Sacro e profano si incontrano nella nuova edizione della Giornata nazionale del trekking urbano. Il tredicesimo appuntamento con la festa del turismo sostenibile, che come consuetudine viene guidata dalla città di Siena, guarda, infatti, al Giubileo della misericordia e coinvolge una cinquantina di comuni italiani che, da nord a sud, proporranno, nella giornata di lunedì 31 ottobre, percorsi tesi a unire arte, cultura, spiritualità e degustazione di prodotti tipici.
Ogni itinerario sarà dedicato a uno o a più luoghi della fede, rifugi dell’anima, custodi di opere d’arte e testimoni di miracoli e leggende, in un percorso tra maestose cattedrali e basiliche di ogni epoca, tra santuari sperduti sulle montagne e piccole pievi di campagna, passando lungo antichi cammini di fede per arrivare ai luoghi simbolo della cristianità.
La Giornata nazionale del trekking urbano permetterà così di guardare a capolavori della nostra storia artistica o alla vicenda terrena di importanti protagonisti della cultura italiana con occhi nuovi.
Con questo spirito si farà tappa alla Chiesa di San Domenico ad Arezzo, all’interno della quale è conservato il Crocifisso di Cimabue, o al Duomo di Castelfranco Veneto, dove è conservata una Pala del Giorgione. Al cammino interiore di Dante Alighieri è, invece, dedicato il percorso proposto da Forlì, dove sarà possibile visitare i luoghi familiari al poeta e le tracce trecentesche rimaste nel centro storico. Mentre Napoli offrirà l’occasione per visitare, tra le altre cose, le Catacombe di San Gennaro, antiche aree cimiteriali sotterranee risalenti al II e III secolo, o per passeggiare nel Real Bosco di Capodimonte, fino a giungere alla Chiesetta di San Gennaro, aperta per l'occasione. A nord si segnala, invece, il percorso ideato a Trento, che si snoderà dalla Basilica di Santa Maria Maggiore, sede del Concilio di Trento, per entrare al Duomo, varcando la Porta della Misericordia. Debutta, poi, alle giornate del trekking urbano il Comune di Montalbano Jonico, che proporrà un percorso alla scoperta del centro storico, puntellato di chiese e cappelle gentilizie, con partenza dall’arco di San Pietro fino a raggiungere la Cappella della Madonna del Carmine.
Questa edizione della manifestazione offrirà anche l’occasione per percorrere alcuni tratti di vie e cammini di fede che, in passato, brulicavano di viandanti, mercanti e personaggi di ogni genere. Ad Asciano si scoprirà, per esempio, la storia della Via Lauretana che da Roma andava verso il Santuario di Loreto. Mentre alla Via Francigena sono dedicati i percorsi di Buccheri (in provincia di Siracusa), Siena e Pavia. A Mantova si potrà, invece, percorrere l’antica Via Carolingia che portò Carlo Magno dalla cittadina di Marmirolo alla Basilica di Sant’Andrea e a Roma, dove fu incoronato Imperatore.
Lungo la Via Appia, usata nel Medioevo come Via Francigena del Sud, si snoderà l’itinerario di Terracina, da dove è possibile ammirare il Circeo e le isole Ponziane. A Ragusa saranno, invece, protagoniste le Vie dei Santi, leggende di processi e processioni che passano per il Santuario della Madonna del Carmine, la Chiesa delle Anime SS. del Purgatorio e del SS. Trovato, fra degustazioni di dolci tipici e vino novello.
La manifestazione di quest’anno offrirà, poi, l’occasione di conoscere luoghi spesso chiusi al pubblico oppure scarsamente attraversati dal turismo tradizionale: dalla Chiesa di San Gregorio Armeno di Ancona al Monumento del Calvario di Ceglie Messapica, costruito per ringraziare il Signore per aver protetto la città dal colera fino agli oratori ‘dimenticati’ di Conegliano.
Non mancheranno nell’elenco dei luoghi da visitare alcuni Patrimoni Unesco: dal Santuario d’Oropa e del suo Sacro Monte a Biella e alla Cattedrale di Cosenza, fino ai conventi perduti di Feltre circondati dalle Vette Feltrine delle Dolomiti. Mentre al centro del percorso di Caserta ci sarà la Reggia vanvitelliana, punto di partenza dell’itinerario che toccherà anche la Chiesetta di Montevergine, la Chiesa di Sant'Agostino, la Cattedrale di San Michele Arcangelo e il Palazzo nobiliare dei Paternò.
Tra gli itinerari da non perdere si segna, infine, quello di Chieti, dove si andrà sulle tracce della devozione popolare nelle diverse epoche: dalla Civitella al Trivigliano, scopriremo i principali luoghi di culto di età italica, romana, medievale e moderna, in un percorso che si snoda attraverso le vie e i quartieri del centro storico della città abruzzese.
Informazioni utili
«Trekking urbano»: Italia, sedi varie. Quando: giovedì 31 ottobre 2016. Informazioni: Comune di Siena - Ufficio Turismo, tel. 0577.292128, turismo@comune.siena.it. Sito internet: www.trekkingurbano.info.
lunedì 31 ottobre 2016
venerdì 28 ottobre 2016
Napoli, Giuseppe Morra apre un nuovo museo. Al via con Cage e Duchamp
Napoli si arricchisce di un nuovo spazio espositivo. Ha da poco aperto i battenti, nel Palazzo Ayerbo D’Aragona Cassano, Casa Morra, un museo di quattromiladuecento metri quadrati che sarà gradualmente ristrutturato per accogliere l’ampia collezione di Giuseppe Morra: oltre duemila opere di artisti quali John Cage, Marcel Duchamp, Urs Lüthi o Daniel Spoerri e di movimenti contemporanei come Gutai, Happening, Fluxus, Azionismo viennese, Living Theatre e Poesia visiva.
Casa Morra, nel rione Materdei, si propone da subito non come spazio statico di esposizione di opere, bensì come archivio di arte contemporanea, luogo dinamico in grado di stimolare la riflessione e la ricerca in relazione alla società e la sua evoluzione.
Una fitta attività di conferenze, seminari, incontri porranno, infatti, l’accento anche sull’approfondimento e sulla didattica facendo così del nuovo museo una «casa delle idee».
Lo spazio si propone anche come un luogo aperto al futuro. Non a caso Giuseppe Morra ha progettato cento anni di mostre, attraverso il meccanismo del gioco dell’oca fatto di rimandi, attraversamenti e ritorni.
A inaugurare l’attività espositiva è un inedito dialogo di opere di John Cage, Marcel Duchamp e Allan Kaprow, tre artisti che hanno fatto della casualità la propria pratica creativa, applicando una svolta nel modo di vedere e percepire l’arte.
Il carattere di casualità è, per esempio, il primo tratto distintivo dell’opera «Stockroom» (1961-1992) di Allan Kaprow, come sottolineato nelle parole di Kaprow: «…questa versione di Stockroom deve essere dipinta dal visitatore in un colore diverso ogni giorno: bianco, rosso, arancione, giallo, verde, blu, viola, nero, ripetendo questa sequenza ogni otto giorni. Le persone che hanno piacere di partecipare troveranno pennelli adatti, rulli, una scala e qualche cosa per proteggere i vestiti. Sentitevi liberi di partecipare a questo procedimento».
L’introduzione alla funzione del caso richiama anche l’opera «Not Wanting To Say Anything About Marcel» (1969) di John Cage, costruita sottoponendo un’edizione del dizionario americano al «I Ching» per determinare la parola o la frase, l’immagine, la composizione e il colore.
Evocare l’imprevedibile è una metodologia per pensare l’arte anche secondo Duchamp, di cui Casa Morra propone una costruzione alternativa mostrando le diciotto incisioni realizzate per Arturo Schwarz e contenute nei suoi due volumi «The Large Glass and Related Works» del 1967-68, insieme ad altre sei importanti opere come «Rotoreliefs» e «A l’Infinitif».
L’evento inaugurale, preludio di un vortice di attività che animerà sempre più i nuovi spazi, sarà celebrato da due progetti performativi. Si inizia, alle 19 di venerdì 28 ottobre, con «CAGE 1 - 13» di Daniele Lombardi, con l’esecuzione di tredici pièces di John Cage, insieme con Ana Spasic, Jonathan Faralli, l’ensemble puntOorg, Luigi Esposito, Bruno Persico e Maria Teresa Fico. Segue, alle ore 21, la video installazione/concerto «Decameron» di Emanuel Dimas De Melo Pimenta, un lavoro complesso creato per Morra ed elaborato integralmente in realtà virtuale, un oceano di esperienze aperte alla libera partecipazione del pubblico attraverso tre tracce audio da download are e liberamente diffondere negli spazi di Casa Morra dal proprio dispositivo. Una nuova avventura, dunque, per Giuseppe Morra che ha ancora una volta come propri compagni di viaggio la curiosità e la progettualità di chi ama l’arte e il proprio lavoro.
Informazioni utili
Casa Morra, salita San Raffaele, 20 c - 80136 Napoli. Orari: da martedì a venerdì, dalle ore 10 alle ore 17 | festivi solo su appuntamento. Ingresso gratuito. Informazioni: tel. 081.5641655 o casamorra@fondazionemorra.org. Sito internet: www.fondazionemorra.org.
Casa Morra, nel rione Materdei, si propone da subito non come spazio statico di esposizione di opere, bensì come archivio di arte contemporanea, luogo dinamico in grado di stimolare la riflessione e la ricerca in relazione alla società e la sua evoluzione.
Una fitta attività di conferenze, seminari, incontri porranno, infatti, l’accento anche sull’approfondimento e sulla didattica facendo così del nuovo museo una «casa delle idee».
Lo spazio si propone anche come un luogo aperto al futuro. Non a caso Giuseppe Morra ha progettato cento anni di mostre, attraverso il meccanismo del gioco dell’oca fatto di rimandi, attraversamenti e ritorni.
A inaugurare l’attività espositiva è un inedito dialogo di opere di John Cage, Marcel Duchamp e Allan Kaprow, tre artisti che hanno fatto della casualità la propria pratica creativa, applicando una svolta nel modo di vedere e percepire l’arte.
Il carattere di casualità è, per esempio, il primo tratto distintivo dell’opera «Stockroom» (1961-1992) di Allan Kaprow, come sottolineato nelle parole di Kaprow: «…questa versione di Stockroom deve essere dipinta dal visitatore in un colore diverso ogni giorno: bianco, rosso, arancione, giallo, verde, blu, viola, nero, ripetendo questa sequenza ogni otto giorni. Le persone che hanno piacere di partecipare troveranno pennelli adatti, rulli, una scala e qualche cosa per proteggere i vestiti. Sentitevi liberi di partecipare a questo procedimento».
L’introduzione alla funzione del caso richiama anche l’opera «Not Wanting To Say Anything About Marcel» (1969) di John Cage, costruita sottoponendo un’edizione del dizionario americano al «I Ching» per determinare la parola o la frase, l’immagine, la composizione e il colore.
Evocare l’imprevedibile è una metodologia per pensare l’arte anche secondo Duchamp, di cui Casa Morra propone una costruzione alternativa mostrando le diciotto incisioni realizzate per Arturo Schwarz e contenute nei suoi due volumi «The Large Glass and Related Works» del 1967-68, insieme ad altre sei importanti opere come «Rotoreliefs» e «A l’Infinitif».
L’evento inaugurale, preludio di un vortice di attività che animerà sempre più i nuovi spazi, sarà celebrato da due progetti performativi. Si inizia, alle 19 di venerdì 28 ottobre, con «CAGE 1 - 13» di Daniele Lombardi, con l’esecuzione di tredici pièces di John Cage, insieme con Ana Spasic, Jonathan Faralli, l’ensemble puntOorg, Luigi Esposito, Bruno Persico e Maria Teresa Fico. Segue, alle ore 21, la video installazione/concerto «Decameron» di Emanuel Dimas De Melo Pimenta, un lavoro complesso creato per Morra ed elaborato integralmente in realtà virtuale, un oceano di esperienze aperte alla libera partecipazione del pubblico attraverso tre tracce audio da download are e liberamente diffondere negli spazi di Casa Morra dal proprio dispositivo. Una nuova avventura, dunque, per Giuseppe Morra che ha ancora una volta come propri compagni di viaggio la curiosità e la progettualità di chi ama l’arte e il proprio lavoro.
Informazioni utili
Casa Morra, salita San Raffaele, 20 c - 80136 Napoli. Orari: da martedì a venerdì, dalle ore 10 alle ore 17 | festivi solo su appuntamento. Ingresso gratuito. Informazioni: tel. 081.5641655 o casamorra@fondazionemorra.org. Sito internet: www.fondazionemorra.org.
giovedì 27 ottobre 2016
«Exil», a Pistoia debutta uno studio fra teatro e musica sul tema dell'esilio
È una riflessione sul tema dell’esilio, questione di scottante attualità eppure da sempre presente nella storia di tanti popoli, a tessere la trama di «Exil», progetto francese fra teatro e musica frutto della residenza artistica della Compagnie Sans Père al Funaro di Pistoia. Lo spettacolo, che verrà presentato in forma di studio il prossimo venerdì 28 ottobre sul palcoscenico toscano, nasce da un’idea della violoncellista francese Sonia Wieder-Atherton, enfant prodige cresciuta fra San Francisco e Parigi, allieva di Rostropovich e a cui la regista belga Chantal Akerman ha dedicato tre film. L’artista, nominata nel 2015 Cavaliere dell'Ordine delle arti e delle lettere, ha una biografia che è già da sè un’esplorazione della condizione di esule: nata a San Francisco da una madre di origine rumena e un padre americano, cresciuta fra New York, Mosca (per studiare con Natalia Chakhovskaïa al Conservatoire Tchaïkovski) e Parigi, si distingue per una ricerca musicale ad ampio spettro, che –per usare le parole del regista belga Chantal Akerman- «cerca, cerca ancora e sempre (...) che cerca la breccia, il suono, il respiro delle origini».
Lo spettacolo, in prova al Funaro dal 21 ottobre, vede anche la collaborazione di Sarah Koné della Compagnie Sans Père, il cui nome dichiara l’importanza di costruire un percorso individuale, «senza padri», senza patria intesa come vincolo culturale inamovibile. Con loro contribuisce alla nuova creazione il pianista pluripremiato Laurent Cabasso, allievo di Magaloff e di Sandor, di cui Le Monde dice: «Cabasso cammina sulle orme di Kempff, Haskil, Nat, Schnabel, con un istinto poetico, una libertà di andamento che lo fanno distinguere all’interno di una generazione già ricca di talenti di primo piano».
Completano la formazione sul palco del Funaro otto giovani attori: Anna Gianforcaro, Eliott Appel, Jeanne Pollacchi, Léontine Maurel, Ludmilla Bouakkaz, Manon Iside, Matthieu Louis-Marie, Violette Clapeyron. Loro lavoreranno su un brano per violoncello e pianoforte della compositrice russa, l’intensa allieva di Shostakovitch, Galina Ustvolskaya. Alternando strutture ritmiche violente a lunghi canti di speranza, il brano lascerà spazio ai testi recitati che si intrecceranno ad esso come in un oratorio. Attorno a questa struttura verranno presentate melodie per violoncello e voce. Purcell, Bach, canti ortodossi e siriani, un’elegia di Stravinsky sono alcune delle scelte fatte fino a questo momento della creazione che si completerà nel corso della residenza creativa.
