martedì 30 gennaio 2018

La moda etnica estone in mostra a Bologna

Si apre con una mostra dedicata alla moda estone l’attività espositiva del Museo del tessuto e della tappezzeria «Vittorio Zironi» di Bologna. Quindici stiliste, selezionate da Anu Hint, propongono le loro creazioni nell’ambito di un progetto espositivo, giunto alla sua trentesima tappa, che, dal 2009, sta toccando diversi Paesi del mondo, dalla Cina alla Russia, dalla Germania al Kazakhistan, dal Giappone al Canada.
Durante il processo di ristrutturazione geopolitica che ha accompagnato il suo ingresso nell’Unione Europea nel 2004, l’Estonia si è affermata come Paese protagonista di una rapida ascesa socio-economica in continua evoluzione, in grado di dare vita a una rinnovata identità culturale che mantiene un forte legame con il passato.
L’equilibrio tra il recupero delle radici di una tradizione millenaria e la modernità di un avanzato Paese europeo si riflette anche nel dinamico e vivace campo della moda, ricco di giovani talenti che hanno raggiunto un buon livello di internazionalizzazione.
I ventuno abiti esposti a Bologna, in occasione dei cento anni dalla nascita della Repubblica indipendente e democratica dell’Estonia, sono creazioni di quindici stiliste affermate ed emergenti, alla costante ricerca di una combinazione tra elementi tradizionali e uno stile più attuale, che invitano lo spettatore a percepire l'essenza dell'arte etnica estone, in cui il presente si interseca con il passato. Questi abiti ci restituiscono un linguaggio variegato costituito da materiali, forme, colori e motivi fon-dato sulla tradizione per l’altissima artigianalità di ricami e tessiture, che testimonia quanto lo stile etnico formatosi nel corso dei secoli sia ancora oggi fonte di ispirazione vitale.
Le designer che operano nell'ambito di questa tendenza creativa non creano solo abiti, ma esprimono un senso di orgoglio per la ricchezza delle collezioni dei vestiti tradizionali e una consapevole abilità nel preservarla. Infatti, nonostante l'Estonia conti una popolazione limitata a circa un milione di abitanti, la mostra introduce la grande varietà dei costumi tradizionali, di cui si contano complessivamente quasi novanta tipologie differenti.
L'estetica e l'abilità artistica del popolo estone si riflette nelle combinazioni dei colori degli indumenti tradizionali, negli ornamenti e nella gioielleria, mentre le componenti etniche raccontano la storia attraverso cui si è formata l’identità nazionale e l’influsso esercitato da altri popoli, filtrato dal gusto e dalla sensibilità locali: una combinazione interessante tra l’influenza occidentale dei paesi scandinavi – fatta di elementi grafici, semplicità, modernismo e funzionalità – e quella orientale, ornamentale e ricca.
L’allestimento è arricchito da ulteriori materiali che approfondiscono lo sguardo etnografico sui vestiti tradizionali estoni, tra cui i disegni realizzati dalla celebre costumista, designer e restauratrice di abiti popolari tradizionali Melanie Kaarma che illustrano i completi in uso tra il Settecento e gli inizi del Novecento, pubblicati nel 1981, con Aino Voolmaa, nel volume «Costumi popola-ri estoni».
I vestiti tradizionali raffigurati si possono suddividere in quattro gruppi principali, distinti per zona di uso -settentrionali, orientali, meridionali e delle isole-, e in tre tipologie: gli indumenti per le feste (tra cui quello donato in occasione della cresima, che celebrava l’ingresso nell’età adulta), quelli indossati ogni giorno e gli abiti da lavoro.
Gli svedesi che secoli fa si stabilirono sulle isole e nella parte occidentale dell’Estonia lasciarono un’impronta molto significativa nell’abbigliamento popolare: la camicia lunga indossata sotto la cami-cia più corta con le maniche, l'abito lungo con cucitura verticale sulla schiena (pikk-kuub). Un chiaro esempio delle influenze svedesi è, inoltre, il costume tradizionale da donna di Mustjala,un piccolo pae-se sull'isola di Saaremaa situata nella parte ovest dell'Estonia, di cui in mostra è visibile un esemplare realizzato negli anni Ottanta.
Nei costumi tradizionali troviamo altresì numerose somiglianze anche con gli altri popoli baltici, in particolare con i lettoni e i lituani: camicia tipo tunica, plaid rettangolare (sõba) e gonna rettangolare (vaipseelik), mentre le gonne, a righe verticali, e i cardigan più recenti, erano già in uso in tutti e tre i popoli.
Le influenze delle popolazioni slave si sono manifestate nell’Estonia orientale: l’usanza di portare la camicia sopra i pantaloni stretti da una cintura, le maniche lunghe della camicia, gli ornamenti intessuti nella stoffa. Poche influenze finlandesi, come le caratteristiche pantofole, si trovano invece nell’Estonia settentrionale.
Sono, inoltre, esposti alcuni campioni di tessuto per gonne tradizionali: da pezzi originali risalenti ai primi dei Novecento a quelli in filo di lana e ordito di lino realizzati appositamente per questa mostra dall’artigiana tessile Marika Samlik. Accanto ad essi, trovano spazio le creazioni progettate da Elna Kaasik, nota designer e artista tessile che presenta tessuti di tipologia differente: per produzioni industriali, realizzati su telaio a mano, textures con decorazioni filigranata a mano, stoffe per abbigliamento, tessuti per interni e accessori, oltre alle spille tradizionali della designer di gioielli Anna Helena Saarso.
La mostra è infine accompagnata da una selezione di fotografie di coloratissimi tappeti tradizionali fatti a mano, provenienti dalla collezione del Museo etnografico estone (Eesti Vabaõhumuuseum).

Didascalie delle immagini
[Figg.1,2 e 3] Vedute di allestimento della mostra, 2017. Courtesy Istituzione Bologna Musei; [fig. 4] Abito di Triinu Pungits, 2007; [fig. 5] Abito di Ainikki Eiskop, 2014

Informazioni utili
La moda etnica estone dal passato al futuro. Museo del Tessuto e della Tappezzeria Vittorio Zironi, via di Casaglia, 3 - Bologna. Orari: giovedì, ore 9.00-14.00; sabato e domenica, ore 10.00-18.30; chiuso festivi infrasettimanali. Ingresso: intero € 5,00, ridotto € 3,00. Informazioni: tel. 051.2194528 / 2193916 (biglietteria Museo Civico Medievale), museiarteantica@comune.bologna.it. Sito internet: www.museibologna.it/arteantica. Fino al 24 febbraio 2018. 


domenica 28 gennaio 2018

Clemente XI, un «collezionista illuminato»

