ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 7 aprile 2017

Val di Non, Castel Valer apre le porte al pubblico

Chi non ha mai sognato di vedere un antico castello? Ma di vederlo proprio così come è in un film o come lo si immagina leggendo un libro. Autentico, non ricostruito o inventato da uno scenografo o da uno scrittore. Entrare, visitarlo, osservare da vicino la sua storia, provare a immaginare alcune scene che lo hanno animato nel corso di secoli: incontri, banchetti, danze, combattimenti, scene di vita quotidiana. Per quanto, tuttavia, si abbia il desiderio di poterlo fare sembra impossibile perché il tempo scorre, i proprietari cambiano, le dimore antiche mutano, e, piano piano, la loro identità ed evoluzione si disperdono e si sfaldano in restauri, vendite, ricollocazioni molto spesso improbabili delle cose, ammodernamenti.
In Val di Non, terra di meli e di castelli, è, però, avvenuto un piccolo miracolo: nel comune di Ville d’Ananunia, c’è un castello con nove secoli di vita che è rimasto felicemente fedele alla sua eredita storico-artistica e che dal 7 aprile sarà visitabile. Si chiama Castel Valer e in questa antica dimora –composta di ottantotto sale e stanze - tutto è stato perfettamente conservato, nulla si è disperso e, secolo dopo secolo, le sue sale abitate dal 1368 da un’unica famiglia hanno mantenuto viva non solo la loro storia, ma tutto ciò che le riempie: mobili, opere d’arte, oggetti di uso quotidiano, suppellettili, armi, documenti, tappeti, arazzi. Lo stesso vale per le camere, le cucine, i corridoi e tutte le altre aree. Senza tralasciare, naturalmente la bellezza e l’imponenza della struttura architettonica che, tra gli altri elementi fuori dal comune, vanta anche il primato di possedere la torre più alta dell’intera provincia (quaranta metri).
La famiglia da cui è abitato senza interruzioni dal 1368 è quella dei conti Spaur che da una zona apparentemente lontana dalla grande storia europea ha avuto una posizione di spicco nelle vicende del Tirolo, dell’Impero austro-ungarico, della Baviera e di altre corti della Mitteleuropa. Anche per questo, con passione, caparbietà ed encomiabile senso del valore dell’eredità di un luogo, intesto non solo come spazio privato, ma come palinsesto della storia del suo territorio, ha rispettato il maniero conservandolo perfettamente, mentre lo stava -e lo sta- abitando.E il dato straordinario di Castel Valer è proprio il fatto che tutto quello che è, internamente ed esternamente, non è frutto di un processo asetticamente museale, ma è legato organicamente alla sua evoluzione nei secoli, alla storia degli Spaur e alla loro quotidianità.
Per capire meglio quanto sia unico questo evento vale la pena di dare uno sguardo alla storia della dimora: le prime notizie che la riguardano datano l’anno 1211 quando fungeva da guardia militare. Le serie successive di cinte murarie risalgono al XIV (Castel di sotto) e al XVI (Castello di sopra) secolo. E solo questi due dati possono essere sufficienti a far capire quanto sarà emozionante varcare la soglia del maniero trentino. Sarà come fare davvero un viaggio nel tempo e attraversare le aree accessibili permetterà quasi di ripercorrere i passi dei nobili Spaur, oltre che dei loro ospiti, e di veder scorrere davanti agli occhi una parte della storia dell’Europa. Il pubblico potrà visitare, infatti, la cappella di San Valerio, la sala dei cavalli, il ponte, il cortile, i giardini, la cantina, il salone degli stemmi, la cucina gotica e gli studi adiacenti, la loggia e loggiato e le camere madruzziane. Dal 2017, sarà, inoltre, possibile anche fare richiesta di parte del castello per eventi privati in alcune aree.
Come è potuto accadere? Anche questo è un piccolo miracolo. In Val di Non, infatti, pubblico e privato si sono incontrati e questo incontro ha visto interagire il conte Ulrico Spaur e l’Azienda per il Turismo della Val di Non, con il comune intento di trovare una nuova dimensione di vita e di apertura sul mondo per uno dei castelli meglio conservati, nella fedeltà alla sua storia dei suoi nove secoli, di tutto l’arco alpino, e, forse, dell’Europa continentale. E grazie all’accordo tra proprietà e Azienda per il Turismo, per la prima volta in assoluto in Trentino, un sito culturale privato sarà valorizzato da un ente preposto alla promozione turistica del territorio, mediante l’organizzazione e la gestione delle sue aperture al pubblico, degli eventi ad esse legati, di tutte le attività di biglietteria, degli interventi delle guide e dell’intera parte logistica.
Menzione speciale anche alle guide che accompagneranno i visitatori: il gruppo di persone che si alterneranno nel corso dei giorni di apertura sarà costituito da laureati in Conservazione dei beni culturali e da giovani residenti in Val di Non, formati specificamente dalla Soprintendenza ai beni storico-artistici della provincia di Trento. L’apertura di Castel Valer non sarà, quindi, solo una bella esperienza per i suoi visitatori, ma offrirà anche nuove opportunità professionali a giovani e neo-laureati. E non poteva che essere così. Ogni castello che si rispetti deve fare da sfondo a una storia a lieto fine.