«Scegliere un cast composto da giovani artisti insieme a talenti affermati –raccontano al Funaro- vuol dire da un lato tentare di mantenere un distacco emotivo che permetta di affrontare con rigore e spontaneità questioni delicate (il senso di isolamento, di alterità, del confronto con l’altro), dall’altro creare uno spettacolo che si arricchisca continuamente di diversi sguardi e di nuove spinte emotive».
«In tutti i tempi e in tutti i luoghi, popoli oppressi sono fuggiti. Spinti dalla guerra, la fame, l’estremismo, la follia omicida di altri uomini. Che fossero cacciati, deportati, strappati dalle loro vite. Che venissero dall’Asia, dall’Africa, o dall’Amercia. Che appartengano oggi al mito, alle leggende. Che sembrino sopravvissuti alla Storia o scorticati vivi dalla nostra attualità. In ogni caso sono tornati, ci hanno detto, hanno scritto la storia dell’uomo che da sempre fa male ad altri uomini. Queste parole compaiono, queste lingue sono sopravvissute al tempo e all’oblio. A noi il compito, oggi, di ascoltarle, di impararle», dice Sonia Wieder-Atherton. Dalla Bibbia al genocidio ruandese, che si tratti di un intero popolo in fuga o di una donna cinese perseguitata che scappa nella campagna: le voci di «resistenza» sono le stesse e saranno proprio queste a vivere sul palco del Funaro.
Informazioni utili
«Exil». Il Funaro Centro Culturale, via del Funaro, 16/18 – Pistoia. Quando: venerdì 28 ottobre 2016, ore 21.00. Ingresso: intero € 12,00, ridotto € 10,00 o € 8,00. Informazioni: tel/fax +39,0573.977225 | tel +39.0573.976853 | mail: info@ilfunaro.org. Sito web: www.ilfunaro.org.
Completano la formazione sul palco del Funaro otto giovani attori: Anna Gianforcaro, Eliott Appel, Jeanne Pollacchi, Léontine Maurel, Ludmilla Bouakkaz, Manon Iside, Matthieu Louis-Marie, Violette Clapeyron. Loro lavoreranno su un brano per violoncello e pianoforte della compositrice russa, l’intensa allieva di Shostakovitch, Galina Ustvolskaya. Alternando strutture ritmiche violente a lunghi canti di speranza, il brano lascerà spazio ai testi recitati che si intrecceranno ad esso come in un oratorio. Attorno a questa struttura verranno presentate melodie per violoncello e voce. Purcell, Bach, canti ortodossi e siriani, un’elegia di Stravinsky sono alcune delle scelte fatte fino a questo momento della creazione che si completerà nel corso della residenza creativa.
«Scegliere un cast composto da giovani artisti insieme a talenti affermati –raccontano al Funaro- vuol dire da un lato tentare di mantenere un distacco emotivo che permetta di affrontare con rigore e spontaneità questioni delicate (il senso di isolamento, di alterità, del confronto con l’altro), dall’altro creare uno spettacolo che si arricchisca continuamente di diversi sguardi e di nuove spinte emotive».
«In tutti i tempi e in tutti i luoghi, popoli oppressi sono fuggiti. Spinti dalla guerra, la fame, l’estremismo, la follia omicida di altri uomini. Che fossero cacciati, deportati, strappati dalle loro vite. Che venissero dall’Asia, dall’Africa, o dall’Amercia. Che appartengano oggi al mito, alle leggende. Che sembrino sopravvissuti alla Storia o scorticati vivi dalla nostra attualità. In ogni caso sono tornati, ci hanno detto, hanno scritto la storia dell’uomo che da sempre fa male ad altri uomini. Queste parole compaiono, queste lingue sono sopravvissute al tempo e all’oblio. A noi il compito, oggi, di ascoltarle, di impararle», dice Sonia Wieder-Atherton. Dalla Bibbia al genocidio ruandese, che si tratti di un intero popolo in fuga o di una donna cinese perseguitata che scappa nella campagna: le voci di «resistenza» sono le stesse e saranno proprio queste a vivere sul palco del Funaro.
Informazioni utili
«Exil». Il Funaro Centro Culturale, via del Funaro, 16/18 – Pistoia. Quando: venerdì 28 ottobre 2016, ore 21.00. Ingresso: intero € 12,00, ridotto € 10,00 o € 8,00. Informazioni: tel/fax +39,0573.977225 | tel +39.0573.976853 | mail: info@ilfunaro.org. Sito web: www.ilfunaro.org.
mercoledì 26 ottobre 2016
«Il Milione», viaggio tra le «meraviglie» di Marco Polo con laReverdie
Uno dei viaggi più avvincenti della storia, destinato a lasciare un segno incancellabile nei rapporti tra Europa e Oriente: viene descritta così da tutti l’avventura di Marco Polo raccontata nel libro «Il Milione».
Dalla lettura di questa straordinaria opera è nata l’idea di realizzare uno spettacolo teatrale, in programma sabato 29 e domenica 30 ottobre alla Fondazione Giorgio Cini, che alla voce narrante di David Riondino affianca la musica del gruppo laReverdie.
Magico è il luogo scelto per questo appuntamento: l’auditorium lo Squero sull’Isola di San Giorgio Maggiore, un nuovo spazio per la musica ricavato da un’antica officina per la riparazione delle imbarcazioni, la cui costruzione risale alla metà dell’Ottocento e la cui struttura si ispira alla grande architettura veneziana, riprendendo il modello dell’Arsenale.
Dall’acustica eccezionale, lo Squero si affaccia direttamente sulla laguna: di fronte alla platea e alle spalle dei musicisti, le pareti di vetro, come quinte naturali, aprono uno straordinario scorcio sulla laguna offrendo allo spettatore la possibilità di vivere l’esperienza unica di un concerto a bordo d’acqua.
«Meraviglioso e quotidiano, storia e leggenda, santi e briganti, re e sudditi si trovavano in un rapporto di prodigiosa contiguità con il viaggiatore che non si confrontava mai con barriere concrete e culturali inaccessibili»: sembrerà di sentir rivivere questo spirito medioevale ben descritto dallo storico d’arte Jurgis Baltrušaitis nell’incontro veneziano.
«Nella descrizione dell’altro, dell’altro mondo e delle altrui usanze e figure, non c’è in Polo nessun sentimento di supremazia, di riduzione alle proprie categorie, se non per quel che serve a rendere comprensibile il racconto -afferma, infatti, David Riondino-. Gli altri sono ancora altri, non domina-ti dalla propria visione. Polo non si sente né superiore né inferiore all’universo inedito che attraversa. Intrecciando la meraviglia all’indifferenza, il veneziano sembra instaurare con l’Oriente un rapporto alla pari. Questo rende il racconto leggero e misterioso, e assolutamente udibile oltre le filologiche curiosità.».
Il tutto viene rivisto attraverso la penna di Rustichello da Pisa, conosciuto nelle prigioni genovesi, al quale Marco Polo affida il resoconto del suo viaggio in un mondo meraviglioso ed esotico descritto con uno stile profondamente medievale. Come medievale è la musica proveniente da ambiente veneto e francese eseguita da laReverdie, uno dei gruppi italiani specializzati nel reperto-rio medievale più noti in campo internazionale, che quest’anno festeggia i suoi trenta anni di attività.
In questo nuovo viaggio -racconta Claudia Caffagni- «ci confrontiamo e dialoghiamo con la tradizione musicale che proviene dall’Oriente, grazie al contributo del Kamancheh di Rana Shieh e del Tabla di Elena Baldassarri». Ne nascerà una combinazione magica che proietta lo spettatore in quel mondo mirabile e remoto, dall’irresistibile fascino.
Informazioni utili
«Il Milione ovvero il libro delle meraviglie - Viaggio musicale sulle orme di Marco Polo». Auditorium Lo Squero, isola di San Giorgio Maggiore - Venezia. Quando: 29 ottobre 2016, ore 17.30 e 30 otto-bre 2016, ore 16.30. Ingresso: intero € 28,00, ridotto € 18,00, per comitive con più di venticinque persone riduzione del 25%. Link prevendita del 29/10: www.i-ticket.it/prevendita/index.php?cmd=event&event_id=2067. Link prevendita del 30/10: www.i-ticket.it/prevendita/index.php?cmd=event&event_id=2068. Informazioni: contacts@lareverdie.com.
Dalla lettura di questa straordinaria opera è nata l’idea di realizzare uno spettacolo teatrale, in programma sabato 29 e domenica 30 ottobre alla Fondazione Giorgio Cini, che alla voce narrante di David Riondino affianca la musica del gruppo laReverdie.
Magico è il luogo scelto per questo appuntamento: l’auditorium lo Squero sull’Isola di San Giorgio Maggiore, un nuovo spazio per la musica ricavato da un’antica officina per la riparazione delle imbarcazioni, la cui costruzione risale alla metà dell’Ottocento e la cui struttura si ispira alla grande architettura veneziana, riprendendo il modello dell’Arsenale.
Dall’acustica eccezionale, lo Squero si affaccia direttamente sulla laguna: di fronte alla platea e alle spalle dei musicisti, le pareti di vetro, come quinte naturali, aprono uno straordinario scorcio sulla laguna offrendo allo spettatore la possibilità di vivere l’esperienza unica di un concerto a bordo d’acqua.
«Meraviglioso e quotidiano, storia e leggenda, santi e briganti, re e sudditi si trovavano in un rapporto di prodigiosa contiguità con il viaggiatore che non si confrontava mai con barriere concrete e culturali inaccessibili»: sembrerà di sentir rivivere questo spirito medioevale ben descritto dallo storico d’arte Jurgis Baltrušaitis nell’incontro veneziano.
«Nella descrizione dell’altro, dell’altro mondo e delle altrui usanze e figure, non c’è in Polo nessun sentimento di supremazia, di riduzione alle proprie categorie, se non per quel che serve a rendere comprensibile il racconto -afferma, infatti, David Riondino-. Gli altri sono ancora altri, non domina-ti dalla propria visione. Polo non si sente né superiore né inferiore all’universo inedito che attraversa. Intrecciando la meraviglia all’indifferenza, il veneziano sembra instaurare con l’Oriente un rapporto alla pari. Questo rende il racconto leggero e misterioso, e assolutamente udibile oltre le filologiche curiosità.».
Il tutto viene rivisto attraverso la penna di Rustichello da Pisa, conosciuto nelle prigioni genovesi, al quale Marco Polo affida il resoconto del suo viaggio in un mondo meraviglioso ed esotico descritto con uno stile profondamente medievale. Come medievale è la musica proveniente da ambiente veneto e francese eseguita da laReverdie, uno dei gruppi italiani specializzati nel reperto-rio medievale più noti in campo internazionale, che quest’anno festeggia i suoi trenta anni di attività.
In questo nuovo viaggio -racconta Claudia Caffagni- «ci confrontiamo e dialoghiamo con la tradizione musicale che proviene dall’Oriente, grazie al contributo del Kamancheh di Rana Shieh e del Tabla di Elena Baldassarri». Ne nascerà una combinazione magica che proietta lo spettatore in quel mondo mirabile e remoto, dall’irresistibile fascino.
Informazioni utili
«Il Milione ovvero il libro delle meraviglie - Viaggio musicale sulle orme di Marco Polo». Auditorium Lo Squero, isola di San Giorgio Maggiore - Venezia. Quando: 29 ottobre 2016, ore 17.30 e 30 otto-bre 2016, ore 16.30. Ingresso: intero € 28,00, ridotto € 18,00, per comitive con più di venticinque persone riduzione del 25%. Link prevendita del 29/10: www.i-ticket.it/prevendita/index.php?cmd=event&event_id=2067. Link prevendita del 30/10: www.i-ticket.it/prevendita/index.php?cmd=event&event_id=2068. Informazioni: contacts@lareverdie.com.
martedì 25 ottobre 2016
Prato saluta il nuovo Centro Pecci
Una navicella spaziale. «Una virgola di luna». Un’architettura ad anello, color oro, con un’antenna sulla cima in grado di intercettare -e di trasmettere- fermenti, tendenze e umori della scena artistica contemporanea. Si presenta così «Sensing the Waves», il progetto ideato dall’architetto olandese Maurice Nio per rinnovare il Centro Pecci di Prato, la cui struttura fu ideata nel 1988 dal fiorentino Italo Gamberini per volontà di Enrico Pecci con l’intento di onorare la memoria del figlio Luigi, scomparso prematuramente.
Riaperto dopo nove anni di cantiere, il “nuovo” museo toscano si presenta ampliato nei suoi spazi, estendendosi ora su una superficie di oltre diecimila metri quadrati, articolata in diverse sale espositive, un archivio, una biblioteca specializzata con un patrimonio di oltre cinquantamila volumi, un teatro all’aperto per mille spettatori, un cinema-auditorium da centoquaranta posti, uno spazio performativo da quattrocento, un bookshop, un bistrot, un ristorante e varie sale d’incontro.
Ma il Centro Pecci non si presenta rinnovato solo negli spazi, che permetteranno finalmente di valorizzare al meglio la sua collezione che vanta oltre mille opere dei principali artisti internazionali: da Anish Kapoor a Jan Fabre, da Jannis Kounellis a Sol LeWitt, senza dimenticare gli italiani Mario Merz o Michelangelo Pistoletto.
Rinnovato è anche il programma culturale aperto all’interdisciplinarietà, alla commistione tra arti: il nuovo corso del museo pratese, avviato domenica 16 ottobre, promette, infatti, di indagare tutte le discipline della cultura contemporanea, toccando anche cinema, musica, perfoming arts, architettura, design, moda e letteratura e cercando, al contempo, di avvicinare il più possibile l’arte alla società.
L’opening del rinnovato e ampliato Centro Pecci di Prato spetta alla mostra «La fine del mondo», a cura di Fabio Cavallucci, che allinea, accanto a lavori storici di Marcel Duchamp e Pablo Picasso, le opere di una cinquantina di artisti contemporanei ormai affermati internazionalmente, dal nativo americano Jimmie Durham al cubano Carlos Garaicoa, dai cinesi Qiu Zhijie e Cai Guo-Qiang a giovani come il brasiliano Henrique Oliveira o lo svizzero Julian Charrière, del quale viene presentato un lavoro realizzato a quattro mani insieme al tedesco Julius Von Bismarck.
«In tempi di cambiamenti climatici globali, di guerre diffuse che hanno fatto dire al Papa che siamo di fronte alla terza guerra mondiale anche se combattuta a pezzetti, di esodi e di migrazioni irrefrenabili, di Brexit che se non di tutto il globo segna perlomeno la fine dell’Europa, -afferma Fabio Cavallucci- non sembra eccessivo parlare di fine del mondo: uno sguardo catastrofico sembrerebbe consentito ed è, diciamolo, avvallato dagli eventi. Ma non è questo il tema che la mostra vuole affrontare». A Prato si intende, infatti, far vivere al visitatore una specie di esercizio della distanza, che spinge a guardare il presente da lontano.
