venerdì 29 novembre 2024

«La Carraccina», il Guercino e la Pinacoteca di Cento: il Seicento emiliano incontra l’high tech

Era il 20 maggio 2012 quando, nel cuore della notte, alle 04:03, un terremoto di magnitudo 5.9 colpiva un'ampia zona dell'Italia settentrionale, sconvolgendo centri produttivi della Bassa Emiliana come Mirandola, Medolla, Sant'Agostino e San Felice al Panaro. Meno di una decina di giorni dopo, il 29 maggio, alle 9 del mattino e poi alle 12:55, lo stesso territorio veniva interessato da due nuove scosse telluriche superiori ai 5 di magnitudine, meno intense della prima ma più distruttive. Il cosiddetto «cratere» comprendeva 59 Comuni nelle province di Modena, Ferrara, Bologna e Reggio Emilia. Il bilancio finale fu di 28 morti, 300 feriti, 45mila persone sfollate, 66mila imprese coinvolte e una stima dei danni per 12,2 miliardi di euro.

Particolarmente colpito fu anche il patrimonio storico-artistico del territorio: luoghi di culto, palazzi, teatri, torri, castelli, rocche, ma anche opere pittoriche e scultoree. Tra i beni lesionati strutturalmente, e rimasti per lungo tempo chiusi al pubblico, ci fu anche la Pinacoteca civica «Il Guercino» di Cento, cittadina di 35mila abitanti nel Ferrarese. Il museo, il cui nuovo allestimento è stato curato da Lorenzo Lorenzini ed Elena Bastelli, ha riaperto i battenti il 25 novembre 2023, a undici anni dal sisma e dopo due anni di restauri, realizzati dallo studio bolognese OpenProject, in collaborazione con l’Amministrazione centese e sotto la supervisione dell’architetto Beatrice Contri, grazie al finanziamento di quasi 3milioni di euro del Commissario delegato per la Ricostruzione, più un contributo ministeriale di 988.900 euro, ottenuto tramite il Fondo Cultura 2021 e usato per l’allestimento museale con le pareti della stessa tonalità blu dei cieli guercineschi.

Nonostante le sue dimensioni contenute, la pinacoteca è uno scrigno di gioielli. Nelle sue quindici sale, distribuite su due livelli, allinea, infatti, più di centonovanta opere, tra pitture, sculture, disegni, affreschi staccati, che portano la firma di artisti come, per esempio, Scarsellino, Guido Reni, Ludovico Carracci e Matteo Loves, in un percorso che spazia dal Quattrocento all’Ottocento.

Ma la particolarità e preziosità di questo luogo identitario per la cultura della cittadina emiliana, costruito nel 1839 all’interno del Palazzo del Monte di Pietà, consiste soprattutto nel fatto di essere il museo con la maggior concentrazione al mondo di opere di Giovanni Francesco Barbieri (Cento, 1591-Bologna, 1666), detto il Guercino, maestro della pittura barocca, conteso da papi e regnanti, che fu anche un imprenditore ante litteram, a capo di un’organizzatissima bottega fino alla morte, avvenuta nel 1666. Si tratta di sedici pale d’altare e quadri, venti affreschi staccati e undici disegni, molti dei quali erano stati portati al sicuro dai crolli nel Centro di raccolta realizzato al Palazzo Ducale di Sassuolo. Tra questi lavori si annoverano capolavori come «La cattedra di San Pietro», «Cristo risorto appare alla Madre», «La Madonna con Bambino benedicente». In occasione della riapertura della Pinacoteca centese, sono arrivate in città, con un prestito a lungo termine, anche opere del maestro e dei suoi seguaci provenienti da collezioni private e bancarie: dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Cento sono giunte nove opere, tra cui il primo affresco realizzato dal giovane Guercino, che raffigura la «Madonna di Reggio», ovvero la «Madonna della Ghiara»; da Credem Banca sei opere, tra cui il «Matrimonio mistico di Santa Caterina», capolavoro giovanile del pittore centese.

Un anno dopo la riapertura il bilancio è più che positivo: sono stati staccati quasi 20mila biglietti e il Centro studi internazionale «Il Guercino», ubicato all’interno del museo, è stato vicino, negli ultimi mesi, a importanti istituzioni come la Pinacoteca nazionale di Bologna, i Musei reali di Torino e le Scuderie del Quirinale nell’organizzazione di mostre ed eventi di vario genere sull’artista emiliano, la cui riscoperta si deve, negli anni Trenta del Novecento, a Sir John Denis Mahon (Londra, 1910-2011).

Mentre la quadreria di Cento si prepara ad accogliere la mostra «Sentimento e ragione nella grande pittura di Ubaldo Gandolfi», ideata e curata dalla studiosa Donatella Biagi Maino, che dal 30 novembre proporrà un focus su due opere del pittore bolognese (una «Annunciazione» e una pala d’altare dedicata a San Gaetano da Thiene), il percorso espositivo è stato integrato con una replica fedele di un’opera importante della collezione centesca: «La Madonna col Bambino fra i Santi Giuseppe, Francesco e i committenti», nota come «La Carracina», in prestito temporaneo alle Scuderie del Quirinale, nell’ambito della rassegna «Il trionfo del colore. Guercino nella Roma dei Ludovisi».

Per colmare questa assenza è stata contattata Haltadefinizione, tech company del Gruppo Panini Cultura, che ha curato tutte le fasi della riproduzione della copia, dalla digitalizzazione alla fedele riproduzione fisica, fino alla collocazione.

L’iniziativa, promossa con il sostegno della Regione Emilia-Romagna, si inserisce nell’ambito di un ampio programma di valorizzazione del patrimonio culturale locale e garantisce continuità alla fruizione della pinacoteca. La copia può essere toccata e vista da vicino. «Si apre così - racconta Silvia Bidoli, assessore alla Cultura del Comune di Cento - un panorama di possibilità di interazione non solo dal punto di vista fisico ma anche didattico, che sapremo sfruttare anche in futuro quando tornerà l’originale».

L’immagine in altissima risoluzione è, inoltre, disponibile on-line sul sito di Haltadefinizione, accessibile a tutti gli studiosi e appassionati.

«La Carracina», tela del 1591, ornava l’altare della prima cappella destra, quella di proprietà della famiglia Piombini, nella chiesa annessa al convento dei Cappuccini di Cento, ubicato fuori porta Molina, da tempo demolito. Nel luglio del 1796 la pala d’altare fu trasferita in Francia, scelta dai commissari napoleonici fra le opere degne di rientrare nell’utopistico progetto del Musée Napoléon a Parigi. Esposta dal febbraio del 1798 al Louvre, alla caduta di Napoleone fu restituita all’Italia e nel 1816 tornò a Cento.

All'interno di una struttura che si rifà ai modelli leonardeschi della composizione piramidale, si riconoscono al vertice la Madonna e il Bambino, collegati, attraverso un gioco di sguardi e di gesti, con il San Francesco e il San Giuseppe raffigurati alla base della tela. Sempre in basso, nell’angolo a destra, si trovano i ritratti di Pietro Antonio Piombini e di sua moglie Elisabetta Dondini, due personaggi ai quali il committente, indicato in Giuseppe Piombini, era legato da non precisati vincoli di parentela.

Si tratta di una prova di grande qualità della poetica di Ludovico Carracci, che dà vita a una visione familiare, quotidiana e sensibilmente naturalistica, nel quale la luce è grande strumento d'animazione e, insieme, il sintomo dell'esaltazione emotiva.

Da sempre l'opera è ritenuta di fondamentale importanza per il giovane Guercino il quale, stando alla testimonianza diretta del suo biografo Carlo Cesare Malvasia, proprio giocando col cognome del pittore aveva ribattezzato la tela la «mia cara cinna», un’espressione che in dialetto centese veniva pronunciata come «cara zinna», a indicare così la mammella da cui l’artista aveva tratto il primo nutrimento in pittura, imitandone la luce «a macchia» e il sincero naturalismo.

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giovedì 28 novembre 2024

«Paw Chew Go Festival», a Milano una due giorni sull’illustrazione

Compie nove anni «Paw Chew Go Festival», la manifestazione sulla comunicazione visiva ideata nel dicembre 2014 da Fortuna Todisco e Federico Demartini che sabato 30 novembre e domenica 1° dicembre animerà gli spazi di Base Milano, in via Bergognone 34, con talk, workshop per grandi e bambini, incontri con autori e autrici, show creativi, presentazioni di portfolio, dj set, animazioni live, una mostra e un’area mercato con centoventi firme tra quelle più in voga del momento.

