ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 7 luglio 2017

«Il mondo in una perla», la tradizione muranese in un volume di Antiga Edizioni

«Il vetro è un materiale pazzesco, molto misterioso trasparente, fragile […], come la ceramica del resto, ha una qualità strana: entra nel fuoco e non si sa cosa va dentro. Poi di colpo esce un oggetto puro perché bruciato dal fuoco, un oggetto di una purezza totale, di una intangibilità fisica totale. Come una visione. Si è veramente coinvolti in questo processo del vetro. Il vetro è uno spettacolo». Vengono in mente le parole di Ettore Sottsass junior (1917-2007), al quale in questi giorni la Fondazione Giorgio Cini dedica un'importante retrospettiva nell'ambito del progetto «Le stanze del vetro», sfogliando il libro «Il mondo in una perla», appena pubblicato dalla casa editrice Antiga di Treviso.
Il ricco tomo, edito grazie al contributo economico della Vistosi, è il risultato di un meticoloso lavoro di ricerca, condotto all’interno della preziosa collezione di perle di vetro del Museo di Murano, da Augusto Panini, appassionato collezionista comasco e curatore di mostre.
Disegni sempre diversi che si formano grazie alla magia del fuoco, colori unici e brillanti, forme e stili svariati, che spaziano dal rotondo all'irregolare, dal decorato al trasparente: tutto questo è documentato attraverso più di mille straordinarie immagini e quasi quattrocento pagine che rendono lo studio di Augusto Panini prezioso sia per il lettore comune che per gli specialisti, consentendo loro di addentrarsi nell’essenza stessa di questa affascinante produzione, cosmo poliedrico dove le mani, soprattutto quelle femminili, hanno traslato una concezione di grazia e perfezione dando vita, ogni volta, ad un mondo perfetto e ideale.
Raccolta tra il 1861 ed il 1883 dall’abate Vincenzo Zanetti e rappresentativa della produzione ottocentesca veneziana e muranese, nel corso degli anni Trenta del Novecento la collezione di perle venne progressivamente rimossa dalle vetrine del museo e relegata nei depositi laddove si perdono le informazioni relative alle attribuzioni dei singoli pezzi e quelli delle cartelle campionarie.
Dopo quasi cent’anni di oblio la raccolta, un cui consistente focus sulle perle veneziane e le murrine è stato inserito in una sala del rinnovato museo appositamente dedicata al tema -su input dello stesso Panini, che l’aveva nel frattempo acquisita- è divenuta oggetto di studio, anche in prospettiva di una sua adeguata ricollocazione espositiva.
Partendo dai saggi scritti dall’abate Zanetti sulle collezioni del Museo del vetro -realizzati in occasione di Esposizioni internazionali o per documentare le scoperte che valenti vetrai avevano sviluppato nella prima metà del 1800– Augusto Panini, in oltre cinque anni di lavoro, è riuscito dunque a ricostruire attribuzioni e paternità, contribuendo in maniera decisiva a riportare questi straordinari oggetti all’attenzione che meritano.
La collezione di perle del Museo del vetro di Murano, a cui sarà dedicata una mostra dal 15 dicembre al 18 maggio 2018, è oggi costituita da ottantacinque cartelle campionarie, contenenti quattordicimila perle, oltre che da tre pannelli in stoffa datati 1863, dono della Società delle Fabbriche unite, contenenti duemilaquindici perle e da duecentosessantasei mazzette di conterie, novantuno mazzi di perle a lume più o meno completi, oltre ottomila di perle sciolte, quattrocentonovantadue mazzi di conterie e qualche ulteriore oggetto con perle, dono delle più importanti vetrerie veneziane e muranesi attive nella metà dell’Ottocento.

