ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 16 gennaio 2018

«Queste pazze donne», sentimenti e nevrosi femminili in scena

Si tinge di rosa il palcoscenico del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio per il terzo appuntamento della stagione «Mettiamo in circolo la cultura», inserita nel cartellone cittadino «BA Teatro».
Dopo gli appuntamenti con Lorella Cuccarini e Sergio Sgrilli, giovedì 25 gennaio, alle ore 21, la sala di via Calatafimi accoglie tre apprezzate protagoniste della scena contemporanea -Paola Quattrini, Vanessa Gravina ed Emanuela Grimalda- con la commedia «Queste pazze donne» del drammaturgo viennese Gabriel Barylli, nella traduzione e per l’adattamento di Maria Teresa Petruzzi.
Lo spettacolo, che si avvale della regia di Stefano Artissunch, mette sotto i riflettori le storie di tre donne, diverse nel temperamento e nelle scelte di vita, che si ritrovano a trascorrere insieme la sera della vigilia di Natale. «Gli uomini -si legge nella sinossi- sono fuori, girano intorno a loro come satelliti di un pianeta. Linda ne ha troppi, Cristina nessuno, Barbara uno solo, il marito, che l’ha pure tradita».
Dalle confessioni delle tre protagoniste, che danno vita a un irresistibile mix tra commedia e melodramma, emergono -afferma la produzione dello spettacolo, curata da Daniela Celani per Synergie Arte Teatro- «storie di amori negati o vissuti, intrecci, gelosie, figli segreti, case, vestiti colorati, scenari quotidiani a tinte vagamente gialle».
Commedia molto applaudita in Austria, Francia e Germania, dove ha vinto anche i premi Bavarian Film e Adolf Grimme, «Queste pazze donne» offre così al pubblico -si legge ancora nella sinossi- «uno sguardo autentico, divertente, sensuale, brillante e disincantato sul mondo femminile». Grazie a questo racconto teatrale, che nella versione italiana ha debuttato questa estate nell’ambito della cinquantunesima edizione del Festival di Borgio Verezzi, gli uomini possono, dunque, «ascoltare cosa le donne dicono di loro tra loro» e le donne possono ritrovarsi con le loro paure e indecisioni, con le loro emozioni e i repentini cambiamenti di umore. Lo spettacolo racconta, infatti, «con sguardo amorevolmente satirico», i sentimenti e le nevrosi femminili, regalando, -afferma Stefano Artissunch- stralunate e visionarie atmosfere «alla Almodovar» che strappano sorrisi e invitano alla riflessione.
Il modo colorito di indagare i rapporti del regista spagnolo, le atmosfere tipiche dei suoi film, ricche di colori sgargianti, rivivono in scena anche grazie alle scenografie di Matteo Soltanto, ai costumi di Marco Nateri e al disegno luci di Giorgio Morgese.
 Ha tutti, dunque, tutti gli ingredienti per accontentare l’affezionato pubblico del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio (quasi trecentoquaranta gli abbonati della sala) la commedia «Queste pazze donne», scelta da Maria Ricucci dell’agenzia «InTeatro» di Opera (Milano) per la stagione «Mettiamo in circolo la cultura», ideata con l’intento di offrire al pubblico occasioni di riflessione, ma anche di divertimento leggero, attraverso otto spettacoli di prosa con noti personaggi della scena contemporanea, da Lorella Cuccarini a Giampiero Ingrassia, da Geppi Cuccari a Ivano Marescotti, passando per Debora Caprioglio, Gianfraco Jannuzzo, Valentina Lodovini e Max Pisu.
 La stagione proseguirà nella serata di mercoledì 21 febbraio, alle ore 21, con un altro appuntamento tutto al femminile: l’ironica e tagliente Geppy Cucciari porterà in scena, sotto la regia di Matteo Torre (autore anche del testo), il suo nuovo one woman show: «Perfetta».
Lo spettacolo, il cui debutto è fissato per il 15 febbraio ad Orvieto, si configura come una «radiografia sociale ed emotiva, fisica, -si legge nella sinossi- di ventotto comici e disperati giorni della vita» di una donna, attraverso le quattro fasi del ciclo femminile.