Lungo il percorso espositivo, secondo le nuove linee strategiche del Pecci, vengono documentati tutti linguaggi artistici: la musica, il teatro, il cinema, l’architettura e la danza contribuiscono a costruire una narrazione immersiva e coinvolgente grazie alla presenza di personalità eclettiche e visionarie che arricchiranno il racconto con il loro contributo, dalla celebre cantante Bjork all’architetto Didier Fiuza Faustino, dal drammaturgo e attore Pippo Delbono fino al musicista elettronico Joakim.
Intanto in tutta la città di Prato e anche in altri centri vicini come Firenze, Pisa, Vinci si festeggia la riapertura del Pecci con mostre e progetti che fanno ben sperare in uno slancio per l’intera scena creativa e culturale toscana.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] «Sensing the Waves», nuova ala progettata da Maurice Nio. Foto: Ivan D'Alì; [fig. 2] Map of Mythological Creatures, 2013, inchiostro su carta 7 pezzi, 120 x 240 cm, courtesy of Galleria Continua, San Gimignano / Beijing / Les Moulins / Habana; [fig. 3] Break-through (two) - yellow foam, tape, cardboard, wood, paint - variable dimensions, Luciano Romano, courtesy of Galleria Alfonso Artiaco
Informazioni utili
Centro d'arte contemporanea Pecci, viale della Repubblica, 277 - Prato. Orari: da martedì a domenica, ore 11.00-23.00; chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 7,00. Informazioni: tel. 0574.5317 o info@centropecci.it. Sito internet: http://www.centropecci.it.
Riaperto dopo nove anni di cantiere, il “nuovo” museo toscano si presenta ampliato nei suoi spazi, estendendosi ora su una superficie di oltre diecimila metri quadrati, articolata in diverse sale espositive, un archivio, una biblioteca specializzata con un patrimonio di oltre cinquantamila volumi, un teatro all’aperto per mille spettatori, un cinema-auditorium da centoquaranta posti, uno spazio performativo da quattrocento, un bookshop, un bistrot, un ristorante e varie sale d’incontro.
Ma il Centro Pecci non si presenta rinnovato solo negli spazi, che permetteranno finalmente di valorizzare al meglio la sua collezione che vanta oltre mille opere dei principali artisti internazionali: da Anish Kapoor a Jan Fabre, da Jannis Kounellis a Sol LeWitt, senza dimenticare gli italiani Mario Merz o Michelangelo Pistoletto.
Rinnovato è anche il programma culturale aperto all’interdisciplinarietà, alla commistione tra arti: il nuovo corso del museo pratese, avviato domenica 16 ottobre, promette, infatti, di indagare tutte le discipline della cultura contemporanea, toccando anche cinema, musica, perfoming arts, architettura, design, moda e letteratura e cercando, al contempo, di avvicinare il più possibile l’arte alla società.
L’opening del rinnovato e ampliato Centro Pecci di Prato spetta alla mostra «La fine del mondo», a cura di Fabio Cavallucci, che allinea, accanto a lavori storici di Marcel Duchamp e Pablo Picasso, le opere di una cinquantina di artisti contemporanei ormai affermati internazionalmente, dal nativo americano Jimmie Durham al cubano Carlos Garaicoa, dai cinesi Qiu Zhijie e Cai Guo-Qiang a giovani come il brasiliano Henrique Oliveira o lo svizzero Julian Charrière, del quale viene presentato un lavoro realizzato a quattro mani insieme al tedesco Julius Von Bismarck.
«In tempi di cambiamenti climatici globali, di guerre diffuse che hanno fatto dire al Papa che siamo di fronte alla terza guerra mondiale anche se combattuta a pezzetti, di esodi e di migrazioni irrefrenabili, di Brexit che se non di tutto il globo segna perlomeno la fine dell’Europa, -afferma Fabio Cavallucci- non sembra eccessivo parlare di fine del mondo: uno sguardo catastrofico sembrerebbe consentito ed è, diciamolo, avvallato dagli eventi. Ma non è questo il tema che la mostra vuole affrontare». A Prato si intende, infatti, far vivere al visitatore una specie di esercizio della distanza, che spinge a guardare il presente da lontano.
Lungo il percorso espositivo, secondo le nuove linee strategiche del Pecci, vengono documentati tutti linguaggi artistici: la musica, il teatro, il cinema, l’architettura e la danza contribuiscono a costruire una narrazione immersiva e coinvolgente grazie alla presenza di personalità eclettiche e visionarie che arricchiranno il racconto con il loro contributo, dalla celebre cantante Bjork all’architetto Didier Fiuza Faustino, dal drammaturgo e attore Pippo Delbono fino al musicista elettronico Joakim.
Intanto in tutta la città di Prato e anche in altri centri vicini come Firenze, Pisa, Vinci si festeggia la riapertura del Pecci con mostre e progetti che fanno ben sperare in uno slancio per l’intera scena creativa e culturale toscana.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] «Sensing the Waves», nuova ala progettata da Maurice Nio. Foto: Ivan D'Alì; [fig. 2] Map of Mythological Creatures, 2013, inchiostro su carta 7 pezzi, 120 x 240 cm, courtesy of Galleria Continua, San Gimignano / Beijing / Les Moulins / Habana; [fig. 3] Break-through (two) - yellow foam, tape, cardboard, wood, paint - variable dimensions, Luciano Romano, courtesy of Galleria Alfonso Artiaco
Informazioni utili
Centro d'arte contemporanea Pecci, viale della Repubblica, 277 - Prato. Orari: da martedì a domenica, ore 11.00-23.00; chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 7,00. Informazioni: tel. 0574.5317 o info@centropecci.it. Sito internet: http://www.centropecci.it.
lunedì 24 ottobre 2016
Bologna, ottant'anni d'arte a Villa delle Rose
Sono passati cent’anni da quando la contessa Nerina Armandi Avogli donava alla Città di di Bologna Villa delle Rose: un atto, questo, alla base della nascita della Galleria d’arte moderna cittadina che, con i suoi successivi sviluppi, avrebbe condotto all’apertura del Mambo. Per ricordare questo evento il comune felsineo promuove, nell’ambito delle celebra-zioni per il nono centenario della sua fondazione, la mostra «Villa delle Rose 1936», a cura di Uliana Zanetti e Barbara Secci, nella quale si presenta una ricostruzio-ne dell'allestimento realizzato ottanta anni or sono da Guido Zucchini, il primo a dare piena esecuzione delle volontà della donatrice includendo esclusivamente opere del XX secolo.
Nonostante le numerose perdite registrate durante la seconda guerra mondiale, grazie alle oltre cento opere superstiti e lavorando sull'attuale stato architettonico della villa è stato possibile far rivivere nelle sue linee generali quel primo assetto delle collezioni, dando la possibilità al pubblico di oggi di vedere lavori raramente esposti negli ultimi decenni. La mostra costituisce, inoltre, un'occasione per la revisione critica di un periodo ancora poco studiato della storia dell'arte bolognese.
La ricostruzione portata avanti dalle curatrici ha potuto contare su una vasta documentazione fotografica che testimonia con dovizia di particolari quale fosse l'assetto della collezione tra il 1936 e il 1940, rendendo più agevole immaginare come Zucchini abbia ragionato nell'accostare un numero di opere che oggi appare esorbitante: duecentosette lavori all'interno e diciannove sculture all'esterno della villa, tutti appartenenti al XX secolo e a centoventotto artisti quasi tutti all'epoca ancora viventi.
Il riordino delle collezioni condotto otto decenni fa riusciva a dipanare un patrimonio disorganico, spesso costruito tramite premi cittadini prestigiosi, acquisti alle Biennali, alle mostre di associazioni private o del sindacato fascista, oltre che ovviamente donazioni di svariata provenienza, rendendo comunque leggibile la distinzione fra autori disomogenei, alternando generi e stili differenti nei vari ambienti.
Il percorso espositivo del 1936 si articolava in undici sale (più la loggia d'ingresso, il portico e il giardino) di cui oggi si è cercato di mantenere l'impostazione attraverso una per quanto possibile fedele collocazione delle opere ancora disponibili.
Gaele Covelli, Giuseppe Graziosi e Giovanni Masotti, tutti vincitori del Premio Baruzzi, aprono il percorso espositivo, che continua con i lavori di Ferruccio Ferrazzi, Ferruccio Giacomelli, Casimiro Jodi, Ludovico Lambertini, Silverio Montaguti, Emilio Notte e Ferruccio Scandellari. Di quanto Zucchini aveva posizionato nella terza sala sono oggi visibili opere di Giuseppe Brugo, Ettore Burzi, Domenico Ferri, Augusto Majani, Ottavio Steffenini e Ugo Valeri, mentre della quarta sala ritroviamo i premi del Curlandese di prospettiva con Aldo Avati, Dante Comelli, Gualtiero Pontoni, Guido Venturi, e di scultura con Cleto Tomba, insieme ai paesaggi di Teodoro Wolf Ferrari e Luigi Zago. A parte vanno considerate le quattro opere superstiti di Amleto Montevecchi, con la sua accorata attenzione ai temi del lavoro e alle classi meno agiate, affiancate a uno studio di Gaetano Leonesi.
Si assiste, a seguire, al confronto tra i dipinti di due grandi maestri della pittura bolognese, Alfredo Protti e Guglielmo Pizzirani, che Zucchini collocava nella quinta sala. In mostra si ritrovano opere come «Il vestito alla marinara (Ragazzo)», «Il piumino e la Figura allo specchio» del primo: esempi fra i più riusciti di quel naturalismo addolcito e di quell'inclinazione intimista che restano cifra distintiva di molta pittura bolognese di quegli anni. Più aspro e severo appare, invece, «Mia madre e mia sorella», ritratto eseguito da Pizzirani che, pur rispettando una fedele resa del vero, documenta la persistenza nella sua arte di quei modi post-impressionisti che, se ai suoi esordi ne avevano fatto un ribelle al passo con i tempi, l'avrebbero però privato delle attenzioni di molta critica successiva.
Anche la sesta sala propone un raffronto tra due protagonisti del panorama regionale, Giovanni Romagnoli e Bruno Saetti, coronati da un esteso successo, all'epoca, nell'ambito delle esposizioni nazionali. Di Romagnoli, che fin dalla partecipazione alle mostre della Secessione Romana aveva ottenuto rilevanti riconoscimenti e che nel 1935 aveva avuto una sala personale alla Quadriennale di Roma, sono visibili tre dipinti di figura tutti premiati ai concorsi bolognesi, che restano fra i suoi capolavori: «Merlettaie» del 1921, «Ballerina con fior»i e «Toeletta» del 1923. Bruno Saetti, più giovane di una decina d'anni e all'epoca già trasferito da oltre un lustro a Venezia come docente della locale Accademia, nel 1939 avrebbe clamorosamente vinto il primo premio per la pittura alla Quadriennale romana, superando Morandi che arrivò secondo. A Villa delle Rose nel 1936 era presente con tre quadri insigniti dei premi bolognesi e con altri tre acquistati, tutti oggi visibili: due paesaggi - «Canale della Giudecca» del 1931 e «Paesaggio della Ciociaria» del 1933 - e quattro tele con figure - «Bambino con fiori» del 1926, due «Maternità» e «Donna uscita dal bagno», tutte del 1929-. Nella ricostruzione del 2016 è stato deciso di collocare in questa sala anche dipinti di Ilario Rossi e a Farpi Vignoli.
Della settima e dell'ottava sala allestite da Guido Zucchini ci rimangono opere di Ettore Bocchini, Luigi Cervellati, Gino Marzocchi, Antonio Maria Nardi, Alberto Negroni, Bruno Santi e Antonino Sartini. Della sala nove, che raggruppava disegni e stampe, sono, invece, presentate le ricercate xilografie di Francesco Dal Pozzo, le incisioni di Ubaldo Magnavacca, un monotipo di Giovanni Secchi, una altera testa di donna di Oddone Scabia, i diciotto cartoni con figure di scolaretti di Lorenzo Viani e, soprattutto, tre preziose acqueforti di Giorgio Morandi, le cui incisioni disperse vengono qui sostituite con altri esemplari degli stessi soggetti, donati al Comune di Bologna nel 1961 dall'artista stesso, facenti oggi parte del patrimonio del Museo Morandi: «Paesaggio del Poggio» (1927), «Case del Campiaro a Grizzana» (1929) e «Grande natura morta scura» (1934).
Della decima sala, che esponeva recentissime acquisizioni dell'epoca, rimangono innanzitutto il piccolo olio «Strada» di Filippo De Pisis acquistato alla V Mostra Interprovinciale d'arte e «L'auriga» (1934) del già citato Farpi Vignoli, già allora avvicinato dai critici alle temerarie sperimentazioni di Arturo Martini; sono arrivati a noi anche lavori di Pietro Angelini, Nino Bertocchi, Aldo Carboni e Mario Gamero.
Dell'undicesima sala, a chiusura del percorso, oggi abbiamo ancora le opere dei futuristi Alberto Alberti e Angelo Caviglioni, insieme a un dipinto di Mario Pozzati.
Nel dopoguerra le collezioni di Villa delle Rose si arricchirono, grazie a qualche acquisto e a diverse donazioni – talvolta intese a ricostituire il patrimonio disperso durante il conflitto – di numerose opere di pregio degli artisti bolognesi attivi nella prima metà del XX secolo. Per la mostra sono stati selezionati alcuni lavori che vengono esposti in rappresentanza di Carlo Corsi, Flavio Bertelli e Garzia Fioresi: figure troppo importanti per consentire che la dispersione di quanto mostrato nel 1936 permettesse di ignorarle. Sono state invece omesse, soprattutto per ragioni logistiche, le sculture che il catalogo di Zucchini segnalava all'esterno.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Alberto Alberti (Alberto Vincenzi), «Verso il cielo», 1931. Olio su tela, cm. 180 x 110. Acquistato dal-l'artista, 1932; [fig. 2] Giuseppe Brugo, «Giovane signora (Mughetto) », 1905-1906. Olio su tela, cm. 125 x 76. Concorso Curlandese 1905, premio di pittura; [fig. 3] Giovanni Romagnoli, «Merlettaie [Scuola di ricamo] », 1921. Olio su tela, cm. 100 x 90. Premio Baruzzi 1920; [fig. 4] Bruno Saetti, «Maternità», 1929. Olio su tela, cm. 77 x 62. Acquistato alla XVII Biennale di Venezia, 1930
Informazioni utili
«Villa delle Rose 1936». Villa delle Rose, via Saragozza 228 – 230, Bologna. Orari: da giovedì a domenica, ore 15,00-20.00; lunedì 31 ottobre (apertura straordinaria), ore 15.00-20.00.
Ingresso: intero € 5,00, ridotto € 3,00 (Card Musei Metropolitani Bologna e altri convenzionati). Sito internet: www.mambo-bologna.org. Fino al 31 ottobre 2016.
Nonostante le numerose perdite registrate durante la seconda guerra mondiale, grazie alle oltre cento opere superstiti e lavorando sull'attuale stato architettonico della villa è stato possibile far rivivere nelle sue linee generali quel primo assetto delle collezioni, dando la possibilità al pubblico di oggi di vedere lavori raramente esposti negli ultimi decenni. La mostra costituisce, inoltre, un'occasione per la revisione critica di un periodo ancora poco studiato della storia dell'arte bolognese.
