ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 21 ottobre 2009

«Sovrana eleganza»: la moda di Capucci in scena al Castello di Bracciano

«Uno storico potrebbe descriverli come “soffici corazze” del Medioevo. Un botanico potrebbe vederli come corolle giganti dalle quali si irradiano petali di seta in toni orientali. Un matematico commenterebbe indubbiamente sulle drammatiche forme geometriche impiegate nel disegno». Non ci sono parole migliori di quelle usate da Germano Celant, in un numero di Interview del 1991, per descrivere gli abiti di Roberto Capucci (Roma, 1930), uno dei più grandi maître couturier italiani, le cui creazioni sartoriali trascendono la funzione di mera copertura del corpo per diventare meraviglie degli occhi, curiose costruzioni in tessuto, che sembrano far proprio l'aneddoto di Oscar Wilde: «O si è un'opera d'arte o la si indossa».
Ne dà prova la mostra Sovrana eleganza, curata dallo stesso stilista e allestita, fino alla prossima domenica 13 dicembre, nell’area museale di uno dei manieri più maestosi d’Europa, il quattrocentesco Castello Odescalchi di Bracciano, i cui responsabili si sono occupati per l’occasione anche del restauro di un’opera della collezione: un prezioso dipinto raffigurante Cristina di Svezia in abiti regali, la cui azione conservativa ha restituito al pubblico la ricchezza e la magnificenza delle sete, dei gioielli, delle perle che incorniciano la sovrana.
Tra il secondo piano dell’ala nobile, il loggiato e l’antica sala del guardaroba, in un suggestivo dialogo con lo sfarzo dei velluti e broccati dei grandi ritratti e le armi lucenti in acciaio della raccolta del museo laziale, sessantasei abiti-sculture, che all'esuberanza delle forme coniugano la vivacità cromatica, raccontano la vicenda creativa del maestro romano, che ha fatto proprio il motto di Friedrich Schiller, lo stesso prescelto da Gustav Klimt a commento di un suo celebre dipinto, Nuda veritas: «se quello che fai o crei non piacerà alle folle, cerca di deliziare i pochi. È un errore voler piacere a tutti».
Sin dal 1951, anno della sua prima sfilata a Firenze per iniziativa del marchese Giovanni Battista Giorgini, Roberto Capucci ha, infatti, prodotto abiti sofisticati, magici che nulla hanno a che fare con la serialità e la riproducibilità, con i diktat dell'industria della moda. Le raffinate e pregevoli creazioni del sarto-artista che ha vestito, tra le tante, Silvana Mangano, Esther Williams, Valentina Cortese e il premio Nobel Rita Levi Montalcini sembrano anzi inespugnabili e inabitabili fortezze con le loro spirali vertiginose, i multiformi ventagli, gli ingombranti pannelli multicolori e le macchinazioni sartoriali di enfasi barocca. Eppure i vestiti dell'archivio Capucci, frutto di centinaia e centinaia di ore di lavoro, sono stati indossati almeno una volta; hanno fatto, anche solo per pochi istanti, sognare a una donna di essere la regina di una favola a lieto fine.
Sensazione da fiaba sarà anche quella provata da chi entrerà nei prossimi mesi al Castello di Bracciano, trasformato per l’occasione in una coloratissima e magica «wunderkammer», stanza delle meraviglie, in cui organze satinate, rasi, lamè e sete -«studi di forme e di colore», come afferma lo stesso stilista- discorrono silenziosamente tra loro per raccontare mezzo secolo di couture.
Tra l’altro, sfilano in mostra sette abiti da sposa, uno rosso donato dal museo Fortuny di Venezia, il vestito Fuoco con il volume del plissé verso l’alto, gli abiti-scultura «a scatola» della fine degli anni Cinquanta e quelli ispirati ai capitelli corinzi. Tratto distintivo di questa esposizione è, però, lo studio dei rapporti di Roberto Capucci con le altre arti, in primis la musica e il teatro. Ecco così che in un’ala del castello, nella sezione conclusiva del percorso espositivo della mostra, si ritrovano a sorpresa le note di Armando Trovajoli per la commedia musicale Vacanze Romane, andata in scena nel 2004 al teatro Sistina di Roma e tratta dal celebre film di William Wyler che aveva come indimenticabile protagonista l’icona della moda sofisticata e dello stile, Audrey Hepburn. Mentre nella sala della Loggia fanno mostra di sé venticinque disegni di costumi teatrali, fino ad ora inediti e presentati in catalogo da Luca Ronconi. Bozzetti, questi, pensati non per una specifica produzione, ma nati da un esercizio creativo e tesi a illustrare il desiderio del sarto-artista di misurare il proprio caleidoscopico immaginario con le potenzialità espressive e comunicative dell’abito, che diviene costume quando usa la propria forma e la propria materia per descrivere un carattere e costruire un personaggio.
Il tutto concorre a dimostrare come Roberto Capucci abbia guardato ai grandi maestri del Rinascimento, Beato Angelico e Benozzo Gozzoli, Carpaccio e Tiziano, meditandone il senso del colore, i volumi delle stoffe e le architetture degli abiti. Ne emerge, dunque, il ritratto di uno stilista anticonformista, capace di dar luogo a una meravigliosa sinfonia di colori, a un grande affresco dall'opulenza rinascimentale, a uno stile inconfondibile che «come un verso di Dante o Shakespeare -scriveva Francesco Alberoni, nel 1990- si riconosce in mezzo a tutti gli altri».