Informazioni utili 
Queste pazze donne. Cinema teatro Manzoni, via Calatafimi, 5 - Busto Arsizio (Varese). Ingresso: € 33,00 per la poltronissima, € 30,00 (intero) o € 27,00 (ridotto) per la poltrona, € 28,00 (intero) o € 25,00 (ridotto) per la galleria | le riduzioni sono previste per studenti, over 65 e per gruppi (Cral, scuole, biblioteche e associazioni) composti da minimo dieci persone | il diritto di prevendita è di euro 1,00. Botteghino: da giovedì 18 gennaio, dal lunedì al sabato, dalle ore 17 alle ore 19.  Prevendita on-line: www.cinemateatromanzoni.it e www.webtic.it. Informazioni: cell. 339.7559644, tel. 0331.677961 (negli orari di apertura del botteghino e in orario serale, dalle ore 20.30 alle ore 21.30, tranne il martedì), info@cinemateatromanzoni.it. Quando: 25 gennaio 2018, ore 21.00.

domenica 14 gennaio 2018

«Il mondo in una perla»: Murano celebra la sua storia

A mosaico, soffiate, a lume, sommerse, a occhi, a spirale, a bandiera, monocrome, piumate, a inserzioni di murrine, puntinate, sinusoidali, a pettine, incamiciate o figurate: c’è da perdersi nell’antico e magico mondo delle perle di vetro, manufatti la cui tradizione si rinnova di secolo in secolo e che perdura ancora oggi grazie alla straordinaria maestria e alla tecnica delle tante vetrerie presenti a Murano. Sull’isola veneziana si trova anche un museo che promuove questa pregevole storia, il cui patrimonio collezionistico è stato di recente sottoposto a catalogazione e a studio da parte di Augusto Panini, tra i massimi esperti sull’argomento, il cui lavoro ha dimostrato come le perle furono non solo uno strumento decorativo, ma anche una preziosa merce di scambio esportata in grande quantità nel XIX secolo verso le colonie dell’Africa Occidentale, dell’India e delle Americhe.
Dopo il catalogo edito questa estate dalla casa editrice Antiga di Treviso, il lavoro dello studioso comasco diventa ora una mostra, allestita fino al prossimo 15 aprile negli spazi delle ex conterie del Museo del vetro.
Venezia inizia la sua produzione verso il XIV secolo e una delle prime tecniche impiegate fu quella a speo: utilizzando una piccola quantità di vetro fuso e un ago di ferro (speo o spiedo) che si faceva girare al fuoco di un lume, si realizzava una perla forata. Ma la tecnica che divenne prevalente nei secoli successivi fu la fabbricazione delle perle a partire da bacchette o canne di vetro forate o massicce. Nella seconda metà del XV secolo viene messa a punto la molatura di perle da canna forata a più strati, con sezione a stella (perla rosetta), e solo verso il XVI secolo si riscopre e si affina la tecnica delle perle alla lucerna o a lume, che prevedeva l’uso di canne massicce.
La collezione del Museo del vetro di Murano è costituita oggi da 85 cartelle campionarie contenenti 14.182 perle, da tre pannelli di stoffa del 1863, dono della Società delle Fabbriche Unite contenenti 2015 perle e 266 mazzi di conterie, da 91 mazzi di perle a lume, di cui alcuni incompleti, da 8957 perle integre e 274 frammentate e 492 mazzi di conterie.
Scomparso sin dal 1912 l’inventario redatto dall’abate Zanetti, solo ora si è riusciti a ricondurre molte di queste perle, mazzi e cartelle alle vetrerie attive a Venezia e Murano tra il 1820 e il 1890 e dunque ai maestri vetrai, giganti dell’arte e imprenditori illuminati come Giovanni Battista Franchini, Domenico Bussolin, Benedetto Giorgio Barbaria, Antonio Salviati, Pietro Bigaglia e Giovanni Giacomuzzi, che con generosità e senso civico avevano donato al museo cittadino il meglio della propria produzione nascente.