Elisa Macellari, Luca D'Urbino, Alberto Casagrande, Diari di Brodo, Riccardo Guasco, Jim Stoten, Ratigher, Bolo Paper, Timidessen, Familia Povera, Francesco Cavallo, Giulia Cavaliere, Olimpia Zagnoli, Livia Satriano e Bianca Bagnarelli sono alcuni degli autori che sarà possibile incontrare realmente o virtualmente - durante i vari appuntamenti o negli stand espositivi - in questa intensa due giorni, che presenterà anche un focus su Massimiliano Aurelio, illustratore, prematuramente scomparso lo scorso giugno, dal segno retrò dal gusto moderno, celebre per le collaborazioni con importanti media digitali internazionali.

Le attività prenderanno il via sabato 30 novembre con «Palco Incontri»: Livia Satriano presenterà il suo progetto «Libri Belli» (alle ore 11:30), nato nel 2017 su Instagram, e Alessandro Ripane proporrà lo show «Storia di un disegno rubato» (alle ore 14:30), sulla vita «bizzarra» e incredibile di un’opera. Nella stessa mattinata inizieranno anche gli eventi sul «Palco Presentazioni», con autori e autrici disponibili per i firmacopie: Bianca Bagnarelli (alle ore 11:00) presenterà, con Elisa Lipari, il suo ultimo lavoro «Animali domestici», edito da Coconino Press, che esplora quei piccoli eventi che possono cambiare una vita, traumi rimossi portati a galla con spietata sincerità, inquietudini del quotidiano.
A seguire (alle ore 12:30) è prevista la presentazione di «Lontano dalla vita degli altri» (Marinoni Books), un libro, con le illustrazioni di Gabriella Giandelli e i testi di Giovanna Canzi, che invita a entrare in silenzio fra le mura di un carcere e conoscere da vicino quelle persone che non sono solo il reato che hanno commesso e ci accompagna a conoscere gli studenti della casa circondariale.

Nel pomeriggio (alle ore 15:30) Percy Bertolini presenterà, con Enea Brigatti, il suo libro «Scuola di Butch vol.3» (Eris Edizioni). Poi (alle 17) ci sarà un incontro sul volume «La novella dell’avventuriero» di Andrea Settimo e Alessandro Tota, edito da Coconino Press, trasposizione a fumetti del racconto di Arthur Schnitzler, scritto tra il 1928 e il 1930 e pubblicato postumo, ambientato nell’Italia del 1520, nel quale si racconta la storia del giovane Anselmo che, venuto a conoscenza della data esatta della propria morta, fa di tutto per sfuggire al proprio destino. Infine (alle 18.30), verrà presentato «Pastil» di Francesca Ghermandi (Eris Edizioni).

Tra le attività di giornata, ci saranno anche i workshop per adulti «Dipingere con le matite colorate», con Marco Mazzoni (dalle 11 alle 13 e dalle 14 alle 16), e «Piante fantastiche», con Elenia Beretta (dalle 13 alle 17), alle «Officine Paciugo»; mentre nell’area «Piccoli Paciughi» ci sarà spazio per il disegno libero con tutti i bambini e le loro famiglie.

Nella sezione «Portfolio Review» sono, invece, previsti gli incontri con Serena Di Bruno, direttrice creativa di Dlv Bbdo (dalle 11.30 alle 13.30), e con Massimo Lafronza di XXY Studio (dalle 14.30 alle 16.30). In serata, arriverà la musica, in collaborazione con Le Cannibale.

Domenica 1° dicembre, ritorneranno gli appuntamenti al «Palco Incontri» con l’evento «Loss, Grief, Mourning and the fun inbetween», con Lorenzo Fonda (alle ore 11:30), e con lo show «How to help your brain by losing your mind» con Jim Stoten (alle 14:30), spettacolo (in lingua inglese) che esamina temi rilevanti nella vita di una persona creativa come la fiducia in se stessi, l'incertezza finanziaria, la paura, l'invidia e la competizione, in equilibrio con la salute mentale, la sperimentazione creativa e la libertà personale.
A seguire (alle ore 16:30) ci sarà «Storie spaziali per maschi del futuro», nel quale Francesca Cavallo presenterà la raccolta delle dodici fiabe originali ambientate su altrettanti pianeti immaginari, ciascuna delle quali affronta un tema cruciale per la formazione dell’identità maschile. Ci saranno, poi, nuove presentazioni di libri. Si partirà (alle ore 11) con «Potevo essere Giorgia» di Francesca Arena (Rizzoli Lizard), che offre un lucido ritratto dell’attuale classe dirigente e ride senza pietà della nostra disperata voglia di essere quello che non siamo. A seguire (alle ore 12:30) verrà presentato «Agro» di Zic Zic, un volume che racconta il territorio di Polignano, da un altro punto di vista, ponendo le spalle al mare e volgendo lo sguardo all’entroterra, attraversando contrade, piccole frazioni, percorrendo lame e sentieri. Si proseguirà (alle 15:30) con un incontro sul volume «La caverna degli abbracci» di Andrea De Franco (Canicola Edizioni), e un altro (alle 17) sul libro «Le vite delle altre», che vedrà la presenza di Giulia Cavaliere e Olimpia Zagnoli per presentare la collana Oilà di Electa, con i loro ultimi lavori, come quello sulla critica d’arte Francesca Alinovi, tra le prime a indagare il graffitismo e la street art. A chiudere il cartellone sarà (alle ore 18:30) la presentazione di «Pensi di stare meglio?» di Edo Massa (Minimum Fax), storia rocambolesca che ci racconta, tra una seduta dalla psicologa e l’altra, che è possibile reimparare a stare bene nei propri panni.

Nella giornata di domenica 1° dicembre proseguiranno anche i laboratori per i più piccoli con «Dipingi la tua Shopping Bag» e «Mi specchio nell’altro(ve)», condotti rispettivamente da Graziella Antonini e La Fille Bertha, e quelli per adulti con un workshop di disegno espressivo e «Scrivo per non *@#!rti! Workshop di Calligrafia rancorosa», con Valentina Casali e Thomas Cian. Le letture dei portfolio del secondo giorno di festival prevedono, invece, la presenza dell’art director Francesca Zucchi (alle 11:30) e di Martina Recchiuti, caporedattrice «Internazionale» e «Internazionale Kids» (alle 14:30).

A chiudere il festival sarà la cerimonia di premiazione del primo Pizza Box Award, riconoscimento, lanciato con Mare culturale urbano, che porterà il disegno premiato a illustrare oltre 30mila cartoni «a domicilio», stampati e distribuiti nelle migliori pizzerie dei clienti Molino Vigevano e Leffe, partner del progetto.

Un momento speciale del due giorni milanese dedicata alla comunicazione visiva sarà, inoltre, rappresentato dalla mostra «Vernice Paciugo», un’installazione con i lavori, sospesi tra il quotidiano e l’onirico, di Mara Cerri e Magda Guidi.

Un programma, dunque, articolato quello di «Paw Chew Go Festival», che «vuole dare forza ai professionisti» della comunicazione visiva in una città come Milano, «da decenni luogo di elezione per chi della creatività voglia fare una professione».

Didascalie delle immagini
Servizio sulle passare edizioni di «Paw Chew Go Festival», a cura dell'IFF Istituto Italiano di Fotografia. 1. Foto di Benedetta Della Rovere; 2. Foto di Roberta Gianfrancesco; 3. Foto di Marco Bertino; 4. Foto di Carlotta Leone; 5. Rossella Mele; 6. Foto di Carlotta Leone

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mercoledì 27 novembre 2024

«OTP – Orizzonte Terzo Paradiso»: alle Cinque Terre tre mostre sull’Arte povera

È il 27 settembre 1967 e a Genova, negli spazi della Galleria Bertesca, fondata dieci anni prima da Francesco Masnata, inaugura la collettiva «Arte Povera – Im spazio». In quella sera di inizio autunno, nelle sale di via SS. Giacomo e Filippo, al numero 13R, ci sono in mostra opere diventate, con il tempo, iconiche come «Catasta» (1967) di Alighiero Boetti (con sedici tubi in eternit a formare un alto parallelepipedo), «Lo spazio» (1967) di Giulio Paolini (con otto caratteri sagomati in compensato verniciati di bianco e appesi al muro), «Pavimento» (1967) di Luciano Fabro (un assemblaggio di riquadri di linoleum coperto da fogli di giornale disposti a rettangolo), e, ancora, «1 metro cubo di terra; 2 metri cubi di terra» di Pino Pascali (un parallelepipedo coperto da terriccio), «Perimetro di spazio» (1967) di Emilio Prini (con tubi al neon disposti ai quattro angoli di una stanza) e «Senza titolo» (1967) di Jannis Kounellis (un contenitore in metallo riempito di carbone). La curatela del progetto espositivo, che mette a confronto opere realizzate con materiali semplici e di uso quotidiano come prodotti industriali ed elementi naturali, è del genovese Germano Celant (1940-2020), che due mesi dopo pubblica il testo «Arte povera: appunti per una guerriglia», quello che di fatto diventerà il «manifesto programmatico» di uno dei principali movimenti artistici del secondo Novecento, la cui caratteristica peculiare è la critica radicale al consumismo e alla cultura mediatica.

