mercoledì 11 dicembre 2024

Bologna, alla Galleria Davia Bargellini un’opera di Bartolomeo Passerotti dalla collezione Geo Poletti

Rimarrà in mostra per cinque anni al Museo civico d'arte industriale e Galleria Davia Bargellini di Bologna il «Ritratto di vedova» di Bartolomeo Passerotti (Bologna, 1529 - ivi, 1592), «bonisimo disegnatore e coloritore», per usare la testimonianza presente nella «Graticola» (1560 circa) di Pietro Lamo, che è stato fondamentale per la formazione della dinastia Carracci e per la nascita della grande pittura bolognese della fine del Cinquecento e dell’inizio del Seicento.
L’opera, concessa in comodato d’uso gratuito ai Musei civici d’arte antica della città felsinea, proviene dalla collezione di Ruggero Poletti, noto a tutti come Geo (Milano 1926 – Lenno, Como 2012), storico dell’arte, connoisseur, pittore e collezionista che formò la sua raccolta tra Milano, Londra e Lugano a partire dagli anni Cinquanta del Novecento.

Acquistato sul mercato antiquario il 24 marzo 1976, in un’asta nella sede londinese di Sotheby’s, e reso noto per la prima volta da Giovanna Poletti (1985), il dipinto è una significativa testimonianza della produzione tarda di Bartolomeo Passerotti, artista formatosi con Iacopo Barozzi detto il Vignola e con il coetaneo Taddeo Zuccari, che, nella sua città natale, si dedicò principalmente all’esecuzione di grandi pale d’altare in cui elementi della pittura nordica si univano a caratteri di stile tipici del Manierismo romano e delle opere modenesi del Correggio.

L’opera, databile intorno o poco dopo il 1585, raffigura senza accomodamenti un’anziana dama, che la veste nera e il velo bianco sul capo indicano in stato vedovile.
La posa con l’indice della mano inserito fra le pagine a tenere il segno nel piccolo libro di preghiera, la cui lettura è stata temporaneamente interrotta, rivela le prerogative della ritrattistica passerottiana, volta a cogliere – scrisse Carlo Cesare Malvasia nel 1678 - i personaggi «non fermi e insensati», ma «in azione e in moto», «a ciascuno […] adattando quell’azione e quel gesto che fu più particolare e frequente alla natura e al genio di quel soggetto».

Nella scheda critica dell’olio su tela, delle dimensioni di 66 x 50 centimetri, Maria Angela Ghirardi argomenta come la tipologia del soggetto rappresentato – quella dell’anziana dama devota – sia propria degli anni inoltrati dell’età tridentina. Nell’immagine si coglie, inoltre, «un nuovo accostarsi al personaggio e alla sua psicologia più «intimo» e «naturale». Illustrata senza orpelli, la vecchia si distoglie un momento dalla lettura e guarda, calma, verso lo spettatore. È forse la cordialità di una pacata vita familiare, quale trapela dall’immagine, ad aver indotto il sospetto di un’improbabile e non fondata identificazione della dama con Cornelia Ricci, seconda moglie di Passerotti».

La formula del «ritratto istoriato», ideata da Passerotti, si affermò con grande successo nell’orizzonte culturale della Bologna pontificia dopo la riforma tridentina, dove il vescovo Gabriele Paleotti stava elaborando il suo celebre trattato, edito nel 1582, in cui esplicitava la funzione pedagogica ed edificante delle immagini. L’esemplarità di vita della vedova devota pareva, quindi, ben conformarsi a questi intenti, rivelando la capacità del pittore di interpretare le esigenze dell’epoca. Tutt’altro, dunque, che finalizzato a uno scopo adulatorio, il ritratto doveva rispettare il criterio del «decoro», restituendo la fisionomia del personaggio con estrema onestà, senza alterarla o correggerla.

Apprezzato anche in altri generi artistici – fu, fra l’altro, l’iniziatore a Bologna di una nuova pittura «di genere» che, alla maniera fiamminga, tornò a guardare la vita con piglio di verità rappresentando le classi più umili nella loro quotidianità – Bartolomeo Passerotti incontra grande fortuna soprattutto come ritrattista, realizzando alcuni dei capolavori della ritrattistica cinquecentesca per l’altissima qualità esecutiva.
L’artista fu attivo per le più alte gerarchie religiose (addirittura per i papi Pio V e Gregorio XIII) e per le famiglie aristocratiche e senatorie, come era uso già nel Quattrocento. Tra queste figurano i Bargellini, per i quali il pittore realizzò una serie di ritratti rievocativi dei membri più illustri, un tempo allestiti nelle gallerie del palazzo in Strada Maggiore. Il ritratto di Filippo Gaspare Bargellini è stato riferito a Bartolomeo Passerotti da Renzo Grandi nel 1987, insieme a quelli di Ovidio e Lattanzio Bargellini; mentre i più noti ritratti di Gaspare, figlio di Filippo, e di Pietro Annibale Bargellini sono da tempo attribuiti all’artista che, secondo la testimonianza di Marcello Oretti, svolse intensa attività per questa famiglia, assieme al figlio Ventura.
«Vivificati dal gesto delle mani» (Angela Ghirardi, 1990), atteggiate secondo l’eloquenza retorica di Quintiliano, i cinque ritratti sono databili entro la prima metà degli anni Settanta del Cinquecento, ed erano probabilmente destinati a comporre una galleria di antenati e illustri esponenti del nobile casato bolognese. E proprio accanto a queste pregevoli opere di grandi dimensioni, gli eredi di Ruggero Poletti hanno espresso il desiderio che anche il «Ritratto di vedova» vada esposto, andando così ad arricchire le collezioni del Museo civico d’arte industriale e Galleria Davia Bargellini.

Grazie a questo ritratto, i bolognesi e i turisti avranno così l’occasione di incuriosirsi e, di conseguenza, di scoprire una collezione d’arte di rilievo all’interno della temperie culturale del secondo Novecento, nata anche dalla consuetudine quotidiana con Giovanni Testori e Roberto Longhi, che guarda principalmente alla pittura lombarda, allora trascuratissima, e agli artisti del Sei e Settecento che si mossero sulle orme del Caravaggio. Tra nature morte, dipinti mitologici, scene sacre e ritratti, la raccolta di Ruggero Poletti, costruita con occhio attento alla qualità e senza preclusioni verso gli anonimi e gli artisti considerati minori, annovera al suo interno artisti come Tanzio da Varallo, Il Cerano, Giacomo Ceruti e Fra’ Galgario, ma anche autori come Bartolomeo Passerotti, Camillo Boccaccino, Pier Francesco Mola e Paolo Pagani, oltre agli spagnoli Velázquez e Ribera.

Didascalie delle immagini
Bartolomeo Passerotti (Bologna, 1529 - ivi, 1592), Ritratto di vedova. Olio su tela, cm 66 x 50. Collezione Geo Poletti

Informazioni utili 
Museo civico d'arte industriale e Galleria Davia Bargellini - Bologna. Orario di apertura: martedì, mercoledì, giovedì 10.00 - 15.00; venerdì 14.00 - 18.00; sabato, domeni-ca, festivi 10.00 - 18.30; Chiuso lunedì non festivi. Ingresso gratuito. Informazioni: tel. +39 051 236708 o museiarteantica@comune.bologna.it. Sito internet: www.museibologna.it/daviabargellini

lunedì 9 dicembre 2024

Elliott Erwitt e Robert Doisneau, la grande fotografia del Novecento in mostra nel Cuneese

Sarà un inverno all’insegna della grande fotografia d’autore quello che offre la provincia di Cuneo ai suoi abitanti e ai tanti turisti che, in ogni mese dell’anno, raggiungono questo territorio, ricco di storia e tradizioni, alla scoperta delle Langhe e del Roero, le cui colline del vino sono patrimonio mondiale dell’Umanità di Unesco, ma anche del Parco del Monviso o di città come Mondovì, Cherasco e Racconigi.
La Fondazione Artea - rinata nel 2016 per volontà della Regione Piemonte, con l’intento di promuovere il patrimonio culturale materiale e immateriale dell’area geografica costituita dall’arco alpino compreso tra le valli monregalesi e la Val Po – propone, fino al prossimo 23 febbraio, due mostre dedicate ad altrettanti importanti fotografi del Novecento: Elliott Erwitt e Robert Doisneau, entrambi celebri per il loro approccio unico e poetico nel catturare momenti della vita quotidiana.