Tra i materiali del Museo ora identificati vi sono due grandi cartelle genericamente definite «Lavori in vetro alla Lucerna» che comprendono perle prodotte dalla famiglia Franchini dal 1820 al 1860 dove spiccano le invenzioni del «geniale» Giovanni Battista Franchini: dalle «Perle a Coste di Mellone» alle «Perle in cristallo animate», dalla «Madre perla rosea» alle «Canne lavorate». Nelle collezioni civiche veneziane troviamo, inoltre, quelle che paiono essere le prime perle millefori prodotte in epoca moderna, presumibilmente tra il 1843 e il 1845. In nessun campionario antecedente di altri musei europei o americani risultano infatti perle millefori, che inventate in epoca alessandrina e romana, dopo la caduta dell’impero Romano d’Occidente avevano continuato fino al XV secolo a essere prodotte in Medio e Vicino Oriente.
Va, inoltre, sottolineato che se le cartelle campionarie conservate a Palazzo Giustiniani, equiparabili ai moderni campionari delle vetrerie, non contengono o quasi perle «rosetta» molate alla rotina, è significativo che nella collezione di perle ve ne sia invece una notevole quantità, di ogni misura (anche molto grandi) e di diversa tipologia: perle uniche nel loro genere -perle «rosetta» con strati di avventurina, con inserzioni di canne forate, fino a dieci strati e dai coloro assolutamente inusuali- segno di una accesa sperimentazione e di virtuosismi tecnici legati alla rinascita di un’antica tradizione che si era completamente dimenticata.
Era stata, infatti, Marina Barovier nel 1482 o qualche anno prima a inventare la perla «rosetta», protagonista delle prime esportazioni di perle nel Nuovo Mondo e in Africa tra la fine del 1400 e gli inizi del 1500. Ma dopo tale data non sia hanno più testimonianze di produzioni di perle rosetta molate, di grandi dimensioni. La rinascita di queste, in epoca moderna, pare dunque attestarsi tra il 1882 e il 1888, anno di un’importante commessa ricordata nelle cronache del tempo (251.000 perle rosetta di dimensioni tra i 13x14 mm e i 38x52 mm) e della conseguente vivace polemica tra vetrerie, circa la paternità di quella che ai più pareva una nuova produzione, ma che in realtà rinnovava i fasti di una perla inventata cinquecento anni prima.
In mostra a Murano, oltre alle collezioni storiche, si sono volute esporre le perle realizzate oggi da vetrerie dell’Isola, frutto di una storia che non si disperde e di una realtà che vuole salvaguardare maestria e capacità tecniche innervandole di nuovi stimoli.
Lungo il percorso espositivo, a tu per tu con il caleidoscopico mondo delle perle, ci vuole poco per lasciarsi sedurre da questi magici e antichi manufatti la cui tradizione tuttavia perdura e si rinnova anche oggi.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Perle di vetro a canna a strati forata, XIX secolo. Perle di vetro a canna a strati forata, molate a piramide tronca e a botticella, forma sferica, cilindrica, a oliva e prismatica con decorazioni a rosetta. Misure: diametro x lunghezza da mm 16x24 a mm 75x90; [fig. 2] Perle di vetro a canna forata, XIX secolo. Forma cilindrica con decorazioni lineari e a spirale. Misure: diametro x lunghezza da mm 7x7 a mm 13,5x16; [fig. 3] Perle di vetro a lume, XIX secolo. Forma sferica con decorazioni fiorate. Misure: diametro x lunghezza da mm 11x11 a mm 22 x 20; [fig. 4] Perle di vetro rosetta, XIX secolo. Perle di vetro a canna a strati forata, molate a piramide tronca e a botticella, forma sferica, cilindrica, a oliva e prismatica con decorazioni a rosetta. Misure: diametro x lunghezza da mm 16x24 a mm 75 x 90 