Informazioni utili
Castel Valer - Ville d’Ananunia (Trento). Note: Il castello sarà visitabile ogni mese, escluso novembre, per un numero variabile dalle sei alle otto giornate, con sei visite quotidiane; a luglio e agosto le visite saranno giornaliere. Ingresso (con visita guidata): € 10,00. Informazioni: APT Val di Non, tel. 0463.830133 o info@castel-valer.com. Sito internet: visitcastelvaler.it o www.visitvaldinon.it.

giovedì 6 aprile 2017

Venezia, Loris Cecchini in mostra a T Fondaco dei Tedeschi

Non solo centro dello shopping deluxe, ma anche luogo dove apprezzare le più recenti ricerche dell’arte contemporanea: si presenta così T Fondaco dei Tedeschi, il nuovo lifestyle department store di Dfs – Duty Free Shopper nel cuore di Venezia.
L'edificio, fondato nel XIII secolo per accogliere i commerci e le attività dei tedeschi che arrivavano in città, è stato distrutto da un incendio nel 1505 per essere, quindi, ricostruito e riaperto a tempo di record nel 1508.
A inizio dell’Ottocento lo stabile è stato trasformato in dogana voluta da Napoleone e, a partire dal 1870, è stato adibito a ufficio postale (la scritta Telecomunicazioni rimane sulla calle, come segno di rispetto del passato).
Oggi, dopo otto anni di chiusura e tre di cantiere che hanno visto all’opera l’architetto e urbanista Rem Koolhaas, il «Fontego» si presenta come un polo del lusso articolato su oltre settemila metri quadrati; il quarto piano, l’ultimo, è dedicato ai progetti culturali grazie alla crezione dell’Event Pavilion.
Dopo il successo di pubblico ottenuto dall’opera «Under Water» di Fabrizio Plessi, questo spazio si rinnova con un allestimento, curato da Hervé Mikaeloff, altrettanto suggestivo, che offrirà ai visitatori l’opportunità di un’immersione totale nell’opera e nella particolare atmosfera creata da Loris Cecchini. Presente di recente alle Biennali di Venezia e di Shanghai, l’artista si è fatto apprezzare sulla scena internazionale dell’arte contemporanea all’inizio degli anni 2000, grazie alle sue grandi installazioni che si collocano al crocevia tra scultura, architettura e dimensione organica e che confondono le percezioni dello spettatore per stimolarne l’immaginario.
L’installazione site-specific «Waterbones», presentata al T Fondaco dei Tedeschi e composta da migliaia di sottili moduli di acciaio assemblati l’uno all’altro, si inserisce nella sua serie di opere delicate e naturali, sospese tra costruzione e decostruzione.
Appoggiata alle pareti o appesa al soffitto vetrato del padiglione collocato all’ultimo piano del T Fondaco, la forma organica realizzata da Cecchini contamina l’intero spazio e gioca con la gravità, interagendo con l’architettura e creando un effetto tridimensionale, al contempo naturale e artificiale, statico e dinamico. I moduli di «Waterbones» possono essere assemblati all’infinito e combinarsi in innumerevoli modi, richiamando alla mente gli algoritmi matematici alla base della natura. Così l’installazione costituisce una metafora biologica straniante, ai confini tra scienza ed estetica: un punto di contatto tra narrazione poetica e produzione industriale.
In questa osmosi espressiva creata tra le forme biologiche e la struttura architettonica, Cecchini mette in scena un mondo in equilibrio tra realtà e finzione, che interroga la natura stessa della materia. «Vorrei che lo spazio dell’opera rimanesse quello del miraggio e si collocasse da qualche parte tra delirio e realtà, astrazione e utilità, sospensione e materialità», dichiara l’artista, invitando l’osservatore a perdersi nella moltitudine di realtà su cui si aprono le infinite possibili interpretazioni di questi frammenti di natura fluttuanti e sospesi in una dimensione concreta ed evanescente al tempo stesso.