Inizia così la storia quasi sessantennale, ricca di intrecci e connessioni, che lega la Liguria, quella «scarsa lingua di terra che orla il mare» (per usare una bella espressione di Camillo Sbarbaro), con l’Arte povera. All’ombra della Lanterna, nella casa di Germano Celant, in Salita Oregina, nasce anche, nel giugno del 1970, quello che di fatto è il primo archivio del movimento poverista: l’IDA – Information Documention Archives, che conserva, anche una ricca documentazione sull’Arte concettuale e la Land Art.
Sempre da Genova, e più precisamente dalla Samangallery in Vico Parmigiani, parte l’avventura artistica di Ida Gianelli che, dal 1990 al 2008 nel prestigioso incarico di direttrice del Castello di Rivoli, svolge un ruolo fondamentale per il sostegno e la promozione degli artisti poveristi; in quegli anni entrano, infatti, nella collezione del museo torinese opere di autori quali Alighiero Boetti, Mario Merz, Michelangelo Pistoletto e Gilberto Zorio.
Da Genova parte anche l’avventura artistica di Giulio Paolini (1940), uno dei decani del movimento, che ha appena presentato l’installazione permanente «A.R.S. Scenica» per i cinquant’anni dalla fondazione del teatro Franco Parenti di Milano e la mostra «Uno spazio vuoto» alla Galleria Studio G7 di Bologna. Mentre è originario di Sanremo un altro critico molto vicino agli esordi dell’Arte povera, Tommaso Trini (1938), che racconta quella stagione di innovazione e fermento dalle pagine di «Domus».

Un capitolo a parte in questa storia che va alla ricerca dei legami tra il movimento poverista e la Liguria meritano le Cinque Terre, che furono il luogo privilegiato delle vacanze di Alighiero Boetti, che nel 1965 acquistò una casa a San Bernardino, dove andò di frequente fino agli anni Ottanta, e di Michelangelo Pistoletto, che tuttora possiede una dimora a Corniglia, dove tenne molti spettacoli del suo gruppo di teatro sperimentale «Zoo». E proprio dalla produzione dell’autore biellese, internazionalmente conosciuto per un’opera iconica come «La Venere degli Stracci» (quella del 1967, conservata al Castello di Rivoli), è tratto il titolo del progetto multidisciplinare e didattico «OTP – Orizzonte Terzo Paradiso», a cura di Ilaria Bernardi, con tre mostre in programma fino alla fine dell’anno a Vernazza e a Corniglia. Il «Terzo Paradiso» è, infatti, un simbolo ideato da Michelangelo Pistoletto nel 2003 e più volte riprodotto, che riformula il segno matematico dell’infinito attraverso l’aggiunta di un cerchio centrale, emblema della rinascita che può generare la messa in dialogo di due mondi opposti: la natura e l’artificio.

Il percorso espositivo, inaugurato lo scorso settembre, dopo un’estate di concerti, spettacoli e conversazioni legate a otto parole-chiave per la storia del movimento (da natura ad azione), può partire dal Castello Doria di Vernazza, che ospita la mostra «Arte povera: la storia 1967-1971». Si tratta di uno strumento didattico per conoscere il movimento e per seguire gli sviluppi della sua parabola attraverso una cronologia illustrata delle collettive tenutesi tra il 1967 e il 1971, ovvero dall’anno in cui Germano Celant conia il termine Arte povera sino a quello in cui lo stesso studioso postula che quell’etichetta deve dissolversi affinché ogni artista possa assumere la propria singolarità. Completa il percorso un video-documentario a cura di Beatrice Merz e Sergio Ariotti (Hopefulmonster, Torino 2011).

Sempre a Vernazza, ma nelle sale del Convento di San Francesco c’è «Alighiero Boetti. In situ», una piccola esposizione, realizzata con la collaborazione di Agata Boetti, che allinea sei opere, tra cui una grande «Mappa» del 1972, gli «Aerei» del 1981 e altri arazzi più piccoli, di proprietà privata, provenienti principalmente dalle collezioni di persone del territorio che sono state legate all’artista da profondi rapporti di amicizia.

A chiudere il progetto è una mostra diffusa, «Oltre l’Arte povera», con sei interventi site-specific in luoghi all’aperto, estranei ai soliti circuiti turistici del parco delle Cinque Terre, realizzati da tre artisti contemporanei che riconoscono l’eredità di Alighiero Boetti e Michelangelo Pistoletto nella loro pratica artistica.

Stefano Arienti
(Asola, Mantova, 1961) si è interfacciato con gli esterni dei due spazi espositivi di Vernazza: per Palazzo Doria ha realizzato, sul terrazzino che domina dall’alto il borgo ligure, l’installazione calpestabile «Via mare». L’intervento – si legge nella cartella stampa – ha previsto «la rimozione e il parziale reimpiego di una porzione del pavimento in lastre di pietra scura, per delineare con esse le masse continentali e con un mosaico di ciottoli chiari l’immagine dei mari interessati del traffico mondiale delle merci: un planisfero che allude ai planisferi di Alighiero Boetti, ma che non ritrae tanto la terra quanto l’acqua e i flussi di merci e persone». Mentre al Convento di San Francesco c’è «Mappamondi dritti e rovesci», un altro omaggio all’artista torinese, un’installazione costituita da due grandi teli sui quali il nostro pianeta è raffigurato da più punti di vista.

Il duo artistico Vedovamazzei, formato da Simeone Crispino (Napoli, 1962) e Stella Scala (Napoli, 1964), è, invece, intervenuto a Corniglia con due installazioni luminose. Nella piazzetta di fronte a via Solferino 28, tra due alberelli, è esposta «Appliance» (2000/2024): una seduta, dal sapore metafisico, di cui una gamba poggia su una lampadina accesa, omaggio agli oggetti domestici reinterpretati di Alighiero Boetti («Sedia» e «Lampada annuale», entrambi del 1966). Mentre sull’arco di accesso al Belvedere, in via Fieschi 222, dal quale si può ammirare una meravigliosa veduta del mare, è esposta «Loading» (2006/2024), un pendolo inquietante, che termina con una lampadina che si muove senza posa scandendo il tempo e lo spazio.

Alla poetica di Michelangelo Pistoletto guarda, invece, Marinella Senatore (Cava de’ Tirreni, 1977), che espone: «Bodies in Alliance» (2022) e «We Rise by Lifting Others» (2022), due luminarie per Corniglia poste rispettivamente sul palazzo comunale, in via alla Stazione 5, e sulla facciata della torre del fosso, in via Solferino.
«Le luminarie - si legge nella cartella stampa - rinviano alle architetture di matrice barocca, a rosoni e portali. La loro principale funzione è circoscrivere attraverso la luce un luogo, una piazza universale per la condivisione. Sono anti-monumenti generatori di un’energia che si propaga nello spazio, lo modifica, e modifica gli individui presenti inducendoli ad agire e far succedere ‘cose’, anche grazie alle brevi citazioni da testi in esse inclusi».

L’intero progetto sarà racchiuso in un catalogo, cartaceo e digitale, che uscirà a dicembre, in occasione del finissage, ultima tappa di un lungo e sentito omaggio all’Arte povera, un altro movimento artistico che ha sentito la fascinazione per le Cinque Terre, per quei cinque borghi che vennero dipinti anche dal macchiaiolo Telemaco Signorini e da uno dei maestri di Corrente, Renato Birolli, e per quel mare che, chi arriva in treno, conosce – scrisse Eugenio Montale - «a guizzi, a spicchi, a frammenti fulminei e abbaglianti, dai pochi oblò che si aprono nel tunnel che porta da Levanto fin quasi alla Spezia».