Si presenta come un’importante occasione di studio sull’arte del Settecento, proveniente da quell’alveo produttivo che fu Urbino, da sempre crocevia di grandi artisti, la mostra «Clemente XI. Collezionista e mecenate illustre», a cura di Claudio Maggini e Stefano Papetti, allestita fino al 25 febbraio nel Complesso monumentale di San Salvatore in Lauro del Pio Sodalizio dei Piceni in Roma.
Al centro dell’esposizione, che rientra nel progetto «Il Pio Sodalizio dei Piceni per le Marche colpite dal sisma», c’è il Fondo Albani, a lungo dimenticato, se non del tutto negletto o inesplorato dagli studiosi. Questo fondo, risalente al 1818, ha il pregio di registrare e catalogare tutti i beni presenti nelle case della città di Urbino e di quelle poste nell'immediato circondario.
Di questo patrimonio censito dal notaio Parenti in un inventario composto da duecentouno pagine dalla descrizione e cura del particolare, mai apparso in precedenza in testi di letteratura periegetica, ne scaturisce una ricca elencazione di dipinti, dove risulta la presenza di antichi pittori, le cui opere furono verosimilmente raccolte dal nonno e dal padre di Clemente XI.
In queste pagine si trova anche e soprattutto una lunga lista di oli su tela realizzati da autori attivi nella seconda metà del Seicento, non ancora di primo piano o emergenti, le cui commissioni possono essere riconducibili al porporato Albani, e poste in essere prima dell'elezione petrina, avvenuta nel 1700.
A dipinti di Raffaello, Barocci, Giovanni Lanfranco, Guido Cagnacci, Guido Reni e Simone Cantarini, nel fondo sono, infatti, affiancate numerose tele realizzate da pittori protagonisti della politica artistica di Clemente XI, al secolo Giovanni Francesco Albani (Urbino, 23 luglio 1649 - Roma, 19 marzo 1721), come Carlo Maratta, Giuseppe Ghezzi, il paesaggista Alessio De Marchis e il vedutista Gaspar Van Wittel.
A questo secondo contesto pittorico è dedicata la mostra romana, che allinea una quarantina di opere, a partire dal grande stemma in pietra di papa Albani, opera di un autore ignoto proveniente da Palazzo Albani di Urbino.
Come una sorta di privatissima wundekammer, la rassegna illustra con opere pittoriche, disegni e stampe, opere di oreficeria, le arti secondo il mecenatismo di papa Albani. Siamo in pieno barocco, gli artisti dell’entourage di Clemente XI -Carlo Maratta, Alessio De Marchis, Andrea Procaccini e Francesco Mancini- risentono del gusto estetico del periodo, ma non vi aderiscono in pieno.
Tra le opere esposte si segnalano l’olio su tela «Il cardinale Giovanni Francesco Albani» (1692) di Carlo Maratta, proveniente da una collezione privata di Urbino, il bassorilievo in marmo «Ritratto di Clemente XI» (secolo XVIII), appartenente alla collezione di Antonio Maria Antonelli, e un’acquaforte (1709) di Pietro Nelli e Girolamo Rossi, con un papa ormai anziano. Di meravigliosa bellezza sono, poi, il grande olio su tela «Miracolo della beata Mafalda del Portogallo» (1710-1725), il «Cristo in gloria con i santi Clemente e Ignazio d’Antiochia» (1713) di Francesco Mancini e il «San Pietro battezza il centurione Cornelio» (1711 ca.) di Carlo Maratta e Andrea Procaccini.
Clemente XI, illuminato mecenate e collezionista, durante il suo papato persegue una considerevole politica culturale, davvero degna di nota. La passione per l'erudizione determinò la fondazione di un'importante sezione orientale della Biblioteca Vaticana con il reperimento di numerosi e preziosi manoscritti. La sua sensibilità per la salvaguardia del patrimonio artistico-archeologico di Roma favorì l'azione meritevole di Francesco Bianchini e Marcantonio Boldetti.
Il suo fu un mecenatismo costituito da innovazioni, da scavi archeologici e da restauri di chiese e monumenti: famosi restano i restauri delle stanze di Raffaello, del Pantheon, della basilica di San Clemente e la scoperta e l'erezione della colonna Antonina.
Papa Albani fu particolarmente grato alla sua città, Urbino: fu generosissimo nelle opere pubbliche, nella definizione di innumerevoli privilegi all'università locale e alla cancellazione dei debiti. Inoltre, continuando l'opera di Innocenzo XII, favorì l'attività di riordino dell'università di Roma intrapresa dal cardinale Spinola che giunse ad un'effettiva razionalizzazione della didattica e del numero dei professori di cui si curò maggiormente il livello professionale. In questo rilancio della Sapienza furono favorite le discipline giuridiche, prima fra tutte il diritto canonico, in conformità all'esigenza di formare legisti preparati in grado di contrastare validamente le innumerevoli obiezioni giurisdizionaliste.
Infine, nel campo delle lettere intervenne nel 1711 a favore del poeta maceratese Giovanni Mario Crescimbeni per mantenere fortemente gerarchizzata e curiale la struttura dell'Accademia dell’Arcadia.
Già cagionevole di salute sin dal 1710, Clemente XI morì a Roma il 19 marzo 1721, lasciando ai posteri un grande lavoro pastorale e culturale, che rende ancor più evidente l’eccezionale gusto estetico e collezionistico di questo pontefice.

Informazioni utili
«Clemente XI. Collezionista e mecenate illustre». Complesso Monumentale di San Salvatore in Lauro del Pio Sodalizio dei Piceni, piazza di San Salvatore in Lauro, 15 – Roma. Orari: lunedì – sabato, ore 9:00 – 13:00 e ore 16:00 – 19:00; domenica, ore 9:00 - 12:00; chiuso nei festivi. Ingresso gratuito. Informazioni: Artifex International Srls, tel. 06.68193064, info@artifexarte.it. Fino al 25 febbraio 2018.

venerdì 26 gennaio 2018

Trieste, la Shoah attraverso gli occhi di Anton Zoran Mušič

Le arti figurative hanno spesso il pregio di far continuare a vivere attraverso immagini e sensazioni pagine significative della nostra Storia, ricordando ciò che è stato per far sì che non accada più. È il caso della Shoah: i visi allucinati di Edith Birkin, le scene di grande impatto fotografico di David Olère, i profili tratteggiati di Richard Grune, la disperazione ritratta da Sara Kestelman, i terribili paesaggi di Samuel Bak e le fosse dipinte da Leslie Cole sono soltanto alcune testimonianze del genocidio nazista giunte fino a noi.
Tra gli artisti che hanno impresso nella nostra memoria la brutalità di ciò che è avvenuto nei campi di concentramento c’è anche Anton Zoran Mušič (Boccavizza, 12 febbraio 1909 – Venezia, 25 maggio 2005), a cui la città di Trieste dedica negli spazi del Civico Museo Revoltella, in occasione della Giornata internazionale della memoria 2018, la mostra «Occhi vetrificati».
L’esposizione, per la curatela di Laura Carlini Fanfogna, allinea ventiquattro disegni, tutti inediti, che l’artista realizzò nel 1945, mentre era prigioniero a Dachau, marchiato con il triangolo rosso dei deportati politici, a causa dell’accusa di collaborazione alla Resistenza per la sua amicizia con Ivo Gregorc, membro della Croce Rossa slovena.
Questi lavori erano stati «dimenticati» tra i fascicoli d’archivio conservati in varie istituzioni che si occupano di preservare la memoria storica degli eventi legati alla Seconda guerra mondiale, tra cui l’Istituto regionale per la Storia del movimento di Liberazione nel Friuli Venezia Giulia, e sono ritornati alla luce nel luglio del 2016 nel corso di una ricerca che il professor Franco Cecotti, vicepresidente dell’Aned - Associazione nazionale ex deportati, stava conducendo.
Oggetto del suo interesse era una cartella contenente ciclostilati e materiali intitolata «Gli italiani in Dachau» e risalente al maggio del 1945. La stessa data era riportata anche su una seconda cartella, contrassegnata come «Disegni campo Dachau», dalla quale sono emerse le opere di Mušič al centro dell’esposizione triestina.
I disegni furono realizzati dall’artista appena dopo l’arrivo degli Alleati, quando egli sopravviveva nel campo in una sorta di quarantena, sopraffatto dall’angoscia che ancora lo torturava.
Le ventiquattro opere riunite in mostra facevano parte di un corpus più ampio di pezzi che Mušič donò in parte ai compagni sopravvissuti.
Questi disegni andarono dispersi, fatta eccezione per il nucleo esposto ora al museo Revoltella.
Fissati a matita o inchiostro su supporti disparati come fogli di quaderno, carte di riciclo e persino libri, questi lavori, dove spesso sono raffigurati cadaveri a mucchi e a pile, danno forma all’orrore. Sembrano urla silenziose di dolore, un dolore che l’artista tenne a lungo lontano dalla sua memoria. Ritornato a casa, Mušič si dedicò, infatti, a lungo a raccontare l’amata Venezia e i paesaggi dalmati e solo negli anni Settanta, trascorso un quarto di secolo, riuscì a ritornare sull’argomento con la serie «Noi siamo gli ultimi», raccontando «l’orrido che è insito nell’uomo».
«I ventiquattro disegni di Music, vero tesoro d’arte e di storia, dopo l’esposizione resteranno in deposito nelle nostre collezioni -sottolinea Laura Carlini Fanfogna, curatrice della mostra e direttrice del Servizio civici musei e biblioteche del Comune di Trieste - e saranno affiancati dalla storica video-intervista che vent’anni fa l’artista rilasciò in occasione della sua mostra alla Risiera di San Sabba, rievocando quella deportazione a Dachau».
«Con l'occasione abbiamo voluto anche documentare – racconta ancora la Carlini Fanfogna - la realtà di quel campo e di altri campi di sterminio, attraverso una selezione di immagini che l’Usis-United States Information Service vi realizzò all’arrivo delle truppe alleate. Sono immagini tratte dalla nostra fototeca, ricca di quasi 3 milioni di foto e, tra esse, di un corpus di ben 14 mila concesse proprio dall’Usis».