Informazioni utili
«Waterbones» - Personale di Loris Cecchini. T Fondaco dei Tedeschi, Calle del Fontego dei Tedeschi, Ponte di Rialto - Venezia. Orari: tutti i giorni, 10.00-20.00. Ingresso libero. Informazioni: tel. 041.3142000. sito internet: https://www.dfs.com/en/venice/stores/t-fondaco-dei-tedeschi-by-dfs?cid=seo-yextfb-yext. Dal 7 aprile al 27 novembre 2017.

mercoledì 5 aprile 2017

Al Mudec una settimana all’insegna del design

È ormai riconosciuta come la più importante manifestazione al mondo per il settore del disegno industriale e dell’arredamento. Stiamo parlando della Milano Design Week che fino a domenica 9 aprile animerà ben undici distretti della città di Milano. L’iniziativa è composta da due ‘anime’ principali: il Salone del Mobile a Rho, fiera rivolta principalmente agli addetti ai lavori, e il Fuori Salone, una serie di eventi autonomi dedicati al design, che vanno dal carillon del britannico Lee Broom in Stazione centrale agli orsi di Paola Pivi per le vetrine della Rinascente.
Tra gli eventi da non perdere ci sono quelli promossi dal Mudec – Museo delle culture in zona Tortona. All’esterno dell’edificio sarà visibile fino al 9 luglio l’«Albero stilematico» dell’architetto Alessandro Mendini, ispirato al linguaggio figurativo di Kandinskij.
La struttura site-specific è costituita da un palo d’acciaio alto sei metri, attorno al quale si collocano sette stilemi con sette colori per un totale di trenta decori. Il totem, che mostra i tratti distintivi e il linguaggio ispirato dai segni e dai colori che tanto ha caratterizzato l’artista russo, è un omaggio alla complessità simbolica che spesso si cela nell’oggetto più semplice e comune.
La collaborazione quarantennale che Alessandro Mendini ha con la società Abet Laminati, che lo supporta da sempre nelle sue architetture coloratissime con i propri materiali laminati, ha permesso anche questa volta di creare un connubio virtuoso tra impresa privata e artista a favore dell’arte e del design.
La piazza del museo è animata anche da una spettacolare installazione site-specific ideata dal brand Qeeboo. Da una lastra di specchio emergono squali, portaombrelli-contenitori di invenzione del duo Studio Job; a presidiarli ci sono due imponenti guardiani-gorilla creati da Stefano Giovannoni: una lampada da terra in polietilene con braccio-proiettore orientabile.
In occasione del Fuorisalone 2017 il Design Store del Mudec si colora, inoltre, di materiali e forme dall’estetica giocosa e libera, uniti sotto il comune denominatore del tema del circo. Da sempre mondo affascinante perché alla rovescia, in cui le regole della società non esistono e dove la verità e la magia si confondono. Un mondo senza regole che ha però le sue linee estetiche. Le geometrie che rivestono i tendoni e gli ambienti alternano triangoli e righe. Il bianco, giallo, rosso e blu sono i suoi colori. Oro e argento e giochi di luci animano lo show.
«Circus Show» è il titolo di questo allestimento primaverile, annunciato dalle grandi lettere di metallo con lampadine e dalle scimmie di Marcantonio Raimondi Malerba arrampicate negli angoli dello store, entrambe prodotte da Seletti. La linea «Circus» di Alessi, ideata dal designer Marcel Wanders, richiama la geometria e i colori circensi. I coperchi dei barattoli diventano tendoni e i vassoi in metallo smaltato sono palchi su cui si esibiscono i rituali quotidiani. Le porcellane raffinate di Lladrò trasformano una classica lampada con paralume in un pagliaccio dall’ampio cappello. Statuette di acrobati e ballerine dipinte a mano danzano sui tavoli dello store. Ad impreziosire l’esposizione, le splendide ceramiche del laboratorio milanese Paravicini: la serie di piatti serigrafati illustra trapezisti sospesi nel vuoto, scimmie e orsi da circo, creando una parade di personaggi.
Le sedute «Rabbit» di Stefano Giovannoni e gli sgabelli «Tab.u» di Bruno Rainaldi rigorosamente gold diventano sculture specchianti.
Il design del circo si esprime attraverso soggetti e personaggi, dove oltre alla funzionalità entrano in gioco aspetti emozionali e comunicativi. È un design di superficie, in cui dominano la decorazione e il colore.
infine, il Mudec Bistrot ospita, durante la settimana del Fuorisalone, «Carta in luce», una serie di lampade di design in carta e cartone riciclati selezionate dall’osservatorio «L’altra faccia del macero». Sono le mille vite della carta, su cui Comieco fa riflettere il visitatore grazie a questo allestimento in cui carta e cartone sono protagonisti assoluti.