La ricostruzione portata avanti dalle curatrici ha potuto contare su una vasta documentazione fotografica che testimonia con dovizia di particolari quale fosse l'assetto della collezione tra il 1936 e il 1940, rendendo più agevole immaginare come Zucchini abbia ragionato nell'accostare un numero di opere che oggi appare esorbitante: duecentosette lavori all'interno e diciannove sculture all'esterno della villa, tutti appartenenti al XX secolo e a centoventotto artisti quasi tutti all'epoca ancora viventi.
Il riordino delle collezioni condotto otto decenni fa riusciva a dipanare un patrimonio disorganico, spesso costruito tramite premi cittadini prestigiosi, acquisti alle Biennali, alle mostre di associazioni private o del sindacato fascista, oltre che ovviamente donazioni di svariata provenienza, rendendo comunque leggibile la distinzione fra autori disomogenei, alternando generi e stili differenti nei vari ambienti.
Il percorso espositivo del 1936 si articolava in undici sale (più la loggia d'ingresso, il portico e il giardino) di cui oggi si è cercato di mantenere l'impostazione attraverso una per quanto possibile fedele collocazione delle opere ancora disponibili.
Gaele Covelli, Giuseppe Graziosi e Giovanni Masotti, tutti vincitori del Premio Baruzzi, aprono il percorso espositivo, che continua con i lavori di Ferruccio Ferrazzi, Ferruccio Giacomelli, Casimiro Jodi, Ludovico Lambertini, Silverio Montaguti, Emilio Notte e Ferruccio Scandellari. Di quanto Zucchini aveva posizionato nella terza sala sono oggi visibili opere di Giuseppe Brugo, Ettore Burzi, Domenico Ferri, Augusto Majani, Ottavio Steffenini e Ugo Valeri, mentre della quarta sala ritroviamo i premi del Curlandese di prospettiva con Aldo Avati, Dante Comelli, Gualtiero Pontoni, Guido Venturi, e di scultura con Cleto Tomba, insieme ai paesaggi di Teodoro Wolf Ferrari e Luigi Zago. A parte vanno considerate le quattro opere superstiti di Amleto Montevecchi, con la sua accorata attenzione ai temi del lavoro e alle classi meno agiate, affiancate a uno studio di Gaetano Leonesi.
Si assiste, a seguire, al confronto tra i dipinti di due grandi maestri della pittura bolognese, Alfredo Protti e Guglielmo Pizzirani, che Zucchini collocava nella quinta sala. In mostra si ritrovano opere come «Il vestito alla marinara (Ragazzo)», «Il piumino e la Figura allo specchio» del primo: esempi fra i più riusciti di quel naturalismo addolcito e di quell'inclinazione intimista che restano cifra distintiva di molta pittura bolognese di quegli anni. Più aspro e severo appare, invece, «Mia madre e mia sorella», ritratto eseguito da Pizzirani che, pur rispettando una fedele resa del vero, documenta la persistenza nella sua arte di quei modi post-impressionisti che, se ai suoi esordi ne avevano fatto un ribelle al passo con i tempi, l'avrebbero però privato delle attenzioni di molta critica successiva.
Anche la sesta sala propone un raffronto tra due protagonisti del panorama regionale, Giovanni Romagnoli e Bruno Saetti, coronati da un esteso successo, all'epoca, nell'ambito delle esposizioni nazionali. Di Romagnoli, che fin dalla partecipazione alle mostre della Secessione Romana aveva ottenuto rilevanti riconoscimenti e che nel 1935 aveva avuto una sala personale alla Quadriennale di Roma, sono visibili tre dipinti di figura tutti premiati ai concorsi bolognesi, che restano fra i suoi capolavori: «Merlettaie» del 1921, «Ballerina con fior»i e «Toeletta» del 1923. Bruno Saetti, più giovane di una decina d'anni e all'epoca già trasferito da oltre un lustro a Venezia come docente della locale Accademia, nel 1939 avrebbe clamorosamente vinto il primo premio per la pittura alla Quadriennale romana, superando Morandi che arrivò secondo. A Villa delle Rose nel 1936 era presente con tre quadri insigniti dei premi bolognesi e con altri tre acquistati, tutti oggi visibili: due paesaggi - «Canale della Giudecca» del 1931 e «Paesaggio della Ciociaria» del 1933 - e quattro tele con figure - «Bambino con fiori» del 1926, due «Maternità» e «Donna uscita dal bagno», tutte del 1929-. Nella ricostruzione del 2016 è stato deciso di collocare in questa sala anche dipinti di Ilario Rossi e a Farpi Vignoli.
Della settima e dell'ottava sala allestite da Guido Zucchini ci rimangono opere di Ettore Bocchini, Luigi Cervellati, Gino Marzocchi, Antonio Maria Nardi, Alberto Negroni, Bruno Santi e Antonino Sartini. Della sala nove, che raggruppava disegni e stampe, sono, invece, presentate le ricercate xilografie di Francesco Dal Pozzo, le incisioni di Ubaldo Magnavacca, un monotipo di Giovanni Secchi, una altera testa di donna di Oddone Scabia, i diciotto cartoni con figure di scolaretti di Lorenzo Viani e, soprattutto, tre preziose acqueforti di Giorgio Morandi, le cui incisioni disperse vengono qui sostituite con altri esemplari degli stessi soggetti, donati al Comune di Bologna nel 1961 dall'artista stesso, facenti oggi parte del patrimonio del Museo Morandi: «Paesaggio del Poggio» (1927), «Case del Campiaro a Grizzana» (1929) e «Grande natura morta scura» (1934).
Della decima sala, che esponeva recentissime acquisizioni dell'epoca, rimangono innanzitutto il piccolo olio «Strada» di Filippo De Pisis acquistato alla V Mostra Interprovinciale d'arte e «L'auriga» (1934) del già citato Farpi Vignoli, già allora avvicinato dai critici alle temerarie sperimentazioni di Arturo Martini; sono arrivati a noi anche lavori di Pietro Angelini, Nino Bertocchi, Aldo Carboni e Mario Gamero.
Dell'undicesima sala, a chiusura del percorso, oggi abbiamo ancora le opere dei futuristi Alberto Alberti e Angelo Caviglioni, insieme a un dipinto di Mario Pozzati.
Nel dopoguerra le collezioni di Villa delle Rose si arricchirono, grazie a qualche acquisto e a diverse donazioni – talvolta intese a ricostituire il patrimonio disperso durante il conflitto – di numerose opere di pregio degli artisti bolognesi attivi nella prima metà del XX secolo. Per la mostra sono stati selezionati alcuni lavori che vengono esposti in rappresentanza di Carlo Corsi, Flavio Bertelli e Garzia Fioresi: figure troppo importanti per consentire che la dispersione di quanto mostrato nel 1936 permettesse di ignorarle. Sono state invece omesse, soprattutto per ragioni logistiche, le sculture che il catalogo di Zucchini segnalava all'esterno.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Alberto Alberti (Alberto Vincenzi), «Verso il cielo», 1931. Olio su tela, cm. 180 x 110. Acquistato dal-l'artista, 1932; [fig. 2] Giuseppe Brugo, «Giovane signora (Mughetto) », 1905-1906. Olio su tela, cm. 125 x 76. Concorso Curlandese 1905, premio di pittura; [fig. 3] Giovanni Romagnoli, «Merlettaie [Scuola di ricamo] », 1921. Olio su tela, cm. 100 x 90. Premio Baruzzi 1920; [fig. 4] Bruno Saetti, «Maternità», 1929. Olio su tela, cm. 77 x 62. Acquistato alla XVII Biennale di Venezia, 1930
Informazioni utili
«Villa delle Rose 1936». Villa delle Rose, via Saragozza 228 – 230, Bologna. Orari: da giovedì a domenica, ore 15,00-20.00; lunedì 31 ottobre (apertura straordinaria), ore 15.00-20.00.
Ingresso: intero € 5,00, ridotto € 3,00 (Card Musei Metropolitani Bologna e altri convenzionati). Sito internet: www.mambo-bologna.org. Fino al 31 ottobre 2016.
venerdì 21 ottobre 2016
Rapporto Federculture, in Italia cresce il consumo culturale
È una buona notizia quella che emerge dalle pagine del dodicesimo Rapporto annuale Federculture presentato nei giorni scorsi a Roma, negli spazi del Maxxi. Il volume, edito da Gangemi e realizzato quest’anno in collaborazione con Agis, racconta, infatti, di un momento positivo per la cultura in Italia.
Maggiori risorse economiche per il settore, crescente autonomia operativa ai musei statali, nuovo protagonismo nelle politiche nazionali per gli operatori delle attività ricreative: questi sono, infatti, i dati che si leggono nel libro «Impresa Cultura. Creatività, partecipazione, competitività», introdotto da una prefazione di Dario Franceschini.
Il rapporto descrive un settore investito, dopo anni di stasi, da politiche di respiro strategico che coniugano valorizzazione della cultura, come uno dei maggiori fattori competitivi dell'Italia, e promozione della conoscenza, in particolare tra i giovani, per favorire la partecipazione dei cittadini alla tutela e fruizione del patrimonio nazionale.
Questo impegno sembra dare risultati positivi: gli italiani sono tornati a teatro (+4% sul 2014 e +8% sul 2013), nei musei (+7% e +18%), e nei siti archeologici (+8 e + 16%).
Il consumo culturale è cresciuto soprattutto tra le nuove generazioni: nella fascia di età 15-17 anni la fruizione teatrale aumenta del 16,6% e quella dei musei del 10,6%; in quella 20-24 anni si registra per il teatro una crescita dell’11,4%, per musei e mostre un +14,3%, nei concerti di musica classica +8,2%.
Tuttavia, in un quadro complessivamente positivo, non si possono tralasciare alcuni elementi di criticità che rischiano di frenare la ripresa e il recupero di competitività, anche internazionale, del settore e dell’intero sistema Paese. Tra questi, per esempio, il fatto che la partecipazione alla cultura sia ancora diffusa tra fasce ristrette della popolazione: l’astensione culturale, in calo nel 2015 del 4% rispetto all’anno precedente, riguarda ancora il 18,5% dei cittadini vale a dire circa 11 milioni di italiani che non fruiscono di cinema, teatro, musei, concerti, né praticano la lettura. E in particolare sul fronte della lettura i dati sono sconfortanti: nel 2015 si stima che meno di un italiano su due, cioè il 42% delle persone di 6 anni e più (circa 24 milioni), abbia letto almeno un libro, cifra stabile rispetto all’anno precedente, ma complessivamente in calo da diversi anni (nel 2010 la percentuale di lettori era del 47% circa).
Inoltre, esiste un evidente ritardo del Mezzogiorno del Paese, dove tutti gli indicatori seppure positivi sono decisamente inferiori al resto della penisola. Per esempio la spesa media mensile delle famiglie dedicata a cultura, spettacoli e ricreazione che, a livello nazionale è pari a 126,41 euro, nel nord-est è di 159 euro, nel centro il dato scende a 128 euro e crolla nel sud e nelle isole rispettivamente a 84 e 78 euro, la metà di quanto si spende nel triveneto e circa due terzi della spesa media nazionale.
Inoltre, sul fronte del turismo, se da una parte recuperiamo ben diciotto posizioni nella classifica della competitività turistica del World Economic Forum passando dal ventiseiesimo posto del 2013 all’ottavo del 2015, arrivi e presenze sono ancora è fortemente concentrato in alcune regioni e gran parte delle numerose attrattive del territorio, in particolar modo ancora una volta al Sud, non sono adeguatamente valorizzate. Ne è un chiaro indicatore il fatto che il 64,5% della spesa turistica degli stranieri si concentra in cinque regioni (Lazio, Lombardia, Veneto, Toscana, Campania), con differenze molto significative: ad esempio in Lombardia i turisti stranieri hanno speso 6 miliardi di euro e in Sardegna esattamente un decimo, 600 milioni.
Un analogo problema di concentrazione si registra sul fronte dei visitatori dei musei che per l’86% si riversano in 5 regioni – Lazio, Campania, Toscana, Piemonte, Lombardia – con i siti del Lazio che ne accolgono quasi 20 milioni, quelli della Campania e Toscana circa 7 milioni ciascuna, mentre in molte altre regioni, come Basilicata, Abruzzo, Calabria, se ne registrano poche centinaia di migliaia.
Dunque, seppure ci sia un’inequivocabile tendenza all’investimento e alla promozione della crescita del settore e una chiara disponibilità a considerare la cultura come un valore per il Paese, è necessario approfondire e intensificare le azioni intraprese per renderle più efficaci nel raggiungimento degli obiettivi.
Federculture ha individuato alcuni nodi cruciali sui quali intervenire come, per esempio, la defiscalizzazione del consumo culturale, l’estensione dell’Art bonus a tutti i soggetti che praticano cultura, la promozione dell’applicazione del bonus giovani, sperimentandone anche una possibile estensione alla popolazione anziana.
«Le nostre sono alcune proposte che potrebbero dare una nuova spinta ad un settore del Paese che è fortemente connesso con lo sviluppo dell'economia -sottolinea il presidente di Federculture Andrea Cacellato-. In modo particolare, il sostegno al consumo culturale può rappresentare la grande svolta capace di mettere in gioco risorse inaspettate, che possono moltiplicare gli effetti nella produzione culturale e nella vita delle Istituzioni, liberando anche una salutare competizione, in connessione con l’aumento della partecipazione dei cittadini alla vita culturale delle città e del Paese. La tensione che tutti dobbiamo avere verso la crescita economica, come fattore indispensabile per aiutare il Paese ad uscire da una lunga e difficile crisi, non può sottacere anche il ruolo che abbiamo nella crescita culturale, premessa necessaria, per rendere il nostro Paese più aperto alla conoscenza, più curioso del futuro, più consapevole dei propri mezzi. Ci sono tutte le condizioni, questa volta, per una vera svolta».
Informazioni utili
www.federculture.it
Maggiori risorse economiche per il settore, crescente autonomia operativa ai musei statali, nuovo protagonismo nelle politiche nazionali per gli operatori delle attività ricreative: questi sono, infatti, i dati che si leggono nel libro «Impresa Cultura. Creatività, partecipazione, competitività», introdotto da una prefazione di Dario Franceschini.
Il rapporto descrive un settore investito, dopo anni di stasi, da politiche di respiro strategico che coniugano valorizzazione della cultura, come uno dei maggiori fattori competitivi dell'Italia, e promozione della conoscenza, in particolare tra i giovani, per favorire la partecipazione dei cittadini alla tutela e fruizione del patrimonio nazionale.
Questo impegno sembra dare risultati positivi: gli italiani sono tornati a teatro (+4% sul 2014 e +8% sul 2013), nei musei (+7% e +18%), e nei siti archeologici (+8 e + 16%).
Il consumo culturale è cresciuto soprattutto tra le nuove generazioni: nella fascia di età 15-17 anni la fruizione teatrale aumenta del 16,6% e quella dei musei del 10,6%; in quella 20-24 anni si registra per il teatro una crescita dell’11,4%, per musei e mostre un +14,3%, nei concerti di musica classica +8,2%.