Didascalie delle immagini
[fig. 1] 1984, Parigi Ambasciata d’Italia. Abito-scultura in crepe seta rosso, maniche in gazaar multicolori effetto petali. Loggia Corte d’Onore Castello Odescalchi di bracciano. Foto: Claudia Primangeli; [fig. 2] 1992, Berlino Teatro Schauspielhaus. Abito scultura taffetas verde scuro vari colori nel motivo a farfalla. Giardino del granaio Castello Odescalchi di Bracciano. Foto: Claudia Primangeli; [fig. 3] 1984, Parigi Ambasciata d’Italia. Abito-scultura in crepe seta rosso, maniche in gazaar multicolori effetto petali. Loggia Corte d’Onore Castello Odescalchi di Bracciano – Foto: Claudia Primangeli; [fig. 4] 1992, Berlino Teatro Schauspielhaus. Abito scultura taffetas nero e bianco sovrapposizioni multicolori – Saloni del Piano Nobile Castello Odescalchi di Bracciano – Foto: Claudia Primangeli; [fig. 5] Abito scultura con corpino in stile capitello corinzio:Foto: Claudia Primangeli.

Informazioni utili
Sovrana eleganza. Castello Odescalchi, piazza Mazzini, 14 - Bracciano (Roma). Orari: da martedì a domenica, dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 17. Biglietti: intero € 7.00, riduzione per gruppi € 5.00. Catalogo: Allemandi, Torino. Infoline: tel. 06.99802379. Web Site: www.odescalchi.it. Fino al 13 dicembre 2009.

