ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 3 novembre 2015

Firenze, agli Uffizi si ricompone il «Trittico» di Antonello da Messina

Un Antonello da Messina per un Vincenzo Foppa: parte da uno scambio virtuoso di opere d’arte che vede protagonisti il Ministero dei beni culturali, la Regione Lombardia e il Comune di Milano il progetto artistico, fortemente voluto da Vittorio Sgarbi, che, per i prossimi quindici anni, permetterà ai visitatori degli Uffizi di Firenze di vedere nella sua interezza un trittico dell’autore siciliano, comprendente due lavori già presenti nella collezione del museo toscano -la «Madonna col Bambino» e il «San Giovanni Evangelista»- accostati a una terza opera -il «San Benedetto»-, proveniente dalla Pinacoteca del Castello Sforzesco di Milano.
I due capolavori di Antonello da Messina inseriti nelle collezioni degli Uffizi giunsero a Firenze grazie all’impegno dell’allora Ministro per i beni culturali, Antonio Paolucci, che li fece acquistare nel 1996 tramite l’antiquario Giancarlo Gallino di Torino.
L’acquisto delle due tavole, come anche dello «Stemma Martelli» di Donatello (oggi al Museo nazionale del Bargello), ottemperava alla volontà testamentaria di Ugo Bardini, figlio del famoso antiquario Stefano Bardini, che aveva nominato erede universale lo Stato italiano affinché venissero acquistate una o due opere d’arte da destinare agli Uffizi o al Bargello, di valore pari a quello dell’eredità.
Le due tavole pervennero al museo fiorentino sono qualche anno dopo, nel 2002, al termine delle indagini diagnostiche e della revisione del restauro cui furono sottoposti presso l’Istituto centrale del restauro di Roma.
Gli Uffizi si arricchivano così di un prezioso frammento del catalogo pittorico di Antonello da Messina, composto -come è risaputo- da pochissimi pezzi; ma l’opera era tuttavia “mutila”, poiché le due tavole giunte a Firenze altro non erano se non le parti d’un trittico (forse addirittura un polittico) che includeva anche il «San Benedetto», acquisito nel 1995 dalla Regione Lombardia attraverso la casa d’aste Finarte ed esposto al Castello Sforzesco. Quest’ultima opera ha, da poco, lasciato il museo milanese e verrà sostituita nel percorso espositivo, per i prossimi quindici anni, da una tela del pittore bresciano Vincenzo Foppa, la «Madonna con il Bambino e un angelo», appartenente alla collezione degli Uffizi.
«Le tre tavole, parti di una pala d’altare che comprendeva forse altri pannelli laterali e cimase, costituiscono -ricorda Daniela Parenti, direttore del Dipartimento del Medioevo e del primo Rinascimento degli Uffizi- la più importante delle acquisizioni recenti nel catalogo di Antonello da Messina, sebbene di esse si conosca, in modo piuttosto lacunoso, solo gli ultimi quarant’anni di storia».
Secondo quanto riportato da Federico Zeri, le opere appartenevano a una signora di Piacenza, il cui padre le avrebbe scovare nei dintorni di Messina, e da lì finirono in una collezione privata a Bologna, dove illustri studiosi quali Carlo Volpe e Fiorella Scricchia Santoro, solo per fare due nomi, ebbero modo di visionarle e di riconoscerle unanimemente come opera di Antonella da Messina, grazie anche alla rimozione di una ridipintura settecentesca eliminata nel frattempo.
Secondo l’opinione corrente, il trittico era stato realizzato dal pittore siciliano prima della sua partenza per Venezia, documentata negli anni tra il 1475 e il 1476, e doveva essere stato ideato per il monastero di Palma di Montichiaro. Ricorda, infatti, Daniela Parenti che «la ricca carpenteria con archetti tripartiti di cui era dotata la pala d’altare e il fondo d’oro rimandano a modelli iberici di gusto ancora tardogotico che difficilmente Antonello avrebbe scelto di adottare dopo il periodo veneziano e la conoscenza di Giovanni Bellini».
«Stringenti affinità compositive e stilistiche con la pala d’altare con la Madonna in trono e i santi Gregorio e Benedetto nel museo regionale di Messina, proveniente dalla chiesa di San Gregorio e datata 1473, inducono a proporre per il trittico -precisa la studiosa- una cronologia non troppo distante da questa data».
La ricomposizione del trittico, visibile dal 3 novembre nella Sala 20 degli Uffizi, permette di leggere meglio l’ampiezza dello spazio continuo entro il quale stanno le figure, i cui corpi proiettano ombre in diagonale che sconfinano nei pannelli adiacenti.
«Il «San Benedetto», impropriamente identificato talvolta con un santo domenicano, -racconta ancora Daniela Parenti- è raffigurato in vesti vescovili e il pastorale con la terminazione in forma di drago che allude al veleno offertogli col vino da alcuni monaci insofferenti alla sua regola. Nel dipinto si apprezza, ancor più che nella superficie pittorica impoverita dei pannelli degli Uffizi, la sapiente stesura di Antonello da Messina, attento alla resa delle luci sui ricami metallici nel piviale del santo e alla trasparenza dell’iride degli occhi».