Tuttavia, in un quadro complessivamente positivo, non si possono tralasciare alcuni elementi di criticità che rischiano di frenare la ripresa e il recupero di competitività, anche internazionale, del settore e dell’intero sistema Paese. Tra questi, per esempio, il fatto che la partecipazione alla cultura sia ancora diffusa tra fasce ristrette della popolazione: l’astensione culturale, in calo nel 2015 del 4% rispetto all’anno precedente, riguarda ancora il 18,5% dei cittadini vale a dire circa 11 milioni di italiani che non fruiscono di cinema, teatro, musei, concerti, né praticano la lettura. E in particolare sul fronte della lettura i dati sono sconfortanti: nel 2015 si stima che meno di un italiano su due, cioè il 42% delle persone di 6 anni e più (circa 24 milioni), abbia letto almeno un libro, cifra stabile rispetto all’anno precedente, ma complessivamente in calo da diversi anni (nel 2010 la percentuale di lettori era del 47% circa).
Inoltre, esiste un evidente ritardo del Mezzogiorno del Paese, dove tutti gli indicatori seppure positivi sono decisamente inferiori al resto della penisola. Per esempio la spesa media mensile delle famiglie dedicata a cultura, spettacoli e ricreazione che, a livello nazionale è pari a 126,41 euro, nel nord-est è di 159 euro, nel centro il dato scende a 128 euro e crolla nel sud e nelle isole rispettivamente a 84 e 78 euro, la metà di quanto si spende nel triveneto e circa due terzi della spesa media nazionale.
Inoltre, sul fronte del turismo, se da una parte recuperiamo ben diciotto posizioni nella classifica della competitività turistica del World Economic Forum passando dal ventiseiesimo posto del 2013 all’ottavo del 2015, arrivi e presenze sono ancora è fortemente concentrato in alcune regioni e gran parte delle numerose attrattive del territorio, in particolar modo ancora una volta al Sud, non sono adeguatamente valorizzate. Ne è un chiaro indicatore il fatto che il 64,5% della spesa turistica degli stranieri si concentra in cinque regioni (Lazio, Lombardia, Veneto, Toscana, Campania), con differenze molto significative: ad esempio in Lombardia i turisti stranieri hanno speso 6 miliardi di euro e in Sardegna esattamente un decimo, 600 milioni.
Un analogo problema di concentrazione si registra sul fronte dei visitatori dei musei che per l’86% si riversano in 5 regioni – Lazio, Campania, Toscana, Piemonte, Lombardia – con i siti del Lazio che ne accolgono quasi 20 milioni, quelli della Campania e Toscana circa 7 milioni ciascuna, mentre in molte altre regioni, come Basilicata, Abruzzo, Calabria, se ne registrano poche centinaia di migliaia.
Dunque, seppure ci sia un’inequivocabile tendenza all’investimento e alla promozione della crescita del settore e una chiara disponibilità a considerare la cultura come un valore per il Paese, è necessario approfondire e intensificare le azioni intraprese per renderle più efficaci nel raggiungimento degli obiettivi.
Federculture ha individuato alcuni nodi cruciali sui quali intervenire come, per esempio, la defiscalizzazione del consumo culturale, l’estensione dell’Art bonus a tutti i soggetti che praticano cultura, la promozione dell’applicazione del bonus giovani, sperimentandone anche una possibile estensione alla popolazione anziana.
«Le nostre sono alcune proposte che potrebbero dare una nuova spinta ad un settore del Paese che è fortemente connesso con lo sviluppo dell'economia -sottolinea il presidente di Federculture Andrea Cacellato-. In modo particolare, il sostegno al consumo culturale può rappresentare la grande svolta capace di mettere in gioco risorse inaspettate, che possono moltiplicare gli effetti nella produzione culturale e nella vita delle Istituzioni, liberando anche una salutare competizione, in connessione con l’aumento della partecipazione dei cittadini alla vita culturale delle città e del Paese. La tensione che tutti dobbiamo avere verso la crescita economica, come fattore indispensabile per aiutare il Paese ad uscire da una lunga e difficile crisi, non può sottacere anche il ruolo che abbiamo nella crescita culturale, premessa necessaria, per rendere il nostro Paese più aperto alla conoscenza, più curioso del futuro, più consapevole dei propri mezzi. Ci sono tutte le condizioni, questa volta, per una vera svolta».
Informazioni utili
www.federculture.it
giovedì 20 ottobre 2016
Busto Arsizio, doppio sold out per «Wonderland»
Si è aperta con un doppio sold out la stagione 2016/2017 del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio, intitolata «Mettiamo in circolo la cultura» e inserita nel cartellone cittadino «Ba Teatro».
Più di milletrecento spettatori hanno, infatti, assistito alle due repliche di «Wonderland», musical per la regia di Daniele Nunziata e Omar Picchi, andato in scena nelle serate di venerdì 14 e sabato 15 ottobre nella sala di via Calatafimi.
Sul palco è salito il Gat – Gruppo animazione teatrale dell’oratorio «San Filippo Neri», legato alla parrocchia di San Michele Arcangelo: più di una cinquantina di ragazzi di età compresa tra i 15 e i 25 anni impegnati a recitare, ballare, cantare e dare vita così a un’inedita storia di «Alice nel paese delle meraviglie», che ha entusiasmato il pubblico presente in sala.
Numerosi applausi hanno, infatti, accompagnato i passaggi chiave dello spettacolo, nel quale la bambina nata dalla fantasia di Lewis Carroll, ormai diventata adulta, sposata e con una figlia, si ritrova ancora una volta a «Wonderland», in compagnia di misteriosi e bizzarri personaggi come il Cappellaio matto, la Regina di cuori, il Bianconiglio e il Brucaliffo. Il viaggio nella fantasia è, per Alice, anche un viaggio dentro se stessa, alla scoperta di ciò che veramente conta nella vita, di quel mondo di buoni sentimenti che ha conosciuto da bambina e che ha perso, da grande, per inseguire successo e vane chimere.
In apertura di stagione un ricordo di Dario Fo e il grazie ai sostenitori
Ad aprire le due serate è stato Marco Bianchi, presidente del Manzoni di Busto Arsizio, che ha sottolineato come la nuova stagione vedrà l’arrivo in città di conosciuti e apprezzati protagonisti del teatro italiano come Stefania e Amanda Sandrelli, Enzo De Caro, Anna Galiena, Sebastiano Somma e Renato Pozzetto.
«Prima di dare il via a questo fantastico musical -ha dichiarato ancora Manco Bianchi- vorrei rendere omaggio al grande maestro Dario Fo che, con i suoi insegnamenti e la sua bravura, è riuscito a infondere a numerose persone lo spirito e la magia dell’arte teatrale. Per Fo il teatro era passione e impegno civile, un’occasione per suscitare riflessione e offrire conoscenza. Anche per noi del Manzoni il teatro non è solo divertimento, ma anche strumento di confronto e di dialogo».
Don Federico Cinocca, coadiutore dell’oratorio «San Filippo Neri», ha, invece, voluto ringraziare tutti i sostenitori che, attraverso un progetto triennale di sponsorizzazioni (2016-2018) coordinato da Osvaldo Gallazzi, stanno aiutando a realizzare molte iniziative per rendere l’oratorio e il teatro sempre più accoglienti. «Non si tratta soltanto di una contribuzione economica, ma di una vera e propria rete di relazioni che vogliono mostrare attenzione a tutte le famiglie e ai bisogni della nostra comunità», ha dichiarato don Federico Cinocca, prima di parlare dell’ultima attività formativa nata all’interno del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio: «Il cantiere delle arti».
La sala di via Calatafimi si apre, infatti, da quest’anno anche ai più piccoli grazie alla collaborazione con la neonata associazione «Culturando», che ha da poco avviato il corso «Attori in erba», riservato ai bambini dai 6 ai 12 anni, le cui iscrizioni rimarranno aperte fino alla metà di novembre. Oltre trenta gli iscritti che hanno preso parte alle prime due lezioni, provenienti non solo da Busto Arsizio, ma anche da vari paesi limitrofi come Olgiate, Fagnano, Ferno, Samarate e Magnago.
«Tutti all’opera con…Gioachino Rossini e Lele Luzzati» è il tema scelto per questa prima edizione del laboratorio, ideata con l’intento di avvicinare i più piccoli al mondo del teatro e dell’opera lirica attraverso la figura del «cigno di Pesaro» e alcune delle sue opere più importanti come «Il barbiere di Siviglia», «La cenerentola», «Guglielmo Tell» e «La gazza ladra», rivisitate anche attraverso le illustrazioni di Lele Luzzati e di altri artisti contemporanei. Il saggio-spettacolo di fine corso è in agenda per la serata di martedì 9 maggio 2017.
A novembre riflettori puntati sulle Sandrelli
La stagione teatrale del Manzoni di Busto Arsizio, il cui cartellone è stato curato da Maria Ricucci dell’agenzia InTeatro di Opera (Milano), proseguirà nella serata di mercoledì 23 novembre con la commedia «Il bagno» di Astrid Veillon, nell’adattamento di Beatriz Santana e Pilar Ruiz Gutiérrez e nella traduzione italiana di David Conati (biglietti in vendita da mercoledì 16 novembre a € 30,00 per la poltronissima, € 26,00 o € 24,00 per la poltrona, € 25,00 o € 23,00 per la galleria). Si tratta di «uno spettacolo divertente e sincero -si legge nella presentazione-, diretto con intelligenza da uno dei registi più interessanti e prolifici della scena spagnola, Gabriel Olivares, che promette tante risate e un cast di donne eccezionali». Sul palco della sala bustese di via Calatafimi salirà, infatti, Stefania Sandrelli, con la figlia Amanda e Claudia Ferri.
Nel frattempo, oltre alle gradite prime visioni cinematografie -le uniche, attualmente, in agenda a Busto Arsizio-, la sala proseguirà la programmazione della rassegna «Mercoledì d’essai», inserita nel progetto «Sguardi d’essai». Tra i prossimi appuntamenti in calendario: «Gli invisibili» di Oren Moverman (mercoledì 26 ottobre), «Truman – Un vero amico è per sempre» (9 novembre 2016) e «Land of mine - Sotto la sabbia» di Martin Zandvliet (16 novembre 2016). Una programmazione, dunque, varia quella del Manzoni di Busto Arsizio, da sempre attento a creare occasioni di divertimento, ma anche di riflessione intelligente tese a stimolare il dialogo tra il pubblico.
Didascalie delle immagini
Foto di Mario Brancato
Informazioni utili
Teatro Manzoni, via Calatafimi 5 - 21052 Busto Arsizio (Varese), tel.0331.677961 (in orario serale), info@cinemateatromanzoni.it. Sito web: www.cinemateatromanzoni.it.
Più di milletrecento spettatori hanno, infatti, assistito alle due repliche di «Wonderland», musical per la regia di Daniele Nunziata e Omar Picchi, andato in scena nelle serate di venerdì 14 e sabato 15 ottobre nella sala di via Calatafimi.
Sul palco è salito il Gat – Gruppo animazione teatrale dell’oratorio «San Filippo Neri», legato alla parrocchia di San Michele Arcangelo: più di una cinquantina di ragazzi di età compresa tra i 15 e i 25 anni impegnati a recitare, ballare, cantare e dare vita così a un’inedita storia di «Alice nel paese delle meraviglie», che ha entusiasmato il pubblico presente in sala.
Numerosi applausi hanno, infatti, accompagnato i passaggi chiave dello spettacolo, nel quale la bambina nata dalla fantasia di Lewis Carroll, ormai diventata adulta, sposata e con una figlia, si ritrova ancora una volta a «Wonderland», in compagnia di misteriosi e bizzarri personaggi come il Cappellaio matto, la Regina di cuori, il Bianconiglio e il Brucaliffo. Il viaggio nella fantasia è, per Alice, anche un viaggio dentro se stessa, alla scoperta di ciò che veramente conta nella vita, di quel mondo di buoni sentimenti che ha conosciuto da bambina e che ha perso, da grande, per inseguire successo e vane chimere.
In apertura di stagione un ricordo di Dario Fo e il grazie ai sostenitori
Ad aprire le due serate è stato Marco Bianchi, presidente del Manzoni di Busto Arsizio, che ha sottolineato come la nuova stagione vedrà l’arrivo in città di conosciuti e apprezzati protagonisti del teatro italiano come Stefania e Amanda Sandrelli, Enzo De Caro, Anna Galiena, Sebastiano Somma e Renato Pozzetto.
«Prima di dare il via a questo fantastico musical -ha dichiarato ancora Manco Bianchi- vorrei rendere omaggio al grande maestro Dario Fo che, con i suoi insegnamenti e la sua bravura, è riuscito a infondere a numerose persone lo spirito e la magia dell’arte teatrale. Per Fo il teatro era passione e impegno civile, un’occasione per suscitare riflessione e offrire conoscenza. Anche per noi del Manzoni il teatro non è solo divertimento, ma anche strumento di confronto e di dialogo».
Don Federico Cinocca, coadiutore dell’oratorio «San Filippo Neri», ha, invece, voluto ringraziare tutti i sostenitori che, attraverso un progetto triennale di sponsorizzazioni (2016-2018) coordinato da Osvaldo Gallazzi, stanno aiutando a realizzare molte iniziative per rendere l’oratorio e il teatro sempre più accoglienti. «Non si tratta soltanto di una contribuzione economica, ma di una vera e propria rete di relazioni che vogliono mostrare attenzione a tutte le famiglie e ai bisogni della nostra comunità», ha dichiarato don Federico Cinocca, prima di parlare dell’ultima attività formativa nata all’interno del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio: «Il cantiere delle arti».
La sala di via Calatafimi si apre, infatti, da quest’anno anche ai più piccoli grazie alla collaborazione con la neonata associazione «Culturando», che ha da poco avviato il corso «Attori in erba», riservato ai bambini dai 6 ai 12 anni, le cui iscrizioni rimarranno aperte fino alla metà di novembre. Oltre trenta gli iscritti che hanno preso parte alle prime due lezioni, provenienti non solo da Busto Arsizio, ma anche da vari paesi limitrofi come Olgiate, Fagnano, Ferno, Samarate e Magnago.
«Tutti all’opera con…Gioachino Rossini e Lele Luzzati» è il tema scelto per questa prima edizione del laboratorio, ideata con l’intento di avvicinare i più piccoli al mondo del teatro e dell’opera lirica attraverso la figura del «cigno di Pesaro» e alcune delle sue opere più importanti come «Il barbiere di Siviglia», «La cenerentola», «Guglielmo Tell» e «La gazza ladra», rivisitate anche attraverso le illustrazioni di Lele Luzzati e di altri artisti contemporanei. Il saggio-spettacolo di fine corso è in agenda per la serata di martedì 9 maggio 2017.
A novembre riflettori puntati sulle Sandrelli
La stagione teatrale del Manzoni di Busto Arsizio, il cui cartellone è stato curato da Maria Ricucci dell’agenzia InTeatro di Opera (Milano), proseguirà nella serata di mercoledì 23 novembre con la commedia «Il bagno» di Astrid Veillon, nell’adattamento di Beatriz Santana e Pilar Ruiz Gutiérrez e nella traduzione italiana di David Conati (biglietti in vendita da mercoledì 16 novembre a € 30,00 per la poltronissima, € 26,00 o € 24,00 per la poltrona, € 25,00 o € 23,00 per la galleria). Si tratta di «uno spettacolo divertente e sincero -si legge nella presentazione-, diretto con intelligenza da uno dei registi più interessanti e prolifici della scena spagnola, Gabriel Olivares, che promette tante risate e un cast di donne eccezionali». Sul palco della sala bustese di via Calatafimi salirà, infatti, Stefania Sandrelli, con la figlia Amanda e Claudia Ferri.