Informazioni utili
Augusto Panini, «Il mondo in una perla. La collezione del Museo del Vetro di Murano», Antiga edizioni, Crocetta del Montello (Treviso) 2017. Collana: Fuori collana arte. Pagine: 376. Immagini: 1200 illustrazioni a colori. Formato: 23 x 28 cm. Confezione: brossura con alette. Prezzo: € 39,00. ISBN: 978-88-99657-60-4. Note: Disponibile anche l'edizione in lingua inglese. Informazioni: Grafiche Antiga, via delle Industrie, 1 - Crocetta del Montello (Treviso), tel. 0423.6388 o editoria@graficheantiga.it. Sito internet: www.antigaedizioni.it.

mercoledì 5 luglio 2017

Milano, quattro opere per un omaggio a Cola dell’Amatrice

Si fa interprete del desiderio di rinascita di un intero territorio, a partire dalla valorizzazione delle sue bellezze paesaggistiche e artistiche, la mostra «Ritorno a Cola dell'Amatrice. Opere dalla Pinacoteca civica di Ascoli Piceno», allestita fino al 27 agosto negli spazi del Museo Bagatti Valsecchi di Milano, con un progetto espositivo firmato dallo Studio Lissoni Associati.
All’esposizione, curata da Vittorio Sgarbi, fa da corollario e completamento l’iniziativa «Adotta un museo», promossa da Icom Italia in sostegno delle popolazioni del Centro Italia colpite dal terremoto, che vede la realtà milanese in prima linea nella raccolta di fondi per il restauro di una statua lignea della «Vergine», realizzata nel XV secolo, che usualmente è conservata nella chiesa di San Pellegrino a Norcia, ora si trova nel deposito del Santo Chiodo a Spoleto e, dopo il restauro, andrà al Museo diocesano di Milano.
Praticamente ignota sino agli anni Cinquanta del Novecento, quando venne riscoperta grazie agli studi di Federico Zeri nei territori appenninici oggi devastati dal sisma, la figura di Cola dell’Amatrice, nome d’arte di Nicola Filotesio (Amatrice, 9 settembre 1480 o 1489 – Ascoli Piceno, 31 agosto 1547 o 1559), pittore, scultore e architetto del Cinquecento, allievo di Dionisio Cappelli e sodale di Giulio Romano, che fu attivo tra Abruzzo e Marche firmando, tra l’altro, la facciata del Duomo di Ascoli e quella della chiesa di San Bernardino a L’Aquila, sta uscendo dall’oblio, un po’ com’è accaduto a inizio Novecento a Lorenzo Lotto.
Buon cultore della prospettiva e dello sfondo paesaggistico, Cola dell’Amatrice è citato anche da Giorgio Vasari nelle sue «Vite», in alcune righe al termine della sezione dedicata al pittore «Marco Calavrese» (Marco Cardisco). In queste pagine il biografo sottolinea che egli ebbe la «fama di un maestro raro, del migliore che fosse mai stato in quei paesi» e che sarebbe stato un artista ancora migliore, se il suo percorso creativo fosse stato meno appartato e se «avesse la sua arte esercitato in luoghi dove la concorrenza e l’emulazione l’avesse fatto attendere con più studio alla pittura, ed esercitare il bello ingegno di cui si vide che era stato dalla natura dotato».
Non interessato a competere a Roma con più grandi maestri, che studiò e ammirò, mostrandosi informato sui pensieri nuovi di Raffaello e Michelangelo, che aggiornarono così la sua formazione legata principalmente ai modelli umbro-laziali del tardo Quattrocento ben rappresentati dall’arte del Perugino e di Antoniazzo Romano, Cola dell’Amatrice si mosse sulla scia del classicismo, per giungere poi a un linguaggio antiaccademico ed eterodosso, che pone l’accento sulla drammatica espressività dei dolenti e sull’enfasi dei loro gesti, facendo spesso sottolineare alla critica l’«eccentricità» del suo percorso rispetto ai modelli normativi allora vigenti.
Il suo «Rinascimento distaccato e alternativo», documentato anche da un prezioso taccuino di disegni e appunti conservato alla Biblioteca comunale di Fermo, si respira negli affreschi per il palazzo Vitelli alla Cannoniera di Città di Castello e nelle svariate pitture di tema religioso lasciate sul territorio, tra cui si segnalano una «Sacra famiglia» (1527), miracolosamente scampata al terremoto di Amatrice, un’elegante «Comunione degli apostoli» commissionata dall’Oratorio della Confraternita del Corpus Domini di Ascoli Piceno, una «Disputa di Gesù con i Dottori» conservata a L’Aquila e la tela «Cristo in casa di Marta e Maria», di collezione privata, la cui spazialità ricorda Giulio Romano. La sua opera più ispirata è, però, senz’altro una «Dormitio Virginis», oggi ai Musei capitolini, nella quale si possono cogliere i moti dell’anima degli astanti riletti attraverso la lezione raffaelliana.
La mostra milanese vede esposte, al Museo Bagatti Valsecchi, quattro opere oggi custodite nelle sale della Pinacoteca civica di Ascoli. Si tratta di due «Angeli portacroce», facenti parte di un polittico ormai smembrato, in parte conservato National Gallery of Victoria di Melbourne e in parte disperso, e della coppia di tavole della «Vergine addolorata» e del «San Giovanni apostolo», provenienti dalla cappella del Crocifisso della chiesa dell’Annunziata nel monastero degli Osservanti, le cui figure a grandezza naturale sono di una toccante intensità emotiva e colpiscono l’attenzione per la loro luminosità cromatica.
La mostra, che sarà arricchita nella giornata del 13 luglio da un laboratorio per bambini che insegnerà a dipingere come in una bottega del Rinascimento, è completata da un filmato che ripropone, con riprese a volo d’uccello, immagini dei recenti terremoti che hanno colpito l’Italia centrale. Un’occasione, questa, per riflettere sulla precarietà del nostro vivere, ma anche per pensare al valore della nostra arte, un patrimonio da preservare «per ribaltare -come ha dichiarato Vittorio Sgarbi- la tristezza con l’euforia della bellezza».