Informazioni utili 
«Il mondo in una perla». Museo del Vetro, Fondamenta Giustinian, 8 – Murano. Orari: ore 10.00-17.00; dal 1° aprile 2018 il museo chiude un’ora dopo, alle ore 18.00. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 7,00. Informazioni: tel. 041.739586, museo.vetro@fmcvenezia.it. Sito internet: http://museovetro.visitmuve.it/it/. Fino al 15 aprile 2018.

venerdì 12 gennaio 2018

Roberto Daolio, un critico d'arte e la sua collezione

È una donazione importante quella giunta al Mambo: il Museo d’arte moderna di Bologna riceve, grazie alla liberale volontà degli eredi Stefano Daolio e Antonio Pascarella, l’intera collezione di opere d’arte e documenti appartenuti a Roberto Daolio.
Le opere, quasi sempre di piccolo formato e spesso accompagnate da una dedica, sono state donate dalle artiste e dagli artisti con cui il critico d'arte, fra i più attivi e stimati in ambito nazionale, ha intessuto fitte relazioni intellettuali e operative, di carattere sia professionale sia amicale.
La raccolta costituisce, quindi, una significativa testimonianza, per quanto parziale, di una vicenda biografica densa di incontri e attraversamenti, dialoghi e scambi, che ha dato un impulso sostanziale alla crescita e alla diffusione dell'arte emergente, componendone uno spaccato rappresentativo degli sviluppi più rilevanti, soprattutto in area emiliana, nel corso di oltre quarant'anni.
In considerazione del valore storico e artistico di questo corpus di opere, attraverso cui è possibile cogliere quanto sia stata centrale la figura di Daolio come riferimento critico per il contesto artistico bolognese durante tutti gli anni ‘80 e ‘90, nonché come attento osservatore della scena nazionale in contatto con le più importanti gallerie e istituzioni museali, l'Amministrazione comunale ha accettato con gratitudine la proposta di donazione degli eredi, in coerenza con l'obiettivo programmatico volto all'acquisizione di opere, documenti e testimonianze in grado di ampliare ed integrare le proprie collezioni museali esistenti.
Per presentare la raccolta è stata ideata nella Project Room una piccola mostra, a cura di Uliana Zanetti, con la collaborazione di Giulia Pezzoli e Barbara Secci, e con il contributo scientifico di Davide Da Pieve, Lara De Lena, Roberto Pinto e Caterina Sinigaglia dell'Alma Mater Studiorum di Bologna.
La mostra si articola per passaggi che consentono di individuare i principali tracciati della ricerca e dell'attività di Daolio, attraverso una scelta ragionata di un centinaio di pezzi dei centoquarantasei che compongono la donazione, alcuni dei quali sottoposti a interventi di restauro conservativo per questa occasione.
I lavori di tale collezione, «involontaria» in quanto priva di un organico indirizzo distintivo, appartengono il più delle volte a una produzione di non facile classificazione, che può essere definita «minore», apparendo talvolta perfino di statuto artistico incerto, come nel caso delle lettere e dei messaggi stupendamente decorati spediti per posta da Luciano Bartolini. Tuttavia, il loro addensarsi intorno alla personalità di Daolio le rende, nel loro insieme e nella corrispondenza di complicità affettive che sottendono, sintomatiche di un metodo di lavoro originale, costantemente rivolto verso l'insorgenza di fenomeni e di talenti nascenti, osservati e interpretati con disinteressata e selettiva partecipazione.
L'acquisizione della raccolta, oltre a consentire al Mambo di accogliere nel proprio patrimonio testimonianze dell'attività di artisti spesso molto noti e affermati anche a livello internazionale, permette di arricchire le potenzialità di lettura delle opere d'arte con riflessioni allargate sulla loro genesi, spostando l'attenzione da una semplificata e lineare storia delle forme alla complessità dei rapporti di cooperazione che sempre ne accompagnano l'origine, l'esecuzione, l'esposizione e la trasmissione.
Nel suo costante raccordare analisi teorica e attuazione pratica, Daolio ha intrecciato in un continuum di rigorosa coerenza i diversi ruoli e ambiti nei quali si è trovato ad operare. Dall'insegnamento all'Accademia di Belle Arti di Bologna, dove è stato titolare della cattedra di Antropologia e sociologia dell'arte dal 1977 al 2012, alla collaborazione con quotidiani e riviste specializzate, dall'incoraggimento e dalle presentazioni di giovani artisti alla curatela di mostre, la sua multiforme attività si è svolta seguendo una rara uniformità di principi, improntati al riconoscimento e allo sviluppo delle fun-zioni sociali dell'arte contemporanea.
Daolio ha collaborato attivamente con la Galleria d'arte moderna di Bologna, diventata poi Mambo. In considerazione di questo rapporto intenso e continuativo, l'acquisizione della sua raccolt appare ancor più calzante, contribuendo a rendere conto della sua partecipazione a numerose attività che hanno significativamente contrassegnato, in diverse fasi, la storia e il posizionamento del museo: dalle grandi rassegne collettive degli anni Settanta e Ottanta fino alla densa e innovativa programmazione dello Spazio Aperto fra anni Novanta e anni Duemila.
In questa prospettiva, assume un'ulteriore rilevanza la volontà del museo di segnare con questa mostra l'avvio di una nuova configurazione espositiva della sala Project Room, la cui funzione sarà prevalentemente dedicata alla ricognizione e alla ricerca storica sulle eccellenze della cultura contemporanea espresse in ambito territoriale.