Quella di Elliott Erwitt, maestro dell’obiettivo scomparso il 29 novembre 2023, a 95 anni, è la sua prima mostra postuma e proprio per questa ragione assume una grande importanza storiografica, riunendo per la prima volta i più celebri capolavori in bianco e nero insieme a una serie di meno note, ma altrettanto mirabili, fotografie a colori.
Scenario dell’esposizione è La Castiglia di Saluzzo, imponente fortezza, risalente agli ultimi decenni del Duecento, dalle cui torri e terrazze è possibile ammirare il circostante borgo medioevale, ma anche, nelle giornate limpide, il maestoso «Re di pietra», il Monviso.
All’interno di questi spazi, dove sono anche allestiti i musei della Civiltà cavalleresca e della Memoria carceraria, scorrono cento scatti dell’autore franco-americano, selezionati da Bilba Giacchetti, già collaboratrice oltre che amica di Elliott Erwitt, e riuniti sotto il titolo «L’ideale fuggevole».
«Le immagini esposte sono quelle che lui amava di più. Un omaggio alla sua filosofia di vita e al suo modo di intendere la fotografia», dichiara la curatrice.
Lungo il percorso espositivo, dal quale emerge la tipica ironia del fotografo franco-americano, pervasa da una vena surreale e romantica, scorrono così gli indimenticabili ritratti di Marilyn Monroe, Grace Kelly, Muhammed Alì, Che Guevara, Jack Kerouac, Andy Warhol e Marlene Dietrich, ma anche fotografie che hanno eternato pagine importanti della grande storia del Novecento, come quella, scattata a Mosca nel 1959, con Richard Nixon che punta il dito contro Nikita Chruščëv, o quella del 1963 con Jackie Kennedy in lacrime, dietro il velo nero, durante il funerale del marito John Fitzgerald Kennedy.
Portano la firma di Elliott Erwitt, e sono visibili nella mostra a Saluzzo, anche lavori iconici come «Umbrella Jump» (1989), con una Parigi piovosa sullo sfondo e un uomo che si libra in aria a simulare il jeté (il passo tipico della danza classica) in primo piano, o «California Kiss» (1956), con un bacio ripreso all’interno dello specchietto retrovisore di una macchina, negli anni del boom economico americano, o, ancora, «Boy, Bycicle and Baguette», scattata in Provenza nel 1954 per la campagna promozionale del Turismo francese, realizzata con l’agenzia Doyle Dane Bernbach, dove è ritratto un bambino dall'aria monella, in sella a una bici dietro al nonno, con, attaccate al portapacchi, due lunghe baguette.
Non mancano in mostra i celebri scatti dedicati ai cani, «creature comprensive, presenti ovunque nel mondo», che «non chiedono le stampe», «persone interessanti con più peli», come aveva dichiarato l’autore franco-americano, con la sua consueta ironia, in un’intervista del 2013. Fra i numerosi esempi, nei quali i cani appaiono catturati in situazioni surreali e buffe, spicca «Usa, New York City, 2000», l’immagine di due bulldog, uno dei quali è ritratto in modo tale da apparire come se avesse delle gambe umane.
Ci sono in mostra a Saluzzo anche le fotografie dedicate all’infanzia, della quale il fotografo franco-americano ci restituisce l’innocenza e la spontaneità, a cominciare dal bellissimo scatto con Ellen, la prima figlia neonata dell’artista, osservata attraverso gli occhi amorevoli della madre.

Se Elliott Erwitt è noto per il suo occhio attento a momenti bizzarri, comici e surreali, spesso nascosti nella routine quotidiana, Robert Doisneau, considerato, insieme a Cartier-Bresson, il padre fondatore della fotografia umanista e del fotogiornalismo di strada, ci restituisce la vita della sua città natale, Parigi, negli anni della Liberazione e del Dopoguerra, con uno sguardo nostalgico e poetico, avvalendosi del rigore e dell’eleganza del bianco e nero.
L’intensa parabola creativa del fotografo francese, che si faceva chiamare «il pescatore di momenti», rivive, questo inverno, al Filatoio di Caraglio, sede, in passato, di una delle più antiche fabbriche di seta esistenti in Europa, fondata nel 1676 dalla famiglia Gallizzo, che oggi, accanto a un qualificato cartellone di mostre temporanee, ospita un museo dedicato all’arte serica, dove vengono spiegati i processi di trasformazione dei bozzoli in tessuti preziosi.
Un centinaio di immagini
– selezionate dai curatori Gabriel e Chantal Bauret, con il supporto di Francine Derouidille e Annette Doisneau – raccontano la periferia parigina e la vita della gente comune, tra banlieue e bistrot, tra bambini che giocano e animali incontrati per strada, a cominciare dallo scatto più famoso, quello pubblicato sulla rivista «Life» nel 1950, che immortala il bacio di una coppia in mezzo a una strada, tra il passeggiare veloce e indifferente della gente, davanti all’Hôtel de Ville di Parigi.
Il percorso espositivo getta, poi, luce anche su un lato ancora poco indagato nella produzione del fotografo d’Oltralpe, quello dedicata al mondo del lavoro e all’attività delle fabbriche francesi.
L’esposizione, intitolata «Trame di vita», inizia, infatti, con un reportage realizzato nel 1945 nella manifattura tessile di Aubusson, nella Francia centrale, su commissione della rivista «Le Poin», dove vengono documentate l’operosità degli artigiani e le varie fasi di realizzazione degli arazzi.
Il progetto fotografico viene esposto per la prima volta al pubblico ed è messo in dialogo con i reportage svolti su incarico di importanti realtà industriali, come la Renault o le miniere di Lens, per raccontare l’evoluzione del mondo produttivo nella seconda metà del XX secolo.
Per la fabbrica automobilistica francese, dove lavora, poco più che ventenne, nella sezione pubblicitaria per cinque anni, Robert Doisneau fotografa le vetture, le catene di montaggio con macchinari e ingranaggi, le mense, i lavoratori, tra le scintille di polveri di magnesio e nei momenti di pausa sdraiati tra gli pneumatici, dimostrando da subito il suo sguardo empatico e rispettoso nei confronti degli altri.
L'artista ha già allora, forse inconsapevolmente, un progetto in testa, lo stesso che anima tutta la sua attività e che racconta a Frank Horvat nel 1990 con queste parole: «Il fotografo deve essere come carta assorbente, deve lasciarsi penetrare dal momento poetico. [...] Quello che cercavo di mostrare era un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere. Le mie foto erano come una prova che questo mondo può esistere».