Didascalie delle immagini 
1. OTP. Oltre l'Arte Povera. Vedovamazzei, Loading installation. Vista a Corniglia. Foto di Lucrezia Corciolani; 2. OTP.Oltre l'Arte Povera-Marinella Senatore, We rise by Lifting Others. Vista dell'installazione a Corniglia. Foto di Lucrezia Corciolani; 3. OTP_Oltre l'Arte Povera. Stefano Arienti, Via mare, 2024. Vista dell'installazione a Vernazza. Foto di Lucrezia Corciolani; 4, 5 e 6. OTP.Alighiero Boetti. In Situ. Vista dell'installazione a Vernazza. Foto di Lucrezia Corciolani; 7. OTP. Arte Povera.La Storia 1967-1971. Vista della mostra a Vernazz. Foto di Lucrezia Corciolani


Informazioni utili
Alighiero Boetti: In situ.
Convento di San Francesco, Via San Francesco - Vernazza
Da venerdì a domenica, ore 12-18 | Ingresso gratuito 
Dal 17 settembre al 31 dicembre 2024
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Arte Povera: La storia 1967-1971
Castello Doria, Via San Giovanni Battista - Vernazza
Tutti i giorni, ore 10-19 | Ingresso: 5€
dal 17 settembre al 31 dicembre 2024
a cura di Ilaria Bernardi
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Oltre l’Arte Povera: Stefano Arienti, Marinella Senatore, Vedovamazzei
Mostra diffusa tra Vernazza e Corniglia
Facciata del Palazzo in via della Stazione 5, Corniglia
Fosso, via Solferino, Corniglia
Piazzetta di fronte a via Solferino 28, Corniglia
Arco in via Fieschi 222, Corniglia
Facciata del Convento di San Francesco, via San Francesco, Vernazza
Piazzale del Castello Doria, Vernazza
Tutti i giorni, h24 | Ingresso gratuito
dal 17 settembre al 31 dicembre 2024

martedì 26 novembre 2024

«Restituzioni», Intesa Sanpaolo finanzia il restauro degli affreschi di Castelseprio

«Castrum Seprum destruatur, et destructum perpetuo teneatur et nullus audeat vel praesumat in ipso Monte habitare»
. «Castel Seprio sia smantellato e perpetuamente tenuto tale, né alcuno osi o presuma di potervi ancora abitare». Con queste parole, nella notte tra il 28 e il 29 marzo 1287, l'arcivescovo Ottone Visconti, signore di Milano, dopo aver sconfitto la famiglia dei Torriani, proclamava la fine del castrum sorto, nel IV secolo d.C., lungo la via che collegava Como a Novara, a difesa dei confini al di qua delle Alpi.
Alla distruzione sopravvisse la sola chiesa di santa Maria foris portas, luogo sacro inserito dal giugno 2011 nella lista dei Patrimoni mondiali dell'Umanità di Unesco, insieme con altri sei siti densi di testimonianze architettoniche e pittoriche dell’età longobarda.
La fama di questo luogo, che fu scoperta il 7 maggio 1944 dallo storico e archeologo lombardo Gian Piero Bognetti, è legata al ciclo di affreschi che decora il vano dell'abside, considerato una tra le più alte testimonianze della pittura muraria nell'alto Medioevo.
Si rivela, dunque, prezioso l’intervento di monitoraggio e di manutenzione delle opere pittoriche in programma fino alla primavera del 2025, che vedrà al lavoro Luigi Parma e che è stato promosso nell’ambito di «Restituzioni», il programma biennale di restauri di opere d’arte appartenenti al patrimonio culturale italiano, a cura di Intesa Sanpaolo.
L’intervento conservativo, a cui potranno assistere i visitatori nei consueti orari di apertura della chiesa, consentirà una mappatura completa dello stato di conservazione degli affreschi, una spolveratura e una pulitura a secco, agendo con iniezioni di malta idraulica naturale laddove si rilevassero distacchi dell’intonaco.

Le origini del piccolo edificio religioso, ora sconsacrato, sono difficilmente ricostruibili: in passato si è pensato che l’edificazione della chiesa fosse databile al VII-VIII secolo; oggi, in seguito a un’accurata ricerca di Carlo Bertelli (supportata dall’esame della termoluminescenza), si è spostata l’epoca di fondazione intorno al secondo quarto del IX secolo, all’interno della temperie culturale carolingia. Sebbene edificata con materiali poveri e rinvenuti in zona, quali ciottoli di fiume, l'architettura è raffinata e mostra forti influenze mediorientali (siriache per la precisione), come ben documenta la pianta a trifoglio, non comune in Occidente.
Delle tre absidi, una sola sussiste, ed è quella dove si trovano le pitture rinvenute da Giampiero Bognetti e rimaste a lungo nascoste sotto uno strato d'intonaco quattrocentesco.

Il programma pittorico, la cui squisita ricchezza contrasta con la disadorna umiltà delle pareti dell’aula, racconta, con un linguaggio fortemente naturalistico e impressionistico, storie dell’infanzia di Gesù (dall’Annunciazione alla presentazione al tempio) e celebra il dogma dell’Incarnazione, tema caro alla teologia dei cristiani d’Oriente, nel quale si «parla» della consustanzialità di Cristo, ovvero della perfetta unione tra natura umana, implicita nei soggetti della vita di Cristo incarnato, e natura divina, come nella rappresentazione del Cristo pantocrator. Anche la fonte ha provenienza orientale: ai Vangeli canonici si è preferito un testo apocrifo, compilato in Egitto e diffuso con il nome di Protovangelo di Giacomo.
Difficile datare le pitture, che risalgono in ogni caso a prima della metà del X secolo, per via di un'iscrizione, graffita al di sopra della superficie pittorica, che ricorda Arderico, arcivescovo di Milano, eletto nel 936 e morto nel 948. Tre sono le principali ipotesi: l’età tardo antica (VI secolo), quando a seguito della guerra greco-gotica la penisola fu conquistata dai bizantini; l’età Longobarda (VII secolo) quando, per contrastare l’eresia ariana che negava la natura divina di Cristo, si ribadirono le miracolose storie legate al suo concepimento; e il IX secolo, nel contesto della contrapposizione tra Chiesa orientale e papato sul culto rivolto alle immagini sacre.

La straordinaria libertà nelle composizioni, l'uso di uno spazio illusionistico e scenografico, insieme alle figure allungate e a una tecnica rapida, di grande freschezza, giocata su una combinazione di pochi, essenziali colori (ocra, calce, nero di carbone) ci riportano a un'atmosfera anticheggiante, memore della grande pittura romano-classica.
La tecnica pittorica del frescante, conosciuto come Maestro di Castelseprio e forse originario di Costantinopoli dato che i nomi dei personaggi sono riportati in caratteri greci, appare sapiente: la sua mano sembra veloce e sicura (in alcuni casi il disegno dei contorni è fatto direttamente col colore), le velature danno una luminosità diffusa, le ombre sono ben definite e le lumeggiature appaiono pastose.
Il ciclo affrescato, disposto su due ordini e non diviso da riquadri, ha inizio, nell’emiciclo absidale, in alto a sinistra, con la scena dell’Annunciazione, dove l’angelo sorprende Maria intenta a filare, il tutto sotto lo sguardo comprensibilmente meravigliato di una giovane donna, forse un’amica della Vergine.
Seguono l’episodio della Visitazione, del quale una larga crepa ha purtroppo cancellato la figura di santa Elisabetta, e quello con la cosiddetta «Prova delle acque amare», prescritta dalla legge ebraica per accertare le gravidanze sospette e a cui anche Maria, secondo i Vangeli apocrifi, si sottopose. Dopo un tondo con il busto del Cristo benedicente, a cui ne corrispondeva uno oggi perduto con l’immagine del Battista, ci troviamo davanti all’Apparizione dell’angelo a san Giuseppe, scena maestosa e delicata al medesimo tempo, ricca di dettagli finissimi. La narrazione riprende con la raffigurazione del viaggio a Betlemme, con un tenero dialogo tra i due sposi, Maria sull’asino e Giuseppe che la segue a piedi.
Passando dalla fascia superiore a quella inferiore, si vedono raffigurate la Natività e l’annuncio ai pastori: su un fondo roccioso illuminato dalla cometa, la Madonna, adagiata su un giaciglio, ha di fronte a sé l’incredula levatrice Salomè, mentre in basso altre due donne lavano il Bambino. Giuseppe siede in disparte, in attesa pensosa; sopra di lui, dietro a una roccia, in vista di una città, l’angelo annuncia la nascita del Cristo. Solo un albero divide questa scena dalla successiva: l’Adorazione dei Magi. Ritornando verso il centro dell’abside, incontriamo, infine, la presentazione al tempio: la Vergine, attorniata da Giuseppe e da altri due personaggi, porge il Bambino al vecchio sacerdote Simeone che lo accoglie con la mano sinistra velata.

L’ultimo importante intervento di restauro sul ciclo di affreschi risale ai primi anni Novanta e fu eseguito dalla nota restauratrice lombarda Pinin Brambilla, il cui nome è legato agli interventi conservativi alle pitture di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova e agli affreschi di Masolino da Panicale nel Battistero di Castiglione Olona, ma soprattutto all’impresa ventennale per salvare dall’incuria del tempo «Il Cenacolo» di Leonardo da Vinci, nel monastero del santuario di Santa Maria delle Grazie di Milano.