Informazioni utili
Ritorno a Cola dell’Amatrice. Opere dalla Pinacoteca civica di Ascoli Piceno. Museo Bagatti Valsecchi, Via Gesù, 5 - Milano. Orari: da martedì a domenica, ore 13.00–17.45; chiuso tutti i lunedì, il 2 giugno e il 15 agosto. Ingresso: intero € 9,00, ridotto € 6,00. Informazioni: tel.02.7600613 o info@museobagattivalsecchi.org. Sito internet: https://museobagattivalsecchi.org/. Fino al 27 agosto 2017.

lunedì 3 luglio 2017

Trento, la scultura contemporanea dialoga con il legno

Sono quindici gli artisti, tutti viventi e formatisi in Val Gardena, i protagonisti della mostra «Legno | Lën |Holz», con cui la Galleria civica di Trento, da oltre tre anni annessa al Mart di Trento e Rovereto, rende omaggio alla scultura lignea, una tradizione tramandata di generazione in generazione, ma adatta a confrontarsi anche con le istanze del contemporaneo.
Il progetto espositivo, per la curatela di Gabriele Lorenzoni, si avvale della partnership del Museum Ladin Ćiastel de Tor di San Martino in Badia e della Galleria Doris Ghetta, che ha la sua sede a Ortisei, ed è la prima esposizione che un museo italiano votato all’arte contemporanea dedica a questo genere di produzione artistica.
La tradizione secolare della scultura lignea, seppur con discontinuità, ha attraversato la storia dell’arte, raggiungendo il suo apice durante il Medioevo con le celebri madonne lignee romaniche e il Barocco con i fastosi altari policromi.
Nelle valli delle Dolomiti, dove abbonda la materia prima e nelle quali l’attaccamento alla storia locale è tenace, questa pratica artistica sopravvive e si rinnova, recuperando specificità culturali ed economiche. Qui, negli ultimi trent’anni, conosce un’inaspettata evoluzione, percorrendo nuove traiettorie di ricerca estetica, tematica e formale.
Dopo secoli di storia ininterrotta, accanto all’artigianato artistico, ai presepi, ai manufatti folcloristici, la scultura lignea approda a pieno titolo nell’arte contemporanea, divenendone una voce minoritaria ma autorevole, capace di riscuotere crescente interesse e attenzione da parte della critica, dei musei e del collezionismo, sia pubblico sia privato.
Per qualità e quantità della produzione, oggi la scuola gardenese dell’intaglio ligneo non ha eguali in Europa e occupa una posizione indipendente e originale nel panorama artistico internazionale.
Non segnata da confini amministrativi né cartografici, l’area ladina (Ladinia) ha come uniche frontiere quelle naturali: una regione culturale costituita da valli sudtirolesi, trentine e venete, nelle quali l’uso dell’antica lingua retoromanza diventa veicolo di coesione e trasmissione identitaria. Sulla base di queste premesse, nel riconoscimento delle peculiarità socioculturali del territorio di riferimento, il catalogo che rimarrà a documentazione della mostra, aperta fino al prossimo 17 settembre, sarà trilingue.