Informazioni utili
«Occhi vetrificati». Museo Revoltella, via Diaz, 27 - Trieste. Orari: lunedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato e domenica, ore 10.00-19.00; la cassa chiude alle ore 18.15. Ingresso: intero € 7,00, ridotto € 5,00, ridotto scolastico € 3,00. Informazioni: tel. 040.6754350/4158. Sito internet: www.museorevoltella.it. Dal 27 gennaio al 2 aprile 2018. 

mercoledì 24 gennaio 2018

«Storie, Direzioni, Visioni»: la Gam di Torino si racconta attraverso le sue collezioni

Guarda alla sua storia la Gam – Galleria d’arte moderna e contemporanea di Torino per la nuova esposizione permanente delle sue collezioni. Dallo scorso dicembre il museo sabaudo presenta al pubblico un nuovo allestimento, che abbandona l’usuale ordinamento tematico per offrire al pubblico un percorso che ricompone la storia del primo museo civico d’arte moderna italiano, raccontando anche le vicende artistiche degli ultimi due secoli attraverso le acquisizioni e le politiche culturali promosse dai direttori che si sono succeduti alla guida della prestigiosa realtà piemontese: Pio Agodino, Emanuele d’Azeglio, Vittorio Avondo, Enrico Thovez, Lorenzo Rovere, Vittorio Viale e Luigi Mallé.
Il riallestimento delle collezioni, guidato da Carolyn Christov-Bakargiev, è curato per l’Ottocento da Virginia Bertone con Fabio Cafagna e Filippo Bosco, e per il Novecento da Riccardo Passoni con Giorgina Bertolino.
Il nuovo allestimento della Gam è ordinato secondo tre linee di lettura: la storia dell’arte, la storia del museo, e il contesto storico, sociale ed economico di Torino nella cornice degli avvenimenti nazionali e internazionali.
Al secondo piano sono esposti dipinti e sculture che accompagnano il visitatore dalla nascita del museo nel 1863 fino ai primi anni del Novecento; al primo piano sono presentate le opere datate dagli anni dieci del Novecento fino alla Pop art, coeva al boom economico degli anni sessanta del secolo scorso.
La sequenza delle opere e dei capolavori conservati dalla Gam rispecchia i gusti di allestimento dell’epoca: nella seconda metà dell’Ottocento, ad esempio, i dipinti si allestivano a quadreria su pareti colorate, spesso rosso pompeiano o verde oliva, perché si pensava che per contrasto i dipinti risaltassero come finestre sul mondo.
Il museo era uno spazio pubblico: ci si sedeva sulle panchine e si conversava, come in un parco. All’inizio del XX secolo le pareti si schiariscono, si adotta il beige o il grigio quale colore di fondo e nasce il canone dell’allineamento su una sola fila, con le opere una accanto all’altra all’altezza degli occhi.
Gli aspetti innovativi del nuovo ordinamento della collezione comprendono anche la forte presenza di documenti d’archivio e testi di sala che raccontano la storia dell’arte attraverso le opere della Galleria torinese. Il percorso espositivo presenta, inoltre, dei «metamusei»: pareti che, attraverso immagini d’epoca e testi, offrono focus di approfondimento sulle vicende artistiche e storiche del museo e della città, in rapporto agli avvenimenti italiani e del mondo.
Il percorso di visita ha inizio dal secondo piano dove sono ospitate le opere dell’Ottocento, dalle origini delle raccolte civiche (1863) fino alla vigilia della Grande guerra (1914).
Per la colorazione delle pareti si è scelto di adottare un’alternanza di rosso e verde, colori utilizzati nel 1913 da Enrico Thovez, che in quell’anno fu nominato direttore della Galleria civica.
«Nelle ultime sale dell'Ottocento, -raccontano gli organizzatori- la direzione ha scelto di sperimentare e studiare il rapporto percettivo del pubblico contemporaneo con altre tonalità caratteristiche della nostra vita attuale, evitando di mostrare l'arte ottocentesca negli ambienti bianchi tipici degli spazi museali dalla fine del Novecento a oggi».
Il percorso è suddiviso in diciassette sale che seguono un ordinamento cronologico affrontando temi quali «Il rinnovamento del paesaggio», «L’arte alle grandi esposizioni», «La fortuna del ritratto» e «La pittura divisionista e simbolista».
 Tra le opere dei molti artisti presenti nelle collezioni sono esposte quelle di Antonio Canova (1757-1822), Giovanni Battista De Gubernatis (1774-1837), Andrea Gastaldi (1826-1889), Vincenzo Vela (1820-1891), Giovanni Fattori (1825-1908), Tranquillo Cremona (1837-1878), Vincenzo Gemito (1852-1929), Giuseppe Pellizza da Volpedo (1868-1907), Angelo Morbelli (1853-1919), Medardo Rosso (1858-1928), Gustave Courbet (1819-1877), Pierre-Auguste Renoir (1841-1919) e sale dedicate ai nuclei di opere di Massimo d’Azeglio (1798-1866), Antonio Fontanesi (1818-1882) e Leonardo Bistolfi (1859-1933).
Il primo piano raccoglie le opere del Novecento che spaziano dal primo decennio del secolo fino al 1965, con sale intitolate alla «Moderna classicità», ai «Futurismi» e alle «Avanguardie storiche», che propongono opere di Felice Carena (1879-1966), Mario Sironi (1885-1961), Carlo Carrà (1881-1966), Alberto Savinio (1891-1952), Giorgio de Chirico (1888-1978), Giacomo Balla (1871-1958), Gino Severini (1883-1966), Umberto Boccioni (1882-1916), Enrico Prampolini (1894-1956), Otto Dix (1891-1969), Francis Picabia (1879-1953), Max Ernst (1891-1976) e Paul Klee (1879-1940).
Il percorso è intervallato dalle stanze monografiche destinate ai capolavori di Felice Casorati (1883-1963), Arturo Martini (1889-1947), Giorgio Morandi (1890-1964) e Filippo de Pisis (1896-1956). Un’ampia sala, dedicata all’«Arte a Torino tra le due guerre», è introdotta da Amedeo Modigliani (1884-1920), che con la sua «Ragazza rossa» è una delle fonti di ispirazione del gruppo cosiddetto dei «Sei pittori».
L’itinerario all’interno delle collezioni prosegue con la sala degli artisti «Astratti italiani» degli anni Trenta rappresentati dalle sculture di Lucio Fontana (1899-1968), Fausto Melotti (1901-1986) e dai dipinti di Osvaldo Licini (1894-1958). Si snoda tra le opere dei protagonisti della scena internazionale degli anni Quaranta e Cinquanta: Marc Chagall (1887-1985), Pablo Picasso (1881-1973), Hans Hartung (1904-1989), Hans Jean Arp (1887-1966). Approfondisce le ricerche di Lucio Fontana (1899-1968), Alberto Burri (1915-1995), Asger Jorn (1914-1973) e Pinot Gallizio (1902 – 1964). Si inoltra negli anni Sessanta approfondendo la storia del «Museo Sperimentale», allargando, infine, lo sguardo sulla scena Pop italiana con opere, tra gli altri, di Mario Schifano (1934-1998) e Salvatore Scarpitta (1919-2007), ma anche di Andy Warhol (1928-1987), Louise Nevelson (1899-1988) e Beverly Pepper (1924).
Un viaggio, dunque, ben articolato tra le storie, le direzioni e le visioni di chi ha creato e reso grande la Gam di Torino tra il 1863 e il 1965, consegnando alla storia uno dei musei d’arte moderna e contemporanea più importanti d’Italia.

Informazioni utili 
GAM - Galleria civica d’arte moderna e contemporanea di Torino, via Magenta, 31 – Torino. Orari: martedì – domenica, ore 10.00-18.00, chiuso lunedì (la biglietteria chiude un’ora prima). Ingressi: intero € 10,00, ridotto € 8,00, gratuito ragazzi fino ai 18 anni. Informazioni per il pubblico: tel. 011.4429518. Sito Internet: www.gamtorino.it.

lunedì 22 gennaio 2018

Da David Hockney a Cézanne, Nexo Digital porta la grande arte al cinema

La grande arte ritorna sugli schermi dei cinema italiani. Dopo il successo della scorsa stagione, che ha raccolto oltre quattrocentomila spettatori, Nexo Digital propone un nuovo calendario di eventi cinematografici che, grazie alla tecnologia del cinema digitale, faranno vivere sul grande schermo tutta la ricchezza delle mostre, degli artisti e dei musei più importanti del mondo.
A inaugurare questo nuovo ciclo sarà, nelle giornate del 30 e del 31 gennaio, il docufilm «David Hockney dalla Royal Academy of Arts», che racconta le due grandi esposizioni che la prestigiosa istituzione londinese ha dedicato all’artista, uno dei simboli indiscussi della Pop art inglese.
Il rapporto di David Hockney con la Royal Academy of Arts, di cui è membro dal 1991, è unico, tanto che l’artista ha creato che per gli spazi dell’istituzione britannica ben due eventi espositivi ad hoc: «A Bigger Picture 2012» e «82 Portraits and One Still Life 2016».
Partendo da questi allestimenti, il film ripercorre la carriera del maestro britannico, artefice di opere iconiche come «A Bigger Splash» e «A Closer Grand Canyon».
A partire dall’intervista all’artista a cura di Tim Marlow, direttore artistico della Royal Academy of Arts, Hockney racconterà, nello specifico, il suo primo viaggio all’estero, in Egitto nel 1963, il dolore per la morte dell’amico Jonathan Silver e le tecniche innovative che sta abbracciando in questi anni, con disegni e video realizzati con l’iPad.
Ad arricchire il racconto ci saranno anche i pareri dei critici d’arte Martin Gayford e Jonathan Jones, e quelli di Edith Devaney, senior contemporary curator della Royal Academy of Arts, che posò due volte per l’artista.
Pittore sempre pronto a sperimentare e ad innovare il proprio linguaggio, gioioso nel suo modo di dipingere irrequieto, imprevedibile e vitale, Hockney dà vita a un’arte ricca di immediatezza, capace di regalare un senso di energia e vigore a tutti i soggetti trattati.
Le due mostre al centro del racconto, realizzato da Nexo Digital in collaborazione con Sky Arte HD e MYmovies.it, sono entrambe molto interessanti. «A Bigger Picture 2012» è stata la prima grande rassegna di nuovi dipinti paesaggistici di David Hockney, caratterizzata da imponenti e maestose opere di grandi dimensioni ispirate al paesaggio dello Yorkshire. «82 Portraits and One Still Life 2016» è, invece, la raccolta di straordinaria bellezza e valore artistico incentrata sull'arte del ritratto, rielaborato ed espresso con rinnovato vigore creativo grazie a dipinti che offrono un'istantanea sulla vita privata dell'artista e sul mondo dell'arte attraverso la rappresentazione di amici, colleghi o persone che hanno incrociato il suo percorso tra il 2014 e il 2015.