martedì 20 ottobre 2009

Federica Galli, una vita per l’incisione

«Per me questo lavoro è il paradiso terrestre». Così Federica Galli (Soresina - Cremona, 1932 - Milano, 2009) raccontava, nel 1998, alla critica Gina Lagorio la propria passione per la professione di acquafortista, un'attività praticata per oltre mezzo secolo in modo esclusivo, fatta eccezione per qualche sporadico intervento di carattere pittorico, come i pastelli egizi del 1966.
L'artista, cremonese di nascita e milanese d'adozione, iniziò a interessarsi alla tecnica dell'incisione negli anni Cinquanta, subito dopo aver terminato gli studi a Milano, presso il liceo artistico e l'Accademia di Brera. Da allora, la sua opera grafica è stata oggetto di più di duecento mostre personali in importanti spazi espositivi italiani e stranieri; ed ha interessato qualificati critici internazionali e prestigiose firme della narrativa mondiale, tra cui Gian Alberto dell'Acqua, David Landau, Daniel Bergen, Marco Valsecchi, Giovanni Testori, Franco Russoli, Dino Buzzati e Carlo Bo.
Protagonisti del lavoro di Federica Galli sono la natura e il paesaggio, anche quello modificato dall’uomo, come ben documenta la mostra omaggio allestita fino al prossimo giovedì 24 dicembre a Milano, presso gli spazi della Compagnia del disegno. I soggetti privilegiati di queste incisioni sono, infatti, gli scorci più suggestivi della vecchia Milano, le cascine, i corsi d'acqua e i boschi della pianura padana, le bellezze della laguna veneta e dei tanti luoghi visitati, ma soprattutto i millenari e monumentali alberi d'Italia, che l’artista inizia a raffigurare a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta.
L'acquafortista, come notò il critico Luciano Caprile, «ci racconta il mondo vegetale come se parlasse di persone con cui è entrata in confidenza, (…) come se indagasse la storia privata di ciascuno, attraverso un'accurata analisi anatomica». Il suo bulino a punta di grammofono, una sorta di bisturi affilato usato per scalfire i segreti della natura, ritrae vedute evocative e nostalgiche, magiche e dolcemente incantate. Ma alla poesia si unisce sempre la fedeltà analitica al reale, un'esigenza dell'artista che è comprovata dalla sua paziente e preziosa tecnica disegnativa, fatta di «delicate righe, punti e linee filigrane», come scrive Erich Steingräber nel saggio L'arte dell'acquaforte di Federica Galli, posto in apertura del catalogo generale dell’opera dell’artista, pubblicato nel 2003 dalle edizioni Bellinzona, in occasione della sua ultima antologica a Palazzo Leone da Perego di Legnano.
Si ravvisa, dunque, in questi lavori un insieme di valori artistici consolidati che si rifanno alla miglior tradizione incisoria, soprattutto a quella dell’arte nordica, del Gotico internazionale. I referenti più prossimi delle opere dell'«inciditrice» cremonese (termine, questo, coniato appositamente per l'artista da Giovanni Testori nel 1980) sono, infatti, Grunewald, Holbein, Rembrandt, Van Eych e Dürer, ma anche paesaggisti lombardi come Borgognone, Tanzio da Varallo e Ceruti. E un'aria di «lombardità» è quella che si respira in tutta l'arte della Galli, dove, ha scritto Marco Fragonara nel Catalogo generale dell’opera dell’artista, i luoghi diventano «teatro di esperienze», «palcoscenico del quotidiano», in cui l'uomo sempre assente, è in realtà presenza costante, anima del mondo. Vedere questa mostra dell'artista cremonese, nota anche come la «Signora degli alberi» è, dunque, un po' come guardare un diario privato fatto di memorie, di sogni, di speranze e di malinconie che diventa Storia di tutti noi.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Uno dei tanti alberi monumentali incisi da Federica Galli; [fig. 2] Federica Galli, Rio dei Mendicanti, 1984-1986, acquaforte; [fig 3] Federica Galli, Il canneto, 1981, acquaforte su zinco [fig. 4] Federica Galli, Rio San Lorenzo, 1987, acquaforte su zinco.

Informazioni utili
Omaggio a Federica Galli. Compagnia del Disegno Via S. Maria Valle, 5 – Milano. Orari: martedi -Venerdi 10.00-12.30 e 16.00-19.30; sabato su appuntamento. Ingresso libero. Informazioni: tel. 02.86463510, fax 02.8053374, e-maIl: info@compagniadeldisegno.com. Sito Web: www.compagniadeldisegno.com. Fino al 24 dicembre 2009.

Per saperne di più
Il sito di Federica Galli
L’opera di Federica Galli su Critica minore