Didascalie delle immagini
1. Elliott Erwitt, «Boy, Bycicle and Baguette», France, Provence, 1955 © Elliott Erwitt;2. Elliot Erwitt, «Umbrella Jump», France, Paris, 1989 © Elliott Erwitt; 3. Elliott Erwitt, «Usa, New York City, 2000», 2000 © Elliott Erwitt; 4. Elliott Erwitt, Marilyn Monroe, Usa, Reno, Nevada, 1960 © Elliott Erwitt; 5. Robert Doisneau, «Le Baiser de l'Hôtel de ville», Paris, 1950. © Atelier Robert Doisneau; 6. Robert Doisneau, «Aubusson, basse lisse», 1945. ©Atelier Robert Doisneau; 7. Robert Doisneau, «Les frères, rue du Docteur Lecène», 1934. ©Atelier Robert Doisneau

Informazioni utili
«Robert Doisneau. Trame di vita». Filatoio, via Matteotti, 40 – Caraglio (Cuneo). Orari: giovedì e venerdì, dalle ore 15 alle ore 19; sabato, domenica e festivi, dalle ore 10 alle ore 19. Ingresso: intero 12 euro, ridotto 9 euro; sono previste tariffe agevolate per gruppi e scuole di ogni ordine e grado; le agevolazioni e le gratuità sono consultabili sul sito fondazioneartea.org; per dettagli e prenotazioni è possibile scrivere a info@fondazioneartea.org o telefonare allo 0171.1670042 (dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 17.00). Fino al 23 febbraio 2025 

«Elliott Erwitt. L’ideale fuggevole». La Castiglia di Saluzzo, piazza Castello, 1 – Saluzzo (Cuneo). Orari: venerdì dalle ore 15 alle ore 19; sabato, domenica e festivi dalle ore 10 alle ore 19. Ingresso: intero 12 euro, ridotto 9 euro; sono previste tariffe agevolate per gruppi e scuole di ogni ordine e grado; i biglietti sono acquistabili in prevendita su ticket.it o alla biglietteria dello spazio museale. Per informazioni e prenotazioni: musakids@itur.it. Siti internet: www.visitsaluzzo.it | www.fondazioneartea.org. Fino al 23 febbraio 2025

venerdì 6 dicembre 2024

«Murano illumina il mondo»: undici lampadari d’artista per il Natale di Venezia

Pochi luoghi al mondo evocano un senso di meraviglia come Murano, l’isola veneziana che da secoli brilla grazie alla sua eccellenza nella lavorazione del vetro. Qui, la perizia artigianale della soffiatura e la modellazione della materia con il calore incandescente del fuoco hanno raggiunto vertici di maestria anche grazie al coinvolgimento di artisti e designer.
Tra le creazioni più iconiche occupano un posto d’onore i lampadari, la cui tradizione risale al XVII secolo. Si tratta di manufatti che incantano i collezionisti e i semplici amanti dell’arredamento di lusso con le loro braccia sinuose, i pendenti di cristallo trasparente o colorato, i dettagli floreali che sembrano sospesi in un tempo rarefatto.

Da due anni questo oggetto d’uso quotidiano è al centro del progetto espositivo «Murano illumina il mondo», promosso da «The Venice Glass Week», con il Comune di Venezia.
Per tutto il periodo natalizio e fino al 4 marzo 2025, al calare della sera, undici creazioni originali e inedite, nate dalla collaborazione tra undici importanti artisti e architetti di fama internazionale con alcune tra le più prestigiose fornaci muranesi, illumineranno «il salotto più bello del mondo»: la veneziana piazza San Marco.
Il risultato è una suggestiva installazione urbana che trasforma le volte delle Procuratie vecchie, che si estendono per centocinquantadue metri dalla Torre dell’Orologio verso l’Ala napoleonica, con un portico di ben cinquanta arcate a tutto sesto, in uno scintillante museo a cielo aperto, simbolo perfetto dello spirito che anima le feste natalizie, da sempre caratterizzate da un raffinato dialogo tra la bellezza e la luce, metafora di rinascita e speranza.

A selezionare i partecipanti per questa seconda edizione di «Murano illumina il mondo» è stato un Comitato scientifico composto dalla storica del vetro Rosa Barovier Mentasti, dai curatori Mario Codognato e Alma Zevi, da David Landau, trustee di Pentagram Stiftung, e da Chiara Squarcina, direttrice scientifica della Fondazione Musei civici di Venezia. Mentre il coordinamento tra artisti e fornaci è stato affidato a Matteo Silverio.
«Ognuno degli undici lampadari è stato disegnato, progettato e realizzato appositamente per la rassegna rispettando specifici parametri di dimensione, peso e caratteristiche strutturali per garantire il totale rispetto del delicato luogo in cui sono stati installati», fa sapere «The Venice Glass Week», l’ente organizzatore della mostra del quale fanno parte il Comune di Venezia, i locali Musei civici, «Le stanze del vetro» (con la Fondazione Giorgio Cini e Pentagram Stiftung), l’Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti e il Consorzio Promovetro Murano.

Tra i grandi maestri internazionali che hanno accettato la sfida di confrontarsi con le tecniche vetrarie, fondendo il proprio inconfondibile stile con una sapiente artigianalità dalla tradizione millenaria, c’è Joseph Kosuth, esponente di punta dell’arte concettuale, noto per il suo approccio filosofico alla pratica creativa, che, con il maestro Marco Barbini, all’interno della fornace «Barbini Specchi Veneziani», ha realizzato «Enlighten’s the Word», un manufatto in vetro specchiato, invito a riflettere sui principi dell’Illuminismo, che ricrea la silhouette astratta di un lampadario classico «Rezzonico» e la rende tridimensionale e auto-riflettente.
Un riferimento alla storia veneziana è presente anche nell’opera realizzata dall’architetto giapponese Kengo Kuma, noto per le sue «creazioni contestuali» nelle quali si respira grande attenzione per l’ambiente culturale e naturale circostante, recentemente autore della nuova veste del Centro d’arte moderna «Gulbenkian» di Lisbona e delle scenografie per l’opera «Simon Boccanegra» di Giuseppe Verdi al teatro San Carlo di Napoli. Il lampadario «dieXe» (termine che significa «dieci» in lingua veneta) è una celebrazione delle «bricole» veneziane, le «sentinelle della Laguna» formate da due o più grossi pali in legno, che delimitano la parte navigabile anche in condizione di bassa marea, qui usate come calco per la texture delle lastre di vetro del lampadario, sviluppate in un percorso modulare a incastro. A rafforzare ulteriormente il legame tra l’opera e il territorio è la scelta del colore: l’iconico verde pavone della fornace Salviati, che ben rappresenta le magnetiche sfumature dell’acqua lagunare.
Suggestioni veneziane animano anche la creazione del pittore tirolese Hans Weigand che, con Nicola Causin della fornace «Berengo Studio», ha dato vita a «Venetian Wavebreakers Chandelie», raffigurazione di due dighe frangiflutti realizzate interamente in vetro, che vogliono raccontare la fragilità della Serenissima, sempre di più a confronto con il fenomeno dell'innalzamento delle acque, anche a causa del cambiamento climatico.
Mentre racconta il volto di Venezia come città di pesci e pescagione «Bilancia» di Marina e Susanna Sent, una lampada a sospensione dalle linee essenziali e geometriche, realizzata manualmente con la tecnica del vetro a lume, che usa come elementi di raccordo i fili delle caratteristiche reti da pesca della Laguna nord.