Nel frattempo, oltre alle gradite prime visioni cinematografie -le uniche, attualmente, in agenda a Busto Arsizio-, la sala proseguirà la programmazione della rassegna «Mercoledì d’essai», inserita nel progetto «Sguardi d’essai». Tra i prossimi appuntamenti in calendario: «Gli invisibili» di Oren Moverman (mercoledì 26 ottobre), «Truman – Un vero amico è per sempre» (9 novembre 2016) e «Land of mine - Sotto la sabbia» di Martin Zandvliet (16 novembre 2016). Una programmazione, dunque, varia quella del Manzoni di Busto Arsizio, da sempre attento a creare occasioni di divertimento, ma anche di riflessione intelligente tese a stimolare il dialogo tra il pubblico.
Didascalie delle immagini
Foto di Mario Brancato
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Teatro Manzoni, via Calatafimi 5 - 21052 Busto Arsizio (Varese), tel.
mercoledì 19 ottobre 2016
«FdB Modern», scultori contemporanei al Forte di Bard
Sono oltre quaranta le opere d’arte moderna e contemporanea che compongono il progetto FdB Modern, la cui inaugurazione ufficiale si è tenuta lo scorso week-end al Forte di Bard, uno dei migliori esempi di fortezza di sbarramento dell’Ottocento, collocato all’ingresso della Valle d’Aosta, che vide il passaggio, tra gli altri, di Napoleone Bonaparte e di Camillo Benso Conte di Cavour. Il percorso, concepito per essere permanente, si articola lungo i camminamenti esterni e i volumi imponenti dei corpi di fabbrica della fortezza ottocentesca. Le sculture esposte, tutte patrimonio del Forte, sono rappresentative dei diversi linguaggi dell’arte italiana del XX secolo. Si spazia, infatti, dal classicismo figurativo di Francesco Messina e Floriano Bodini a quello più sperimentale di Giacomo Manzù, dai personaggi ibridi e tormentati di Augusto Perez e Luciano Minguzzi alle forme astratte di Arnaldo e Giò Pomodoro, Andrea Cascella e Umberto Mastroianni sino all’arte concettuale di Gregorio Botta. Il linguaggio della scultura si è rivelato particolarmente adatto a valorizzare la complessa architettura della fortezza: le opere d’arte si appropriano degli spazi con la loro salda tridimensionalità e li investono di valenze estetiche e significati inediti.
L’intervento di Richard Long, uno dei maestri maggiori della Land Art, e la fontana in movimento perpetuo di Pol Bury ridisegnano l’area su cui si affacciano le Scuderie del Forte, così come l’opera di Giuseppe Maraniello; mentre i Business Men di Willian McElcheran sono collocati nel Passage du Fort.
Le opere dei grandi scultori internazionali instaurano un dialogo privilegiato anche con gli ambienti interni della fortezza: da Aristide Maillol, che a inizio Novecento rivoluziona la concezione di monumento, a Tony Cragg, uno dei più importanti scultori inglesi del nostro tempo.
Nelle sale del corpo di guardia dell’Opera Carlo Alberto il visitatore ha modo di confrontarsi con gli altri linguaggi delle arti visive: un olio su carta di Paul Klee, le fotografie di Steve Mc Curry, Ferdinando Scianna, Josef Koudelka, René Burri, Alex Majoli, Yann Arthus Bertrand, Stuart Franklin, René Burri e Bert Stern, sino ai wall drawings concepiti e realizzati da David Tremlett per il bookshop.
In contemporanea i visitatori potranno vedere, fino al prossimo 13 novembre, una mostra su Elliott Erwitt, a cura di Andrea Holzherr e Gabriele Accornero, con centotrentasette immagini scattate tra il 1948 e 2005, ma anche una retrospettiva su Marc Chagall, con più di duecentosessanta opere tra dipinti, acquerelli, gouaches, litografie, ceramiche e tappezzerie.
L'esposizione prende il titolo da «Le Vie», imponente olio su tela realizzato nel 1964, di proprietà della Fondation Marguerite et Aimé Maeght di Saint-Paul-de-Vence, elemento centrale dell'intero percorso espositivo. Attraverso questa autobiografia per immagini, il pubblico è invitato a una nuova lettura dell'opera chagalliana, che dimostra come questo maestro del colore si sia confrontato con con tutte le correnti della pittura moderna, creando una propria visione artistica: quella di un universo riconciliato grazie alla vita, all’amore e all’arte.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Richard Long, Winter Solstice Circle, 2002; [fig. 2] Lucio Fontana, Pol Bury, 1978; [fig. 3] Tony Cragg, Minster, 1992
Informazioni utili
FdB Modern. Orari: da martedì a venerdì, ore 10.00-18.00; sabato, domenica e festivi, ore 10.00-19.00. Ingresso: intero € 8,00, ridotto € 6,00. Informazioni: Associazione Forte di Bard - Bard (Valle d’Aosta), tel. +39.0125833811– 809811 o info@fortedibard.it. Sito web: fortedibard.it.
L’intervento di Richard Long, uno dei maestri maggiori della Land Art, e la fontana in movimento perpetuo di Pol Bury ridisegnano l’area su cui si affacciano le Scuderie del Forte, così come l’opera di Giuseppe Maraniello; mentre i Business Men di Willian McElcheran sono collocati nel Passage du Fort.
Le opere dei grandi scultori internazionali instaurano un dialogo privilegiato anche con gli ambienti interni della fortezza: da Aristide Maillol, che a inizio Novecento rivoluziona la concezione di monumento, a Tony Cragg, uno dei più importanti scultori inglesi del nostro tempo.
Nelle sale del corpo di guardia dell’Opera Carlo Alberto il visitatore ha modo di confrontarsi con gli altri linguaggi delle arti visive: un olio su carta di Paul Klee, le fotografie di Steve Mc Curry, Ferdinando Scianna, Josef Koudelka, René Burri, Alex Majoli, Yann Arthus Bertrand, Stuart Franklin, René Burri e Bert Stern, sino ai wall drawings concepiti e realizzati da David Tremlett per il bookshop.
In contemporanea i visitatori potranno vedere, fino al prossimo 13 novembre, una mostra su Elliott Erwitt, a cura di Andrea Holzherr e Gabriele Accornero, con centotrentasette immagini scattate tra il 1948 e 2005, ma anche una retrospettiva su Marc Chagall, con più di duecentosessanta opere tra dipinti, acquerelli, gouaches, litografie, ceramiche e tappezzerie.
L'esposizione prende il titolo da «Le Vie», imponente olio su tela realizzato nel 1964, di proprietà della Fondation Marguerite et Aimé Maeght di Saint-Paul-de-Vence, elemento centrale dell'intero percorso espositivo. Attraverso questa autobiografia per immagini, il pubblico è invitato a una nuova lettura dell'opera chagalliana, che dimostra come questo maestro del colore si sia confrontato con con tutte le correnti della pittura moderna, creando una propria visione artistica: quella di un universo riconciliato grazie alla vita, all’amore e all’arte.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Richard Long, Winter Solstice Circle, 2002; [fig. 2] Lucio Fontana, Pol Bury, 1978; [fig. 3] Tony Cragg, Minster, 1992
Informazioni utili
FdB Modern. Orari: da martedì a venerdì, ore 10.00-18.00; sabato, domenica e festivi, ore 10.00-19.00. Ingresso: intero € 8,00, ridotto € 6,00. Informazioni: Associazione Forte di Bard - Bard (Valle d’Aosta), tel. +39.0125833811– 809811 o info@fortedibard.it. Sito web: fortedibard.it.
martedì 18 ottobre 2016
Vicenza, donata al Palladio Museum la racconta di disegni della famiglia Papafava dei Carraresi
Da Giacomo Quarenghi a John Michael Gandy: è un vero e proprio percorso tra i grandi protagonisti dell’architettura settecentesca quello che propone l’eccezionale raccolta di disegni e stampe donata dalla famiglia Papafava dei Carraresi al Centro internazionale di studi di architettura di Vicenza.
La collezione, che sarà conservata al Palladio Museum, allinea, nello specifico, cinquanta disegni di grande formato e un volume di stampe, raccolti da Alessandro Papafava, trasferitosi a Roma tra il 1803 e il 1807 per studiare, su consiglio di Antonio Canova, presso l'Accademia di San Luca. Oltre al luogo di studio, il giovane studioso frequentava nella capitale gli atéliers degli artisti e vari laboratori, tra i quali quelli della pittrice Angelika Kauffmann e degli architetti Giuseppe Camporesi, Vincenzo Balestra, Mario Asprucci, acquistando da loro stampe e bellissimi disegni acquerellati. Alessandro Papafava acquistò per la sua collezione personale anche opere dell'inglese John Michael Gandy, l'autore delle immaginifiche vedute dei progetti di Sir John Soane e Giacomo Quarenghi (di cui nel 2017 ricorre il bicentenario della morte).
La raccolta, conservata integra dalla famiglia Papafava per oltre due secoli, è costituita da materiali di altissima qualità grafico-pittorica, e riveste un valore storico enorme: essa ci restituisce, infatti, un rara istantanea del mondo di interessi di un giovane studente di architettura fra Sette e Ottocento, che si immerge nella cultura architettonica negli anni in cui i modelli del Neoclassicismo romano arrivano nel Veneto, rivoluzionandone il gusto.
Tornato a Padova, Alessandro Papafava utilizzò quanto imparato a Roma quando progettò e arredò l'appartamento in stile neoclassico, in tutti i dettagli, nel palazzo Papafava di Padova e anche nel rinnovare nello stesso stile l'austera villa di famiglia di Frassanelle nei Colli Euganei.
In questo modo, mettendosi in contatto con l'ambiente artistico veneto, fra cui certamente Giuseppe Jappelli, condividendo i suoi studi, i "suoi disegni " e la sua esperienza, Alessandro Papafava contribuì concretamente all'affermazione e alla diffusione dello stile Neoclassico nel Veneto. Continuò negli anni successivi a coltivare gli stessi interessi, ricoprendo numerosi incarichi civici ed essendo nominato membro dell'Accademia di Belle arti di Venezia e Deputato della Congregazione provinciale di Padova.
Desiderio della famiglia Papafava è che la raccolta costituita dal loro antenato sia mantenuta integra, e i suoi materiali studiati, catalogati e resi disponibili ai ricercatori. Il luogo della loro conservazione e valorizzazione è stato individuato nel Palladio Museum creato dal Cisa Andrea Palladio, l’istituto internazionale con storiche radici nella cultura veneta, espressamente dedicato allo studio dell’architettura.
Alla collezione e al mondo di Alessandro Papafava sarà dedicata una grande mostra già in calendario al Palladio Museum per l’autunno 2017. La cura della mostra è stata affidata al celebre studioso irlandese Alistair Rowan, già presidente del Society of Architectural Historians of Great Britain, profondo conoscitore della raccolta, e a Susanna Pasquali, docente alla Sapienza di Roma e componente il consiglio scientifico del Ciasa Andrea Palladio.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Anonimo, Facciata con una cappella rotonda con quattro portici inchiostro con acquerello di diversi colori 164x273 mm; [fig. 2] Giuseppe Camporese, Sezione del tempio Dorico rotondo inchiostro e acquarello a colori 433x588 mm; [fig. 3] Giuseppe Camporese, Facciata del tempio Dorico rotondo inchiostro e acquarello a colori 440x603 mm
Informazioni utili
www.palladiummuseum.org
La collezione, che sarà conservata al Palladio Museum, allinea, nello specifico, cinquanta disegni di grande formato e un volume di stampe, raccolti da Alessandro Papafava, trasferitosi a Roma tra il 1803 e il 1807 per studiare, su consiglio di Antonio Canova, presso l'Accademia di San Luca. Oltre al luogo di studio, il giovane studioso frequentava nella capitale gli atéliers degli artisti e vari laboratori, tra i quali quelli della pittrice Angelika Kauffmann e degli architetti Giuseppe Camporesi, Vincenzo Balestra, Mario Asprucci, acquistando da loro stampe e bellissimi disegni acquerellati. Alessandro Papafava acquistò per la sua collezione personale anche opere dell'inglese John Michael Gandy, l'autore delle immaginifiche vedute dei progetti di Sir John Soane e Giacomo Quarenghi (di cui nel 2017 ricorre il bicentenario della morte).
La raccolta, conservata integra dalla famiglia Papafava per oltre due secoli, è costituita da materiali di altissima qualità grafico-pittorica, e riveste un valore storico enorme: essa ci restituisce, infatti, un rara istantanea del mondo di interessi di un giovane studente di architettura fra Sette e Ottocento, che si immerge nella cultura architettonica negli anni in cui i modelli del Neoclassicismo romano arrivano nel Veneto, rivoluzionandone il gusto.
Tornato a Padova, Alessandro Papafava utilizzò quanto imparato a Roma quando progettò e arredò l'appartamento in stile neoclassico, in tutti i dettagli, nel palazzo Papafava di Padova e anche nel rinnovare nello stesso stile l'austera villa di famiglia di Frassanelle nei Colli Euganei.
In questo modo, mettendosi in contatto con l'ambiente artistico veneto, fra cui certamente Giuseppe Jappelli, condividendo i suoi studi, i "suoi disegni " e la sua esperienza, Alessandro Papafava contribuì concretamente all'affermazione e alla diffusione dello stile Neoclassico nel Veneto. Continuò negli anni successivi a coltivare gli stessi interessi, ricoprendo numerosi incarichi civici ed essendo nominato membro dell'Accademia di Belle arti di Venezia e Deputato della Congregazione provinciale di Padova.
Desiderio della famiglia Papafava è che la raccolta costituita dal loro antenato sia mantenuta integra, e i suoi materiali studiati, catalogati e resi disponibili ai ricercatori. Il luogo della loro conservazione e valorizzazione è stato individuato nel Palladio Museum creato dal Cisa Andrea Palladio, l’istituto internazionale con storiche radici nella cultura veneta, espressamente dedicato allo studio dell’architettura.
Alla collezione e al mondo di Alessandro Papafava sarà dedicata una grande mostra già in calendario al Palladio Museum per l’autunno 2017. La cura della mostra è stata affidata al celebre studioso irlandese Alistair Rowan, già presidente del Society of Architectural Historians of Great Britain, profondo conoscitore della raccolta, e a Susanna Pasquali, docente alla Sapienza di Roma e componente il consiglio scientifico del Ciasa Andrea Palladio.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Anonimo, Facciata con una cappella rotonda con quattro portici inchiostro con acquerello di diversi colori 164x273 mm; [fig. 2] Giuseppe Camporese, Sezione del tempio Dorico rotondo inchiostro e acquarello a colori 433x588 mm; [fig. 3] Giuseppe Camporese, Facciata del tempio Dorico rotondo inchiostro e acquarello a colori 440x603 mm
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lunedì 17 ottobre 2016
Un «Flauto magico» contemporaneo e incantato per la Stagione lirica di Padova
Un «Flauto magico incantato, fatto di passaggi segreti, di muri che nascondono realtà altre», dove man mano «appaiono bambini fatati, regine disperate e oggetti prodigiosi»: così Federico Bertolani racconta il suo allestimento dell’opera mozartiana in cartellone venerdì 28 ottobre, alle ore 20.45, e domenica 30 ottobre, alle ore 16.00, al teatro Verdi di Padova.