Informazioni utili 
Fuori Salone al Mudec. Mudec - Museo delle culture, via Tortona, 56 – Milano. Orari: martedì, mercoledì, venerdì e domenica, ore 9.30-19.30; giovedì e sabato, ore 9.30-22.30. Sito internet: http://www.mudec.it/ita/. Fino al 9 aprile 2017.

martedì 4 aprile 2017

Lugano, David Bowie visto da Masayoshi Sukita

Trentotto immagini che parlano di un’amicizia, quella tra David Bowie e Masayoshi Sukita: si potrebbe riassumere così la mostra «Heros» che l’azienda ThinkDesign propone, in prima nazionale svizzera, negli spazi della galleria d’arte Dip contemporary art di Lugano, inaugurata nel 2016 per volontà di Michela Negrini.
L’artista londinese e il maestro giapponese della fotografia, uno dei più importanti della scena cinematografica e musicale di New York, si conobbero nel 1972 dopo un concerto; all’epoca la superstar britannica, camaleonte del pop che ha influenzato lo stile per diverse generazioni, era nel suo periodo «Ziggy Stardust» e già stregava il pubblico col suo carisma ineguagliato. Ad assediarlo c’erano centinaio di fotografi e giornalisti. «Quando toccò a me – ricorda Masayoshi Sukita- ho pensato semplicemente: stappiamo una bottiglia di vino e rilassiamoci». Nacque così un’amicizia durata oltre quarant’anni, che nel corso dei decenni si è palesata in immagini uniche ed estremamente personali.
Masayoshi Sukita non solo immortalò in maniera molto personale le innumerevoli metamorfosi di David Bowie, creando tra l’altro la leggendaria copertina dell’album «Heros», ma fino alla prematura morte dell’artista lo seguì anche in momenti molto privati nei quali, privo di trucco e abiti di scena, appare estremamente avvicinabile e vulnerabile. L’artista poté, infatti, godere di una vicinanza con Bowie che la superstar non concesse mai a nessun altro fotografo.