La rassegna proseguirà con «Caravaggio – L’amore e il sangue», documentario il cui debutto nei cinema italiani è previsto per le giornate dal 19 al 21 febbraio.
Il film è un excursus narrativo e visivo attraverso i luoghi in cui l’artista, uno dei geni più controversi della storia dell’arte, ha vissuto e quelli che ancora oggi custodiscono alcune tra le sue opere più note: Milano, Firenze, Roma, Napoli e Malta.
La consulenza scientifica è stata affidata al professor Claudio Strinati, storico dell’arte che nel film racconta la figura di Michelangelo Merisi in stretta correlazione con le sue opere.
Il documentario è ulteriormente arricchito dagli interventi della professoressa Mina Gregori, presidente della Fondazione di studi di storia dell’arte Roberto Longhi, che fornisce alcune letture personali delle opere dell’artista e di Rossella Vodret, anche curatrice della mostra «Dentro Caravaggio», allestita fino al 28 gennaio a Milano, che illustra i risultati dei più recenti studi sulla tecnica pittorica dell’artista.
Un’approfondita ricerca documentale negli archivi che custodiscono traccia del passaggio dell’artista, che nel film “rivive” grazie alla voce di Manuel Agnelli, condurrà il pubblico alla scoperta di una quarantina di opere dell’artista, che, grazie all’impiego di evolute elaborazioni grafiche, di macro estremizzate e di lavorazioni di luce ed ombra, prenderanno quasi vita e corpo, si confondono con la realtà dando una percezione quasi tattile.
Seguirà, nelle giornate del 13 e del 14 marzo, il film «Hitler contro Picasso egli altri. L’ossessione nazista per l’arte», che raccoglie testimonianze dirette legate a storie presentate nell’ambito delle grandi mostre che nel 2017, a distanza di ottanta anni, hanno fatto il punto sull’arte trafugata in quel periodo e sulle ultime restituzioni. Il documentario riporta così gli spettatori al 1937, periodo in cui incomincio la razzia, nei musei dei territori occupati e nelle case dei collezionisti e ebrei, di capolavori destinati a occupare gli spazi di quello che Hitler immaginava come il Louvre di Linz.
Sarà, dunque, la volta di «Van Gogh tra il grano e il cielo», in cartellone dal 9 all’11 aprile. Il documentario è stato realizzato in occasione della grande mostra, a cura di Marco Goldin, allestita fino all’8 aprile alla Basilica palladiana di Vicenza, nella quale sono allineati quaranta dipinti e ottantacinque disegni proventi dal Kröller-Müller Museum di Otterlo in Olanda. Il film, che vede alla regia Fabio Massimo Iaquone e Luca Attilii, permette anche di capire l'importanza del disegno e dei lunghi studi preparatori nella pratica artistica di Van Gogh.
Attraverso le lettere dell’artista, interpretate da Carlo Valli, accostate a cento immagini di quadri, foto d’epoca e documenti originali, il racconto viene scandito dalle tappe fondamentali della vita del maestro de «I girasoli»: il Borinage, Etten, l’Aia, la Drenthe, Nuenen, Parigi, Arles, Saint-Rémy e Auvers-sur-Oise. Di grande impatto emotivo anche le musiche originali composte da Anna Campagnaro, Sandro Di Paolo, Mauro Martello, Renzo Ruggieri e Paolo Troncon.
A chiudere il programma sarà, nelle giornate dell’8 e 9 maggio, il film «Cézanne. Ritratti di una vita», nato dalla mostra «Cézanne’s portraits», che ha raccolto per la prima volta oltre cinquanta ritratti eseguiti dall’artista, in viaggio tra la National Portrait Gallery di Londra, il Musée d’Orsay di Parigi e la National Gallery of Art di Washington DC. Il documentario sul padre dell’arte moderna, colui che influenzò Fauves, cubisti e tutti gli artisti delle Avanguardie , conduce lo spettatore nella vita dell’artista attraverso le sue lettere personali e l’esplorazione degli spazi privati, includendo anche filmati girati nel sud della Francia, dove Cézanne nacque e si spense.

Informazioni utili
Tutti i titoli possono essere richiesti anche per speciali matinée al cinema dedicate alle scuole. Per prenotazioni: Maria Chiara Buongiorno, progetto.scuole@nexodigital.it, tel. 02.8051633. 

sabato 20 gennaio 2018

Michelangelo e i migranti per il debutto milanese della galleria Poggiali

Guarda a Michelangelo Buonarotti l’opera scelta dalla Galleria Poggiali per inaugurare la sua nuova sede a Milano. Fabio Viale, l’artista selezionato per il debutto dello spazio espositivo di Foro Bonaparte, porta, infatti, in mostra una replica della «Pietà», conservata in Vaticano.
L’opera, realizzata con l’aiuto del Cas – Centro accoglienza straordinaria di Torino, presenta, però, un elemento di novità: la figura del Cristo è stata sostituita da quella di un ragazzo di colore e un audio spiega il motivo di questa scelta. Quel giovane effigiato è un ragazzo nigeriano di fede cristiana costretto all’età di diciassette anni a lasciare il suo Paese per le persecuzioni religiose Il tutto va a comporre, insieme con un manifesto di grandi dimensioni che ritrae il giovane africano, la mostra «Lucky Hei», a cura di Sergio Risaliti. Il visitatore si trova così davanti a un unico racconto, ben coordinato, «in cui -si legge nella nota stampa- pratica artistica e storia dell’arte, teologia e poesia, media diversi, si scontrano e misurano con la cronaca, tra fatti quotidiani e geopolitica, per fondersi con l’umano destino, con le sofferenze e ingiustizie nel mondo».
Con questo progetto Fabio Viale affronta una sfida con se stesso: la sua sorprendente abilità tecnica, ai limiti del virtuosismo, lo porta a confrontarsi con uno dei modelli più alti e più studiati della scultura religiosa (e non solo) di tutti i tempi, la «Pietà» michelangiolesca, e a fare un passo oltre, riportando il divino alla dimensione umana attraverso il gesto semplice e toccante di “strappare” il Cristo dal grembo di Maria. Nella versione di Viale le braccia della Madonna sono aperte e vuote, pronte ad accogliere simbolicamente un nuovo corpo, in attesa di ricongiungersi con il frutto del suo sangue. E sta proprio qui l’atto più coraggioso dell’artista, che non ha timore di aggiungere nuovi contenuti a quelli già notevolmente complessi della «Pietà», suggerendo come novello Cristo contemporaneo un giovane di colore -Lucky Ehi, appunto- migrante nigeriano con una grande croce cristiana tatuata su una spalla, fuggito da un inferno di violenza, e dopo dure e lunghe traversie arrivato in Italia. Lucky è uno dei tanti ultimi della nostra società, che l’artista ha voluto ritrarre in una dimensione di amore materno che travalica oggi più che mai ogni confine – geografico, politico, sociale e religioso.
«È la storia individuale di Lucky Ehi che diventa centrale -sottolinea Sergio Risaliti, curatore della mostra e studioso di Michelangelo (autore con Francesco Vossilla del saggio «Michelangelo. La Pietà vaticana», edito da Bompiani)-: la sua è una storia esemplare, paradigmatica, eppure simile a quella di migliaia di uomini e di donne che fuggono dal proprio Paese di origine in cerca di pace e di benessere, di libertà e fratellanza. La storia di Lucky Ehi si sovrappone così a quella di Gesù. Il giovane è l’esausto che trova pace sulla Pietà al posto del Messia. Il messaggio cristiano in cui Lucky ha riposto speranza, così come ci testimonia il tatuaggio, trova un compimento simbolico. E in questa storia dei nostri tempi, Maria, che è anche chiesa e comunità nell’iconografia religiosa – è la madre, la comunità laica che accoglie e abbraccia consolando».
Un appuntamento, dunque, che farà sicuramente parlare di sé quello scelto dalla Galleria Poggiali per inaugurare i suoi spazi milanesi, che vanno ad aggiungersi a quelli storici di Firenze e Pietrasanta. La nuova sede di Foro Bonaparte è concepita come un ampio contenitore cubico nella tradizione del piece unique: un luogo di ricerca, a metà tra una project-room e una vetrina su larga scala, destinata a ospitare soltanto mostre site-specific, per le quali gli artisti coinvolti saranno chiamati a realizzare un unico progetto appositamente concepito come nel caso di questo primo appuntamento.