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Antonello da Messina, «Madonna col Bambino, angeli e i santi Giovanni evangelista e Benedetto», s.d. (foto Vittorio Calore); [fig. 2] Antonello da Messina, «Madonna col Bambino», s.d. (foto Vittorio Calore); [fig. 3] Antonello da Messina, «Giovanni evangelista», s.d. (foto Vittorio Calore); [fig. 4] Antonello da Messina, «San Benedetto», s.d. (foto Vittorio Calore)
Informazioni utili 
Galleria degli Uffizi, Piazzale degli Uffizi, 6 – Firenze. Orari: martedì-domenica, ore 8.15-18.50; chiuso il lunedì; la biglietteria chiude alle ore 18.05; le operazioni di chiusura iniziano alle ore 18.35.Ingresso: intero € 12,50; biglietto ridotto € 6,25; gratuito per gli aventi diritto. Informazioni utili: tel. 055.2388651. Sito internet: www.polomuseale.firenze.it.

«La Santissima Trinità», in mostra in Calabria un raro dipinto autografo di Mattia Preti

Tra i numerosi pittori nati nell’orbita di Caravaggio, Mattia Preti (1613-1699) fu probabilmente il più noto già durante quella straordinaria stagione dell’arte italiana che fu il Seicento. Originario di un piccolo paese della Calabria (Taverna), l’artista fu attivo principalmente a Roma, a Napoli e a Malta, dove, per conto dell’ordine dei Cavalieri decorò la cattedrale de La Valletta. A quest’ultima stagione si ascrive anche «La Santissima Trinità», in mostra dal 4 novembre al 10 dicembre nel museo diocesano di Oppido Mamertina, nella provincia di Reggio Calabria, dopo un accurato intervento di restauro a firma di Sante Guido e Giuseppe Mantella.
Il dipinto, esposto per la prima volta in Italia per la curatela dei due restauratori e di Paolo Martino e Stefania Russo, fu realizzato nel 1671 per l'altare di San Luca nella chiesa dei francescani minori de La Valletta, edificio di culto che venne interamente riedificato e decorato per volontà Gran maestro Gregorio Carafa.
La composizione raffigura Dio Padre che sorregge il corpo morto di Cristo; entrambi sono vegliati dalla colomba dello Spirito che scende dall’alto portando la luce della Grazia. Nel comporre l’immagine Mattia Preti si servì di un taglio diagonale, creando un cono prospettico che enfatizza la drammaticità della scena; le braccia aperte di Dio accolgono Cristo con un gesto che è insieme la rassegnata presa d’atto degli eventi, ma anche l’affettuosa condivisione del destino del Figlio. La costruzione in tralice consente, inoltre, di modulare gli effetti della luce con il digradare dei piani verso il fondo. Il volto del Padre o il busto nudo di Cristo appaiono così investiti da un chiarore diffuso, mentre suggestivi effetti di chiaroscuro caratterizzano la mano destra di Dio, che quasi si perde nell’ombra, o il volto di Gesù reclinato su un lato.
«La Santissima Trinità» appare, dunque, come un capolavoro assolutamente compiuto della maturità dell'artista e una «possente meditazione sui misteri del sacrificio e redenzione di Cristo», come ebbe a scrivere nel 1999 John Spike, il più attento studioso della materia, nel fondamentale catalogo generale delle opere del pittore calabrese.
Le recenti operazioni di restauro hanno confermato l’autografia del dipinto sia per la rilevanza della qualità pittorica, che grazie al rinvenimento dell’acronimo FMP sul retro della tela. La sigla -che sta per Fra’ Mattia Preti- costituisce la firma dell’artista, cavaliere dell’Ordine Gerosolimitano. Il dipinto rappresenta un rarissimo esempio di opera autografa: le iniziali sono accompagnate da un simbolo eseguito con un’unica pennellata che ripropone il «nodo di salomone» o una elaborazione grafico-decorativa del caduceo, simbolo della medicina e possibile riferimento alla figura di san Luca, protagonista della pala maggiore dell'altare dedicato alla Confraternita degli artisti, già esposto nel 2013 presso l'Accademia nazionale di san Luca a Roma.