La mostra fotografica di Lugano presenta, inoltre, David Bowie in tutta la sua capacità di metamorfosi come una delle più grandi icone pop del secolo e come persona colta nella sua quotidianità, lontano da qualsiasi eccentricità.
«Bowie era una persona profonda, e io lo mostro in tutte le sue sfaccettature», afferma Sukita aggiungendo: «in ogni sua fase è stato sempre completamente se stesso».
Lo stilista John Richmond, che oltre a Bowie ha vestito e veste Mick Jagger, Rod Stewart e altre icone della musica, impreziosisce l’evento con la sua nuova collezione realizzata in collaborazione con il marchio Mantero. L’esposizione si concluderà con uno spettacolare omaggio a Bowie al Casinò di Campione d’Italia, che rivisiterà varie pietre miliari della vita dell’artista. 

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] © Photo by Sukita, Watch That Man III, 1973; [Fig. 2] © Photo by Sukita, Starman, 1973

Informazioni utili 
«Heros». Galleria d’arte Dip contemporary art, via Dufour, 21 (ang. Via Vanoni) - 6900 Lugano (Svizzera). Orari: dal martedì al venerdì, dalle ore 10.30 alle ore 18.30. Ingresso libero. Imformazioni: info@dipcontemporaryart.com, tel. +41 (0)919211717. Siti internet: http://think-design.ch/david-bowie-lugano/ o http://dipcontemporaryart.com. Fino al 26 aprile 2017.

lunedì 3 aprile 2017

Antoniazzo Romano e Montefalco, un artista e la sua città

I Musei vaticani sono di nuovo protagonisti a Montefalco. Dopo la straordinaria mostra dello scorso anno dedicata alla Madonna della Cintola di Benozzo Gozzoli, al Complesso museale di San Francesco si racconta un’altra bella pagina della storia del borgo umbro nel Rinascimento mettendo a confronto -sempre grazie alla curatela di Antonio Paolucci, direttore dell’istituzione capitolina- due preziose pale di Antoniazzo Romano, al secolo Antonio di Benedetto degli Aquili. Una di queste opere, il trittico della «Madonna col Bambino tra i Santi Paolo, Benedetto, Giustina e Pietro», proviene da Roma ed è appena stata sottoposta a restauro nei laboratori del Musei vaticani.
La tela, usualmente conservata nella Pinacoteca della Basilica di San Paolo Fuori le Mura a Roma, fu realizzata dall’artista umbro tra gli anni 1488-1490 per commemorare l’unificazione del monastero benedettino con la congregazione di Santa Giustina a Padova, avvenuta nel 1426.
Le figure dei santi, ampie e monumentali, sono riconoscibili dagli attributi e spaziate con equilibrio in un ideale semicerchio: i santi Pietro e Paolo -l’uno con le chiavi del Regno, l’altro con la spada del martirio- affiancano la Vergine Maria seduta su un seggio, con le mani giunte, in atto di adorare il Bambino, accanto a San Benedetto, con la Regola e il pastorale, e Santa Giustina, trafitta dal pugnale e con la palma del martirio.
Il linguaggio è addolcito, con ombre e luci modulate in passaggi morbidi e volti di malinconica dolcezza, che ricordano lo stile peruginesco. «Eppure -afferma Antonio Paolucci- la gravità e la solennità dei moduli antichi sopravvivono intatte. Il San Paolo, con lo spadone e il libro ben in vista e la dilatata imponenza del vasto panneggio, non rinuncia affatto al suo ruolo di principe degli Apostoli, latore della sacralità romana evocata dal suo stesso nome».
Il fondo oro, simbolico richiamo alla luce divina, era stato nascosto nel XVIII secolo dipingendovi sopra un paesaggio, come si scoprì durante il restauro effettuato nel 1963. Quell’oro del dipinto romano brilla, ora, accanto alla pala «San Vincenzo da Saragozza, Santa Illuminata, San Nicola da Tolentino», proveniente dalla chiesa di Santa Illuminata di Montefalco e dal 1907 custodita nella Pinacoteca cittadina.
L’opera fu realizzata nel 1430-35 per la cappella di Santa Caterina nella chiesa di Santa Maria del Popolo a Roma su committenza del cardinale portoghese Jorge Costa. Giunse a Montefalco nel 1491, grazie all’intervento di Frate Anselmo da Montefalco, generale dei frati agostiniani della congregazione lombarda.
In quell’occasione fu eseguito un adattamento dei Santi raffigurati sulla tavola, di cui il restauro dà testimonianza: Santa Caterina d’Alessandria, titolare della cappella romana, fu trasformata in Santa Illuminata, coprendone la ruota del martirio; Sant’Antonio da Padova venne spogliato del saio francescano e rivestito di quello agostiniano al fine di trasformarlo in San Nicola da Tolentino. L’unico Santo non modificato fu San Vincenzo da Saragozza, connotato dal vascello.
Anche in questo caso l’artista non rinuncia al fondo d’oro su cui si stagliano tre figure, come le ha definite Antonio Paolucci, luminose e maestose di verosimiglianza plastica, anatomica e fisionomica, ognuna con i suoi attributi iconografici puntigliosamente esibiti.
Le due tavole in mostra sono testimonianze di incomparabile bellezza, accomunate dalla provenienza romana delle chiese d’origine, dalla forma quadrangolare della pala di gusto rinascimentale e dall’impiego dello stesso cartone preparatorio per le figure di Santa Caterina/Sant’Illuminata e Santa Giustina. Per la prima volta insieme, consentono di approfondire lo studio di Antoniazzo Romano, il più grande pittore romano della seconda metà del Quattrocento.
Le due opere, per certi aspetti vicine, presentano anche interessanti diversità che permettono di comprendere meglio la ricca e sfaccettata personalità di Antoniazzo Romano, grande artista del Rinascimento famoso per le sue palpitanti figure di santi stagliati su abbaglianti fondi oro.
Mentre la tavola romana guarda, per esempio, alla lezione peruginesca, quella di Montefalco sembra far proprio il linguaggio rinascimentale nel suo aspetto più specificatamente urbinate, mediato dal contatto col Melozzo, con il quale l’artista decorò alcuni ambienti dell’antica biblioteca nel Palazzo vaticano negli anni 1480-81. Ecco così che trova conferma quello che ha scritto Antonio Paolucci: «Quello che di buono trovava /…/ egli (Antoniazzo Romano, ndr) lo recepiva di buon grado e lo traduceva nella sua metrica solenne, nella affabilità di un discorso figurativo fondato su pochi schietti principi: chiarezza narrativa, evidenza iconica, continuità con la tradizione, eloquio misurato, nobile senza sussiego, popolare senza volgarità».