Quest’ultimo restauro degli affreschi di Castelseprio – racconta Luigi Parma - «rimane ancora molto valido e storicizzato» e «sarà preservato». L’intervento tecnico avrà, dunque, carattere conservativo e manutentivo. «Si procederà» – spiega, con precisione, il restauratore - «con un’attenta osservazione degli affreschi accompagnata da una documentazione fotografica preliminare con riprese a luce diffusa e in luce radente per verificare la complanarità dell’intonaco e la presenza di eventuali sollevamenti e decoesioni della materia pittorica. Tramite battitura sarà verificato lo stato di adesione dell’intonaco alle murature con la stesura di una mappatura di ogni scena, redatta digitalmente in formato editabile con relative legende, dove verranno segnalate eventuali zone di distacco, problemi di adesione o di coesione dell’intonachino con l’arriccio e tra l’arriccio e supporto murario. Si interverrà con una leggera spolveratura con pennellesse morbide allo scopo di rimuovere il materiale lipofilo superficiale senza intervenire sulle aree con decoesione ed eventuali sollevamenti della materia pittorica.
Successivamente si procederà con una pulitura a secco mediante spugne Wishab per rimuovere la stratificazione lipofila più tenace. Quindi si procederà con il consolidamento profondo delle zone di intonaco decoeso dal supporto murario con iniezioni di malta idraulica naturale tipo Ledan. Le eventuali zone di decoesione tra intonachino e arriccio verranno risolte con iniezioni di resina acrilica Primal. Le incongruenze materiche riscontrate sul supporto murario nelle zone inferiori saranno rimosse meccanicamente con micro-scalpelli. La successiva stesura materica sarà effettuata con malta a base di calce Lafarge e sabbia selezionata di granulometria e cromatismo simile all’intonaco. Eventuali decoesioni e sollevamenti di materia pittorica saranno risolte localmente mediante l’impiego di nanotecnologie».

La chiesa di santa Maria foris portas a Castelseprio, tra il verde lussureggiante della natura, è, dunque, pronta a vivere una nuova stagione, diventando anche scenario di un cantiere di restauro aperto, un’occasione sempre di grande interesse per il pubblico.

Didascalie delle immagini
[fig.1] Veduta esterna della chiesa di santa Maria foris portas, a Castelseprio; [fig. 2 e fig. 3] Veduta interna della chiesa di santa Maria foris portas, a Castelseprio; [fig. 4] Maestro di Castelseprio, «Cristo benedicente», s.d..Castelseprio, chiesa di santa Maria foris portas; [fig. 5] Maestro di Castelseprio, «Presentazione al Tempio», s.d..Castelseprio, chiesa di santa Maria foris portas; [fig. 6] Maestro di Castelseprio, «Sogno di san Giuseppe», s.d..Castelseprio, chiesa di santa Maria foris portas; [fig. 7] Maestro di Castelseprio, «Andata a Betlemme», s.d..Castelseprio, chiesa di santa Maria foris portas

Informazioni utili 
Chiesa di Santa Maria Foris Portas, via Castelvecchio, 1514 - Castelseprio (Varese). Orari: martedì e mercoledì, ore 9.00-14.00; giovedì, venerdì e sabato ore 13.30-18.30; domenica e festivi* ore 13.30-18-30 [*Per tutto il mese di Novembre e Dicembre 2024 il Parco Archeologico resterà chiuso domeniche e i festivi]. Informazioni: tel. +39 0331820438 e fax +39 0331855816, parcoarcheologico.castelseprio@beniculturali.it. Sito internet: http://www.antiquarium.castelseprio.beniculturali.it/

lunedì 25 novembre 2024

«Il sole d’autunno»: un «capolavoro ritrovato» di Giovanni Segantini


Era il 2 maggio del 1887 quando a Venezia, all’interno dei Giardini napoleonici, poco distante dalla Basilica di San Marco e dal Palazzo dei Dogi, si apriva, alla presenza del re Umberto I di Savoia, la quinta Esposizione nazionale di belle arti.

Nei mesi precedenti alcuni pittori veneziani, maestri della locale scuola del vero e del colore, come Giacomo Favretto, Lugi Nono, Beppe Ciardi e Antonio Rotta, tutti membri del Comitato esecutivo, si erano incontrati ripetutamente ai tavolini del vicino caffè Florian, sotto le Procuratie Vecchie, per discutere in merito alla scelta delle opere da esporre. Tutti desideravano che da quella rassegna potesse emanare la fisionomia di una nuova arte nazionale non più divisa in scuole regionali. L’intento, alla fine, riuscì: dopo un’accurata selezione, a Venezia arrivarono da tutta Italia centinaia di opere di pittura, scultura, architettura e arti applicate all’industria, rappresentative dei più differenti generi.

Incoraggiato dal proprio mercante, Alberto Grubicy, anche Giovanni Segantini (Arco, 1858 – Monte Schafberg, 1899) - che allora viveva nei Grigioni svizzeri, immerso nella natura e nella solitudine dell’alta montagna di Savognino - decise di proporre la sua recente produzione per la mostra lagunare e, alla fine, presentò cinque dipinti. Erano «Alla stanga», «Ritratto», «Tosatura», «Ave Maria» e «Sole d’autunno», tele dalle pennellate larghe e corpose, animate da un nuovo senso del colore e della luce, che fanno propria la frammentazione ottica del Divisionismo.

Una di queste opere è esposta, fino al 26 gennaio 2025, alla Galleria civica «Giovanni Segantini» di Arco in un allestimento, a cura del giovane storico dell’arte Niccolò D’Agati, intitolato «Il capolavoro ritrovato». Si tratta de «Il sole d’autunno», un dipinto di grandi dimensioni (novanta centimetri d'altezza per quasi due metri di larghezza, senza cornice), del quale il carteggio segantiniano con le lettere per la partecipazione alla quinta Esposizione nazionale di belle arti del 1887, conservato nell’Archivio storico della Biennale di Venezia (Asac), fornisce qualche informazione in più: quel quadro, chiamato dall’artista altoatesino anche «Vacca bianca all’abbeveratoio», fu il suo primo dipinto realizzato nei Grigioni e fu il frutto di un «lavoro di cinque anni», nel «tener calcolo del colore come bellezza armonica».

Giunto di recente nelle raccolte d’arte del Comune di Arco
, dopo una spesa di 3 milioni di euro, che ne fanno – si legge nella nota stampa - «uno dei più grandi acquisti pubblici mai avvenuti di un’opera del nostro Ottocento e in particolare la maggiore acquisizione segantiniana a partire dal 1927», il quadro ha una storia collezionistica di grande prestigio. Dapprima è nelle mani del mercante Alberto Grubicy (1887), poi passa a quelle dell’importante famiglia Dall’Acqua (1894), transitando, infine, nella raccolta del banchiere milanese Mario Rossello (ante 1926), che nella sua vita, con curiosità e discrezione, ha acquisito opere di importanti maestri dell’arte italiana del XIX secolo quali Giovanni Boldini, Tranquillo Cremona, Giuseppe De Nittis, Francesco Hayez, Domenico Induno, Mosè Bianchi e Giovanni Fattori, come ha raccontato nel 2016 il libro «La collezione segreta», a cura di Elisabetta Staudacher e Francesco Luigi Maspes.

Non più esposto al pubblico dal 1954, l’anno della rassegna «Pittori lombardi del secondo Ottocento», tenutasi a Como, nella sale della Villa comunale dell’Olmo, «Il sole d’autunno» ritorna, dunque, a farsi ammirare dal pubblico dopo settant’anni, mostrando un paesaggio agreste, privo di cielo, con in primo piano una donna, ripresa di spalle, che si abbevera a una fontana, e una mucca, aggiogata a un carretto, e sullo sfondo i prati e le poche case di Savognino.

Strettamente connessa all’opera «Alla Stanga» (1885-1886), oggi conservata alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma, la tela di Arco, che si presenta in ottimo stato di conservazione, costituisce un vero e proprio momento di frattura nel lessico stilistico dell’artista trentino. Con questo lavoro, Giovanni Segantini supera, infatti, l’impasse letteraria dell’idillio tragico ed elegiaco che aveva caratterizzato i primi anni Ottanta del XIX secolo. Dal «paesaggio crepuscolare» del periodo in Brianza, dove si era trasferito dopo gli studi a Milano, documentato da tele come «Il bacio alla croce» del 1883 (Amsterdam, Stedelijk Museum) e «A messa prima» del 1885 (Saint-Moritz, Museo Segantini»), l’artista altoatesino approda a un «simbolismo naturalistico», che esalta la natura nei suoi valori essenziali, svincolandola così da una rilettura sentimentale per avvicinarla, invece, a una concezione panica e universale.