Informazioni utili 
Fabio Viale. Lucky Ehi. Galleria Poggiali, Foro Buonaparte 52 – 20121 Milano. Ingresso libero.  Orari: dal martedi al sabato, ore 10.30-13.30 e ore 15-19 | domenica e lunedì chiuso. Informazioni: tel. 02.72095815 o info@galleriapoggiali.com. Sito internet: www.galleriapoggiali.com. Fino al 30 marzo 2018. 

giovedì 18 gennaio 2018

«Mercoledì d’essai», a Busto Arsizio dodici appuntamenti con il cinema d'autore


È il documentario «Noi, i neri» del regista varesino Maurizio Fantoni Minnella ad aprire la seconda parte della rassegna «Mercoledì d’essai – Stagione 2017/2018», promossa dal cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio nell’ambito del circuito «Sguardi d’essai – Sale cinematografiche culturali a Busto Arsizio».
Dal 24 gennaio al 2 maggio, accanto alla consueta programmazione settimanale di prime visioni, la sala di via Calatafimi offrirà al suo pubblico una nuova serie di appuntamenti con il cinema di qualità e di autore. Dodici i titoli in agenda, attenti anche a tematiche di argomento sociale, per i quali si terrà una doppia proiezione: alle ore 16.00 e alle ore 21.00.
Girato in Italia e in Senegal dall’agosto del 2016 al gennaio del 2017, il documentario «Noi, i neri», scelto per aprire il cartellone, «affronta un tema attuale come quello dell’emigrazione -si legge nella sinossi- da un’angolazione particolare, che non punta sulle immagini degli sbarchi o dei luoghi di detenzione temporanea, ma che osserva le vite dei migranti in una zona grigia, una sorta di limbo sospeso tra la tragedia dell’arrivo e l’illusione e la speranza di una vita nuova».
Filo conduttore del film sono le storie di Lamine, senegalese del Casamance, novello scrittore fuggito dal suo Paese per ragioni politiche, e di Valentin, giovane cantante e musicista congolese, che vive con la madre anziana e sogna di diventare un grande artista africano. Alle loro storie si alternano quelle sulle vite di giovani profughi africani fuggiti dalla guerra, riuniti in alcuni appartamenti, in attesa di una nuova vita. «Di essi - si legge nella sinossi- vengono colti i tempi morti durante le sere: cellulari, televisione, brevi conversazioni, andirivieni per strada e molta solitudine. Ma anche la volontà, spesso illusoria, di conoscere una nuova lingua in un Paese nuovo».
La rassegna proseguirà, quindi, nella giornata di mercoledì 31 gennaio con la proiezione di uno dei film di guerra più belli e importanti del nuovo millennio: «Dunkirk» di Christopher Nolan. Al centro della storia c'è una gloriosa pagina di patriottismo, passata alla storia con il nome di «miracolo di Dunkerque», ovvero l'operazione di evacuazione navale su larga scala delle forze alleate da parte degli Spitfire della RAF e di centinaia di piccole imbarcazioni, che ebbe luogo dal 27 maggio al 4 giugno 1940 nella città portuale francese di Dunkerque (Dunkirk è il nome britannico), teatro di un episodio fondamentale della Seconda guerra mondiale.
Mercoledì 7 febbraio sarà, invece, la volta del film «Una donna fantastica» del regista cileno Sebastián Lelio, presentato e premiato al Festival di Berlino 2017 con l’Orso d’argento per la miglior sceneggiatura e scelto per rappresentare il Cile agli Oscar. La pellicola, interpretata da Daniela Vega, parla di identità sessuale, ma anche di dolore e di perdita attraverso la figura di Marina, una transessuale che perde all’improvviso il suo grande amore, vedendosi così costretta a fare i conti non solo con la sofferenza, ma anche con l’ostilità carica d’odio e di rancore della famiglia di lui, ignara della relazione.
Si interroga sulla complessità dei rapporti interpersonali anche il film in agenda mercoledì 14 febbraio: «Song to song» di Terrence Malick, struggente dramma sentimentale ambientato nel mondo musicale texano che parla di amore, gelosia, invidia e competizione attraverso un cast stellare formato, tra gli altri, da Michael Fassbender, Ryan Gosling, Natalie Portman e Rooney Mara.
Il cineforum del Manzoni proseguirà, quindi, nella giornata di mercoledì 28 febbraio con «L’intrusa», storia di redenzione e camorra firmata dal regista napoletano Leonardo Di Costanzo.
Porta lo spettatore a Napoli anche il film in cartellone mercoledì 7 marzo: «Ammore e malavita» dei Manetti Bros, scoppiettante mix tra action-movie e musical, che vale la pena assaporare per la spassosa ironia sul mondo mafioso partenopeo, ma anche per la bravura del cast, tutto italiano, formato da Giampaolo Morelli, Serena Rossi, Claudia Gerini e Carlo Buccirosso.
Mercoledì 14 marzo la sala di via Calatafimi ospiterà, invece, la proiezione del film «La signora dello zoo di Varsavia», versione cinematografica diretta dalla regista neozelandese Niki Caro del libro «The Zookeeper’s Wife» (edito in Italia da Sperling & Kupfer), che l’americana Diana Ackerman ha scritto a partire dal diario inedito di Antonina Zabinski, nel quale si racconta una storia realmente accaduta negli anni della Shoah, quella dei coniugi Zabinski che, nella loro Polonia, misero in salvo circa trecento persone e furono insigniti, nel 1965, del titolo di «Giusti tra le Nazioni».
Spazio poi, nella giornata di mercoledì 21 marzo, al film vincitore della palma d’oro al Festival di Cannes nel 2017: «The Square» del regista svedese Ruben Östlund, pellicola disturbante che critica aspramente le ipocrisie umane, celate dietro al perbenismo. Protagonista della storia è Christian, un quarantenne rampante, elegante ed educato, curatore di un museo d’arte moderna e contemporanea a Stoccolma, dove si sta allestendo un’installazione che invita all’altruismo e alla condivisione. Una serie di eventi non previsti, come il furto del cellulare e del portafoglio per strada, metteranno in gioco i sentimenti del protagonista, facendone uscire la parte più brutale.
A seguire, nella giornata di mercoledì 4 aprile, la sala di via Calatafimi avrà in agenda «Ogni tuo respiro», film che segna l'esordio alla regia dell'attore Andy Serkis, nel quale si racconta la storia di Robin Cavendish, un uomo spigliato, ironico e avventuroso, rimasto paralizzato dal collo in giù all'età di ventotto anni e di come egli abbia affrontato la sua malattia, reagendo al suo destino, dando un grande contributo a migliorare la mobilità e l'accesso dei disabili.
Appuntamento, quindi, con il cinema italiano. Mercoledì 11 aprile è in agenda «L’esodo», film-denuncia di Ciro Formisano che racconta, per la prima volta, una pagina amara della storia recente del nostro Paese: il tema degli esodati, uomini e donne improvvisamente trovatisi in un limbo -senza pensione, senza stipendio e senza ammortizzatori sociali- a seguito dell’entrata in vigore di alcune misure contenute nella legge varata dal ministro Elsa Fornero.
Mercoledì 18 aprile il cartellone del Manzoni proporrà, invece, di scoprire la vera storia del papà di Winnie The Pooh, lo scrittore A. A. Milne, con il film «Vi presento Christopher Robin».
A chiudere il cartellone sarà nella giornata di mercoledì 2 maggio il film «Un sacchetto di biglie» di Christian Duguay, tratto dall’omonimo romanzo storico di Joseph Joffo, bestseller mondiale (in Italia edito da Bur Rizzoli), che ha venduto oltre venti milioni di copie in ventidue Paesi ed è già stato adattato per il grande schermo nel 1975 da Jacques Doillon. Il film, in uscita in Italia in occasione della Giornata internazionale della memoria 2018, racconta la storia di due fratelli, di credo ebraico, che si trovano a vivere l’occupazione tedesca in Francia e che, con una dose sorprendente di malizia, coraggio e ingegno, riescono a sopravvivere alle barbarie naziste e a ricongiungersi alla propria famiglia.
Un cartellone, dunque, vario quello proposto dal cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio che permette, comunque, di rintracciare alcune linee guida: la Seconda guerra mondiale e l'Olocausto, il tema degli esodati, le difficoltà dei migranti africani nel nostro Paese, l'identità sessuale e la vita di chi è disabile.