Il grande designer francese Philippe Starck ha, invece, raccolto la sfida realizzando, con Aristide Najean e sotto la supervisione del maestro vetraio Cristiano Rossetto, «Quadri», un lampadario surreale in ametista scura, con motivi floreali che trasportano in un mondo dominato dalla bellezza e dalla poesia.
I fiori caratterizzano anche «Colpo di vento», l’opera che l’artista nipponica Kimiko Yoshida ha realizzato, con il maestro vetraio Gianni Seguso, per «Murano illumina il mondo». Il suo lampadario reinterpreta il «Rezzonico» barchetta classico, in una commistione tra Rococò veneziano e minimalismo giapponese, che trae ispirazione dai colori del fiore di ciliegio, simbolo nazionale nel suo Paese natale.

Dal confronto con la tradizione, rivisitata in chiave moderna e sperimentale, nasce anche «TransFormation», la creazione di Deborah Czeresko che, in collaborazione con la fornace «Massimiliano Schiavon Art Team», ha rivisitato il lampadario classico sostituendo i suoi bracci a S con le forme sinuose di coloratissimi serpenti, dalle pelli magicamente squamate di murrine, dalle cui lingue fuoriescono fasci di luce.

Mentre il designer francese Emmanuel Babled, del quale è stata appena pubblicata una monografia sul suo lavoro da 5 Continents Editions, prosegue la sua ricerca più che trentennale sui materiali d’eccellenza, coadiuvata nella fase di produzione da «la main des autres», ovvero da «la mano degli altri». E presenta, in collaborazione con il maestro vetraio Marino Gabrielli della fornace «NasonMoretti», il suo «Digit Light», un gioioso lampadario composto da ventitré sfere in vetro soffiato a mano e otto sorgenti luminose che trae ispirazione dalla cultura Pop degli anni Sessanta.

Passeggiando sotto le volte delle Procuratie vecchie si trovano, poi, «Inariaa» di Arturo Tedeschi, un elegante ed etereo poliedro sospeso nel vuoto realizzato grazie alla maestria di Nicola Moretti e Stefano Bullo, «AZ 2024», un lampadario dalle tonalità blu creato dagli studenti dell’Istituto «Abate Zanetti» con Eros Raffael, e «Solomon Chopsticks», l’inedita creazione del duo Fiedler O Mastrangelo, ideata con la fornace di Giorgio Giuman, dove le linee astratte delle bacchette asiatiche evocano il simbolismo del nodo di Salomone, rappresentazione iconografica dell’eterno, ennesima prova della malleabilità del vetro e del suo alto potere espressivo.

Per gli amanti dell'artigianalità muranese e delle tradizioni natalizie si consiglia, infine, di dirigersi verso Rialto dove, nella chiesa di San Salvador, sarà visibile, dal 15 dicembre 2024 al 15 gennaio 2025, un grande albero di Natale in vetro, di due metri e mezzo di altezza e con quaranta luci. Il manufatto, anche questo ispirato al design iconico del lampadario veneziano, è realizzato dal maestro Pierpaolo Seguso della storica Vetreria Seguso, le cui radici risalgono al 1397 e che nel 2023 è stata riconosciuta dal Ministero della Cultura come «Patrimonio nazionale».
Il verde dell'albero e il bianco delle candele si fondono con decorazioni festose, rappresentate dai classici bastoncini di caramella - i «candy canes» rossi e bianchi -, da palle rigorosamente rosse e da tre preziose sfere dorate, in ricordo del primo Babbo Natale, San Nicola o San Nicolò, che è anche il patrono e il protettore dei vetrai, custodi di una tradizione che, da secoli, «illumina il mondo».

Didascalie delle immagini
1.Quadri, artista Philippe Starck e Aristide Najean, maestro Cristiano Rossetto, fornace Najean & Sy. Ph. Giorgio Bombieri; 2. Colpo di vento, artista Kimiko Yoshida, maestro Gianni Seguso, fornace Seguso Gianni Murano. Ph. Giorgio Bombieri; 3. TransFormation, artista Deborah Czeresko, maestri Giorgio Valentini, Claudio Zama e Massimiliano Schiavon + Wili Bardella (moleria), fornace Massimiliano Schiavon Art Team. Ph. Giorgio Bombieri; 4. Digit Light, artista Emmanuel Babled, maestro Marino Gabrielli, fornace NasonMoretti. Ph. Giorgio Bombieri; 5. dieXe, artista Kengo Kuma, fornace Salviati. Ph. Giorgio Bombieri; 6. Enlighten’s the Word, artista Joseph Kosuth, maestro Marco Barbini, fornace Barbini Specchi Veneziani. Ph. Giorgio Bombieri; 7. Venetian Wavebreakers Chandelier, artista Hans Weigand, maestro Nicola Causin, fornace Berengo Studio. Ph. Giorgio Bombieri; 8. Albero di Natale di Seguso Vetri d'arte per la Chiesa di San Salvador a Venezia

Informazioni utili

giovedì 5 dicembre 2024

«Smach 2025», aperto il bando di concorso internazionale per la Biennale della Val Badia

È uno strumento che racconta il legame profondo tra l’uomo e la natura nelle valli del Trentino Alto Adige, soprattutto in quei contesti più rurali o caratterizzati da attività artigianali. Ed è anche una tradizione millenaria tipica delle Dolomiti e di altri luoghi contadini, da tramandare di generazione in generazione, che ben rappresenta la fatica del lavoro e il legame, non sempre semplice, con la terra. Alla «cu», la pietra che si usa per affilare la falce – detta in italiano «cote», in inglese «whetstones», in tedesco «schleifstein» –, il cui nome ladino deriva da cos-cotis, a sua volta derivato dalla radice «co» nel senso di essere acuto e tagliente, è dedicata la settima edizione di «Smach. Constellation of art, culture e history in the Dolomites», la biennale internazionale di arte pubblica, ideata nel 2012 da Michael Moling e coadiuvata da Gustav Willeit, che ha per scenario un panorama di incredibile bellezza, la Val Badia, dal 2009 patrimonio mondiale dell’Umanità di Unesco.

In attesa della manifestazione, in programma dal 12 luglio al 4 settembre 2025, si scaldano i motori con il bando di concorso internazionale che selezionerà le dieci opere che animeranno la mostra open-air.

Aperta fino al 2 marzo 2025, la call è rivolta a creativi e creative di ogni ambito e di ogni provenienza, invitati a raccontare la cote, strumento usato per affilare falci e coltelli, da sempre simbolo di ingegno contadino, pazienza e resistenza.

«Attraverso la «cu» – raccontano gli organizzatori - si fa riferimento a quei processi materiali, ma anche mentali, di evoluzione tecnica e di immaginazione, di saper fare, di strumenti diffusi in tutto il mondo, di universalità delle forme e dei bisogni primari. La «cu», quindi, veicola molteplici tematiche e stimola numerose riflessioni: l’evoluzione umana e quella tecnica; la trasmissione, o la perdita, dell’eredità culturale; il presente, il passato e il futuro».

I partecipanti sono invitati a proporre liberamente il loro contributo, senza limiti di tecnica e contenuto, ma anche a mantenere sempre l’attenzione al contesto paesaggistico nel quale intervengono. Requisito indispensabile sarà, pertanto, quello di realizzare un progetto artistico garantisca il rispetto e la cura dell’ambiente. Le opere proposte dovranno dialogare, inoltre, con il patrimonio culturale, storico e architettonico dei territori dolomitici, in uno scambio costruttivo e proficuo di valori locali, nazionali e internazionali.

Potranno partecipare al bando persone singole, collettivi, gruppi informali di ogni provenienza, età e background. Non verrà, dunque, richiesto il curriculum in fase di presentazione del proprio progetto, proprio perché l’intento è quello di ricevere idee originali e pertinenti con il tema richiesto, ma anche con la visione e gli obiettivi della rassegna.