Per quanto riguarda il soggetto, tratto dal mondo agreste di cui Giovanni Segantini ama la semplicità e la quiete, «Il sole d’autunno» si presenta in linea di continuità con altri capolavori del periodo come «Ave Maria a trasbordo» del 1886 (St. Mortiz, Segantini Museum), «Allo sciogliersi delle nevi» del 1888 (St. Moritz, Segantini Museum) e «Vacche aggiogate» del 1888 (Basilea, Kunstmuseum).

C'è, in questi lavori, tutto il legame mistico e viscerale con il territorio montano, che l'artista raccontava così: «la Natura era divenuta per me come un istrumento che suonava accompagnando ciò che cantava il mio cuore. Ed esso cantava le armonie calme dei tramonti ed il senso intimo delle cose, nutrendo così il mio spirito d’una melanconia grande, che producevami nell’anima una dolcezza infinita».

Didascalie delle immagini
Giovanni Segantini, Sole d’autunno, 1887, Olio su tela, 90 x 192 cm

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venerdì 22 novembre 2024

Milano Drawing Week 2024: nove giorni e tredici sedi per raccontare la varietà del disegno

Siamo stati educati a pensare al disegno come un momento fondamentale, perché primigenio, per il processo creativo di ogni opera d’arte. Che sia un acquerello, un collage, una gouache, un pastello, una china, uno schizzo a carboncino, un segno con la sanguigna o un semplice tratto di grafite, questa forma espressiva è sempre stata considerata come il mezzo per fissare sulla carta, con uno stile rapido e asciutto, il primo abbozzo di un progetto da realizzare o, soprattutto negli anni del Grand Tour (e comunque prima dell’avvento della fotografia), un modo per conservare la memoria di ciò che si era visto. Ma, sin dal Rinascimento, il disegno non è solo funzionale, è anche autonomo, cioè fine a se stesso, tanto che Leonardo da Vinci lo definì «uno strumento conoscitivo della natura in ogni suo aspetto, bello o caricaturale» e Giorgio Vasari lo considerò «il padre delle tre arti nostre: architettura, pittura e scultura».

Da quattro anni la Collezione Ramo, che il grande pubblico ha conosciuto solo nel 2018 grazie a una mostra che è stata presentata anche all’Estorick Collection di Londra e al Menil Drawing Institute di Houston, è impegnata nella valorizzazione di questa forma espressiva con la Milano Drawing Week. L’iniziativa, a cura di Irina Zucca Alessandrelli, che si occupa anche della sezione «Disegni» di «Artissima», quest’anno è in programma da sabato 23 novembre a domenica 1° dicembre.

Per nove giorni tredici spazi cittadini - prevalentemente gallerie private quali Ciaccia Levi, kaufmann repetto, Loom Gallery, Monica De Cardenas, Nashira Gallery, Settantaventidue, Spazio Lima e Vistamare - ospiteranno una serie di mostre con maestri del secolo scorso, artisti contemporanei già affermati e giovani emergenti, con l’obiettivo di valorizzare la produzione su carta, o meglio la polifonia delle voci che la animano, e promuovere così la sua conoscenza presso un pubblico sempre più ampio.

Il progetto espositivo vedrà anche la partecipazione di due gallerie in trasferta: la APalazzoGallery di Brescia, che sarà ospitata da Ace, ed Ex Elettrofonica di Roma, che avrà la sua sede temporanea da ArtNoble Gallery.

In questa grande festa diffusa del disegno, che ha il suo cuore nella ricca Collezione Ramo, il cui catalogo generale è stato pubblicato nel 2018 da Silvana editoriale, sono coinvolte, poi, anche tre istituzioni civiche, ovvero il Gabinetto dei disegni del Castello Sforzesco, la Cittadella degli Archivi e la Casa degli artisti.

Enrico Baj (Milano, 1924 – Vergiate, 2003), Alberto Burri (Città di Castello, 1915 - Nizza, Francia, 1995), Domenico Gnoli (Roma, 1933 - New York, New York, Stati Uniti, 1970), Piero Manzoni (Soncino, 1933 - Milano 1963), Fausto Melotti (Rovereto, 1901 - Milano, 1986), Mario Merz (Milano, 1925 - Torino, 2003), Michelangelo Pistoletto (Biella, 1933), Carol Rama (Torino, 1918 - Torino, 2015), Emilio Scanavino (Genova, 1922 - Milano, 1986) e Irma Blank (Celle, Germania, 1934 - Milano, 2023), tutti artisti ormai storicizzati, sono messi in dialogo con Alexandra Barth (Malacky, Slovakia, 1989), Monia Ben Hamouda (Milano, 1991), Sergio Breviario (Bergamo, 1974), Corydon Cowansage (Philadelphia, Pennsylvania, Stati Uniti, 1985), Giulia Dall’Olio (Bologna, 1983), Leonardo Devito (Firenze, 1997), Tom Friedman (Louis Park, Minnesota, Stati Uniti, 1953), Alex Katz (Brooklyn, New York, Stati Uniti, 1927), Marco Paleari (Desio, 1998) e Nathlie Provosty (Cincinnati, Ohio, Stati Uniti, 1981).

La festa di inaugurazione si terrà venerdì 22 novembre, alle ore 18:30, alla Casa degli artisti, con una performance musicale di Steasy, alla batteria, ed Enrico Bondi, al sintetizzatore modulare, e con l’inaugurazione della mostra «Carta rampante e attrezzo disegnante» di Manuel Scano Larrazàbal. Si tratta di una grande installazione, frutto di una residenza d’artista, la prima alla Collezione Ramo, che comprende un gigantesco disegno rotante e una macchina che disegna in tempo reale con pennarelli sospesi.

Un’altra novità della Milano Design Week è il coinvolgimento della Cittadella degli Archivi, nel quartiere Bicocca Niguarda, che ospiterà la collettiva «Attitudine politica. Artisti dell’America Latina dall’Archivio di Paulo Bruscky», esposta in Italia per la prima volta dopo la presentazione, nel 2023, all’Instituto de arte contemporanea Iac di San Paolo. La mostra, curata da Jacopo Crivelli Visconti, direttore della Albuquerque Foundation di Sintra (Portogallo), presenta opere sfuggite alla censura delle dittature dell’America Latina e raccolte nell’archivio di arte postale dell’artista brasiliano, classe 1949, mai esposto prima al di fuori dei confini brasiliani. Per conoscere meglio questo progetto è stato organizzato anche un talk, alla presenza di Paulo Bruscky, per la mattinata di domenica 24 novembre.

Mentre al Gabinetto dei Disegni del Castello Sforzesco sarà visibile la mostra «Alberto Martini: la Danza macabra», in dialogo con il lavoro «Libro dimenticato a memoria» di Vincenzo Agnetti.

Altro spazio affascinante di Milano che parteciperà alla Milano Drawing Week è la Pinacoteca ambrosiana, che nel pomeriggio di sabato 30 novembre farà da scenario all’incontro «L’unicità del disegno italiano. Dialogo tra Rinascimento e ‘900», con Irina Zucca Alessandrelli e Furio Rinaldi, curatore del Dipartimento disegni e stampe del Fine Arts Museums di San Francisco.
Il festival propone, infatti, in anteprima per questa edizione un ricco programma di talk, visite guidate e laboratori sulla pratica del disegno, concepito per essere accessibile e coinvolgente verso ogni tipo di pubblico. Il calendario include anche workshop con attività strutturate per adulti e bambini, mirate alla realizzazione di un elaborato ogni volta diverso e che permetta di sperimentare le molteplici tecniche che caratterizzano il lavoro su carta.

Torna, inoltre, per il secondo anno anche il Premio Milano Drawing Week (del valore di 3mila euro, grazie al sostegno del gruppo Censeo). Si tratta di pochissimi riconoscimenti dedicati al disegno in Italia e verrà assegnato a uno degli artisti contemporanei partecipanti come incentivo per la continuità nella produzione su carta. 

Il progetto della quarta edizione della settimana milanese ideata, con passione e competenza, da sIrina Zucca Alessandrelli i configura, dunque, vario e ben strutturato, in grado di poter suscitare l’interesse di un largo pubblico verso un linguaggio espressivo che, già alla fine del XIV secolo, Cennino Cennini definiva «il fondamento dell’arte».