Didascalie delle immagini 
[Fig.1] Roberto Daolio, ritratto; [fig. 2] Alessandra Tesi, «Verde HL 1», 1996, fotografia a colori su carta lucida 225 x 150 cm; [fig. 3] Annalisa Cattani e Fabrizio Rivola, «Warm Up, 1:3», 2002, stampa fotografica su ceramica; [fig. 4] Paolo Bertocchi, «Perduti nel tempo. Per un S. Gerolamo contemporaneo», 2004, stampa lambda montata su alluminio (1/4)

Informazioni utili
«Roberto Daolio. Vita e incontri di un critico d'arte attraverso le opere di una collezione non intenzionale». MAMbo – Museo d'arte moderna di Bologna | Project Room, via Don Minzoni, 14 – Bologna. Orari: martedì, mercoledì, domenica e festivi, ore 10.00 – 18.00; giovedì, venerdì e sabato, ore  10.00 – 19.00; lunedì chiuso. Ingresso: intero € 6,00; ridotto € 4,00; gratuito per possessori Card Mu-sei Metropolitani Bologna e la prima domenica del mese. Informazioni: tel. 051.6496611 o info@mambo-bologna.org. Sito internet: www.mambo-bologna.org. Fino al 6 maggio 2018. 

mercoledì 10 gennaio 2018

Dalla mostra «Homo Faber» ai concerti dello Squero: un anno di grande arte alla Fondazione Cini di Venezia