A tutti i dieci progetti selezionati sarà assegnato un premio in denaro di 2.000 € (il compenso include i costi di ideazione, produzione, trasporti, montaggio e smontaggio); e gli artisti (massimo due per progetto) parteciperanno a una residenza di 5 giorni e 4 notti ( tra il 1° e l’8 giugno 2025) per la realizzazione e l’allestimento delle opere in loco.
In più, alcuni lavori avranno la possibilità di entrare a far parte della collezione permanente Smach Val dl’Ert, che, ad oggi, espone - ad accesso libero e per tutto l’anno - ventisette opere acquisite nelle edizioni precedenti.
Il parco, di ettari, è situato in una valle incontaminata nella località di San Martino in Badia, in provincia di Bolzano. Il suo accesso è a 150 m dal Museum Ladin e crea con esso un interessante polo di attrazione turistico-culturale per tutta la Val Badia.

Le opere comporranno un originale allestimento nella natura e in un contesto alpino di alta quota, percorribile in brevi trekking giornalieri o in escursioni di più giorni, con pernottamento in rifugio. I percorsi, della durata di quattro giorni e tre notti, partiranno il 15 luglio, il 26 agosto e il 2 settembre 2025 e saranno realizzati in partnership con Holimites.

La quota di partecipazione al bando è di € 15 per progetto, con la possibilità di presentare un massimo di due progetti per proponente. L’opera deve essere inedita e ideata appositamente per uno dei siti coinvolti dal percorso espositivo.

Tra tutte le proposte pervenute entro il 2 marzo 2025, il direttivo di Smach effettuerà una prima scrematura selezionando cento progetti. Questi saranno vagliati dalla giuria tecnica, in base a parametri di sostenibilità ambientale e paesaggistica. Di questa giuria fanno parte: l’artigiano Isidoro Clara, l’architetto Loris Clara, l’ingegnere Walther Ferdigg, l’ispettore forestale Gottlieb Moling e Astrid Wiedenhofer, dell’Ufficio provinciale Parchi naturali. Alla fine della selezione rimarranno cinquanta lavori da sottoporre alla giuria artistica, composta da Zasha Colah, curatrice della «Berlin Biennale 2025» e co-direttrice artistica di Ar/Ge Kunst a Bolzano; Jasmine Deporta, artista, che lavora tra Losanna e Bolzano; Emanuele Masi, direttore artistico di Equilibri Festival a Roma e direttore di produzione dell’Haydn Foundation di Bolzano; Peter Senoner, artista, che vive e lavora a Bolzano; Stefan Sagmeister, designer, che vive e lavora a New York.

Le opere selezionate per «Smach 2025» verranno scelte entro il 28 marzo 2025 per dare così vita a un nuovo capitolo della valorizzazione culturale e d’avanguardia dell’area dolomitica, attraverso il dialogo tra arte e natura, nel segno, quest’anno, di un elemento della tradizione contadina, la «cu», la cote, scelta nell’ambito del progetto «Tocc», condotto da «Smach» e assegnatario del Pnrr. Si tratta di un percorso di ricerca demoetnoantropologico, grazie al quale si sta procedendo alla documentazione e digitalizzazione dell’archivio culturale materiale e immateriale di San Martino in Badia, promuovendolo anche attraverso alla webapp «Iradié».

Nel frattempo, «Smach» prosegue il suo lavoro per il «Cultural Hub», un progetto sulla conservazione storica dell’identità e della cultura del territorio, che nei prossimi mesi si articolerà nella «Child Dolomitica», per far scoprire la montagna alle scuole, e in un progetto satellite di Land Art, che vedrà protagonista Michelangelo Pistoletto, uno dei padri fondatori dell’Arte povera. Dopo le installazioni, tra le altre, al Louvre di Parigi, alle Nazioni Unite di New York, ai Fori Imperiali di Roma, al Castello di Rivoli di Torino e al sito archeologico di Karkemish in Turchia, il simbolo del «Terzo Paradiso», realizzato in questa occasione con il legno degli abeti abbattuti dalla tempesta Vaia, troverà collocazione, nel luglio 2025, a Colfosco in Val Badia (in provincia di Bolzano), coprendo un’area di 52x24 metri, nell'area Plans sul Passo Gardena, in un prato messo a disposizione dalla famiglia Mersa, adiacente a un incantevole bosco con ruscello, ai piedi del Gruppo del Sella. 

L’opera sarà raggiungibile tramite un percorso pedonale e ciclabile e sarà visibile dall'alto da chi attraversa il passo, dagli scalatori della Ferrata tridentina e dai frequentatori della seggiovia Plans Frara.

Il simbolo del «Terzo Paradiso», riconfigurazione del segno matematico dell’infinito, è composto da tre cerchi consecutivi. I due cerchi esterni rappresentano tutte le diversità e le antinomie, tra cui natura e artificio. Quello centrale è la compenetrazione fra i cerchi opposti e rappresenta il grembo generativo della nuova umanità, responsabile anche nei confronti dell’ambiente che la circonda.

Didascalie delle immagini 
1. Smach 2025, immagine istituzionale, ph. Gustav Willeit; 2. Val Dl'Ert. Xinge Zhang & Jiaqi Qiu, Fragile as a Rainbow, 2021. Ph. Gustav Willeit; 3. Val dl’Ert. Alemeh & Shahed Mohammadzadeh, The Sun, 2019. Ph. Gustav Willeit; 4. Val dl’Ert Dimitri Khramov, Mama, 2021. Ph Gustav Willeit; 5. Val dl’Ert. Barbara Tavella, "Ralegrëite, sce te storjes pro. Palsa, sce te restes chilò. Cunfôrtete, sce te vas inant.", 2015. Ph. Gustav Willeit; 6. Val dl’Ert. Arturs Punte & Jekabs Volatovskis, Fragile Silence, 2021. Ph. Gustav Willeit; 7. Val dl’Ert Conor Mcnally, Ciasa, 2019. Ph. Gustav Willeit; 8. Cultural Hub Child Dolomitica 2024

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mercoledì 4 dicembre 2024

Museo Canova di Possagno, riaperta l'Ala ottocentesca della Gypsoteca

Immerso tra le dolci colline venete del Prosecco, il Museo Gypsotheca «Antonio Canova» di Possagno, paesino in provincia di Treviso, ai piedi del Monte Grappa, ritorna di nuovo fruibile al pubblico nella sua completezza. Dopo sette anni, e un significativo intervento di restauro, ha riaperto i battenti l’Ala ottocentesca, struttura realizzata su commissione del vescovo Giovanni Battista Sartori, con il progetto dell’architetto veneziano Francesco Lazzari, fra il 1831 ed il 1836 per ospitare le opere dello scultore neoclassico Antonio Canova (Possagno, 1757–Venezia, 1822) presenti nel suo Studio romano in Via delle Colonnette, donati alla morte dell’artista alla sua città natale.

L’intervento conservativo, il cui quadro economico di spesa ha previsto un importo complessivo di 950mila euro (provenienti in massima parte dal Fondo Cultura), ha interessato il consolidamento strutturale e il miglioramento sismico della seconda e della terza campata dell’Ala ottocentesca; mentre l’atrio e la prima campata erano stati riqualificati nel 2018, lo stesso anno in cui le opere erano state temporaneamente spostate dalla loro sede originaria per consentire le operazioni di conservazione.