La produzione, firmata dal Sociale di Rovigo e dal Bassano Operafestival, vedrà salire sul podio dell’Orchestra di Padova e del Veneto e del Coro lirico Veneto, preparato da Sergio Balestracci, il maestro Giuliano Betta, dal 2009 direttore stabile al Teatro di Basilea. Le scene sono di Giulio Magnet¬to e i costumi sono firmati da Manuel Pedretti.
Singspiel, in due atti su libretto di Emanuel Schikaneder, «Die Zauberflöte» appartiene agli ultimi capolavori di Mozart, che iniziò a comporlo probabilmente nel maggio del 1791, a neanche sei mesi dalla morte. L’opera vide la luce a Vienna il 30 settembre 1791 con la direzione del compositore e con lo stesso Schikaneder nel ruolo di Papageno. Fiaba iniziatica, racconto mistico-onirico, percorso simbolico-massonico: da qualsiasi angolatura lo si consideri, «Die Zauberflöte» resta, comunque, uno degli indiscussi capolavori mozartiani. Tra ambientazioni esotiche e fantastiche e prove crudeli per conquistare la conoscenza, tra incantamenti musicali e minacciose forze ostili, si assiste alla vittoria finale del bene sul male e dell’amore sull’odio.
Di livello internazionale il cast. Sarà un felice ritorno a Padova, sia per il tenore Paolo Fanale, sulla scena dei più grandi teatri del mondo, nel ruolo del protagonista Tamino, sia per il soprano russo Ekaterina Sadovnikova nella parte della principessa Pamina. Arriverà, invece, nella città del Santo per la prima volta il baritono inglese John Chest, che interpreterà Papagheno. Mentre nell’impervio ruolo della Regina della Notte ci sarà il soprano greco Christina Poulitsi e in quello del sacerdote Sarastro il basso Wihelm Schwinghammer.
Completano il cast: Teona Dvali (Papagena), Alice Chinaglia (Prima dama), Cecilia Bagatin (Seconda dama), Alice Marini (Terza dama), Patrizio Saudelli (Monostato), Paolo Battaglia (Oratore degli iniziati), Carlo Agostini (Primo sacerdote/ Secondo armigero) e Luca Favaron (Secondo sacerdote/ Primo armigero), Elena Roversi, Giulia Moretto ed Elena Fontolan (fanciulli).
Un appuntamento, dunque, da non perdere quello con il secondo spettacolo della stagione lirica patavina grazie al quale la celebre opera mozartiana si trasforma in una favola metropolitana con forti accenti contemporanei, adatta a un pubblico di tutte le età. Il Flauto magico narra, infatti, la storia di un giovane principe, Tamino, che non conosce l’amore, non sa cosa sia il pericolo e non ha ancora scoperto la saggezza: solo grazie alla musica del suo flauto imparerà cosa significa diventare adulti, abbandonare l’istinto dei sensi e lasciarsi guidare dalla saggezza e dall’onestà, conquistando così l’amata Pamina.
Didascalie
[Fig. 1] Christina Poulitsi; [fig. 2] Ekaterina Sadovnikova; [fig. 3] John Chest
Informazioni utili
«Il Flauto magico», musica di Wolfgang Amadeus Mozart e libretto di Emanuel Schikaneder. Teatro Verdi, via dei Livello n.32 – Padova. Quando: Venerdì 28 ottobre 2016, ore 20.45 e domenica 30 ottobre, ore 16.00. Ingresso: da € 70,00 a € 28,00. Orari biglietteria: lunedì, dalle ore 15.00 alle ore 18.30; da martedì a venerdì, dalle ore 10.00 alle ore 13.00 e dalle ore 15.00 alle ore 18.30; sabato, dalle ore 10.00 alle ore 13.00. Prevendita online su www.teatrostabileveneto.it. Informazioni: tel. (+39)049.8205611 o manifestazioni@comune.padova.it.
La produzione, firmata dal Sociale di Rovigo e dal Bassano Operafestival, vedrà salire sul podio dell’Orchestra di Padova e del Veneto e del Coro lirico Veneto, preparato da Sergio Balestracci, il maestro Giuliano Betta, dal 2009 direttore stabile al Teatro di Basilea. Le scene sono di Giulio Magnet¬to e i costumi sono firmati da Manuel Pedretti.
Singspiel, in due atti su libretto di Emanuel Schikaneder, «Die Zauberflöte» appartiene agli ultimi capolavori di Mozart, che iniziò a comporlo probabilmente nel maggio del 1791, a neanche sei mesi dalla morte. L’opera vide la luce a Vienna il 30 settembre 1791 con la direzione del compositore e con lo stesso Schikaneder nel ruolo di Papageno. Fiaba iniziatica, racconto mistico-onirico, percorso simbolico-massonico: da qualsiasi angolatura lo si consideri, «Die Zauberflöte» resta, comunque, uno degli indiscussi capolavori mozartiani. Tra ambientazioni esotiche e fantastiche e prove crudeli per conquistare la conoscenza, tra incantamenti musicali e minacciose forze ostili, si assiste alla vittoria finale del bene sul male e dell’amore sull’odio.
Di livello internazionale il cast. Sarà un felice ritorno a Padova, sia per il tenore Paolo Fanale, sulla scena dei più grandi teatri del mondo, nel ruolo del protagonista Tamino, sia per il soprano russo Ekaterina Sadovnikova nella parte della principessa Pamina. Arriverà, invece, nella città del Santo per la prima volta il baritono inglese John Chest, che interpreterà Papagheno. Mentre nell’impervio ruolo della Regina della Notte ci sarà il soprano greco Christina Poulitsi e in quello del sacerdote Sarastro il basso Wihelm Schwinghammer.
Completano il cast: Teona Dvali (Papagena), Alice Chinaglia (Prima dama), Cecilia Bagatin (Seconda dama), Alice Marini (Terza dama), Patrizio Saudelli (Monostato), Paolo Battaglia (Oratore degli iniziati), Carlo Agostini (Primo sacerdote/ Secondo armigero) e Luca Favaron (Secondo sacerdote/ Primo armigero), Elena Roversi, Giulia Moretto ed Elena Fontolan (fanciulli).
Un appuntamento, dunque, da non perdere quello con il secondo spettacolo della stagione lirica patavina grazie al quale la celebre opera mozartiana si trasforma in una favola metropolitana con forti accenti contemporanei, adatta a un pubblico di tutte le età. Il Flauto magico narra, infatti, la storia di un giovane principe, Tamino, che non conosce l’amore, non sa cosa sia il pericolo e non ha ancora scoperto la saggezza: solo grazie alla musica del suo flauto imparerà cosa significa diventare adulti, abbandonare l’istinto dei sensi e lasciarsi guidare dalla saggezza e dall’onestà, conquistando così l’amata Pamina.
Didascalie
[Fig. 1] Christina Poulitsi; [fig. 2] Ekaterina Sadovnikova; [fig. 3] John Chest
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«Il Flauto magico», musica di Wolfgang Amadeus Mozart e libretto di Emanuel Schikaneder. Teatro Verdi, via dei Livello n.32 – Padova. Quando: Venerdì 28 ottobre 2016, ore 20.45 e domenica 30 ottobre, ore 16.00. Ingresso: da € 70,00 a € 28,00. Orari biglietteria: lunedì, dalle ore 15.00 alle ore 18.30; da martedì a venerdì, dalle ore 10.00 alle ore 13.00 e dalle ore 15.00 alle ore 18.30; sabato, dalle ore 10.00 alle ore 13.00. Prevendita online su www.teatrostabileveneto.it. Informazioni: tel. (+39)049.8205611 o manifestazioni@comune.padova.it.
venerdì 14 ottobre 2016
Gipsoteca Giudici, un nuovo museo a Lugano
Lugano si arricchisce di un nuovo museo. Sabato 22 ottobre (con inaugurazione alle ore 17) apre nella cittadina svizzera la Gipsoteca Gianluigi Giudici, costituita con lo scopo di assicurare in particolare la conservazione, la promozione e la diffusione delle opere dello scultore comasco, che ha molto operato nel Canton Ticino.
La nuova istituzione, ubicata nel condominio Central Park, si propone di attuare iniziative di carattere culturale, divulgativo ed educativo affinché l’arte in tutte le sue forme, come strumento di formazione ed espressione del pensiero e di comunicazione dei più profondi sentimenti umani, possa conquistare un maggior numero di fruitori e diventi punto di incontro tra culture diverse mediante il suo linguaggio universale.
Il percorso espositivo propone una selezione di sessanta opere (prevalentemente in gesso, ma anche in bronzo e su rame) esemplificative dell’itinerario creativo di Gianluigi Giudici, distribuite sui due piani della struttura museale, in una successione che prende il via dal piano superiore dove sono documentate le tematiche proprie del suo impegno artistico partendo da una riflessione sulla ricerca da lui condotta ed esemplificando di seguito la produzione riguardante la figura, l’astrazione e il sacro.
Al piano inferiore sono individuate alcune isole, aggruppamenti di opere, che meglio inquadrano aspetti del suo lavoro e che si concentrano sui ritratti, sull’evoluzione degli organismi biomorfi e sulla realizzazione di opere di grandi dimensioni a destinazione sia pubblica che privata. Questo viaggio si conclude con un ulteriore passaggio nell’ambito della scultura religiosa che, mediante rilievi a sbalzo su rame e rilievi in gesso, introduce allo spazio dedicato all’ampio intervento compiuto tra 1966 e 1992 per la chiesa del Buon Pastore a Vienna, l’opera più significativa della sua produzione sacra. In questo edificio sacro si trovano una Madonna con Bambino, un rilievo con la Risurrezione, una monumentale Via Crucis e il grande bronzo La pesca (1992), posto sopra il portale di ingresso.
Per una conoscenza ulteriore della sua opera, la Gipsoteca dispone di un deposito che accoglie, visibili anche al pubblico, numerosissimi altri gessi di particolare importanza e uno spazio in cui è ricostruito l’atelier di Gianluigi Giudici e dove sono presentati anche disegni preparatori e gessi per i bronzetti della sua produzione.
Uno spazio specifico è predisposto per accogliere mostre di altri artisti, la cui presenza potrà, in alcune occasioni, anche contaminare -in intriganti accostamenti di confronto (o di scontro)- le sale del museo.
Informazioni utili
Fondazione Giudici. Condominio Central Park-primo piano, Riva Antonio Caccia 1a - 6900 Lugano (Svizzera). Orari di apertura (fino al 23 dicembre 2016): mercoledì, dalle ore 9.30 alle 13.30, giovedì, venerdì e sabato, dalle ore 14.30 alle ore 18.30. Informazioni: tel +41(0)91.9804141, gipsotecaggiudici@gmail.com. Sito internet: www. fondazionegiudici.com.
La nuova istituzione, ubicata nel condominio Central Park, si propone di attuare iniziative di carattere culturale, divulgativo ed educativo affinché l’arte in tutte le sue forme, come strumento di formazione ed espressione del pensiero e di comunicazione dei più profondi sentimenti umani, possa conquistare un maggior numero di fruitori e diventi punto di incontro tra culture diverse mediante il suo linguaggio universale.
Il percorso espositivo propone una selezione di sessanta opere (prevalentemente in gesso, ma anche in bronzo e su rame) esemplificative dell’itinerario creativo di Gianluigi Giudici, distribuite sui due piani della struttura museale, in una successione che prende il via dal piano superiore dove sono documentate le tematiche proprie del suo impegno artistico partendo da una riflessione sulla ricerca da lui condotta ed esemplificando di seguito la produzione riguardante la figura, l’astrazione e il sacro.
Al piano inferiore sono individuate alcune isole, aggruppamenti di opere, che meglio inquadrano aspetti del suo lavoro e che si concentrano sui ritratti, sull’evoluzione degli organismi biomorfi e sulla realizzazione di opere di grandi dimensioni a destinazione sia pubblica che privata. Questo viaggio si conclude con un ulteriore passaggio nell’ambito della scultura religiosa che, mediante rilievi a sbalzo su rame e rilievi in gesso, introduce allo spazio dedicato all’ampio intervento compiuto tra 1966 e 1992 per la chiesa del Buon Pastore a Vienna, l’opera più significativa della sua produzione sacra. In questo edificio sacro si trovano una Madonna con Bambino, un rilievo con la Risurrezione, una monumentale Via Crucis e il grande bronzo La pesca (1992), posto sopra il portale di ingresso.
Per una conoscenza ulteriore della sua opera, la Gipsoteca dispone di un deposito che accoglie, visibili anche al pubblico, numerosissimi altri gessi di particolare importanza e uno spazio in cui è ricostruito l’atelier di Gianluigi Giudici e dove sono presentati anche disegni preparatori e gessi per i bronzetti della sua produzione.
Uno spazio specifico è predisposto per accogliere mostre di altri artisti, la cui presenza potrà, in alcune occasioni, anche contaminare -in intriganti accostamenti di confronto (o di scontro)- le sale del museo.
Informazioni utili
Fondazione Giudici. Condominio Central Park-primo piano, Riva Antonio Caccia 1a - 6900 Lugano (Svizzera). Orari di apertura (fino al 23 dicembre 2016): mercoledì, dalle ore 9.30 alle 13.30, giovedì, venerdì e sabato, dalle ore 14.30 alle ore 18.30. Informazioni: tel +41(0)91.9804141, gipsotecaggiudici@gmail.com. Sito internet: www. fondazionegiudici.com.
giovedì 13 ottobre 2016
Venezia, Palazzo Ducale il restauro del secondo portale della Scala d’oro
Confezione dopo confezione hanno sostenuto il peso economico del restauro di un importante pezzo della storia di Palazzo Ducale, cuore pulsante della vita artistica veneziana: il portale sommitale della Scala d’oro. E ora -dopo la conclusione del primo intervento, avvenuta in estate- i coniugi Paolo e Marina Tamai si sono attivati per ridare nuova vita anche al portale “gemello”, collocato nell’Atrio Quadrato, che introduce alle sale pubbliche di Palazzo Ducale. Prosegue così la collaborazione tra l’azienda «Gli orti di Venezia», marchio attivo nella commercializzazione di insalate fresche, e la fondazione che gestisce i musei civici lagunari. I coniugi Tamai hanno, infatti, deciso di supportare il restauro del portale destinando a esso dieci centesimi per ogni confezione di insalata venduta con il marchio della loro azienda.
L'intervento di restauro, approvato dalla Soprintendenza Belle arti e Paesaggio per Venezia e Laguna, è già iniziato e consiste principalmente nella pulitura selettiva delle superfici ricche di dettagli tridimensionali, un’operazione minuziosa e lenta condotta mediante impacchi chimici e con l’ausilio di soli strumenti manuali. Alla pulitura si accompagneranno le consuete operazioni di verifica e revisione delle stuccature in malta deteriorate e taluni incollaggi di porzioni di rilievo in via di distacco.
I due portali che si affacciano sull’atrio quadrato di Palazzo Ducale si inseriscono cronologicamente in quella lunga serie di lavori di ristrutturazione iniziata nel 1483 nell’ala orientale dell’edificio e proseguita nel resto dell’edificio fino agli anni Sessanta del XVI secolo.
