora, vide divulgarsi, da Tokyo a Okayama, una cultura del tutto originale, generata dal fondersi delle contaminazioni europee con il suo spirito più misterioso e con la sua storia millenaria, in un connubio di rara eleganza e straordinaria raffinatezza che ancora oggi parla al gusto e alla sensibilità dell’uomo occidentale.
Ma il Giappone è per noi europei anche la patria dei manga, della moderna tecnologica robotica o di personaggi come Mazinga Z, Jeeg Robot d'acciaio e Goldrake, le cui storie furono raccontate in cartoni animati di culto per tanti ragazzini degli anni Settanta e Ottanta.
Questi due differenti volti del Sol Levante, Paese ipermoderno eppure ancora segreto, dialogano nella mostra «Giappone. Dai Samurai a Mazinga», a cura di Adriano Màdaro e Francesco Morena, con l’allestimento degli architetti Marco Sala e Giovanna Colombo, in programma fino al 31 maggio alla Casa dei Carraresi di Treviso, a chiusura di un ciclo espositivo dedicato all’Oriente che in precedenza ha focalizzato la propria attenzione su Cina, Tibet e India.
Il percorso espositivo, che si apre all'esterno del museo con una statua gigante di Mazinga Z realizzata in vetroresina da un artigiano toscano, presenta in principio venti armature di samurai, corredate di elmi, spade e alcune preziose maschere da combattimento. Si trovano, poi, nelle sale della Casa dei Carraresi oltre cinquecento reperti, databili tra il XVII e il XX secolo, come ceramiche, porcellane, rotoli dipinti, paraventi, straordinarie lacche, maschere del teatro Nō, tessuti, preziosi Kimono, sculture in legno, fumetti, manga (tra i quali i quindici volumi con opere di Katsushika Hokusai), fotografie di Nobuyoshi Araki, stralci di film del grande Akira Kurosawa.
Non mancano a Treviso nemmeno le celebri stampe dell’Ukiyo-e realizzate da grandi maestri come Hokusai, Utamaro e Hiroshige, le preziose e proibite Shunga (immagini erotiche custodite in un stanza vietata ai minori) e alcuni dettagli charmant dei dandy nipponici come le scatoline inro, i fermagli netsuke e gli anellini ojime. Disseminati lungo il percorso espositivo ci sono, infine, circa centoventi robot databili tra il 1972 ed il 1984, come Mazinga Z, Goldrake, Jeeg Robot d’acciaio, che veglieranno sui visitatori, quasi come samurai di un futuro che per molti oggi è nostalgico ed appassionato ricordo di gioventù.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Utagawa Hiroshige, «Il Giardino dei susini a Kameido» (Kameido Umeyashiki), dalla serie «Cento vedute dei luoghi celebri di Edo» (Meisho Edo Hyakkei), 1857; [fig. 2] Beltà femminile, Giappone, metà del XIX secolo. Bambola in legno, carta, tessuto e gofun, h. cm. 35,5. Università degli studi di Padova, Museo di antropologia; [fig. 3] Toyotomi Hideyoshi. Giappone, metà del XIX secolo. Bambola in legno, carta, tessuto, metallo e gofun, h. cm. 39. Università degli studi di Padova, Museo di antropologia

Informazioni utili 
«Giappone: dai samurai a Mazinga». Casa dei Carraresi, via Palestro, 33/35 - Treviso. Orari: lunedì-venerdì, ore 9.00-19.00; sabato e domenica, ore 9.00-20.00. Ingresso: intero adulti € 12,00, intero bambini (dai 6 ai 12 anni) € 9,00, ridotto € 12,00 (ragazzi dai 13 ai 18 anni, studenti universitari), biglietto gratuito per i bambini fino ai 5 anni, biglietto gruppo € 10,00 + € 1,00; biglietto scuole € 5,00; biglietto speciale aperto € 13,00. Catalogo: disponibile in mostra. Informazioni: tel. 0422.513150. Sito web: www.giapponedaisamuraiamazinga.com. Fino al 31 maggio 2015.