Didascalie delle immagini 
1. Manuel Scano Larrazàbal, Senza titolo, 2024, inchiostro su carta, 400 x 300 cm (dettaglio). Dalla mostra Carta Rampante e Attrezzo Disegnante prodotta e organizzata da Collezione Ramo presso Casa degli Artisti; 2. Diego Barboza, Arte como gente ente como arte, 35.5 x 32.2 cm. Dall'Archivio Paulo Bruscky in mostra alla Cittadella degli Archivi del Comune di Milano nell'ambito di Attitudine politica. Artisti dell'America Latina dall'Archivio di Paulo Bruscky, a cura di Jacopo Crivelli Visconti; 3. Alberto Martini, La guerra, circa 1905-1906, penna e inchiostro, inchiostro di china su cartoncino, 35.8 x 50 cm. Courtesy Gabinetto dei Disegni, Castello Sforzesco, Milano: 4. Irma Blank, Ur-schrift ovvero Avant-testo, 2000-2001, penna su carta, 25 x 17.6 cm. Courtesy Collezione Ramo, Milano; 5. Monia Ben Hamouda, Rage moving through generations (97), 2024, carboncino, pastelli e pastelli a olio su carta avorio, 29.7 x 21 cm.Courtesy dell’artista e ChertLüdde, Berlino. Foto di Giulio Boem;  6. Enrico Baj, Senza titolo, studio per La nascita degli dei, 1986, matita grafite e penna su carta, 33.4 x 32.9 cm. Courtesy Collezione Ramo, Milano; 7. Corydon Cowansage, Blue, Red, Pink, 2024, acrilico su carta, 24 x 24 cm, Courtesy l’artista e kaufmann repetto Milano/New York, Foto di Olivia Divecchia; 8. Alex Katz, Vivien, 2016, carboncino su carta, 38 × 57 cm. Courtesy Galleria Monica De Cardenas, Milano

Sedi espositive e artisti coinvolti
#Castello Sforzesco - Alberto Martini (Oderzo, 1876 - Milano, 1954) e Vincenzo Agnetti (Milano 1926 - 1980) - Indirizzo: Piazza Castello, 20121 Milano - Ingresso Porta Santo Spirito (lato Cadorna) - Salette della Grafica- Orari: lun chiuso – mar-dom 10.00-17.30
#Cittadella degli Archivi - L’Archivio di Paolo Bruscky - Indirizzo: Via Ferdinando Gregorovius 15, 20162 Milano - Orari: lun chiuso – mar-dom 09.00 – 19.00
#Casa degli Artisti - Mostra di Manuel Scano Larrazàbal (Padova, 1981) - Indirizzo: Via Tommaso da Cazzaniga, Corso Garibaldi 89/A, 20121 Milano - Orari: lun chiuso – mar-sab 12.30-19.30 – dom 12.30-17.30
#APalazzoGallery - Artisti: Nathlie Provosty (Cincinnati, Ohio, 1981) e Carol Rama (Torino, 1918-2015), per Collezione Ramo - Indirizzo: c/o ACE, Via dei Piatti 6, cit. 10, 20123 Milano - Orari: lun-dom 11.00-19.00
# Ciaccia Levi - Artisti: Leonardo Devito (Firenze, 1997) e Domenico Gnoli (Roma, 1933 - New York, 1970), per Collezione Ramo - Indirizzo: Via Gioacchino Rossini 3, 20122 Milano - Orari: lun chiuso – mar-ven 12.00-19.00 – sab 11.00-19.00 – dom 14.00-19.00 (solo 24 novembre)
#Ex Elettrofonica - Artisti: Sergio Breviario (Bergamo, 1974) e Mario Merz (Milano, 1925-2003), per Collezione Ramo - Indirizzo: c/o ArtNoble gallery, Via Ponte di Legno, 9, 20134 Milano - Orari: lun chiuso – mar-dom 15.30-19.30
#kaufmann repetto - 
Artisti: Corydon Cowansage (Philadelphia, 1985) e Irma Blank (Celle, Germania,1934 - Milano, 2023), per Collezione Ramo - Indirizzo: Via di Porta Tenaglia, 7, 20121 Milano - Orari: lun chiuso – mar-sab 10.30-19.00 – dom chiuso
#Loom Gallery - Artisti: Alexandra Barth (Malacky, Slovacchia, 1989) e Fausto Melotti (Rovereto, 1901 - Milano, 1986), per Collezione Ramo - Indirizzo: Piazza Luigi di Savoia, 24, 20124 Milano - Orari: lun-mar chiuso – mer-sab 14.00-19.00 – dom chiuso
#Monica De Cardenas - Artisti: Alex Katz (Brooklyn, New York, 1927) e Michelangelo Pistoletto (Biella, 1933), per Collezione Ramo - Indirizzo: Via Francesco Viganò, 4, 20124 Milano - Orari: lun chiuso – mar-sab 11.00-19.00 – dom chiuso
# Nashira Gallery - Artisti: Giulia Dall’Olio (Bologna, 1983) e Emilio Scanavino (Genova,1922 - Milano, 1986), per Collezione Ramo - Indirizzo: Via Valpetrosa 1, 20123 Milano - Orari: lun chiuso – mar-dom 10.30-19.30
# Settantaventidue - Artisti: Marco Paleari (Desio, 1998) ed Enrico Baj (Milano, 1924 - Vergiate, 2003), per Collezione Ramo
Indirizzo: Via Ludovico il Moro, 1, 20143 Milano - Orari: lun chiuso – mar-ven 14.30-19.30 – sab 10.00-13.30 e 14.30-19.30 – dom chiuso
# Spazio Lima - Artisti: Monia Ben Hamouda (Milano, 1991) e Alberto Burri (Città di Castello, 1915 - Nizza, 1995), per Collezione Ramo - Indirizzo: Via Benedetto Marcello 2, 20124 Milano - Orari: lun-ven 11.00-18.00 – sab-dom 12.00-18.00
#Vistamare - Artisti: Tom Friedman (Saint Louis, Missouri, 1965) e Piero Manzoni (Soncino,1933 - Milano, 1963), per Collezione Ramo - Indirizzo: Via Gaspare Spontini 8, 20131 Milano - Orari: lun-sab 10.30-19.00 – dom chiuso

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giovedì 21 novembre 2024

«Roma Arte in Nuvola», la fiera d’arte che guarda al Meridione

Un inedito vis-à-vis tra le sperimentazioni poveriste di Pino Pascali e i guizzi di luce e le energiche sciabolate dell’impressionista Giuseppe De Nittis. Un percorso tra immagini e sculture alla scoperta dello studio di Pietro Consagra, scrigno di un’arte dalle forme astratte e bidimensionali, «silenziose presenze spirituali» di un’intera vita. Un viaggio nella fotografia contemporanea tra realtà e finzione con cinquanta artisti che, dagli anni Sessanta ad oggi, hanno raccontato «Il gioco dell’identità». E, ancora, una rassegna sui paesaggi lirici di Piero Guccione, un focus sulle installazioni ironiche e visionarie del duo vedovamazzei, un omaggio all’eleganza neoclassica di Antonio Canova e una mostra sull’arte più recente del Portogallo, con opere conservate nella prestigiosa Cace – Coleção de arte contemporânea do Estado Português. C’è questo e molto altro nella quarta edizione di «Roma Arte in Nuvola», la fiera mercato d’arte moderna e contemporanea ideata nel 2019 da Alessandro Nicosia, che vede alla direzione artistica Adriana Polveroni.
Da venerdì 22 a domenica 24 novembre (con opening e anteprima stampa giovedì 21) l’Eur, nei 14mila metri quadrati del centro congressi «La Nuvola», contenitore «luminoso e sontuosamente versatile» progettato poco meno di una decina d’anni fa dall’architetto Massimiliano Fuksas, si fa cornice di un viaggio nelle molteplici anime della creatività moderna e contemporanea: dalla pittura alla scultura, dalla fotografia al video, dall’installazione alla performance.

I riflettori sono puntati sull’offerta espositiva di centoquaranta gallerie, molte delle quali provenienti dal centro e dal sud Italia, ovvero da città quali Napoli, Pescara, Sorrento, Scicli, Avellino, Nuoro, Modica e San Pantaleo. Sono loro il cuore pulsante della fiera, articolata su due piani – il general floor con l’arte moderna e il piano forum con quella contemporanea -, a cui fanno da ricco contorno numerosi eventi collaterali, nati dalla collaborazione con prestigiose istituzioni, a partire dal Ministero della Cultura.

Main sponsor è la Banca Ifis di Mestre, fondata nel 1983 dal principe Sebastien Egon Fürstenberg, figlio di Clara Agnelli, che porterà in fiera dodici busti inediti di Antonio Canova, recentemente ritrovati e restaurati grazie al supporto del neonato progetto «Ifis art», lanciato nella primavera del 2024 con la riqualificazione di «Migrant Child», l’opera realizzata dall’artista Banksy a Venezia.