Informazioni utili
«La Santissima Trinità. Un raro dipinto autografo di Mattia Preti da Malta». Museo diocesano, piazza Duomo - Oppido Mamertina (Reggio Calabria). Orari: martedì-mercoledì-venerdì, dalle ore 9.00 alle ore 13.00; giovedì, dalle ore 15.00 alle ore 18.00, sabato e domenica, dalle ore 9.00 alle ore 12.00 e dalle ore 15.00 alle ore 18.00; martedì 8 dicembre, dalle ore 9.00 alle ore 12.00 e dalle ore 15.00 alle ore 18.00.  Informazioni: tel. 0966.86513 o museodiop@gmail.com. Dal 4 novembre (inaugurazione alle ore 17.00) al 10 dicembre 2015. 

lunedì 2 novembre 2015

Festival Aperto, Hofesh Shechter danza alla Collezione Maramotti di Reggio

Era il 2009 quando, con il coinvolgimento della Trisha Brown Dance Company, la collezione Maramotti, Max Mara e la Fondazione I Teatri di Reggio Emilia iniziavano una collaborazione tesa a far dialogare coreutica ed arte visiva. Negli anni, in occasione del Festival Aperto, la città emiliana ha ospitato, con cadenza biennale, altri importanti artisti internazionali quali Shen Wei e Wayne McGregor. Ora è la volta di Hofesh Shechter, che sarà protagonista di un’esclusiva performance site specific negli spazi della collezione Maramotti, nonché della prima italiana dello spettacolo «deGeneration» al teatro Cavallerizza (il 7 e l’8 novembre).
Il primo appuntamento, in programma dal 3 al 5 novembre, si rivela unico. La sola precedente occasione in cui la compagnia del coreografo israeliano, direttore ospite del Brighton Festival nel 2014 e artista associato di Sadler’s Wells, si è confrontata con uno spazio non teatrale è stata, infatti, la presentazione di alcuni estratti di «Political Mother» adattati agli ambienti della Saatchi Gallery di Londra.
Le quattro repliche della creazione site specific di Hofesh Shechter per la collezione Maramotti (in cartellone martedì 3 novembre, alle ore 20.30; mercoledì 4 novembre, alle ore 16.30 e alle ore 20.30; giovedì 5 novembre, alla ore 20.30) nascono in relazione con lo spazio espositivo e la sua collezione, all’interno della quale si trovano opere di Acconci, Bacon, Basquiat, Burri, Clemente, Cragg, Fischl, Fontana, Gallagher, Manders, Manzoni, Merz, Ontani, Paladino, Sachs, Schifano, Schnabel, Twombly e Viola.
Accanto ai danzatori di Shechter Junior, su speciale richiesta del coreografo, ci sarà Sita Ostheimer, già danzatrice della Hofesh Shechter Company e direttore delle prove di Shechter Junior.

Al teatro Cavallerizza andrà, invece, in scena in prima ed esclusiva italiana «deGeneration», lavoro che si cmpone tre parti: «Cult» (2004), «Fragments» (2003) e il premiato «Disappearing Act» (2015).
I temi principali di «Cult» (2004) sono i giochi di potere nella società e le lotte da essi provocate, e riportano a dinamiche ricorrenti nell’opera del coreografo: l’individuo con o contro il gruppo, il tentativo di unirsi per dare senso alla vita e raggiungere un’armonia personale e sociale. «Fragments» (2003) è un duetto che esplora la relazione intima tra un uomo e una donna, in cui si alternano gravità e ironia, gioco di potere e di seduzione, pragmatismo e sensualità. «Disappearing Act» (2015) riprende i motivi dei due pezzi precedenti in uno slancio più corale basandosi su una creazione del 2012 appositamente riadattata a e ispirata dai giovani interpreti della nuova formazione Shechter Junior.

