ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

giovedì 6 ottobre 2016

«Ho visto un re», nove artisti e l’alcantara in mostra a Milano

Nove artisti internazionali provenienti da diversi mondi creativi dialogano, negli spazi del Palazzo Reale di Milano, con un materiale innovativo e di incredibile versatilità come l’alcantara. L’Appartamento del Principe ospita, fino al prossimo 23 ottobre, la mostra «Ho visto un re», a cura di Davide Quadrio e Massimo Torrigiani.
L’immaginario fiabesco con re, regine, principi e principesse, ranocchi e labirinti anima dieci sale della residenza meneghina, uno dei palazzi più prestigiosi della città, grazie ad opere site specific che danno vita a un intreccio tra arte, teatro, suono e moda, a un’esposizione giocosa e sorprendente che viaggia sui binari dell’immaginazione.
Ad aprire l’esposizione è «Skinned» di Gentucca Bini, un lavoro sul disturbo, sull’errore che crea distorsioni, rivelazioni indesiderate, lasciando che si veda quello che non si dovrebbe. In questo caso, lo strato sottostante alle decorazioni: un fittizio muro di cemento armato. Realizzata mediante fotografie ad altissima risoluzione stampate su alcantara, l’opera dialoga con il primo episodio di «Giochi per un principe» di Maurizio Anzeri: due grandi mani, ricoperte da un lato di alcantara e dall’altro di materiale specchiante, che giocano con lo spazio e con noi, riflettendoci e distorcendoci.
La seconda stanza è dedicata a due lavori di Arthur Arbesser che ci immergono in due favole classiche ri-raccontate. «Il principe ranocchio» è una fontana rivestita di alcantara stampata con un motivo a nuvole, nella cui acqua ognuno si può specchiare, interpretando fugacemente i ruoli della principessa o del principe. Nell’opera «Il re nudo», le sei figure degli scacchi, di proporzioni umane e agghindate con accessori in alcantara disegnati da Arbesser, seguono le mosse nostre e del re, solitario e spoglio.
Protagonista delle due stanze che ospitano le opere di Francesco Simeti è, invece, il teatro. Qui i visitatori entrano in una narrazione tutta scenografica. Il primo dei suoi interventi, intitolato «Xanadu» –come la città edificata da Kublai Khan e raccontata da Marco Polo– è costituito da una serie di quinte, statiche e in movimento, fregiate da stampe di viaggi esotici verso terre lontane, che si incrociano e confondono, come in un teatrino settecentesco. Per la seconda delle sue stanze, Simeti ha, invece, realizzato «Cistula catottrica»: una scatola ottagonale rivestita in alcantara goffrata al cui interno un gioco di specchi deforma e moltiplica i manufatti realizzati dall’artista. Illusioni ottiche nelle quali l’architettura e i fregi dell’appartamento si rifrangono, come nei disegni visionari di Simeti.
Nella stanza successiva si trova l’opera di Matthew Herbert, «Unconcealed», che ricrea uno spazio intimo in cui ci è chiesto un gesto essenziale: sedersi su una sedia. Da questa, rivestita di alcantara rossa e illuminata da un occhio di bue, emergono le voci di chi lavora nello stabilimento e negli uffici di alcantara. Le storie del fantastico s’intrecciano con quelle del reale in una condivisione delle vite passate, presenti e future degli uomini e delle donne che rendono materialmente possibile il seme stesso di questo progetto. Nella sesta stanza torna Gentucca Bini con «Frange reali». Alcantara, stampata iperrealisticamente e successivamente sfrangiata e accartocciata, ricopre le pareti e i pavimenti della sala fittamente decorata riproducendo i motivi decorativi di un’altra delle sale dell’appartamento del principe, in modo che l’articolazione decorativa degli interni diventi visibile solo attraverso un’interazione diretta con noi, gli spettatori dell’opera.
Nella settima stanza il fotografo giapponese Taisuke Koyama esplora la morfologia dell’alcantara attraverso riproduzioni fotografiche macroscopiche, appropriandosi delle forature geometriche applicabili al materiale. Una parete a Z è completamente rivestita di stampe fotografiche su alcantara e su carta Hahnemühle; tutt’intorno, tre grandi elementi verticali creano un’illusione ottica che rende il materiale indistinguibile dalla sua riproduzione. Mentre i grandi specchi che decorano la stanza moltiplicano relazioni e rimandi.
«Giochi per un principe» di Maurizio Anzeri torna a riempire l’appartamento nell’ottava stanza. Grandi volti stilizzati si sovrappongono tra loro, rivestiti in alcantara di diverse tonalità di blu e marrone, come arazzi o stendardi, perimetrando la sala. Un grande paravento centrale, anche questo composto di volti, incombe su di noi, seducente e inquietante insieme, come sanno essere le favole.
Paola Besana, per la nona stanza, con «Notti a palazzo» crea un nido familiare che intreccia la sua storia personale a quella di Palazzo Reale. L’appartamento del principe, percepito dall’artista come luogo raramente abitato e vissuto, si trasforma con il suo intervento in un luogo intimo. Due letti appartenuti alla sua famiglia –in stile Restaurazione, lo stesso dell’ultimo intervento di arredo dell’appartamento– sono circondati da una lunga fascia di alcantara stampata con il distintivo motivo degli arazzi di Besana, con inserti di fettuccia intrecciata, quasi a volerli proteggere. L’opera si appropria con delicatezza dello spazio, restituendogli una dimensione calda e domestica.
A chiudere il percorso espositivo «Ci ha visto un re», l’opera a quattro mani di Adrian Wong & Shane Aspegren, una nuova occasione di perderci – questa volta letteralmente– nelle potenzialità di alcantara. La stanza è, infatti, trasformata in un labirinto articolato che impedisce di raggiungere la guardia reale, della quale spuntano al di sopra dei cespugli e delle mura, ricoperti di foglie e festoni in alcantara tagliata a laser, solo cappello e baionetta. La guardia è solo il primo dei personaggi di un’immaginaria corte che, interpretati da attori, animano inaspettatamente l’ambiente, trasformando tutta la mostra in un atto performativo.