Didascalie delle immagini
[Figg. 1, 2 e 4]  Antoniazzo Romano, San Vincenzo da Saragozza, Santa Illuminata, San Nicola da Tolentino. Montefalco Complesso Museale di San Francesco. Foto © Comune di Montefalco, [fig. 3]Antoniazzo Romano, Madonna col Bambino tra i Santi Paolo, Benedetto, Giustina e Pietro . Roma , Basilica di S. Paolo fuori le mura - Pinacoteca. Foto © Musei Vaticani
 
Informazioni utili 
Antoniazzo Romano e Montefalco. Complesso museale di San Francesco, via Ringhiera umbra, 6 - Moltefalco (Perugia). Orari: tutti i giorni, ore 10.30-18.00. Ingresso: intero € 7,00, ridotto € 5,00 (da 18 a 25 anni; convenzionati TCI); omaggio fino a 17 anni, giornalisti accreditati, soci ICOM, residenti. Visite guidate: tutti i giorni, ore 11, 12 e 15.30; € 3,00 oltre il costo del biglietto. Per informazioni e prenotazioni: Sistema Museo, 199.151.123 (dal lunedì al venerdì, dalle ore 9.00 alle ore 17.00 e il sabato, dalle ore 9.00 alle ore 13.00, escluso festivi), callcenter@sistemamuseo.it; Museo di Montefalco, tel. 0742 379598, montefalco@sistemamuseo.it. Sito web: www.museodimontefalco.it. Fino al 7 maggio 2017.