La scelta curatoriale di «Legno | Lën |Holz», che parte da una rigorosa selezione basata sull’uso della tecnica manuale dell’intaglio ligneo, si sofferma sulla figurazione del corpo umano in scala reale. Tema della mostra è, quindi, la ricerca sul corpo, che alla Civica viene indagato attraverso l’esposizione di circa quaranta tra sculture e installazioni i cui volumi si prestano a una dimensione museale. Un quarto dei lavori è inedito: diverse sono le opere realizzate espressamente per la mostra o mai esposte prima.
La preferenza data alla produzione figurativa sottolinea la vicinanza a una tradizione dalla quale contestualmente ci si allontana: coesistono da un lato una perizia tecnica sublime, dall’altro una straordinaria adesione ai linguaggi e alle sensibilità contemporanee.
In un percorso che esalta le differenze anziché nasconderle e che accosta maestri affermati a interpreti più giovani, gli scultori in mostra (Livio Conta, Giorgio Conta, Fabiano de Martin Topranin, Aron Demetz, Gehard Demetz, Peter Demetz, Arnold Holzknecht, Walter Moroder, Hermann Josef Runggaldier, Andreas Senoner, Peter Senoner, Matthias Sieff, Adolf Vallazza, Willy Verginer e Bruno Walpoth) interpretano in maniera assolutamente personale la tematica proposta.
Accomunati da un’incontestabile abilità, alcuni si avventurano in una profonda analisi psicologica dei personaggi raffigurati, altri osano con chiara ironia o surreale divertimento. Tra rappresentazioni drammatiche o spiritose, ritratti realistici, corpi alieni, totem divini, uomini, donne e bambini, le opere esposte finiscono per presentare una variegata umanità.
I visi e i corpi intagliati nel legno propongono riflessioni sui temi del doppio, dell’alterità e dell’autorappresentazione. Il parallelismo fra i volumi scultorei in scala 1:1 che invadono gli spazi della Galleria e il corpo dello spettatore che si aggirerà fra essi è decisamente suggestivo.
L’allestimento minimalista, firmato dallo studio Weber+Winterle di Trento, sottolinea questo dualismo mediante un gioco di superfici riflettenti che moltiplicano i punti di vista. Come tutto ciò che in qualche modo richiama il processo di mimesis, questo progetto contiene e propone, infatti, quale elemento imprescindibile di indagine, la questione dello sguardo dello spettatore nella sua accezione relazionale.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Aron Demetz, Iniziazione, 2004; [fig. 2] Walter Moroder, De Vita, 2012; [fig. 3]  Bruno Walpoth, Why not?, 2015; [fig. 4] Gehard Demetz, Senza titolo, 2013-16

Informazioni utili 
«Legno | Lën |Holz». Galleria Civica Trento, via Belenzani, 44 – Trento. Orari: martedì-domenica, ore 10.00-13.00 e ore 14.00-18.00; lunedì chiuso. Ingresso: intero € 2,00, gratuito per Mart Membership e bambini fino a 14 anni. Informazioni: tel. 0461.985511 o tel. 800 397760 o civica@mart.tn.it. Sito internet: www.mart.trento.it. Fino al 17 settembre 2017.