Informazioni utili
«Ho visto un re». Palazzo Reale, piazza Duomo, 12 – Milano.  Orari: lunedì, ore 14.30-19.30; martedì-domenica, ore 9.30-19.30; giovedì e sabato, ore 9.30-22.30. Ingresso gratuito. Informazioni: tel. 02.88445181. Sito internet: www.palazzorealemilano.it. Fino al 23 ottobre 2016.

mercoledì 5 ottobre 2016

Dall’anello di Cupra alle donne di Segantini e Van Gogh: in mostra a Fermo l’iconografia femminile

Racconta l’iconografia femminile dalla preistoria alla contemporaneità la mostra «L’anello di Cupra», a cura di Marcello Smarrelli, allestita fino al 23 ottobre nelle storiche sale del Palazzo dei Priori a Fermo.
Il titolo della rassegna sottende un percorso denso di suggestioni, storie e immagini attraverso reperti archeologici, opere pittoriche, sculture e installazioni di grandi artisti italiani e internazionali come Jacobello del Fiore, Peter Paul Rubens, Francesco Hayez, Vincent Van Gogh, Giovanni Segantini, Gaetano Previati, Adolfo De Carolis, Mario Giacomelli, Osvaldo Licini e Vanessa Beecroft.
I manufatti in mostra provengono in gran parte dalla Galleria d’arte moderna di Milano, ma la mostra attinge anche alle collezioni pubbliche e private di Fermo e del suo territorio, nell’ottica di valorizzazione del ricco patrimonio culturale delle Marche. Ne risulta un’esposizione concentrata e ricca di senso, un viaggio nella storia della rappresentazione della figura femminile, uno dei temi più cari all’arte di tutti i tempi, in cui le preziose opere della collezione permanente del Palazzo dei Priori entrano in un serrato dialogo con i capolavori provenienti dai vari prestiti.
La mostra prende spunto dalla dea Cupra, partendo dall’anellone a nodi, un unicum nel suo genere che spicca per importanza nelle collezioni fermane, ritrovamento archeologico associato alle donne picene. L’opera con i suoi caratteristici nodi, di cui ancora oggi non si comprende totalmente l’uso e il significato, viene assunto a icona della femminilità e nella sua simbolica circolarità diventa il punto di partenza e l’immagine stessa del percorso espositivo. La dea Cupra, per caratteristiche e iconografia, precorre la nascita di Venere, ritenuta l’anello di congiunzione tra tutte le immagini di donne -a partire dalla dea sumera Inanna e dalla babilonese Ishtar- che, a sua volta, lascerà in eredità parte dei suoi attributi iconografici alla figura monoteista e cristiana della Vergine Maria.
Una vasta e consolidata bibliografia traccia il profilo di una dea-matrice, una Grande Madre o una Grande Dea che indenne attraversa il tempo e la storia di molti popoli, fino ad approdare alla concezione stessa di matriarcato di età moderna.
Le teorie filologiche ed archeologiche più attuali confutano questo modello, riferendo dell’esistenza non di una, ma di numerose figure divine femminili all’interno dei pantheon antichi, ciascuna Grande e distinta dalle altre.