Hofesh Shechter è spesso definito «coreografo israeliano», anche se vive a Londra da oltre quindici anni. Lo stile che lo ha consacrato trae ispirazione dalla danza popolare mediorientale e nordeuropea, ripresa in chiave contemporanea attraverso vigorose coreografie di gruppo e contrappunti solistici permeati da un ritmo intenso e trascinante. Le spettacolari coreografie che porta in scena sono interpretate da danzatori «abitati» da un’energia elettrica, una fisicità quasi selvaggia, e sono accompagnate da musiche potenti, spesso a cura dello stesso Shechter, che le compone. «La musica per me –ha raccontato il coreografo- è una sorta di carburante emozionale. Agisce come una struttura, scandisce i ritmi e crea un’atmosfera, delle regole, dei pensieri. La musica è importante come la danza ed è un grande elemento di connessione. Essere capaci di vedere un lavoro come una totalità, visiva e sonora, significa che esso è più completo nel suo riuscire a trasmettere energia. La musica è la ragione per cui io mi occupo di danza».
Il lavoro intenso di Shechter, percorso dalle tensioni e dalle inquietudini che attraversano il mondo odierno, indaga gli aspetti oscuri dell’agire umano sul piano psicologico, sociale e antropologico. Le composizioni spesso evocano una necessità di protezione e riparo dell’individuo che, di fronte all’ostilità del mondo e alla propria insicurezza emozionale, tende a ripiegare su se stesso. Come forte risposta verso le scarse opportunità offerte ai giovani nel mondo della danza, nel 2015 Hofesh Shechter ha creato la Shechter Junior, una compagnia di danzatori internazionali tra i 18 e i 25 anni selezionati tra oltre mille, di cui è alla guida.
Il progetto, nato per la formazione professionale dei giovani più talentuosi, rappresenta per Shechter uno strumento formidabile per incanalare la vitalità giovanile dei danzatori e lo scambio reciproco di energia tra le due compagnie, la Hofesh Shechter Company e la Shechter Junior. Quest’ultima sarà la protagonista di entrambi gli appuntamenti in calendario a Reggio Emilia, per una precisa scelta del coreografo.

Didascalie delle immagini
[Figg. 1, 2, 3 e 4] Shechter Junior, deGeneration. Ph. Victor Frankowski

Informazioni utili
Progetto Hofesh Shechter. Una collaborazione tra Collezione Maramotti, Max Mara e Fondazione I Teatri - Festival Aperto. Reggio Emilia, sedi varie. Informazioni: www.iteatri.re.it/Sezione.jsp?titolo=festival-aperto-2015&idSezione=3731. Dal 3 all'8 novembre 2015. 

A Site Specific Performance @ Collezione Maramotti, Via Fratelli Cervi, 66 - Reggio Emilia. Coreografia di Hofesh Shechter, interpretata da Shechter Junior. Quando: Martedì 3 novembre, ore 20.30; mercoledì 4 novembre, ore 16.30 e ore 20.30; giovedì 5 novembre, ore 20.30. Ingresso: posto unico € 20,00.

degeneratorion@ Teatro Cavallerizza, Viale Antonio Allegri, 8/a - Reggio Emilia. Coreografia e musica di Hofesh Shechter, interpretata da Shechter Junior. Quando: sabato 7 novembre, ore 20.30; domenica 8 novembre, ore 18.00. Ingresso: posto unico € 15,00. 

Dal nuovo Fondo Vinicio Vianello a una borsa di studio sulla produzione vetraria: tutte le novità della Fondazione Cini di Venezia