domenica 2 luglio 2017

Da Giotto a Klimt, a luglio l'arte si fa multimediale

Arte, musica, parola, tecnologia e intrattenimento: nell’estate 2017 la cultura si modernizza e diventa multimediale. Venezia celebra, negli ampi spazi della Scuola Grande della Misericordia, i settecentocinquanta anni dalla nascita di Giotto (Colle di Vespignano 1267 – Firenze 1337) con la prima delle tre mostre-spettacolo ideate da Cose Belle d'Italia Media Entertainment nell’ambito del format «Magister» dedicato ai grandi maestri dell’arte italiana, con cui nei prossimi anni verranno omaggiati anche il genio di Canova (estate 2018) e quello di Raffaello (estate 2019).
L’esposizione, aperta dal 13 luglio al 5 novembre, vede la curatela di Alessandro Tomei, professore ordinario di storia dell'arte medievale all’università «Gabriele D'Annunzio» di Chieti e Pescara, e di Giuliano Pisani, filologo classico, storico dell'arte e membro del Comitato dei garanti per la cultura classica del Miur, al quale è stato affidato il compito – si legge nella presentazione- di «rileggere l’indagine teologica che sottende il ciclo della Cappella degli Scrovegni lasciando emergere la “sceneggiatura” scritta da Alberto da Padova, teologo agostiniano che finisce la sua vita di cattedratico alla Sorbona di Parigi».
Personalità di spicco nello studio della storia e della critica d’arte come Cesare Barbieri, professore emerito di astronomia all'Università di Padova, Stefania Paone, professore aggregato di storia dell'arte medievale all'Università della Calabria, o ancora Serena Romano Gosetti di Sturmeck, professore ordinario di storia dell'arte medievale all'Università di Losanna, fanno parte del comitato scientifico della mostra, per la quale verranno pubblicati un catalogo edito da Franco Maria Ricci e un volume a tiratura limitata dalla Utet Grandi Opere.
Il team di esperti al lavoro per la realizzazione di questo progetto, di alto rigore scientifico e di grande impegno scenografico e filmico, vede anche la presenza dell’autore e regista Luca Mazzieri e dell’architetto e progettista Alessandra Costantini; accanto a loro ci sono, inoltre, Luca Zingaretti in qualità di voce narrante e Paolo Fresu quale autore della colonna sonora.
Grazie alla collaborazione di questa prestigiosissima squadra multidisciplinare, il visitatore entrerà in contatto, nel vero senso della parola, con l’arte di Giotto, comprendendone la rivoluzione compiuta dalla sua arte nel tardo Medioevo. Verrà accolto nell'immensa navata d'ingresso dall'imponente Croce del Presepe di Greccio, ricostruita, su ispirazione di quella dell'affresco, come un’installazione tridimensionale. E compirà un viaggio di circa quarantacinque minuti, articolato su 28.000 metri cubi, che lo porterà virtualmente ad Assisi tra le bellezze del Ciclo francescano, a Padova, nella città di Firenze, tra Crocifissi che, per la prima volta, lo guarderanno negli occhi anziché limitarsi ad osservarlo dall’alto, in un percorso dove l'Italia del Trecento viene raccontata attraverso le opere di Giotto e della sua bottega, per sfociare al contemporaneo con la missione del 1986, realizzata dall'Agenzia spaziale europea, che per la prima volta nella storia intercettò la Cometa di Halley, dipinta nell'«Adorazione dei Magi» della Cappella degli Scrovegni.
La mostra veneziana racconterà così la storia di un uomo che si conquistò vastissima fama presso i propri contemporanei com’è testimoniato dalle numerosissime citazioni e trattazioni che lo riguardarono già in vita. Un uomo che con la sua arte è stato snodo importante nella cultura pittorica occidentale, anticipando il futuro.
Multimedialità e arte si incontrano anche a Milano, negli spazi del Mudec, con l’evento espositivo «Klimt Experience», curato da Crossmedia Group, con la consulenza scientifica di Sergio Risaliti. La rassegna, in programma dal 26 luglio al 7 gennaio 2018, si propone come un vero e proprio excursus multisensoriale che racconta attraverso immagini, suoni, musiche ed evocazioni l’universo pittorico, culturale e sociale in cui visse e operò il padre della Secessione viennese.
Gustav Klimt coltivò assieme ad altri artisti secessionisti viennesi il mito dell’opera d’arte totale, un’aspirazione che passava attraverso pittura e architettura fino alle arti applicate e alla moda. Vienna tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento era un crogiolo di spinte innovatrici in un contesto di grande fermento nel campo delle scienze, della filosofia, della psicanalisi, dell’arte, dell’architettura, del proto-design, della musica e della cultura in generale. L’obiettivo di questa esperienza d’arte immersiva, della durata di un’ora circa, è di raccontare la storia dell’artista a partire dal tessuto sociale nel quale visse e operò: accanto ai lavori di Gustav Klimt sarà, infatti, possibile ammirare anche fotografie d’epoca e ricostruzioni 3D della Vienna dei primi del ‘900, con i suoi luoghi simbolo, i costumi e la moda.
Settecento le immagini dell’artista selezionate, riprodotte attraverso il sistema Matrix X-Dimension, che permettono una visione completa della sua opera altrimenti impossibile da ammirare in un unico evento espositivo. Dalle pareti al soffitto fino al pavimento le fotografie dei lavori di Klimt diventano un unico flusso di sogno, di forme fluide e smaterializzate. Strauss, Mozart, Wagner, Lehár, Beethoven, Bach, Orff e Webern accompagneranno il visitatore con una coinvolgente colonna sonora a testimoniare quanto la musica influenzò l’opera di questo grande artista. Infine l’esperienza culturale si completerà con l’apparato informativo e didattico dell’area d’introduzione alla mostra.