Contemporaneamente è stato attuato un riallestimento illuminotecnico di questo spazio, teso a esaltare la bellezza dei modelli originali in gesso, studi preparatori per le pregevoli opere marmoree di Antonio Canova, oggi presenti nei più prestigiosi musei del mondo.
Il nuovo impianto a Led indirizza fasci luminosi verso la volta, creando un effetto diffuso e riflesso che valorizza le opere e garantisce un’esperienza visiva immersiva. Inoltre, sono stati integrati dispositivi regolabili da remoto, progettati per generare scenari personalizzati e adattarsi alle diverse esigenze espositive.

In questi anni è stato, inoltre, possibile completare il progetto di digitalizzazione del complesso architettonico canoviano, grazie alla combinazione e integrazione di metodi e tecnologie innovative. Questo ha permesso la riproduzione immateriale dell’intero patrimonio artistico possagnese, arricchendo così l’offerta del museo con un nuovo virtual tour a disposizione del pubblico, che integra modelli 3D e fotografie sferiche ad alta definizione per offrire un’esperienza inclusiva e immersiva.

In questi anni, il museo veneto ha, comunque, garantito la propria continuità espositiva grazie agli altri suoi elementi fondanti: la Casa natale (dove sono custodite le opere pittoriche, i disegni, e incisioni e gli effetti personali dell’artista), l’Ala Scarpa della Gypsoteca, che trae il suo nome dal progettista Carlo Scarpa, invitato tra il 1955 e il 1957 a creare un Padiglione per le opere in argilla e una selezione di gessi canoviani provenienti da Venezia come «Ercole e Lica» e «Teseo in lotta con il centauro», nonché l’Ala Gemin (costruita nel 1992 per ospitare conferenze e seminari), la biblioteca, il giardino e il parco.

Ora, con la riapertura dell’Ala ottocentesca, il pubblico potrà nuovamente ammirare alcuni capolavori in gesso, tra i quali «Napoleone come Marte pacificatore» (1806), un’imponente statua celebrativa, alta oltre tre metri, che raffigura il generale Bonaparte nelle vesti di un dio greco mentre regge, con la mano sinistra, una lancia e, con la destra, il globo terrestre sormontato dalla dea Nike, personificazione della vittoria alata.

Tra le opere che ritornano visibili c’è anche il gesso dell’«Ercole e Lica» (1795-1796), prima delle statue colossali tra quelle eseguite da Antonio Canova, oggi alla Galleria nazionale di arte moderna di Roma, commissionata nel 1795 dal principe aragonese Onorato Gaetani, che dovette poi rinunciare all’acquisto per via delle sue avverse fortune politiche, e entrata, quindi, nella collezione del finanziere Giovanni Torlonia di Roma. «L’opera – si legge nella presentazione - è fortemente espressiva: il volto disperato dell’ingenuo Lica dalla cui bocca sembra diffondersi l’urlo di dolore; la mano aggressiva di Ercole che afferra i capelli del giovane traduce la forsennata aggressività e la ferocia dell’eroe; tutti i muscoli sono definiti nella più viva tensione».

Tra gli altri capolavori del museo si segnalano: «Le Grazie» (1813), commissionato da Giuseppina Beauharnais, ora all’Ermitage di San Pietroburgo, e in replica da John Russel, VI Duca di Bedford, e diventato patrimonio condiviso del Victoria & Albert Museum di Londra e delle National Galleries of Scotland di Edimburgo; e «Amore e Psiche» (1800), tra le opere più celebri della collezione, scelta spesso come emblema dell’amore, che rappresenta la contrastata e passionevole storia tra il dio Amore e la mortale Psiche, nel momento in cui si riuniscono dopo che lei ha affrontato le difficili prove inflittegli dalla dea Venere.

Passeggiare nel museo di Possagno, e nella ritrovata e restaurata Ala ottocentesca della Gypsoteca significa, dunque, immergersi nell’essenza dell’arte di Antonio Canova e scoprirne così il suo amore per la perfezione, la sua dedizione all’armonia. Le sculture in gesso dell’artista, modelli delle opere in marmo sparse nei musei di tutto il mondo, rivelano dettagli dall’eleganza senza tempo, perfetta sintesi di bello naturale e bello ideale.

Didascalie delle immagini
Le fotografie dell'Ala ottocentesca della Gypsoteca Antonio Canova di Possagno (Treviso) sono di Lino Zanuso

Informazioni utili
Possagno (TV), Museo Gypsotheca Antonio Canova, via Antonio Canova 74 - Possagno (Treviso). Orari: martedì-venerdì, 9.30-18.00; sabato, domenica e festivi, 9.30-19.00; ultimo ingresso un’ora prima della chiusura. Biglietti:. intero: €13,00; ridotto: €10. Informazioni: tel.0423.544323; posta@museocanova.it. Sito internet: www.museocanova.it 

martedì 3 dicembre 2024

A Venezia un convegno internazionale su Lucio Fontana, il maestro dello Spazialismo

«[…] Per andare più in là cosa devo fare? Io buco, passa l’infinito di lì, passa la luce, non c’è bisogno di dipingere. Tutti han creduto che io volessi distruggere: ma non è vero, io ho costruito, non distrutto […]». Così Lucio Fontana (Rosario - Santa Fè - Argentina, 19 febbraio 1899 - Comabbio - Varese - Italia, 7 settembre 1968), il maestro dei «Tagli» e dei «Buchi», universalmente riconosciuto come il padre dello Spazialismo, movimento del quale scrisse (insieme con Giorgio Kaisserlian, Beniamino Joppolo e Milena Milani) il Manifesto programmatico nel 1947, spiegava la sua ricerca creativa, mossa dalla volontà di andare oltre la bidimensionalità della tela e la tridimensionalità statica della scultura alla scoperta della «quarta dimensione», dell’«infinito».

Considerato uno degli artisti più influenti del Novecento, l’autore italo-argentino, con alle spalle solidi studi in scultura con Adolfo Wildt all’Accademia di Belle arti di Brera, seppe tracciare, nel secondo Dopoguerra, una via alternativa al Neorealismo figurativo di Renato Guttuso e alle provocazioni concettuali di Piero Manzoni e Alberto Burri con un’arte che era semplice gesto e pura idea.

Autore di centinaia di opere, che dal novembre 1982 vengono certificate e autenticate da una fondazione nata a Milano per iniziativa della moglie Teresita Rasini, Lucio Fontana è sempre più al centro di esposizioni e pubblicazioni. Ed è altresì una vera e propria garanzia per i collezionisti, rivelandosi un investimento non solo al riparo dalle mode del momento, ma anche sempre più quotato sul mercato internazionale (lo scorso maggio Sotheby’s ha battuto all’asta a New York un «Concetto spaziale - La fine di Dio» dalle accese tonalità gialle, proveniente dalla collezione Cindy e Howard Rachofsky, a 23 milioni di dollari).

Per approfondire la figura dell’artista, alla luce degli studi più recenti, anche quelli sull’aspetto conservativo delle sue opere, la Fondazione Lucio Fontana, di concerto con l’Istituto di storia dell’arte della Fondazione Giorgio Cini e con il sostegno di Intesa San Paolo, ha ideato e promosso un convegno internazionale di studi della durata di due giorni, a ingresso libero fino a esaurimento dei posti disponibili, in cartellone giovedì 5 e venerdì 6 dicembre a Venezia, che vedrà la partecipazione di ventuno relatori.

«Lucio Fontana: origini e immaginario» è il titolo dell’appuntamento, che si avvale del coordinamento scientifico di Silvia Ardemagni, Luca Massimo Barbero e Maria Villa, e che gli studiosi potranno seguire anche on-line, sul canale YouTube dell’istituzione lagunare, ripercorrendo la vitale parabola creativa dell’artista italo-argentino, caratterizzata da sperimentazioni costanti, in un percorso che spazia dagli anni Venti al termine degli anni Sessanta del XX secolo.