Informazioni utili 
«Mercoledì d’essai – Stagione 2017/2018». Cinema teatro Manzoni, via Calatafimi, 5 - Busto Arsizio (Varese). Ingresso: l’abbonamento per la seconda sezione della rassegna cinematografica «Mercoledì d’essai – Stagione 2017/2018» ha un costo complessivo di 30,00 euro; il biglietto per ogni singola proiezione, in vendita anche on-line, è fissato a 5,00 euro. Note: tutte le proiezioni saranno corredate da schede di approfondimento; all’appuntamento pomeridiano, pensato specificatamente per il pubblico della terza età, seguirà sempre un momento conviviale con tè e dolci. Le schede e i trailer di tutti i film in programmazione sono consultabili sul sito www.cinemateatromanzoni.it, dove è anche possibile procedere all’acquisto on-line dei singoli biglietti tramite circuito Crea Informatica (www.webtic.it). Informazioni: per maggiori informazioni sulla programmazione cinematografica della sala è possibile contattare lo 0331.677961 (in orario serale, dalle ore 20.30 alle ore 21.30, tranne il martedì) o scrivere all’indirizzo info@cinemateatromanzoni.it. Sito web: www.cinemateatromanzoni.it. Dal 24 gennaio al 2 maggio 2018. 

martedì 16 gennaio 2018

«Queste pazze donne», sentimenti e nevrosi femminili in scena

Si tinge di rosa il palcoscenico del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio per il terzo appuntamento della stagione «Mettiamo in circolo la cultura», inserita nel cartellone cittadino «BA Teatro».
Dopo gli appuntamenti con Lorella Cuccarini e Sergio Sgrilli, giovedì 25 gennaio, alle ore 21, la sala di via Calatafimi accoglie tre apprezzate protagoniste della scena contemporanea -Paola Quattrini, Vanessa Gravina ed Emanuela Grimalda- con la commedia «Queste pazze donne» del drammaturgo viennese Gabriel Barylli, nella traduzione e per l’adattamento di Maria Teresa Petruzzi.
Lo spettacolo, che si avvale della regia di Stefano Artissunch, mette sotto i riflettori le storie di tre donne, diverse nel temperamento e nelle scelte di vita, che si ritrovano a trascorrere insieme la sera della vigilia di Natale. «Gli uomini -si legge nella sinossi- sono fuori, girano intorno a loro come satelliti di un pianeta. Linda ne ha troppi, Cristina nessuno, Barbara uno solo, il marito, che l’ha pure tradita».
Dalle confessioni delle tre protagoniste, che danno vita a un irresistibile mix tra commedia e melodramma, emergono -afferma la produzione dello spettacolo, curata da Daniela Celani per Synergie Arte Teatro- «storie di amori negati o vissuti, intrecci, gelosie, figli segreti, case, vestiti colorati, scenari quotidiani a tinte vagamente gialle».
Commedia molto applaudita in Austria, Francia e Germania, dove ha vinto anche i premi Bavarian Film e Adolf Grimme, «Queste pazze donne» offre così al pubblico -si legge ancora nella sinossi- «uno sguardo autentico, divertente, sensuale, brillante e disincantato sul mondo femminile». Grazie a questo racconto teatrale, che nella versione italiana ha debuttato questa estate nell’ambito della cinquantunesima edizione del Festival di Borgio Verezzi, gli uomini possono, dunque, «ascoltare cosa le donne dicono di loro tra loro» e le donne possono ritrovarsi con le loro paure e indecisioni, con le loro emozioni e i repentini cambiamenti di umore. Lo spettacolo racconta, infatti, «con sguardo amorevolmente satirico», i sentimenti e le nevrosi femminili, regalando, -afferma Stefano Artissunch- stralunate e visionarie atmosfere «alla Almodovar» che strappano sorrisi e invitano alla riflessione.
Il modo colorito di indagare i rapporti del regista spagnolo, le atmosfere tipiche dei suoi film, ricche di colori sgargianti, rivivono in scena anche grazie alle scenografie di Matteo Soltanto, ai costumi di Marco Nateri e al disegno luci di Giorgio Morgese.
 Ha tutti, dunque, tutti gli ingredienti per accontentare l’affezionato pubblico del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio (quasi trecentoquaranta gli abbonati della sala) la commedia «Queste pazze donne», scelta da Maria Ricucci dell’agenzia «InTeatro» di Opera (Milano) per la stagione «Mettiamo in circolo la cultura», ideata con l’intento di offrire al pubblico occasioni di riflessione, ma anche di divertimento leggero, attraverso otto spettacoli di prosa con noti personaggi della scena contemporanea, da Lorella Cuccarini a Giampiero Ingrassia, da Geppi Cuccari a Ivano Marescotti, passando per Debora Caprioglio, Gianfraco Jannuzzo, Valentina Lodovini e Max Pisu.
 La stagione proseguirà nella serata di mercoledì 21 febbraio, alle ore 21, con un altro appuntamento tutto al femminile: l’ironica e tagliente Geppy Cucciari porterà in scena, sotto la regia di Matteo Torre (autore anche del testo), il suo nuovo one woman show: «Perfetta».
Lo spettacolo, il cui debutto è fissato per il 15 febbraio ad Orvieto, si configura come una «radiografia sociale ed emotiva, fisica, -si legge nella sinossi- di ventotto comici e disperati giorni della vita» di una donna, attraverso le quattro fasi del ciclo femminile.

Informazioni utili 
Queste pazze donne. Cinema teatro Manzoni, via Calatafimi, 5 - Busto Arsizio (Varese). Ingresso: € 33,00 per la poltronissima, € 30,00 (intero) o € 27,00 (ridotto) per la poltrona, € 28,00 (intero) o € 25,00 (ridotto) per la galleria | le riduzioni sono previste per studenti, over 65 e per gruppi (Cral, scuole, biblioteche e associazioni) composti da minimo dieci persone | il diritto di prevendita è di euro 1,00. Botteghino: da giovedì 18 gennaio, dal lunedì al sabato, dalle ore 17 alle ore 19.  Prevendita on-line: www.cinemateatromanzoni.it e www.webtic.it. Informazioni: cell. 339.7559644, tel. 0331.677961 (negli orari di apertura del botteghino e in orario serale, dalle ore 20.30 alle ore 21.30, tranne il martedì), info@cinemateatromanzoni.it. Quando: 25 gennaio 2018, ore 21.00.