Il progetto fu affidato, dopo aver interpellato anche il Sanmicheli e il Palladio, a Jacopo Sansovino che ne realizzò la parte iniziale sotto i dogi Lorenzo e Girolamo Priuli, al governo tra il 1556 e il 1567. L’ultimazione dei lavori fu, invece, seguita dallo Scarpagnino, a partire dal 1559 e poi sotto il dogato di Venier.
La Scala d’onore, nata dall’esigenza di separare gli ambienti dedicati all’abitazione privata del doge dal Palazzo di Giustizia, si articola su cinque rampe e fu denominata d’oro per le fastose decorazioni della volta a botte eseguite in stucco e foglia d’oro a partire dal 1557 da Alessandro Vittoria e affrescate nei riquadri da Giambattista Franco.
La scala, nata dall’esigenza di separare gli ambienti dedicati alla privata abitazione del doge dal Palazzo di Giustizia, si articola su cinque rampe, l’ultima delle quali si affaccia sull’atrio quadrato, sorta di vestibolo delle sale in cui si riunivano i più importanti organi di governo. La scala conduce all’Atrio quadrato, ambiente caratterizzato dal soffitto intagliato e dorato che incastona dipinti del Tintoretto mentre l’apparato architettonico è scandito da pilastri lapidei, compositi e scanalati.
I portali a chiusura della scala sono coronati da due arconi sommitali, decorati a riquadri con bassorilievi finemente scolpiti che raffigurano scene fortemente simboliche che rimandano ad avvenimenti storici, commemorativi e ai temi cari ai veneziani quali potenza, forza militare, saggezza e giustizia. In particolare sugli stipiti è rappresentato il leone nella versione raccolta “in moléca” in posizione frontale e accovacciato, in questo caso con il libro chiuso a simboleggiare la sovranità delegata e quindi delle pubbliche magistrature.
Per saperne di più
Eataly e «Gli orti di Venezia» insieme per il restauro di Palazzo ducale
Informazioni utili
www.gliortidivenezia.it
L'intervento di restauro, approvato dalla Soprintendenza Belle arti e Paesaggio per Venezia e Laguna, è già iniziato e consiste principalmente nella pulitura selettiva delle superfici ricche di dettagli tridimensionali, un’operazione minuziosa e lenta condotta mediante impacchi chimici e con l’ausilio di soli strumenti manuali. Alla pulitura si accompagneranno le consuete operazioni di verifica e revisione delle stuccature in malta deteriorate e taluni incollaggi di porzioni di rilievo in via di distacco.
I due portali che si affacciano sull’atrio quadrato di Palazzo Ducale si inseriscono cronologicamente in quella lunga serie di lavori di ristrutturazione iniziata nel 1483 nell’ala orientale dell’edificio e proseguita nel resto dell’edificio fino agli anni Sessanta del XVI secolo.
Il progetto fu affidato, dopo aver interpellato anche il Sanmicheli e il Palladio, a Jacopo Sansovino che ne realizzò la parte iniziale sotto i dogi Lorenzo e Girolamo Priuli, al governo tra il 1556 e il 1567. L’ultimazione dei lavori fu, invece, seguita dallo Scarpagnino, a partire dal 1559 e poi sotto il dogato di Venier.
La Scala d’onore, nata dall’esigenza di separare gli ambienti dedicati all’abitazione privata del doge dal Palazzo di Giustizia, si articola su cinque rampe e fu denominata d’oro per le fastose decorazioni della volta a botte eseguite in stucco e foglia d’oro a partire dal 1557 da Alessandro Vittoria e affrescate nei riquadri da Giambattista Franco.
La scala, nata dall’esigenza di separare gli ambienti dedicati alla privata abitazione del doge dal Palazzo di Giustizia, si articola su cinque rampe, l’ultima delle quali si affaccia sull’atrio quadrato, sorta di vestibolo delle sale in cui si riunivano i più importanti organi di governo. La scala conduce all’Atrio quadrato, ambiente caratterizzato dal soffitto intagliato e dorato che incastona dipinti del Tintoretto mentre l’apparato architettonico è scandito da pilastri lapidei, compositi e scanalati.
I portali a chiusura della scala sono coronati da due arconi sommitali, decorati a riquadri con bassorilievi finemente scolpiti che raffigurano scene fortemente simboliche che rimandano ad avvenimenti storici, commemorativi e ai temi cari ai veneziani quali potenza, forza militare, saggezza e giustizia. In particolare sugli stipiti è rappresentato il leone nella versione raccolta “in moléca” in posizione frontale e accovacciato, in questo caso con il libro chiuso a simboleggiare la sovranità delegata e quindi delle pubbliche magistrature.
Per saperne di più
Eataly e «Gli orti di Venezia» insieme per il restauro di Palazzo ducale
Informazioni utili
www.gliortidivenezia.it
mercoledì 12 ottobre 2016
Francesco Vezzoli e Twiggy: una nuova opera nella mostra «L’anello di Cupra»
L’omaggio al mondo femminile che Marcello Smarrelli ha ideato per Fermo e per il suo Palazzo dei Priori non smette di stupire. Sono, infatti, oltre novemilacinquecento le persone che, in due mesi, sono accorse nella cittadina marchigiana per vedere le opere di Jacobello del Fiore, Peter Paul Rubens, Francesco Hayez, Vincent Van Gogh, Giovanni Segantini, Gaetano Previati, Mario Giacomelli, Osvaldo Licini, Vanessa Beecroft e molti altri riunite per la mostra «L’anello di Cupra». E il numero dei visitatori sembra destinato a crescere anche perché la rassegna si è da poco arricchita di una nuova opera: «Hommage to Francesco Scavullo: Twiggy» di Francesco Vezzoli.
Si tratta della celebrazione iconografica di una delle prime e più famose supermodelle di tutti i tempi, Twiggy, simbolo di un'epoca rivoluzionaria in termini di stile. Ragazza timida e impacciata, Lesley Hornby, questo il nome di questa star della moda all’anagrafe, è diventata una professionista che ha saputo rinnovarsi, come dimostra la sua carriera di attrice e cantante. La sua corporatura magra e priva di curve e il suo aspetto efebico, la fecero diventare testimonial della minigonna di Mary Quant e il volto della Swinging London.
Nel suo lavoro Francesco Vezzoli analizza i rapporti, talora perversi, tra il mondo della comunicazione e quello del potere, affrontando temi spinosi quali il divismo, la religione, il sesso e la politica. La sua scommessa è stata quella di contaminare l'alto e l'aulico con gli elementi più commerciali e triviali. La sua opera esposta a Fermo si inserisce perfettamente nel contesto della mostra, dedicata alle icone della femminilità dalla preistoria al contemporaneo, ai vari modelli dell’essere donna, dalla dea progenitrice alla regina, dalla prostituta alla santa.
Considerando estremamente fluido il confine tra ciò che è accettabile e ciò che non lo è, Francesco Vezzoli si è spinto al di là del postmoderno, ha preso cultura alta e cultura bassa gettandole in un frullatore. Ciò che ne è venuto fuori è il risultato del suo inconfondibile e inimitabile marchio, che qualcuno giudica eccessivo e ridondante, mentre gli ammiratori sono veri e propri fan che stravedono per lui e lo adorano come l'unica rockstar dell'arte italiana.
Se dovessimo rintracciare un solo elemento a far da collante al suo eclettismo formale, Vezzoli potrebbe risultare come l'artista delle lacrime, tale e tanta la sua passione per il melodramma. Si è divertito, con un certo sadismo, a far piangere le sue dive avvolte dal misticismo proprio delle icone gay. Ne ha ricamato i volti con perizia artigianale, con la maniacalità di chi ha visto nel taglio e cucito un riscatto per quelle pratiche basse, di femminea quotidianità, il riscatto nei confronti di un'arte machista e troppo sicura di sé, oggi superata.
Anche se Vezzoli si avvale di una gamma molto ampia e diversificata di media, il ricamo è rimasta una tecnica che caratterizza la sua carriera dagli esordi. Inizialmente emulando famosi attori che ricamavano sia dentro che fuori lo schermo, come Vicente Minelli a Joan Crawford, Cary Grant, e Greta Garbo, col passare del tempo questa pratica è diventata un'attività più profonda e contemplativa, riferita ad un mondo di sentimenti, crisi, ossessioni e depressioni che in qualche modo vengono sublimate dal lavoro artigianale.
L’opera di Francesco Vezzoli rappresenta, dunque, un motivo per andare a visitare la mostra di Fermo e lasciarsi incantare dal suo percorso che grazie a reperti archeologici, opere pittoriche, sculture e installazioni racconta i tanti volti dell’essere donna, dalla regina alla prostituta, dalla dea progenitrice alla Santa, a partire da opere come le «Storie di Santa Lucia» di Jacobello del Fiore, l’«Adorazione dei Pastori» di Peter Paul Rubens, «La Maddalena Penitente» di Francesco Hayez, «Les bretonnes et le pardon de Pont Aven» di Vincent Van Gogh (uno dei rari acquerelli dell’artista esistenti in Italia), «Le due madri» di Giovanni Segantini, «La quiete» di Gaetano Previati, fino alla fotografia di Vanessa Beecroft, con una donna di colore in trono che tiene in grembo due gemelli, dall’intensa aura di sacralità.
Vedi anche
Dall’anello di Cupra alle donne di Segantini e Van Gogh: in mostra a Fermo l’iconografia femminile
Informazioni utili
«L’anello di Cupra». Palazzo dei Priori – Fermo. Orari: settembre, martedì-domenica, ore 10.30-13.00 e ore 14.30-19.00, feste e ponti ore 10.30-19.30 | ottobre, martedì-venerdì, ore 10.30-13.00 e ore 15.30-18.00, sabato e domenica ore 10.30-13.00 e ore 15.30-18.30. Ingresso: intero € 6,50, ridotto (da 14 a 25 anni, gruppi composti da più di 15 persone, Soci Fai, Touring club italiano, Italia nostra) € 5,00, omaggio fino a 13 anni, disabili, soci ICOM, residenti (un giorno al mese), giornalisti con tesserino | il biglietto comprende la visita anche alle Cisterne romane, Musei di Palazzo dei Priori, Teatro dell’Aquila, Musei scientifici di Villa Vitali. Informazioni: Sistema Museo, 199151123 (dal lunedì al venerdì, dalle 9.00 alle 15.00), callcenter@sistemamuseo.it | Musei di Fermo, tel. 0734.217140, fermo@sistemamuseo.it. Sito internet: www.sistemamuseo.it. Fino al 23 ottobre 2016.
Si tratta della celebrazione iconografica di una delle prime e più famose supermodelle di tutti i tempi, Twiggy, simbolo di un'epoca rivoluzionaria in termini di stile. Ragazza timida e impacciata, Lesley Hornby, questo il nome di questa star della moda all’anagrafe, è diventata una professionista che ha saputo rinnovarsi, come dimostra la sua carriera di attrice e cantante. La sua corporatura magra e priva di curve e il suo aspetto efebico, la fecero diventare testimonial della minigonna di Mary Quant e il volto della Swinging London.
Nel suo lavoro Francesco Vezzoli analizza i rapporti, talora perversi, tra il mondo della comunicazione e quello del potere, affrontando temi spinosi quali il divismo, la religione, il sesso e la politica. La sua scommessa è stata quella di contaminare l'alto e l'aulico con gli elementi più commerciali e triviali. La sua opera esposta a Fermo si inserisce perfettamente nel contesto della mostra, dedicata alle icone della femminilità dalla preistoria al contemporaneo, ai vari modelli dell’essere donna, dalla dea progenitrice alla regina, dalla prostituta alla santa.
Considerando estremamente fluido il confine tra ciò che è accettabile e ciò che non lo è, Francesco Vezzoli si è spinto al di là del postmoderno, ha preso cultura alta e cultura bassa gettandole in un frullatore. Ciò che ne è venuto fuori è il risultato del suo inconfondibile e inimitabile marchio, che qualcuno giudica eccessivo e ridondante, mentre gli ammiratori sono veri e propri fan che stravedono per lui e lo adorano come l'unica rockstar dell'arte italiana.
Se dovessimo rintracciare un solo elemento a far da collante al suo eclettismo formale, Vezzoli potrebbe risultare come l'artista delle lacrime, tale e tanta la sua passione per il melodramma. Si è divertito, con un certo sadismo, a far piangere le sue dive avvolte dal misticismo proprio delle icone gay. Ne ha ricamato i volti con perizia artigianale, con la maniacalità di chi ha visto nel taglio e cucito un riscatto per quelle pratiche basse, di femminea quotidianità, il riscatto nei confronti di un'arte machista e troppo sicura di sé, oggi superata.
Anche se Vezzoli si avvale di una gamma molto ampia e diversificata di media, il ricamo è rimasta una tecnica che caratterizza la sua carriera dagli esordi. Inizialmente emulando famosi attori che ricamavano sia dentro che fuori lo schermo, come Vicente Minelli a Joan Crawford, Cary Grant, e Greta Garbo, col passare del tempo questa pratica è diventata un'attività più profonda e contemplativa, riferita ad un mondo di sentimenti, crisi, ossessioni e depressioni che in qualche modo vengono sublimate dal lavoro artigianale.
L’opera di Francesco Vezzoli rappresenta, dunque, un motivo per andare a visitare la mostra di Fermo e lasciarsi incantare dal suo percorso che grazie a reperti archeologici, opere pittoriche, sculture e installazioni racconta i tanti volti dell’essere donna, dalla regina alla prostituta, dalla dea progenitrice alla Santa, a partire da opere come le «Storie di Santa Lucia» di Jacobello del Fiore, l’«Adorazione dei Pastori» di Peter Paul Rubens, «La Maddalena Penitente» di Francesco Hayez, «Les bretonnes et le pardon de Pont Aven» di Vincent Van Gogh (uno dei rari acquerelli dell’artista esistenti in Italia), «Le due madri» di Giovanni Segantini, «La quiete» di Gaetano Previati, fino alla fotografia di Vanessa Beecroft, con una donna di colore in trono che tiene in grembo due gemelli, dall’intensa aura di sacralità.
Vedi anche
Dall’anello di Cupra alle donne di Segantini e Van Gogh: in mostra a Fermo l’iconografia femminile
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«L’anello di Cupra». Palazzo dei Priori – Fermo. Orari: settembre, martedì-domenica, ore 10.30-13.00 e ore 14.30-19.00, feste e ponti ore 10.30-19.30 | ottobre, martedì-venerdì, ore 10.30-13.00 e ore 15.30-18.00, sabato e domenica ore 10.30-13.00 e ore 15.30-18.30. Ingresso: intero € 6,50, ridotto (da 14 a 25 anni, gruppi composti da più di 15 persone, Soci Fai, Touring club italiano, Italia nostra) € 5,00, omaggio fino a 13 anni, disabili, soci ICOM, residenti (un giorno al mese), giornalisti con tesserino | il biglietto comprende la visita anche alle Cisterne romane, Musei di Palazzo dei Priori, Teatro dell’Aquila, Musei scientifici di Villa Vitali. Informazioni: Sistema Museo, 199151123 (dal lunedì al venerdì, dalle 9.00 alle 15.00), callcenter@sistemamuseo.it | Musei di Fermo, tel. 0734.217140, fermo@sistemamuseo.it. Sito internet: www.sistemamuseo.it. Fino al 23 ottobre 2016.