«Il convegno riconferma l’interesse manifestato dalla Fondazione Giorgio Cini nei confronti del maestro italo-argentino, protagonista di diversi momenti di approfondimento ospitati e promossi dall’istituzione veneziana: la «Mostra di Disegni e Opere Grafiche di Lucio Fontana» già nel 1972; il convegno del 2014 «Arte figurativa e arte astratta 1954-2014» e la borsa di studio «Lucio Fontana, periodo argentino: monumenti progetti e opere» bandita nel 2022 nuovamente in stretta sinergia con la Fondazione Lucio Fontana», spiega Luca Massimo Barbero, direttore dell’Istituto di Storia dell’arte.

Un primo focus della due giorni sarà riservato, nella mattinata di giovedì 5 dicembre, a indagare l’immaginario che ha nutrito l’avanguardia fontaniana. Ester Coen, docente di storia dell’arte contemporanea all’Università degli studi dell’Aquila, parlerà delle radici futuriste. Nico Stringa, già docente all’Università Ca’ Foscari a Venezia, approfondirà il rapporto con Arturo Martini. Valerio Terraroli, professore ordinario all’Università degli Studi di Verona, terrà un intervento sulla scultura in ceramica. Francesco Tedeschi, dell’Università Cattolica di Milano, parlerà del dialogo instaurato con l’Astrattismo italiano ed europeo. Infine, Giovanni Bianchi, docente all’Università degli studi di Padova, terrà una relazione dal titolo «Intorno allo Spazialismo veneziano: il richiamo dell’ombra in Mario Deluigi e in Lucio Fontana».

Un secondo piano di riflessione si concentrerà, nel pomeriggio di giovedì 5 dicembre, sui luoghi fontaniani, in un percorso in bilico tra Argentina e Italia. La storica dell’arte Daniela Alejandra Sbaraglia racconterà gli esordi dell’artista nell’atelier del padre scultore e la sua formazione negli anni Venti a Rosario, mentre Lorena Mouguelar seguirà le tracce della «nuova sensibilità» che emergeva, proprio in quel periodo, nel Paese latinoamericano. Luca Bochicchio, dell’Università degli Studi di Verona, porterà, dunque, il pubblico sulle rive del mar Ligure, nella vivace fornace di Albisola Marina, nel Savonese, importante fucina creativa per gli artisti novecenteschi, dove Lucio Fontana arrivò per la prima volta nel 1935, operando inizialmente alla manifattura di Giuseppe Mazzotti, e che frequentò fino agli anni Sessanta, come dimostra il suo atelier in piazza Pozzo Garitta. Sileno Salvagnini parlerà, invece, delle partecipazioni del maestro italo-argentino alla Biennale di Venezia, a partire dagli anni Trenta e fino al 1966, l’anno della vincita del Premio per la pittura con cinque tele bianche attraversate da un unico taglio. Mentre la storica dell’arte Giorgina Bertolino racconterà il rapporto dell’artista con la Torino degli anni Sessanta.

I lavori della giornata di venerdì 6 dicembre si apriranno, invece, con un focus sugli anni Cinquanta e Sessanta e sulla fortuna internazionale del maestro italo-argentino. «Il rapporto con Charles Damiano e il suo ruolo nella promozione internazionale di Fontana tra Inghilterra e Stati Uniti» è il titolo della prima relazione, a cura di Paolo Campiglio (Università degli Studi di Pavia); mentre Silvia Bignami (Università degli Studi di Milano) parlerà della presenza dell’artista a Parigi. Stefano Turina (Università Vita – Salute San Raffaele di Milano) analizzerà, invece, la precoce fortuna in Giappone, nel periodo tra il 1953 e il 1968. Infine, Francesco Pola (Università degli Studi di Torino) racconterà i rapporti con il Gruppo Zero in Germania.

Non mancherà, nella mattinata di venerdì 6 dicembre, una conferenza sul particolare e caratterizzante rapporto di Lucio Fontana con la materia, che vedrà come relatrice la restauratrice Barbara Ferriani.

Una parte del convegno verrà, poi, dedicata ad approfondire il tema delle mostre, selezionando alcuni casi di studio tra le numerosissime che hanno fornito delle letture critiche pionieristiche. Luca Pietro Nicoletti (Università degli Studi di Udine) racconterà l’interpretazione di Enrico Crispolti che si consolida a partire dalla mostra «Omaggio a Fontana» del 1963. Francesco Guzzetti (Università degli Studi di Firenze) si concentrerà sulla personale al Walker Art Center di Minneapolis nel 1966. Chogakate Kazarian (curatrice e storica dell’arte) ripercorrerà, un decennio dopo, la preparazione della mostra «Lucio Fontana, rétrospective», tenutasi nel 2014 al Musée d’Art moderne de la Ville de Paris, illustrandone le questioni accademiche e pratiche e affronterà alcune riflessioni sull'impatto dell’esposizione. Marina Pugliese (Mudec, Milano) si soffermerà sulle ragioni della mostra «Lucio Fontana. Ambienti/Environments», allestita al Pirelli HangarBicocca nel 2017.

Infine, partendo dall’esposizione «Lucio Fontana. Scultpture», curata nel 2022 da Luca Massimo Barbero nella galleria newyorchese di Hauser & Wirth – negli stessi spazi dove l’artista ebbe, nel 1961, la sua prima personale statunitense -, Cristina Beltrami (storica dell’arte) racconterà come questa esperienza abbia offerto l’occasione di ribadire come l’artista italo-argentino sia stato in primis uno scultore.

In chiusura della sessione, e dell’intero convegno, Gianni Caravaggio rifletterà, attraverso la sua esperienza d’artista, sulla definizione dei «Concetti spaziali» di Lucio Fontana, come dispositivi che predispongono in modo evocativo a un peculiare e originario atto immaginativo e mentale.

Didascalie delle immagini
1.Lucio Fontana a Venezia, 1960-1961 ; 2. Lucio Fontana, Concetto spaziale, la luna a Venezia, 1961, acrilico su tela, buchi e vetri, 150 x 150 cm. Collezione Intesa Sanpaolo, Gallerie D’Italia, Milano. © Fondazione Lucio Fontana, Milano; 3. Lucio Fontana, Concetto spaziale, Attese, 1968, idropittura su tela, tagli, 100 x 81 cm. Collezione privata. © Fondazione Lucio Fontana, Milano; 4. Lucio Fontana, Concetto spaziale, 1954, olio e tecnica mista su tela, buchi e vetri, 65 x 80 cm. Collezione privata. © Fondazione Lucio Fontana, Milano; 5. Lucio Fontana, Concetto spaziale, 1962-63, terracotta smaltata, lustrata e squarci, 25,5 x 23,5 cm. Collezione privata. © Fondazione Lucio Fontana, Milano; 6. Lucio Fontana, Concetto spaziale, Venice moon, 1961, olio su tela, tagli e incisioni, 150 x 150 cm. Fondazione Lucio Fontana, Milano. © Fondazione Lucio Fontana, Milano; 7. : Lucio Fontana, Concetto spaziale, Teatrino, 1964-65, idropittura su tela, buchi e legno laccato, 102 x 83 cm. Collezione privata. © Fondazione Lucio Fontana, Milano; 8. Lucio Fontana, Concetto spaziale, Attese, 1959, aniline su tela, tagli e buchi, 97 x 130 cm. Fondazione Lucio Fontana, Milano. © Fondazione Lucio Fontana, Milano

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lunedì 2 dicembre 2024

«The Softest Hard»: Il 2025 di Museion Bolzano è all’insegna dell'«arte come resistenza urbana non violenta»

Si avvia verso il quarantesimo compleanno Museion, il museo d’arte moderna e contemporanea di Bolzano, diretto da Bart van der Heide e presieduto da Marion Piffer Damiani, che nel 2025 festeggerà l’anniversario con un progetto multidisciplinare intitolato «The softest Hard».