Dalla storia dell’arte alla musica, dal teatro agli studi religiosi: è ampio il ventaglio di proposte che la Fondazione Giorgio Cini di Venezia, presieduta da Giovanni Bazoli, propone per il nuovo anno. Ventotto incontri tra convegni e giornate di studio, più di dieci concerti, cinque nuovi progetti espositivi distribuiti tra Palazzo Cini e l’Isola di San Giorgio Maggiore, oltre trenta borse di studio, più di quaranta pubblicazioni e un premio - la quinta edizione del «Benno Geiger»- per la traduzione poetica compongono il cartellone delle iniziative.
Lo Squero, l’auditorium della fondazione vincitore del Premio Torta 2017, proseguirà la propria attività grazie al Quartetto di Venezia, che proporrà una nuova serie di sei concerti (il 3 marzo, il 21 aprile, il 19 maggio, il 13 ottobre, il 10 e il 24 novembre); sono, inoltre, previste le esibizioni di Mario Brunello (il 24 febbraio e il 27 ottobre) e di Giovanni Sollima (il 7 aprile e il 12 maggio).
Lo Squero farà anche da scenario al «Concerto per cinque pianoforti e sei voci», con cui si chiuderà la decima edizione della «Solti Peretti Répétiteurs Masterclass», incentrata sul repertorio del bel canto (il 6 aprile).
Anche l’Istituto interculturale di studi musicali comparati proporrà alcune iniziative musicali: il nuovo appuntamento con il ciclo «Musica e rito», questa volta dedicato al Malawi (il 23 ottobre) e il concerto «Canto epico nei Balcani» (il 15 novembre), eseguito da Isa Elezi Lekgjekaj, il maggior interprete vivente dei canti della montagne di Rugova.
Per quanto riguarda le mostre, si segnala la consueta apertura annuale della Galleria di Palazzo Cini a San Vio, grazie alla partnership di Assicurazioni Generali. Il programma quest’anno, in cartellone dal 20 aprile al 15 novembre, è interamente dedicato al disegno, con due mostre a cura dell’Istituto di storia dell’arte, arricchite come di consueto da attività espositive, culturali e didattiche per raccontare le peculiarità della raccolta Cini a San Vio e allo stesso tempo far conoscere e valorizzare le altre collezioni d’arte conservate a San Giorgio.
Si inizierà in primavera con «Idea e progetto. Disegni dalle raccolte grafiche della Fondazione Giorgio Cini», che vedrà esposta una selezione di una sessantina dei pezzi più belli e rappresentativi delle raccolte grafiche della fondazione. In autunno è, invece, previsto un progetto dedicato all’ampio corpus di disegni autografi dei pittori e fratelli bolognesi Ubaldo e Gaetano Gandolfi.
Di prestigio anche il programma espositivo del progetto «Le stanze del vetro», iniziativa per lo studio e la valorizzazione dell’arte vetraria veneziana del Novecento nata dalla collaborazione tra Fondazione Cini e Pentagram Stiftung.
La prima, dal titolo «Una fornace a Marsiglia – Centro internazionale di ricerca sul vetro e le arti plastiche /CIRVA» (9 aprile – 29 luglio), sarà realizzata in collaborazione con la Fondazione Querini Stampalia e, grazie alle opere selezionate da Isabelle Reiher, racconterà i momenti salienti della creazione da parte di artisti e designer giunti in residenze al Cirva di Marsiglia in questi trent’anni. L’altra, «La vetreria Cappellin e il giovane Carlo Scarpa» (9 settembre 2018 - 6 gennaio 2019), vedrà, invece, la curatela di Marino Barovier.
Molto attesa è anche la titanica mostra «Homo Faber», il primo grande evento culturale dedicato ai mestieri d’arte in Europa, realizzato in collaborazione con la Michelangelo Foundation for Creativity and Craftsmanship.
L’esposizione, la più grande mai ospitata negli spazi della Fondazione Giorgio Cini, presenterà un’ampia selezione di materiali e discipline, dal gioiello alle biciclette su misura, dalle tecniche artigianali più rare ad alcuni degli esempi più rappresentativi dell’eccellenza artigiana a livello europeo. Per tutta la durata dell’evento, i visitatori potranno ammirare da vicino e dal vivo la maestria degli artigiani che prenderanno parte all’esposizione.
Nel 2018 la Fondazione Cini consoliderà, poi, ulteriormente la sua reputazione scientifica a livello internazionale grazie all’attività dei suoi Istituti e Centri di ricerca, con l’organizzazione di convegni, giornate di studio e seminari dei più diversi ambiti disciplinari. Tra i vari appuntamenti si segnalano «PIETRO pictore ARETINO. Una parola complice per l’arte del Rinascimento» (17-19 ottobre); «Giovanni Poli – La scena dell’essenzialità da Venezia al mondo» (25-26 ottobre) e «Luoghi per la cultura; cultura per i luoghi» (7-9 maggio 2018).
Accanto a queste iniziative, porterà avanti la valorizzazione del patrimonio immobiliare, mobiliare, materiale e immateriale custodito sull’Isola di San Giorgio Maggiore, promuovendo lo studio dei suoi archivi, grazie all’erogazione di borse di studio (tutti i bandi sono consultabili sul sito www.cini.it). La Fondazione Cini continuerà, inoltre, il processo di digitalizzazione dei suoi archivi, già iniziato nel 2016 con il progetto «Replica», realizzato in collaborazione con il DHLab del Politecnico di Losanna, ponendosi in una posizione avanguardistica nel settore degli archivi digitali, credendo che l’innovazione tecnologica, se messa a servizio della conoscenza, può dare un grande contributo al progresso degli studi umanistici.
Infine, nel 2018 si terrà la V edizione del Premio per la traduzione poetica «Benno Geiger», voluto da Elisabetta Paolina Geiger, che regola l’assegnazione di tre borse di studio residenziali al centro «Vittore Branca» per laureati (bando consultabile sul sito www.cini.it). Un anno, dunque, di grande cultura quello che organizza la Fondazione Cini per questo 2018.

Informazioni utili 
Fondazione Giorgio Cini, Isola di San Giorgio Maggiore - Venezia, tel. 041.2710357, fax 041.2710221. Sito internet: www.cini.it.

lunedì 8 gennaio 2018

Dalla mostra «Il mondo che non c’era» ai «Dialoghi» sulla cultura: il 2018 della Fondazione Giancarlo Ligabue