sabato 17 ottobre 2009

Lazio, a Gaeta l’«ultimo» Hans Hartung

«L'arte astratta mi sembra essere il momento più puro nella vicenda dell'arte moderna. Con essa, dopo un lungo rilassamento sul piano formale, si ha una tendenza purificatrice che era già cominciata con Paul Cézanne ed era proseguita, in Francia, con il cubismo analitico. La macchia ridiventa una macchia, il tratto un tratto, la superficie ridiventa superficie. Più che mai le opere vivono autonome, libere dalla sottomissione alla mimesi». Così Hans Hartung (Lipsia, 1904 - Antibes, 1989), uno tra i più grandi pittori informali del Novecento, dava ragione della propria ricerca creativa, del proprio interesse per un'arte che alla rappresentazione figurativa preferiva l'automatismo del gesto.
I segni netti o zigzaganti e le brillanti chiazze di colore che furono perenni compagnie di vita dell'artista, fatta eccezione per un breve iniziale periodo dalle influenze espressioniste, sono al centro della mostra Hans Hartung. L’oeuvre ultime, allestita fino al 18 ottobre a Gaeta, negli spazi della Caserma Cosenz.
L’esposizione raccoglie, in una scenografia ingegnosa costruita attorno a pilastri, sedici tele di grandi dimensioni realizzate dall’artista poco prima della sua morte (di cui si celebra quest’anno il ventesimo anniversario), ma anche fotografie e documenti.
Il ricordo di come queste ultime opere presero vita è nelle parole del gallerista Antonio Sapone, originario proprio di Gaeta: «Hartung aveva attraversato un lungo periodo di immobilità totale. Rattrappito su se stesso, quest’uomo vigoroso sentiva le sue forze abbandonarlo. Persino le sue braccia gli sembravano pesanti, inutili [...] Erano tutti consapevoli che la sua morte era vicina. Ma ci fu un ultimo sussulto. Un bel giorno, Hartung si è svegliato chiedendo di scendere con la sua sedia a rotelle fino al suo studio. Succedeva nella sua casa di Antibes, diventata in seguito la Fondazione Hartung Bergman. Ero lì. Vidi il suo sguardo meravigliato davanti agli strumenti e ai pennelli. Uno sguardo simile a quello di un bambino che scopre un regalo atteso a lungo». Due giorni più tardi, l'artista ordinava delle grandissime tele, di quattro metri per tre, e, armato di una pompa destinata al trattamento della vite, nebulizzava i suoi colori nello studio e, con il medesimo getto, le idee sulla sua opera.
Era l’ennesimo gesto di libertà creativa di un autore fuori dagli schemi, che conobbe tutti i maggiori movimenti avanguardisti del suo secolo – dagli sperimentalismi del cubismo all'astrattismo lirico di Vasilij Vasil'evich Kandinskij, dall'action painting e al tachisme - senza mai lasciarsi omologare da correnti o farsi imprigionare da definizioni, come egli stesso amava dichiarare: «in quanto a me, voglio rimanere libero di spirito, d'azione. Non lasciarmi rinchiudere, né dagli altri, né da me stesso».
Hans Hartung, vincitore del Premio di pittura alla Biennale di Venezia del 1960 con il collega Jean Faurtier, fu, dunque, ideatore di una propria personalissima e riconoscibile cifra pittorica, pressoché invariata dagli anni Venti agli ultimi giorni, che ha fatto proprie, dell'astrattismo, tutte le modalità formali: macchie e spruzzi di colore in chiave tachista, linee che sono delle vere e proprie graffiature dai cui affiora misteriosamente la fisicità della luce, segni liberi che hanno «l'aspetto zigzagante di una linea che corre attraverso la pagina» ed altri, raffinatissimi, dai colti richiami orientali creano un alfabeto ricco, come ebbe a dire Riccardo Passoni in occasione della mostra alla Gam di Torino del 2000, di «vibrazioni di un arcano lirismo». Nascono così, dunque, vere e proprie poesie coloristiche, con il loro gioco di segni dai raffinati accordi cromatici, apparentemente identici ma nuovi ad ogni sguardo, in cui si palesa un sapiente gusto musicale.
I colori di Hartung - principalmente toni di azzurro, rosa e giallo abbinati all'immancabile nero – sembrano, cioè, cantare sinfonie e provare a raccontare all'animo attento, con il loro dispiegarsi sulla tela in curve improvvise e in graffi acuti simili a ferite, di conflitti interiori. Non era stata, d'altronde, facile la vita dell'artista, a cui toccò in sorte di sperimentare il dolore della persecuzione nazista, quello della guerra e della vita militare, di cui gli rimase come indelebile ricordo l'amputazione di una gamba, e le continue schermaglie d'amore con l'artista scandinava Anna-Eva Bergman, sposata nel 1929, lasciata nel 1938, ritrovata nel 1952 e risposata nel 1957.
L'arte era stata l'ancora di salvezza di Hartung, lo strumento per raccontare i propri moti dell'animo: «scarabocchiare, grattare, agire sulla tela, dipingere infine, mi sembrano – affermava lo stesso artista - delle attività umane così immediate, spontanee e semplici come lo possono essere il canto, la danza o il gioco di un animale che corre, scalpita o si scrolla. Una pianta che cresce, la pulsazione del sangue, tutto quello che è germinazione, crescita, slancio vitale, forza viva, resistenza, dolore o gioia possono trovare la propria incarnazione particolare, il proprio segno, in una linea morbida o flessibile, curva e fiera, rigida o possente, in una macchia di colore stridente, gioioso o sinistro».

Informazioni utili
Hans Hartung. L'Oeuvre ultime
. Caserma Cosenz, via Annunziata – Gaeta. Orari: dal lunedì al venerdì 17.00-22.00; sabato e domenica 10.00-12.30 e 17.00- 22.00. Ingresso: intero € 5.00, ridotto € 3.00 [studenti universitari con attestato di iscrizione, oltre i 65 anni, gruppi solo se prenotati (minimo 15, massimo 25 con capogruppo gratuito), minorenni e scolaresche solo se prenotate (minimo 15, massimo 25 con due accompagnatori a titolo gratuito], gratuito per bambini fino a 12 anni, portatori di handicap, giornalisti con tesserino. Informazioni: 327 8387453 (dalle ore 10.00 alle 13.00 e dalle 16.00 alle 20.00). Sito web: www.hartung-gaeta.org. Fino al 18 ottobre 2009.