Informazioni utili
«Magister Giotto». Scuola Grande della Misericordia, Sestiere Cannaregio 3599 – Venezia. Orari: domenica – venerdì, dalle ore 10.30 alle ore 18.30; sabato, dalle ore 10.30 alle ore 20.30. Ingresso: intero € 18,00, ridotto € 16,00, ridotto gruppi € 15,00, residenti di Venezia € 13,00, ridotto scuole € 9,00, altre riduzioni sono visibili sul sito ufficiale della mostra. Informazioni: Call Center Ticketone, 892101; Call Center Hellovenezia, 041.2424. Sito internet: www.magister.art o www.ticketone.it. Dal 13 luglio al 5 novembre 2017

«Klimt Experience». Mudec – Museo delle Culture di Milano, via Tortona, 56 - Milano. Orari: lunedì, ore 14.30-19.30; marted, mercoledì, venerdì e domenica, ore 9.30-19.30; giovedì e sabato, ore 9.30-22.30. Ingresso: intero € 12,00, ridotto € 10,00. Informazioni: tel. 0254917. Sito internet: www.ticket24ore.it. Dal 26 luglio 2017 al 7 gennaio 2018.

sabato 1 luglio 2017

La Belle Époque di Toulouse-Lautrec

Mentre Claude Monet, Camille Pissarro, Alfred Sisley e molti altri collocavano il loro cavalletto sulle sponde della Senna o in mezzo a campi assolati, studiando appassionatamente la pittura en plein air, vera e propria cifra stilistica del movimento impressionista, c’era un artista che si divertiva a ritrarre la vita notturna di Parigi, cogliendo le atmosfere delle sale da ballo, dei caffè-concerto e dei palcoscenici più in voga nella capitale francese sul finire dell’Ottocento. Quell’artista era Henri de Toulouse-Lautrec (Albi, 24 novembre 1864 – Saint-André-du-Bois, 9 settembre 1901), emblema indiscutibile di un’epoca, la leggendaria e scintillante Belle Époque, di cui contribuì a fissarne per sempre nella memoria del tempo, con il suo sguardo disincantato e il suo stile anticonformista, protagonisti, umori, colori e illusioni.
Montmartre e i suoi locali, il Moulin Rouge e le sue ballerine di can-can, l’Opéra e i suoi concerti, il bistrot alle Folies-Bergère e i suoi bevitori d’assenzio, le «maisons closes» parigine e le loro prostitute, le stelle effimere del cabaret e le vedette del tempo, dal cantante Aristide Bruant alla bella Yvette Guilbert: questo era l’universo vissuto e rappresentato dall’artista francese, di cui rimane sulla tela o sui fogli di carta il lato più malinconico e amaro, come ben documenta la mostra curata da Stefano Zuffi per il gruppo Arthemisia, che porta, fino al prossimo 3 settembre, circa centosettanta opere provenienti dall’Herakleidon Museum di Atene negli spazi di Palazzo Forti a Verona.
Litografie a colori (da «Jane Avril» del 1893 a «Troupe de Mlle Églantine» del 1896, passando per l’album «Elles» del 1896), manifesti pubblicitari (come «Aristide Bruant nel suo cabaret» del 1893 e «La passeggera della cabina 54» del 1895), grafiche promozionali, illustrazioni per giornali (tra cui «La revue blanche» del 1895), vignette satiriche, disegni a matita e a penna, acquerelli, insieme a video, fotografie e arredi dell’epoca riscostruiscono uno spaccato della Parigi bohémienne. Riportano i visitatori indietro nel tempo, in un’epoca frivola e peccaminosa, piena di joie de vivre, svaghi serali, luci artificiali, risate artefatte e applausi per cabarettisti, ballerine e chansonniers, artisti abili nel nascondere le nubi che correvano sulla loro anima e le ombre fuggevoli che passavano sul loro viso sotto il trucco pesante e gli abiti vistosi, dietro le luci della ribalta, ma non all’occhio di Toulouse-Lautrec.