domenica 14 gennaio 2018

«Il mondo in una perla»: Murano celebra la sua storia

A mosaico, soffiate, a lume, sommerse, a occhi, a spirale, a bandiera, monocrome, piumate, a inserzioni di murrine, puntinate, sinusoidali, a pettine, incamiciate o figurate: c’è da perdersi nell’antico e magico mondo delle perle di vetro, manufatti la cui tradizione si rinnova di secolo in secolo e che perdura ancora oggi grazie alla straordinaria maestria e alla tecnica delle tante vetrerie presenti a Murano. Sull’isola veneziana si trova anche un museo che promuove questa pregevole storia, il cui patrimonio collezionistico è stato di recente sottoposto a catalogazione e a studio da parte di Augusto Panini, tra i massimi esperti sull’argomento, il cui lavoro ha dimostrato come le perle furono non solo uno strumento decorativo, ma anche una preziosa merce di scambio esportata in grande quantità nel XIX secolo verso le colonie dell’Africa Occidentale, dell’India e delle Americhe.
Dopo il catalogo edito questa estate dalla casa editrice Antiga di Treviso, il lavoro dello studioso comasco diventa ora una mostra, allestita fino al prossimo 15 aprile negli spazi delle ex conterie del Museo del vetro.
Venezia inizia la sua produzione verso il XIV secolo e una delle prime tecniche impiegate fu quella a speo: utilizzando una piccola quantità di vetro fuso e un ago di ferro (speo o spiedo) che si faceva girare al fuoco di un lume, si realizzava una perla forata. Ma la tecnica che divenne prevalente nei secoli successivi fu la fabbricazione delle perle a partire da bacchette o canne di vetro forate o massicce. Nella seconda metà del XV secolo viene messa a punto la molatura di perle da canna forata a più strati, con sezione a stella (perla rosetta), e solo verso il XVI secolo si riscopre e si affina la tecnica delle perle alla lucerna o a lume, che prevedeva l’uso di canne massicce.
La collezione del Museo del vetro di Murano è costituita oggi da 85 cartelle campionarie contenenti 14.182 perle, da tre pannelli di stoffa del 1863, dono della Società delle Fabbriche Unite contenenti 2015 perle e 266 mazzi di conterie, da 91 mazzi di perle a lume, di cui alcuni incompleti, da 8957 perle integre e 274 frammentate e 492 mazzi di conterie.
Scomparso sin dal 1912 l’inventario redatto dall’abate Zanetti, solo ora si è riusciti a ricondurre molte di queste perle, mazzi e cartelle alle vetrerie attive a Venezia e Murano tra il 1820 e il 1890 e dunque ai maestri vetrai, giganti dell’arte e imprenditori illuminati come Giovanni Battista Franchini, Domenico Bussolin, Benedetto Giorgio Barbaria, Antonio Salviati, Pietro Bigaglia e Giovanni Giacomuzzi, che con generosità e senso civico avevano donato al museo cittadino il meglio della propria produzione nascente.
Tra i materiali del Museo ora identificati vi sono due grandi cartelle genericamente definite «Lavori in vetro alla Lucerna» che comprendono perle prodotte dalla famiglia Franchini dal 1820 al 1860 dove spiccano le invenzioni del «geniale» Giovanni Battista Franchini: dalle «Perle a Coste di Mellone» alle «Perle in cristallo animate», dalla «Madre perla rosea» alle «Canne lavorate». Nelle collezioni civiche veneziane troviamo, inoltre, quelle che paiono essere le prime perle millefori prodotte in epoca moderna, presumibilmente tra il 1843 e il 1845. In nessun campionario antecedente di altri musei europei o americani risultano infatti perle millefori, che inventate in epoca alessandrina e romana, dopo la caduta dell’impero Romano d’Occidente avevano continuato fino al XV secolo a essere prodotte in Medio e Vicino Oriente.
Va, inoltre, sottolineato che se le cartelle campionarie conservate a Palazzo Giustiniani, equiparabili ai moderni campionari delle vetrerie, non contengono o quasi perle «rosetta» molate alla rotina, è significativo che nella collezione di perle ve ne sia invece una notevole quantità, di ogni misura (anche molto grandi) e di diversa tipologia: perle uniche nel loro genere -perle «rosetta» con strati di avventurina, con inserzioni di canne forate, fino a dieci strati e dai coloro assolutamente inusuali- segno di una accesa sperimentazione e di virtuosismi tecnici legati alla rinascita di un’antica tradizione che si era completamente dimenticata.
Era stata, infatti, Marina Barovier nel 1482 o qualche anno prima a inventare la perla «rosetta», protagonista delle prime esportazioni di perle nel Nuovo Mondo e in Africa tra la fine del 1400 e gli inizi del 1500. Ma dopo tale data non sia hanno più testimonianze di produzioni di perle rosetta molate, di grandi dimensioni. La rinascita di queste, in epoca moderna, pare dunque attestarsi tra il 1882 e il 1888, anno di un’importante commessa ricordata nelle cronache del tempo (251.000 perle rosetta di dimensioni tra i 13x14 mm e i 38x52 mm) e della conseguente vivace polemica tra vetrerie, circa la paternità di quella che ai più pareva una nuova produzione, ma che in realtà rinnovava i fasti di una perla inventata cinquecento anni prima.
In mostra a Murano, oltre alle collezioni storiche, si sono volute esporre le perle realizzate oggi da vetrerie dell’Isola, frutto di una storia che non si disperde e di una realtà che vuole salvaguardare maestria e capacità tecniche innervandole di nuovi stimoli.
Lungo il percorso espositivo, a tu per tu con il caleidoscopico mondo delle perle, ci vuole poco per lasciarsi sedurre da questi magici e antichi manufatti la cui tradizione tuttavia perdura e si rinnova anche oggi.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Perle di vetro a canna a strati forata, XIX secolo. Perle di vetro a canna a strati forata, molate a piramide tronca e a botticella, forma sferica, cilindrica, a oliva e prismatica con decorazioni a rosetta. Misure: diametro x lunghezza da mm 16x24 a mm 75x90; [fig. 2] Perle di vetro a canna forata, XIX secolo. Forma cilindrica con decorazioni lineari e a spirale. Misure: diametro x lunghezza da mm 7x7 a mm 13,5x16; [fig. 3] Perle di vetro a lume, XIX secolo. Forma sferica con decorazioni fiorate. Misure: diametro x lunghezza da mm 11x11 a mm 22 x 20; [fig. 4] Perle di vetro rosetta, XIX secolo. Perle di vetro a canna a strati forata, molate a piramide tronca e a botticella, forma sferica, cilindrica, a oliva e prismatica con decorazioni a rosetta. Misure: diametro x lunghezza da mm 16x24 a mm 75 x 90 

Informazioni utili 
«Il mondo in una perla». Museo del Vetro, Fondamenta Giustinian, 8 – Murano. Orari: ore 10.00-17.00; dal 1° aprile 2018 il museo chiude un’ora dopo, alle ore 18.00. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 7,00. Informazioni: tel. 041.739586, museo.vetro@fmcvenezia.it. Sito internet: http://museovetro.visitmuve.it/it/. Fino al 15 aprile 2018.

venerdì 12 gennaio 2018

Roberto Daolio, un critico d'arte e la sua collezione

È una donazione importante quella giunta al Mambo: il Museo d’arte moderna di Bologna riceve, grazie alla liberale volontà degli eredi Stefano Daolio e Antonio Pascarella, l’intera collezione di opere d’arte e documenti appartenuti a Roberto Daolio.
Le opere, quasi sempre di piccolo formato e spesso accompagnate da una dedica, sono state donate dalle artiste e dagli artisti con cui il critico d'arte, fra i più attivi e stimati in ambito nazionale, ha intessuto fitte relazioni intellettuali e operative, di carattere sia professionale sia amicale.
La raccolta costituisce, quindi, una significativa testimonianza, per quanto parziale, di una vicenda biografica densa di incontri e attraversamenti, dialoghi e scambi, che ha dato un impulso sostanziale alla crescita e alla diffusione dell'arte emergente, componendone uno spaccato rappresentativo degli sviluppi più rilevanti, soprattutto in area emiliana, nel corso di oltre quarant'anni.
In considerazione del valore storico e artistico di questo corpus di opere, attraverso cui è possibile cogliere quanto sia stata centrale la figura di Daolio come riferimento critico per il contesto artistico bolognese durante tutti gli anni ‘80 e ‘90, nonché come attento osservatore della scena nazionale in contatto con le più importanti gallerie e istituzioni museali, l'Amministrazione comunale ha accettato con gratitudine la proposta di donazione degli eredi, in coerenza con l'obiettivo programmatico volto all'acquisizione di opere, documenti e testimonianze in grado di ampliare ed integrare le proprie collezioni museali esistenti.
Per presentare la raccolta è stata ideata nella Project Room una piccola mostra, a cura di Uliana Zanetti, con la collaborazione di Giulia Pezzoli e Barbara Secci, e con il contributo scientifico di Davide Da Pieve, Lara De Lena, Roberto Pinto e Caterina Sinigaglia dell'Alma Mater Studiorum di Bologna.
La mostra si articola per passaggi che consentono di individuare i principali tracciati della ricerca e dell'attività di Daolio, attraverso una scelta ragionata di un centinaio di pezzi dei centoquarantasei che compongono la donazione, alcuni dei quali sottoposti a interventi di restauro conservativo per questa occasione.
I lavori di tale collezione, «involontaria» in quanto priva di un organico indirizzo distintivo, appartengono il più delle volte a una produzione di non facile classificazione, che può essere definita «minore», apparendo talvolta perfino di statuto artistico incerto, come nel caso delle lettere e dei messaggi stupendamente decorati spediti per posta da Luciano Bartolini. Tuttavia, il loro addensarsi intorno alla personalità di Daolio le rende, nel loro insieme e nella corrispondenza di complicità affettive che sottendono, sintomatiche di un metodo di lavoro originale, costantemente rivolto verso l'insorgenza di fenomeni e di talenti nascenti, osservati e interpretati con disinteressata e selettiva partecipazione.
L'acquisizione della raccolta, oltre a consentire al Mambo di accogliere nel proprio patrimonio testimonianze dell'attività di artisti spesso molto noti e affermati anche a livello internazionale, permette di arricchire le potenzialità di lettura delle opere d'arte con riflessioni allargate sulla loro genesi, spostando l'attenzione da una semplificata e lineare storia delle forme alla complessità dei rapporti di cooperazione che sempre ne accompagnano l'origine, l'esecuzione, l'esposizione e la trasmissione.
Nel suo costante raccordare analisi teorica e attuazione pratica, Daolio ha intrecciato in un continuum di rigorosa coerenza i diversi ruoli e ambiti nei quali si è trovato ad operare. Dall'insegnamento all'Accademia di Belle Arti di Bologna, dove è stato titolare della cattedra di Antropologia e sociologia dell'arte dal 1977 al 2012, alla collaborazione con quotidiani e riviste specializzate, dall'incoraggimento e dalle presentazioni di giovani artisti alla curatela di mostre, la sua multiforme attività si è svolta seguendo una rara uniformità di principi, improntati al riconoscimento e allo sviluppo delle fun-zioni sociali dell'arte contemporanea.
Daolio ha collaborato attivamente con la Galleria d'arte moderna di Bologna, diventata poi Mambo. In considerazione di questo rapporto intenso e continuativo, l'acquisizione della sua raccolt appare ancor più calzante, contribuendo a rendere conto della sua partecipazione a numerose attività che hanno significativamente contrassegnato, in diverse fasi, la storia e il posizionamento del museo: dalle grandi rassegne collettive degli anni Settanta e Ottanta fino alla densa e innovativa programmazione dello Spazio Aperto fra anni Novanta e anni Duemila.
In questa prospettiva, assume un'ulteriore rilevanza la volontà del museo di segnare con questa mostra l'avvio di una nuova configurazione espositiva della sala Project Room, la cui funzione sarà prevalentemente dedicata alla ricognizione e alla ricerca storica sulle eccellenze della cultura contemporanea espresse in ambito territoriale.