La mostra presenta ritratti e modelli di femminilità molto diversi: la dea progenitrice, la vergine, la santa, la prostituta, la profetessa, la regina, la femme fatale, l’eroina e la madre. Il visitatore si trova così a confronto con una visione trasversale della figura femminile che abbraccia tutte le epoche. Accanto alla visione storico-iconografica della donna, raccontata attraverso opere come «La Maddalena penitente» di Francesco Hayez o «Le due madri» di Giovanni Segantini, la rassegna fermese concentra la propria attenzione sull’idea della terra (Gea), rappresentata idealmente dal grande Mappamondo conservato nella Biblioteca di Fermo, realizzato dal cartografo Amanzio Moroncelli nel 1713.
Anche l’allestimento rispecchia la visione circolare dell’anello: il cerchio diventa punto di vista formale e visivo di unione tra opere molte conosciute ed altre da scoprire. Un segno di infinito che racconta, sotto una nuova luce, storie intense ed emozioni grazie a un insolito e rivelatore punto di vista. Il tutto è immerso all’interno dell’opera sonora «Veni Echo» dell’artista Matteo Nasini, realizzata appositamente per questa mostra.
Tra i pezzi più significativi in esposizione meritano una segnalazione anche il pastello su cartone telato «La quiete» di Gaetano Previati, l’olio su tela «Adorazione dei pastori» di Rubens e l'acquerello «Les bretonnes et le pardon de Pont Aven» di Van Gogh e l’opera «Amalassunta su fondo blu» di Osvaldo Licini.
La mostra è arricchita da una pubblicazione con testi del curatore Marcello Smarrelli, della giornalista Alessandra Mammì, del docente universitario Lorenzo Braccesi, della curatrice e archeologa Raffaella Frascarelli. Un ricco apparato con descrizioni e immagini delle opere offre al visitatore gli strumenti per una lettura chiara e approfondita del progetto espositivo che riflette sulla figura femminile in maniera non scontata e senza lasciarsi intrappolare da tanti stereotipi comunicativi sull'essere donna che attualmente riempiono televisioni e giornali.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Gaetano Previati, «La quiete», pastello su cartone telato, 1901. Galleria d’arte moderna, Milano; [fig. 2] Vincent Van Gogh, «Les bretonnes et le pardon de Pont Aven», acquarello su carta applicata su cartone, 1888. Galleria d’arte moderna, Milano; [fig. 3] Matteo Nasini, Veni Echo, 2016, audio, 42 min. 

Informazioni utili 
 «L’anello di Cupra». Palazzo dei Priori – Fermo. Orari: settembre, martedì-domenica, ore 10.30-13.00 e ore 14.30-19.00, feste e ponti ore 10.30-19.30 | ottobre, martedì-venerdì, ore 10.30-13.00 e ore 15.30-18.00, sabato e domenica ore 10.30-13.00 e ore 15.30-18.30. Ingresso: intero € 6,50, ridotto (da 14 a 25 anni, gruppi composti da più di 15 persone, Soci Fai, Touring club italiano, Italia nostra) € 5,00, omaggio fino a 13 anni, disabili, soci ICOM, residenti (un giorno al mese), giornalisti con tesserino | il biglietto comprende la visita anche alle Cisterne romane, Musei di Palazzo dei Priori, Teatro dell’Aquila, Musei scientifici di Villa Vitali. Informazioni: Sistema Museo, 199151123 (dal lunedì al venerdì, dalle 9.00 alle 15.00), callcenter@sistemamuseo.it | Musei di Fermo, tel. 0734.217140, fermo@sistemamuseo.it. Sito internet: www.sistemamuseo.it. Fino al 23 ottobre 2016.