Si arricchisce di un nuovo importante tassello il Centro studi del vetro, costituito nel 2012 all’interno della Fondazione Giorgio Cini di Venezia. Lo scorso 29 ottobre è stato, infatti, firmato sull’Isola di San Giorgio Maggiore l'atto formale con cui l’architetto Toni Follina, nipote di Vinicio Vianello (1923-1999), ha donato al centro l’archivio del pittore e designer veneziano, vincitore di una Medaglia d’oro alla IX Triennale di Milano nel 1951 e del Compasso d’oro nel 1957, che, a fianco di Franco Albini e Carlo Scarpa, fu anche tra i fondatori del primo Corso sperimentale di progettazione per disegnatori industriali e artigiani di Venezia.
Il fondo Vianello -consultabile previo appuntamento nei giorni feriali, dal lunedì al venerdì, dalle ore 9.30 alle ore 13 e dalle ore 14 alle ore 17- costituisce un importante nucleo di documentazione: oltre milletrecento esemplari in originale, fogli relativi alla progettazione e produzione di vasi, lampade, progetti d'illuminazione su interventi architettonici e urbanistici realizzati in Italia e all'estero, circa cinquecentocinquanta riproduzioni fotografiche, numerosi cataloghi e brevetti, articoli di rassegna stampa e pubblicazioni del maestro Vinicio Vianello relativa al settore del vetro.
Nello specifico l’archivio comprende i disegni originali realizzati anni Cinquanta, quando Vinicio Vianello produce e brevetta lampade in vetro soffiato, ma concepite come oggetti industriali di serie, tra le quali si annovera la famosa lampada «Nelson» (1957), pubblicata più volte da riviste prestigiose come «Domus».
Si trovano, inoltre, conservati nel fondo i disegni progettuali di elementi di illuminazione per interventi architettonici urbani, la documentazione originale dei vasi asimmetrici «Torre vegetale», «Scoppio a Las Vegas» e «Reazione nucleare», i progetti per prototipi di elementi di illuminazione pensati per lo sfruttamento delle fonti alternative di energia, studiati negli anni Settanta e purtroppo mai realizzati. È, poi, possibile consultare anche disegni di opere in scala architettonica come la bandiera ziggurat in vetro di Murano del Monumento al milite ignoto di Baghdad, realizzato tra il 1979 e il 1982, in collaborazione con Marcello d’Olivo, e ancora esistente.

In questi giorni il Centro studi del vetro sta facendo parlare di sé anche per l’indizione di una nuova borsa di studio residenziale finalizzata allo studio della produzione vetraria a Venezia nel Novecento.
Mentre lo studioso francese Guillaume Serraille continua il suo progetto di ricerca dal titolo «Il repertorio ornamentale del vetro di Murano: usi e trasformazioni della filigrana e della murrina», la Cini lancia un nuovo bando destinato a dottorandi o a post-doc italiani o stranieri che intendano trascorrere sei mesi di ricerca (da aprile a dicembre 2016) sull’Isola di San Giorgio.
La borsa di studio del valore di 12.500 euro è finanziata grazie al contributo di Pentagram Stiftung e le iscrizioni al bando, consultabile on-line sul sito http://www.cini.it/centro-branca/borse-di-studio-centro-vittore-branca, rimarranno aperte fino al prossimo 31 gennaio.
I candidati dovranno proporre un tema di ricerca in relazione con i fondi archivistici custoditi all'interno della Fondazione Cini. La residenza nel campus del centro «Vittore Branca» offre, inoltre, l'opportunità di un confronto interdisciplinare tra gli studiosi e la comunità scientifica della Fondazione Cini, oltre all'accesso alle biblioteche e alla fototeca a un servizio di tutorship e la partecipazione alle iniziative culturali della fondazione.
La borsa di studio rientra nella serie di azioni promosse dal Centro studi del vetro finalizzate all’incremento progressivo di un Archivio generale del vetro veneziano - a disposizione della comunità scientifica nazionale e internazionale - nonché alla valorizzazione e al rilancio dell’arte vetraria, in particolare del Novecento. All’interno di questo archivio sono stati da poco digitalizzati per la consultazione fondi di artisti contemporanei attivi a Murano, quali Ginny Ruffner, Peter Shire ed Emmanuel Babled, e un cospicuo corpus di disegni di Dino Martens per la vetreria Aureliano Toso. L’importante lavoro di elaborazione e divulgazione on-line dei materiali depositati, avviatosi dal 2014, sta procedendo anche per il prezioso archivio della Seguso vetri d’arte, di cui il Centro studi del vetro conserva, tra i materiali vari, più di 20.000 disegni e oltre 25.000 foto d’epoca.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Vinicio Vianello, Vasi asimmetrici, 1952; [fig. 2] Vinicio Vianello, Disegno per vaso, 1956; [fig. 3] Centro Studi del Vetro, Isola di San Giorgio Maggiore. Ph. Matteo De Fina