Didascalie delle immagini 
[Fig.1] Roberto Daolio, ritratto; [fig. 2] Alessandra Tesi, «Verde HL 1», 1996, fotografia a colori su carta lucida 225 x 150 cm; [fig. 3] Annalisa Cattani e Fabrizio Rivola, «Warm Up, 1:3», 2002, stampa fotografica su ceramica; [fig. 4] Paolo Bertocchi, «Perduti nel tempo. Per un S. Gerolamo contemporaneo», 2004, stampa lambda montata su alluminio (1/4)

Informazioni utili
«Roberto Daolio. Vita e incontri di un critico d'arte attraverso le opere di una collezione non intenzionale». MAMbo – Museo d'arte moderna di Bologna | Project Room, via Don Minzoni, 14 – Bologna. Orari: martedì, mercoledì, domenica e festivi, ore 10.00 – 18.00; giovedì, venerdì e sabato, ore  10.00 – 19.00; lunedì chiuso. Ingresso: intero € 6,00; ridotto € 4,00; gratuito per possessori Card Mu-sei Metropolitani Bologna e la prima domenica del mese. Informazioni: tel. 051.6496611 o info@mambo-bologna.org. Sito internet: www.mambo-bologna.org. Fino al 6 maggio 2018. 

mercoledì 10 gennaio 2018

Dalla mostra «Homo Faber» ai concerti dello Squero: un anno di grande arte alla Fondazione Cini di Venezia

Dalla storia dell’arte alla musica, dal teatro agli studi religiosi: è ampio il ventaglio di proposte che la Fondazione Giorgio Cini di Venezia, presieduta da Giovanni Bazoli, propone per il nuovo anno. Ventotto incontri tra convegni e giornate di studio, più di dieci concerti, cinque nuovi progetti espositivi distribuiti tra Palazzo Cini e l’Isola di San Giorgio Maggiore, oltre trenta borse di studio, più di quaranta pubblicazioni e un premio - la quinta edizione del «Benno Geiger»- per la traduzione poetica compongono il cartellone delle iniziative.
Lo Squero, l’auditorium della fondazione vincitore del Premio Torta 2017, proseguirà la propria attività grazie al Quartetto di Venezia, che proporrà una nuova serie di sei concerti (il 3 marzo, il 21 aprile, il 19 maggio, il 13 ottobre, il 10 e il 24 novembre); sono, inoltre, previste le esibizioni di Mario Brunello (il 24 febbraio e il 27 ottobre) e di Giovanni Sollima (il 7 aprile e il 12 maggio).
Lo Squero farà anche da scenario al «Concerto per cinque pianoforti e sei voci», con cui si chiuderà la decima edizione della «Solti Peretti Répétiteurs Masterclass», incentrata sul repertorio del bel canto (il 6 aprile).
Anche l’Istituto interculturale di studi musicali comparati proporrà alcune iniziative musicali: il nuovo appuntamento con il ciclo «Musica e rito», questa volta dedicato al Malawi (il 23 ottobre) e il concerto «Canto epico nei Balcani» (il 15 novembre), eseguito da Isa Elezi Lekgjekaj, il maggior interprete vivente dei canti della montagne di Rugova.
Per quanto riguarda le mostre, si segnala la consueta apertura annuale della Galleria di Palazzo Cini a San Vio, grazie alla partnership di Assicurazioni Generali. Il programma quest’anno, in cartellone dal 20 aprile al 15 novembre, è interamente dedicato al disegno, con due mostre a cura dell’Istituto di storia dell’arte, arricchite come di consueto da attività espositive, culturali e didattiche per raccontare le peculiarità della raccolta Cini a San Vio e allo stesso tempo far conoscere e valorizzare le altre collezioni d’arte conservate a San Giorgio.
Si inizierà in primavera con «Idea e progetto. Disegni dalle raccolte grafiche della Fondazione Giorgio Cini», che vedrà esposta una selezione di una sessantina dei pezzi più belli e rappresentativi delle raccolte grafiche della fondazione. In autunno è, invece, previsto un progetto dedicato all’ampio corpus di disegni autografi dei pittori e fratelli bolognesi Ubaldo e Gaetano Gandolfi.
Di prestigio anche il programma espositivo del progetto «Le stanze del vetro», iniziativa per lo studio e la valorizzazione dell’arte vetraria veneziana del Novecento nata dalla collaborazione tra Fondazione Cini e Pentagram Stiftung.
La prima, dal titolo «Una fornace a Marsiglia – Centro internazionale di ricerca sul vetro e le arti plastiche /CIRVA» (9 aprile – 29 luglio), sarà realizzata in collaborazione con la Fondazione Querini Stampalia e, grazie alle opere selezionate da Isabelle Reiher, racconterà i momenti salienti della creazione da parte di artisti e designer giunti in residenze al Cirva di Marsiglia in questi trent’anni. L’altra, «La vetreria Cappellin e il giovane Carlo Scarpa» (9 settembre 2018 - 6 gennaio 2019), vedrà, invece, la curatela di Marino Barovier.
Molto attesa è anche la titanica mostra «Homo Faber», il primo grande evento culturale dedicato ai mestieri d’arte in Europa, realizzato in collaborazione con la Michelangelo Foundation for Creativity and Craftsmanship.
L’esposizione, la più grande mai ospitata negli spazi della Fondazione Giorgio Cini, presenterà un’ampia selezione di materiali e discipline, dal gioiello alle biciclette su misura, dalle tecniche artigianali più rare ad alcuni degli esempi più rappresentativi dell’eccellenza artigiana a livello europeo. Per tutta la durata dell’evento, i visitatori potranno ammirare da vicino e dal vivo la maestria degli artigiani che prenderanno parte all’esposizione.
Nel 2018 la Fondazione Cini consoliderà, poi, ulteriormente la sua reputazione scientifica a livello internazionale grazie all’attività dei suoi Istituti e Centri di ricerca, con l’organizzazione di convegni, giornate di studio e seminari dei più diversi ambiti disciplinari. Tra i vari appuntamenti si segnalano «PIETRO pictore ARETINO. Una parola complice per l’arte del Rinascimento» (17-19 ottobre); «Giovanni Poli – La scena dell’essenzialità da Venezia al mondo» (25-26 ottobre) e «Luoghi per la cultura; cultura per i luoghi» (7-9 maggio 2018).
Accanto a queste iniziative, porterà avanti la valorizzazione del patrimonio immobiliare, mobiliare, materiale e immateriale custodito sull’Isola di San Giorgio Maggiore, promuovendo lo studio dei suoi archivi, grazie all’erogazione di borse di studio (tutti i bandi sono consultabili sul sito www.cini.it). La Fondazione Cini continuerà, inoltre, il processo di digitalizzazione dei suoi archivi, già iniziato nel 2016 con il progetto «Replica», realizzato in collaborazione con il DHLab del Politecnico di Losanna, ponendosi in una posizione avanguardistica nel settore degli archivi digitali, credendo che l’innovazione tecnologica, se messa a servizio della conoscenza, può dare un grande contributo al progresso degli studi umanistici.
Infine, nel 2018 si terrà la V edizione del Premio per la traduzione poetica «Benno Geiger», voluto da Elisabetta Paolina Geiger, che regola l’assegnazione di tre borse di studio residenziali al centro «Vittore Branca» per laureati (bando consultabile sul sito www.cini.it). Un anno, dunque, di grande cultura quello che organizza la Fondazione Cini per questo 2018.

Informazioni utili 
Fondazione Giorgio Cini, Isola di San Giorgio Maggiore - Venezia, tel. 041.2710357, fax 041.2710221. Sito internet: www.cini.it.