martedì 4 ottobre 2016

«Nel segno dei Savoia», Cherasco ripercorre il suo legame con la dinastia sabauda

Settanta opere esposte per un viaggio in quattrocento anni di storia: si potrebbe riassumere così la mostra «Nel segno dei Savoia. Cherasco fortezza diplomatica», curata da Daniela Biancolini, già direttore del Palazzo Reale di Torino, con Flavio Russo, storico e studioso di Cherasco e del suo territorio.
L’esposizione, allestita fino al 16 ottobre a Palazzo Salmatoris, si articola in dodici sale ed è distribuita su oltre 340 metri quadrati che ricostruiscono, seguendo un ordine cronologico dinastico, la storia di tutti i sovrani sabaudi a partire da Emanuele Filiberto, che nel 1563 trasferì la capitale del Ducato da Chambery «al di qua delle Alpi», per terminare con alcuni degli eventi che accompagnarono il trasferimento della Capitale, ormai divenuta italiana, prima a Firenze e poi a Roma.
Ciascuna sala accosta ai ritratti dei sovrani e delle rispettive consorti, in tutto una trentina di opere, documenti e opere che ricostruiscono la storia sociale, economica e politica della città e del suo territorio, raccontando anche eventi come la realizzazione del Canale Sarmassa o la costruzione delle mura cittadine.
Cuore della mostra è il momento della firma del Trattato di pace di Cherasco del 1631 con l’esposizione dell’originale custodito nell’Archivio di Stato di Torino. Grande rilevanza è riservata, inoltre, al passaggio della Santa Sindone nel Gabinetto del Silenzio, in occasione del grande assedio di Torino del 1706, documentato attraverso i rotoli originali sui quali era avvolto il Santo Sudario, prestati dal Museo della Sindone di Torino.
Il percorso prosegue con le sale dedicate a Vittorio Amedeo III, alla firma del Trattato del 1796 con Napoleone Bonaparte e all’inizio dell’esilio della famiglia regnante. Seguono una sala dedicata alla Restaurazione e una, al primo piano, a Carlo Alberto e all’apporto delle famiglie nobili alla causa risorgimentale. La mostra, come già scritto, si conclude al piano terreno con la sala dedicata al Regno d’Italia con documenti sul controllo del Canale Sarmassa, nonché fotografie e lettere che testimoniano la presenza dei sovrani sul territorio.
Tra i prestatori importanti di questa mostra, il cui allestimento è curato da Giovanni Fornaca, ci sono il Castello di Racconigi, il Museo diocesano di Alba, il Museo Adriani, l’Archivio storico della Città di Cherasco, il Consorzio Irriguo Canale Sarmassa, oltre ad alcuni collezionisti privati.
L’intero percorso espositivo, di cui rimarrà documentazione in un catalogo curato da Laura Facchin, concorre a spiegare come diversi elementi, come la posizione geografica, il tessuto viario, le chiese e i sontuosi palazzi nobiliari, le confraternite, le canalizzazioni e le grandi mura di difesa abbiano permesso a Cherasco di essere protagonista e testimone di grandi momenti della Storia, accompagnando le vicende di oltre mezzo millennio di una delle più longeve dinastie d’Europa. All’interno delle sue mura e nello spazio raffinato dei suoi palazzi, Cherasco ha ospitato molti personaggi importanti fra cui sovrani, diplomatici e avventurieri avvolti nel mistero.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Ritratto di Carlo Emanuele II,1665-1675; [fig. 2] Ritratto di Cristina di Francia, metà Seicento 

Informazioni utili 
«Nel segno dei Savoia. Cherasco fortezza diplomatica». Palazzo Salmatoris, via Vittorio Emanuele, 29 - 12062 Cherasco (Cuneo). Orari: martedì-domenica, ore 10.00-12.00 e ore 14.00-19.00. Ingresso gratuito. Informazioni e prenotazioni attività: tel. 011.5211788 o prenotazioni@arteintorino.com. Sito web: www.nelsegnodeisavoia.com. Fino al 16 ottobre 2016.