Mostre ed eventi collaterali indagheranno, dunque, il «radicalismo gentile» e l’«attivismo culturale», ovvero l’arte come pratica urbana e sociale in grado di promuovere la democrazia, la solidarietà, l’emancipazione e l’uguaglianza. Br> Due saranno le esposizioni in programma. Si inizierà con la collettiva «Graffiti», in agenda dalla prossima primavera (dal 29 marzo al 14 settembre 2025), che porterà per la prima volta all’interno di un museo italiano la street art, raccontando questa forma di espressione creativa attraverso una cinquantina di protagonisti internazionali.
Il percorso espositivo, a cura di Leonie Radine e Ned Vena, combinerà dipinti spray precedenti ai graffiti, degli anni Cinquanta e Sessanta, pezzi di famosi writers e una vasta gamma di opere di artiste e artisti contemporanei internazionali, che hanno incorporato i graffiti nel loro lavoro per varie ragioni e in molteplici forme.
Monica Bonvicini, Futura 2000, Keith Haring, Jenny Holzer e Lady Pink, Lee Quiñones, Carol Rama, Rammellzee, RLawrence Weiner, Dondi White, Martin Wong e LA II, Christopher Wool sono alcuni degli autori in mostra.

Nei due piani di Museion accanto a lavori ormai storicizzati saranno presentate anche opere site specific; l’apertura della mostra sarà anticipata dalla proiezione del film «News from Home» (1976) di Chantal Akerman, organizzata in collaborazione con il Filmclub Bozen Bolzano.

La seconda mostra in cartellone, in programma dall’autunno 2025 (dall’11 ottobre al 28 febbraio 2026) sarà «I Am The Last Woman Object», a cura di Leonie Radine: una retrospettiva sull'audace lavoro di Nicola L. (1932-2018), le cui sculture morbide, tele indossabili, performance pubbliche e opere cinematografiche sono intrise di attivismo femminista e antirazzista. Le sue sculture funzionali, come armadi e divani a forma di corpi o parti del corpo, sono solo gli esempi più noti della sua protesta non violenta nei luoghi di azione collettiva.
Oltre a questi progetti, la mostra rivela ulteriormente la diversità del lavoro di Nicola L., presentando dipinti indossabili – chiamati pénétrablescollage e disegni, happening urbani attivisti, fino ad ambienti e film sperimentali.

Accanto alle mostre internazionali, Museion Bolzano celebrerà e valorizzerà la propria crescente collezione attraverso il programma di Museion Academy, uno spazio virtuale e fisico dove approfondire temi e condividere saperi con un’attenzione precipua ai pensatori e alle pensatrici di domani, che si articolerà in una serie di progetti espositivi a «Museion Passage» e nel «Piccolo Museion – Cubo Garutti», nonchè nella rivista on-line «Museion Bulletin», nel format educativo Lifelong Learning e in partnership accademiche come la prima edizione del Master in Contemporary Museum Practices Foam (da marzo 2025 a febbraio 2026), un programma post-laurea in lingua inglese promosso con la Libera Università di Bolzano – Facoltà di design e arti.

Il programma di Museion Passage per il 2025 è incentrato sul ruolo dell'archivio, sia come qualcosa di già esistente e da valorizzare attraverso connessioni con altre realtà, che come qualcosa di emergente, prodotto di nuove iniziative di ricerca.
Il programma approfondisce le collaborazioni, i rapporti professionali e personali tra collezionisti e artisti, esemplificati dal caso del collezionista, editore e mecanate Francesco Conz (Cittadella, 1935 - Verona, 2010) nell'anno in cui ricorre il novantesimo anniversario dalla sua nascita.
L’esposizione, a cura di Frida Carazzato, presenterà (dall’11 aprile 2025 al 31 gennaio 2026) per la prima volta le edizioni di vari artisti e artiste legati alla poesia concreta e a Fluxus, alcune delle quali donate a Museion dallo stesso collezionista.

È, poi, in programma un progetto di ricerca speciale dedicato all'artista altoatesino Sven Sachsalber (1987-2020), nel quinto anniversario della morte, ponendo le basi per la conservazione e valorizzazione del suo lascito artistico.
A Museion Passage (dal 5 dicembre 2025 al 31 gennaio 2026), un'installazione grafica - curata da Claudia Polizzi, in collaborazione con Bau - traccerà una mappa delle opere dell’autore e della rete di contatti che hanno plasmato la sua pratica artistica.

Parallelamente a questa presentazione, verrà avviato un dibattito istituzionale per esplorare il ruolo dei musei nella conservazione, nello studio e nella valorizzazione degli archivi d'artista.
Il programma 2025 verrà ulteriormente arricchito da nuove acquisizioni e pubblicazioni, tra cui «Lucia Marcucci. Tutto qui?» , il primo studio completo sull’artista nota per il suo approccio visionario al linguaggio nell'arte, realizzato in collaborazione con Ar/Ge Kunst di Bolzano e grazie al sostegno del programma Italian Council (2024) promosso dalla Direzione generale Creatività contemporanea del Ministero della Cultura.

Museion amplia, inoltre, il suo impatto attraverso prestiti significativi, come nella collaborazione con la Biblioteca cantonale di Lugano, che ospiterà una mostra legata all'Archivio di Nuova Scrittura, realizzata in collaborazione con il Mart di Rovereto.

Infine il Museion Art Club Forum sarà uno spazio vibrante per le subculture e un palcoscenico per la musica sperimentale, la poesia, la scrittura creativa e le arti performative, con un’attenzione particolare nei confronti del pubblico più giovane. In particolare, il 13 settembre il museo trentino presenterà una speciale celebrazione in occasione del suo quarantesimo anniversario e dei venticinque anni di Transart Festival. L'evento, con porte aperte 24 ore su 24, sarà un omaggio all'iconica inaugurazione della nuova sede di Museion del 2008, creando un legame simbolico tra passato e presente. Arte e comunità locale si incontreranno nelle sale dello spazio espositivo per raccontare l’importanza dell’attivismo culturale, soprattutto in questi nostri tempi caratterizzati da onnipresenti conflitti internazionali. L’arte diventerà così, ancora una volta, uno strumento di impegno sociale.

Didascalie delle immagini 
1. Robert Lax, Red –  yellow – blue, 1990. Museion Collection. Photo: Augustin Ochsenreiter; 2. Dan Christensen 1942 - 2007, O, 1968. © Estate of Dan Christensen. Courtesy Berry Campbell, New York; 3 Rammellzee, Future Futurism, 1984. Groninger Museum, loan from private collection. Photo: Marten de Leeuw. Courtesy The Estate of Rammellzee; 4. Nicola L., Little TV Woman: ‘I Am the Last Woman Object', 1969. Courtesy XXO Collection © Nicola L. Collection and Archive. Photo: Kyle Knodell; 5. Nicola L., Frida Kahlo, 2006. Courtesy: Nicola L. Collection and Archive and Alison Jacques © Nicola L. Collection and Archive. Photo: Michael Brzezinski; 6. Sven Sachsalber, Hands, 2015-2016. Photo: Lineematiche - L. Guadagnini / T. Sorvillo

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