Osservatore implacabile e attento dell’animo umano, il pittore filtrava il mondo attraverso le frustrazioni della sua vita e capiva empaticamente il dolore e l’insoddisfazione degli altri, il sorriso forzato e lo sguardo perso di chi avrebbe voluto essere altrove. Afflitto da una malattia genetica alle ossa, assimilabile al nanismo, l’artista si condannò, infatti, a una vita infelice fatta di piaceri facili ed estemporanei, alcol e sesso a pagamento in primis, morendo a causa della sifilide a soli trentasei anni, ma lasciando dietro di sé un corpus di opere dai numeri considerevoli per essere stato realizzato in soli vent’anni: 737 tele, 275 acquerelli, 363 stampe e manifesti, 5.084 disegni.
Più che mai fedele al suo principio che «solo la figura esiste» e che il paesaggio non è che un accessorio», Toulouse-Lautrec regala al nostro sguardo ritratti di donne sole, silenziose, osservate senza la minima intenzione caricaturale o di vignetta cronachistica, ma anche un album di litografie dedicato a Yvette Guilbert, soprannominata la «Diseuse» (la fine dicitrice) e rimasta nell’immaginario collettivo per i suoi lunghi guanti neri fino al gomito, e lavori con Jane Avril, celebre stella del cabaret parigino, effigiata, per esempio, nel can-can insieme ad altre ballerine nell’opera «La compagnia di Mademoiselle Eglantine» (1896).
Lungo il percorso espositivo si trovano anche una sezione dedicata all’amore di Toulouse-Lautrec per i cavalli, con opere come «Il fantino» (1899) e «The pony Philibert» (1898), e un’altra incentrata sulle commissioni per le riviste «Le Rire» ed «Escarmouche», per le quali l’artista disegnava vignette di satira politica e di costume.
Al centro della mostra vi è, poi, una sezione preziosa con una serie di disegni a matita e a penna: schizzi di volti, atteggiamenti, silhouette e caricature, di travolgente freschezza e mordente incisività. Il lapis è stato il compagno fedele nella lunga e obbligata immobilità durante le convalescenze dalla malattia, il modo per vincere la noia delle stazioni termali, la piccola condanna negli esercizi obbligati durante la fase di formazione accademica, lo strumento più immediato per vedere e interpretare il mondo, quella Parigi di fine secolo, vitale e contraddittoria, di cui Toulouse-Lautrec ha consegnato alla storia luci e ombre.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Henri de Toulouse-Lautrec, Au Concert (Before Letters), 1896. Litografia a colori, 32x25,2 cm. © Herakleidon Museum, Atene; [fig. 2] Henri de Toulouse-Lautrec, Jane Avril (Before Letters), 1893. Litografia a colori, 124x91,5 cm. © Herakleidon Museum, Athens Greece Greece; [fig. 3] Henri de Toulouse-Lautrec, La Troupe de Mademoiselle Églantine, 1896. Litografia a colori, 61,7x80,4 cm. © Herakleidon Museum, Athens Greece Greece

Informazioni utili 
«Toulouse Lautrec. La Belle Époque». AMO – Palazzo Forti, via Achille Forti, 1 - Verona. Orari: lunedì, dalle ore 14.30 alle ore 19.30; da martedì a domenica, dalle ore 9.30 alle ore 19.30. Ingresso: intero € 14,00, ridotto € 12,00, ridotto gruppi € 10,00, ridotto universitari € 9,00, ridotto scuole da € 5,00 a € 3,00, per altre tariffe si consiglia di vedere la pagina http://www.mostratoulouselautrec.it/informazioni-visite-orari-biglietti-prenotazioni.html. Informazioni: tel. 045.853771. Sito internet: www.mostratoulouselautrec.it. Fino al 3 settembre 2017.