Informazioni utili 
Centro studi del vetro - Istituto di storia dell’art, tel. 041.2710306, centrostudivetro@cini.it. Sito web: www.cini.it 

domenica 1 novembre 2015

«Biscotti P. Gentilini», in un libro centoventicinque anni di bontà e grafica pubblicitaria

Compie centoventincinque anni una delle più prestigiose aziende dolciarie italiane, fiore all’occhiello per l’eccellenza del made in Italy con i suoi fatturati in controtendenza a quella che è la crisi economica italiana. Si tratta dell’azienda «Biscotti P. Gentilini», esempio nei decenni di successo, serietà, tradizione, romanità e autorevolezza, la cui affascinante storia è ora raccontata in un libro scritto da Daniela Brignone per i tipi della Palombi Editori.
Difficile dare una classificazione al volume che si configura ora come un saggio ora come una biografia, ma che è anche un catalogo d’arte e una raccolta di preziosi documenti d’archivio e dati economici, nel quale vengono ricordati gli inizi di una realtà imprenditoriale, ora capitanata da Paolo Gentilini, nata grazie alle speranze di successo di un giovane partito dalla provincia di Bologna verso la capitale. Il ragazzo è Pietro Gentilini che, lasciata la sua Vergato, ha reso realtà un sogno grazie al sudore di un sano lavoro, a una volontà ferrea, a una fantasiosa creatività e a una lungimirante mentalità imprenditoriale.
Il libro ripercorre questa storia, ricostruendo in dettaglio – tra eventi e contesti storici diversificati, carteggi epistolari e racconti familiari - l’eroica sfida di un uomo che ha speso la propria vita nel creare specialità gastronomiche che hanno accompagnato la vita degli italiani per oltre un secolo: dolcetti composti da farina, zucchero, burro, miele e vaniglia sapientemente miscelati (la ricetta è ancora segreta) e confezionati in scatole di lusso per pochi privilegiati, ma diventati nel tempo un prodotto ricercato da famiglie di ogni estrazione sociale. Una storia semplice e pulita, quella narrata dall’autrice, che abbraccia un modello di tradizione alimentare italiana tracciando un ritratto sull’evoluzione dei consumi e dell’immaginario collettivo ad essi connesso, oltre che sulla storia di Roma legata alle sue attività commerciali, industriali e iconografiche da fine Ottocento ai giorni nostri.
In ogni cofanetto di biscotti è raffigurato un pezzo della Città eterna, un elemento bucolico o uno stereotipo grafico atto a generare ricordi e visioni collegati all’infanzia: un packaging d’immagine che nel corso degli anni si è adeguato con originale creatività anche alle logiche del marketing pubblicitario.
Insieme alla fotografia sociale di un’epoca che cambia con i suoi prodotti di consumo alimentare, si racconta delle profonde relazioni affettive di una famiglia numerosa che mai si scoraggia di fronte ad eventi imprevedibili e vince la partita con il consumatore il quale, più che cliente, risulta un affezionato e costante seguace, innamorato da più generazioni di sapori genuini ed inequivocabili.
Le tracce legali e contabili dell’evoluzione dell’azienda – anno per anno – sono frutto di una ricerca d’archivio che, accorpata a inedite immagini d’epoca, sia private che pubblicitarie, e a una scorrevolezza testuale che accresce la curiosità di fatti storici come di aneddoti personali, fanno di quest’opera una testimonianza completa di una vicenda aziendale unica nel suo genere.
Oltre al libro, la Biscotti P. Gentilini, festeggerà il suo centoventicinquesimo anniversario con l’emissione di un folder, realizzato in collaborazione con Poste Italiane Filatelia, contenente due cartoline con francobollo, personalizzate e timbrate con bollo speciale dell’evento.

Informazioni utili 
Daniela Brignone, Biscotti P. Gentilini 125 anni di bontà (1890 – 2015), Palombi Editori, Roma 2015. ISBN 9788860606921. Note: 192 pagine, 50 fotografie in bianco e nero, 250 fotografie a colori. Prezzo: € 39,00. Informazioni: Triumph Italy, via Lucilio, 60 - 00136 Roma, tel. 06.35530334, e-mail gentilini125@thetriumph.com. Sito internet: www.biscottigentilini.it