Sono due i grandi eventi espositivi che costituiranno i cardini dell’attività studiata dalla Fondazione Giancarlo Ligabue per il 2018. Entrambi avranno come scenario Venezia, la città dove quasi cent’anni fa iniziò l’avventura imprenditoriale della famiglia Ligabue e dove prese corpo la passione di esploratore e collezionista di Giancarlo, il padre di Inti, attuale presidente della fondazione, che quest’anno festeggia il suo terzo anno di attività.
Agli inizi di gennaio aprirà le porte al pubblico negli spazi di Palazzo Loredan, sede dell’Istituto veneto di scienze, lettere e arti, la mostra «Il mondo che non c’era. L’arte precolombiana nella collezione Ligabue» (dal 12 gennaio al 30 giugno 2018), già presentata con successo lo scorso anno a Firenze, Rovereto e Napoli.
Oltre centocinquanta opere selezionate da Jacques Blazy, specialista delle arti pre-ispaniche della Mesoamerica e dell’America del Sud, conducono il visitatore tra le meraviglie dei Maya, degli Aztechi degli Inca e di tanti altri popoli che abitarono il territorio latino-americano prima dell’arrivo di Cristoforo Colombo e dei Conquistadores.
Le opere, tutte provenienti dalla collezione di Giancarlo Ligabue, raccontano di un continente palpitante di umanità, rimasto per l’Europa dietro il velo degli oceani fino al 1492. Attraverso opere pregevoli, che spaziano dalle figurine antropomorfe di ceramica delle cultura Tlalica e Olmeca ai bellissimi gioielli delle civiltà Maya, è possibile approfondire diversi aspetti della vita e della cultura sviluppatisi al di là degli Oceani, ma anche conoscere i «debiti», in termini di nuove tradizioni e colture, che l’Europa ha nei confronti del Nuovo Mondo: si pensi ad alcuni alimenti come il cacao, i pomodori e le patate) che sono arrivati per mediazione delle cucine della Corte spagnola nella tradizione alimentare italiana e anche veneta, ma anche al gioco con il pallone «di gomma» che scopriamo, grazie ad alcune raffigurazioni sul tema presenti in mostra, essere profondamente e anticamente radicato nella civiltà e nella ritualità mesoamericana.
Palazzo Loredan farà anche da scenario al successivo e inedito progetto espositivo della Fondazione Giancarlo Ligabue, che permetterà ancora una volta di vedere parte della sua ricca collezione: «Idoli, gli sguardi del potere», in programma dal 1° settembre al 6 gennaio 2019. L’esposizione, curata da Annie Caubet, sarà un viaggio attraverso il tempo e lo spazio - in un’ampia area geografica dal Mediterraneo all’Indo, all’Egitto - dal tardo Neolitico all’Antica Età del bronzo (ca. 4000-2000 a.C.), per indagare attraverso un centinaio di opere l’affascinante rappresentazione antropomorfa e il suo approccio artistico nelle società complesse che allora si stavano affermando.
Grande attesa c’è anche per il symposium internazionale «How Humans Conquered the World», presieduto da Donald Johanson, che nel maggio del prossimo anno porterà a Venezia paleontologi e antropologi da ogni parte del mondo per fare il punto su come gli uomini abbiano conquistato la terra alla luce delle recenti scoperte paleontologiche.
Nel 2018 continueranno anche gli appuntamenti con i «Dialoghi della fondazione», incontri a ingresso gratuito promossi con intellettuali di diversi campi del sapere e della cultura (tra i precedenti il teologo Vito Mancuso, il critico d’arte Philippe Daverio e il matematico e logico italiano Piergiorgio Odifreddi) per avvicinare gli studiosi a un vasto pubblico di appassionati riflettendo sulle più ampie tematiche, in piena aderenza al motto della Fondazione Ligabue «Conoscere e far conoscere».
La fondazione proseguirà, inoltre, durante quest’anno le sue collaborazioni con scienziati e università internazionali (Usa, Perù e Kazhakstan, per esempio).
Questi appuntamenti costituiscono il coronamento di un percorso che finora ha coinvolto in diverse città italiane quasi centomila persone, promuovendo cataloghi e ricerche, nuove collaborazioni con Istituzioni culturali nazionali e internazionali. Oltre ai quarantacinquemila contatti social, circa tremila studenti veneti hanno partecipato, negli ultimi mesi, ad attività di laboratori promossi dalla fondazione. Grande successo registra anche il «Ligabue Magazine», la rivista scientifica edita in italiano e inglese dalla fondazione, il cui direttore editoriale è Alberto Angela, che è divenuto ormai oggetto da collezione ambitissimo, grazie ai contribuiti di noti studiosi e al ricchissimo corredo iconografico.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Inti Ligabue; [fig. 2] Vaso antropomorfo, culture Moche, Perù, 100 a. C.-200 d.C.. Venezia, Collezione Ligabue; [fig. 2] Urna funeraria con effige del dio Cocijo, Cultura Zapoteca, Messico. Venezia, Collezione Ligabue

Informazioni utili 
Fondazione Giancarlo Ligabue, San Marco 3319 – Venezia. Informazioni: tel. 041.27 05 616, info@fondazioneligabue.it. Sito internet: www.fondazioneligabue.it.