Dopo Israele, Ucraina e Australia, il Paese ospite di quest’anno è il Portogallo con la mostra «Uma Volta ao Sol» («Un giro attorno al sole»), a cura di Sandra Vieira Jürgens, curatrice e critica nell’esplorazione delle nuove avanguardie artistiche. Le opere esposte, accomunate da un richiamo all’ironia, invitano a sperimentare la dimensione ludica dell’arte e del gioco collettivo, in un percorso che affianca vari materiali e generi espressivi, dall’irriverente scultura in plastica e nastro adesivo di Fernão Cruz (Lisbona, 1995) all’elegante olio su tela di Adriana Proganó (Lucerna, 1992), dall'objet trouvé di Ana Santos (Espinho, 1982) al colorato tappeto in lana di Carlos Noronha Feio (Lisbona, 1981), senza dimenticare l’hula hoop ricoperto da una foglia d’oro di Bárbara Bulhão (Évora, 1992), da cui è tratto il titolo della rassegna.

Un’arte giocosa è anche quella proposta dal duo vedovamazzei, formato da Stella Scala e Simeone Crispino, che presenterà in fiera un’esposizione di opere inedite, quali «Hell» (2024), «Enjoy flowers» (2024) e «Senza Titolo» (2024).
Porta la loro firma anche il lavoro proposto ne «La Nuvola» dal Maxxi di Roma: «Climbing» (2000), prodotto in occasione della prima edizione del Premio per la giovane arte italiana (2000), il cui tema era «Migrazioni e multiculturalità», che giustappone, in chiave ironica, un lampadario in ferro, una scala da alpinismo, un sacco a pelo di volpe argentina firmato Prada e un comodino di cartone.
Arriva dal Maxxi di Roma anche «Casa senza titolo» (1999) di Sislej Xhafa, presentata per la prima volta alla Biennale di Venezia del 1999, durante i bombardamenti del Kosovo per mano della Nato, e oggi collocata nel piano forum del centro congressi romano. L'opera pone l’attenzione sulla rappresentazione dell’identità nazionale (in questo caso quella dell'artista, albanese), allestendo una dimora, di cui si comprende immediatamente la precarietà e provvisorietà, visto che le pareti sono costruite con materiali di scarto.

Proseguendo alla scoperta degli eventi collaterali, tra i progetti espositivi più curiosi c’è senz’altro la mostra «Lo studio di Pietro Consagra come performance di una vita», a cura di Gabriella Di Milia, che ricostruisce idealmente l’atelier dell'artista, in via Cassia 1162 a Roma, attraverso una serie di fotografie, scattate da Claudio Abate e Ugo Mulas, messe in dialogo con una selezione di sculture come i «Matacubi» dalle forme inanellate, il paracarro «Welcome to Rome» (1964) e il marmo «Ligiona n. 3» (1975), dove il colore sostituisce il contrasto accademico di luce e ombra.

L’offerta culturale di «Roma Arte in Nuvola» propone anche la mostra «La città sognata – Opere 1959-1972», dedicata a Piero Guccione, uno dei più importanti pittori italiani figurativi del XX secolo, del quale nel 2025 ricorrono i novant’anni dalla nascita.
L’esposizione ripercorre il periodo romano dell’artista siciliano, i suoi anni accanto al maestro Renato Guttuso, attraverso una selezione di diciotto opere a olio su tela, dalla bellezza meditativa, in un percorso che spazia dai lavori giovanili «La luna a piazza del Popolo» (1959) e «Deterrent» (1961) sino alle tele «Sulla curva di Viale Tiziano» (1970) e «Primavera a Via Flaminia» (1972).

Una sezione dell’allestimento è dedicata alle testimonianze di ammirazione espresse da poeti e scrittori che furono legati a Piero Guccione sia da una personale amicizia che da una profonda conoscenza della sua pittura poetica, da Alberto Moravia a Pietro Citati, da Dino Buzzati a Leonardo Sciascia, da Gesualdo Bufalino a Susan Sontag, da Giovanni Testori a Enzo Siciliano, da Giorgio Soavi a Dante Isella.

Altro highlight della fiera, che mette in dialogo artisti e linguaggi differenti, è il confronto inedito proposto tra Giuseppe De Nittis e Pino Pascali, due figli della Puglia, entrambi innovatori dell’arte del loro tempo pur avendo vissuto esistenze molto brevi. Il primo, morto a trentotto anni, rivoluzionò la pittura con nuove inquadrature e una luce ispirata agli impressionisti, raccontando la «modernité élégante» parigina; il secondo, scomparso appena trentatreenne, introdusse nel suo processo creativo forme e materiali inediti, creando opere iconiche.

Non mancherà, poi, la grande fotografia contemporanea con la mostra «Il gioco delle identità», a cura di Arianna Catania, che presenta i lavori di una cinquantina di artisti come Nan Goldin, Luigi Ontani, Shirin Neshat, Letizia Battaglia, Vanessa Beecroft, Lisetta Carmi e Francesco Jodice, in un percorso tra ritratti, autoritratti, scomposizioni di corpi e indagini antropologiche che rileggono il nostro tempo.
Un focus sulla fotografia verrà presentato anche della Direzione generale Creatività contemporanea del Ministero della Cultura, con i lavori di Franco Vimercati, Piergiorgio Branzi («Reportage del Sud Italia», dal 1953 al 1962) e Valentina Medda («The Last Lamentation», 2024).
Gli amanti del disegno potranno, invece, ammirare una selezione di lavori di Giorgio Morandi, Fausto Pirandello, Filippo de Pisis, Franco Gentilini, Emilio Isgrò, Alberto Burri e Jannis Kounellis, proposti dall’Istituto centrale per la grafica.

Parteciperà alla fiera anche Direzione generale Archivi del Ministero della Cultura con un’isola informativa, dove esporrà la riproduzione di documenti storici quali gli atti del processo relativi al disastro del Vajont e le lettere dalla prigionia di Aldo Moro, nonché opere in originale, dal bozzetto per il mosaico del Ristorante uffici all’Eur di Angelo Canevari allo studio per il Padiglione italiano alla «Esposizione internazionale di arti decorative e industriali di Parigi» (1925).

Infine, accanto ai talk, ci sarà spazio anche per il progetto speciale dedicato alle performance, curato da Daniela Cotimbo e Adriana Polveroni. Sono quattro gli appuntamenti che animeranno il programma con azioni dirompenti che indagano temi legati alle relazioni sociali, ai femminismi, all’ecologia, alla memoria urbana e al recupero delle subculture. Tra i protagonisti ci sono Francesco Fonassi con «Dream Klub Remix», Iginio De Luca con «Tevere Expo, scarti sonori», il duo artistico Lu.Pa con «D'altro canto cade» e Francesca Cornacchini con «Blue Horizon».

L’intero programma di «Roma Arte in Nuvola» si configura, dunque, come un dialogo vivace e articolato tra arte moderna e contemporanea, in grado di catturare l’interesse non solo degli addetti ai lavori, ma anche di un pubblico giovane al quale viene offerto un nuovo modo di intendere il processo creativo, dove l’Impressionismo interagisce con l’Arte povera, l’Astrattismo dialoga con il graffitismo e la digital art.

Didascalie delle immagini
1. Andy Rementer, Midday Stretch, oil on linen, 30,5 x 40,6 cm. Galleria Muciaccia Project; 2. Piero Guccione, Sul far della luna, 1968-69. Olio su tela, 48x46cm; 3. Vedovamazzei, Climbing, 2000 - Photo © Giuseppe Schiavinotti, MAXXI; 4. Sislej Xhafa, Casa senza titolo, 1999 - Photo © Giorgio Benni,MAXXI; 5. Franco Vimercati, Bottiglie di acqua minerale, 1975. Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea. DGCC; 6. Mostra Il gioco delle identità © Paolo Ventura, Ex-Voto#06, 2017; 7. Giovanni Bongiovanni, Quel che ognuno scopre, olio su tela, 150x100cm, 2024. Galleria Unosunove

Informazioni utili
 Roma Arte in Nuvola. La Nuvola, Viale Asia 40/44 – Roma (Eur). Orari: dalle ore 10:30 alle ore 20:30. Biglietti: e 15,00 intero, € 10,00 ridotto (under 26, over 65). Informazioni: tel. 06.85353031, info@artenuvola.eu. Sito web: romaarteinnuvola.eu. Dal 22 novembre al 24 novembre 2024 (apertura al pubblico)