ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

domenica 3 giugno 2018

A Venezia «la Biennale di Peggy» settant'anni dopo

«La mia mostra ebbe una risonanza enorme e il mio padiglione divenne uno dei più popolari della Biennale. Tutto ciò mi emozionava terribilmente, ma quel che mi piacque di più fu veder comparire nei prati dei giardini pubblici il nome Guggenheim accanto a quelli della Gran Bretagna, della Francia, dell’Olanda, dell’Austria, della Svizzera, della Polonia […] Mi sembrava di essere un nuovo paese europeo». Così Peggy Guggenheim, nel libro «Una vita per l’arte», ricordava la sua partecipazione alla XXIV Biennale di Venezia, negli spazi del Padiglione greco. Da allora – era il 1948- sono passati settant’anni e per ricordare quell’evento, dirompente per la storia dell’arte del XX secolo, la collezione Guggenheim promuove una mostra-omaggio a cura di Gražina Subelytė.
La partecipazione della collezionista americana alla Biennale del 1948, la prima dopo la conclusione del secondo conflitto mondiale, fu un evento miliare non solo perché fu la prima esposizione pubblica di una collezione privata di arte moderna in Italia dopo due decenni di regime dittatoriale, ma anche perché fu la prima presentazione della collezione in Europa, dopo la chiusura della galleria newyorkese Art of This Century (1942-’47) e il trasferimento di Peggy a Venezia. Dopo un periodo di interruzione cominciato nel 1942 a causa della guerra, è proprio nel ‘48 che la Biennale, fondata nel 1895, comincia a ricoprire un ruolo internazionale sulla scena dell’arte moderna e contemporanea: dal 6 giugno al 30 settembre viene presentata un’esposizione di capolavori dell’Impressionismo, proposta dallo storico Roberto Longhi, una retrospettiva delle opere di Pablo Picasso, dal 1907 al 1942, e una mostra nel padiglione principale dedicata ad artisti come Otto Dix, Karl Hofer e Max Pechstein che desidera restituire nuova dignità all’arte bollata come «degenerata» negli anni del nazismo.
L’esposizione della collezione di Peggy Guggenheim, invitata a partecipare dall’allora segretario generale della Biennale Rodolfo Pallucchini su consiglio dell’artista Giuseppe Santomaso, è un avvenimento senza precedenti per la manifestazione. Non si era mai vista fino ad allora nel Vecchio continente una raccolta così rappresentativa di «opere dell’arte non-oggettiva», con il merito di offrire esempi di tutte le scuole artistiche, dal Cubismo, al Futurismo, e continuate poi con il Dadaismo, il Surrealismo e l’Espressionismo astratto.
Di fatto, pur annoverando gli italiani Giacomo Balla, Gino Severini, Giorgio de Chirico e Massimo Campigli, la collezione comprendeva soprattutto i nomi più rappresentativi dell’arte astratta e surrealista, quali Jean Arp, Costantin Brancusi, Alexander Calder, Max Ernst, Alberto Giacometti, Kazimir Malevich, Antoine Pevsner, senza dimenticare i molti artisti americani, da William Baziotes a Jackson Pollock, da Mark Rothko a Clyfford Still, mai esposti al di fuori degli Stati Uniti e qui presenti per la prima volta.
Esponendo l’arte contemporanea dell’epoca, la collezione di Peggy Guggenheim si allineava perfettamente con le aspirazioni della Biennale di offrire una visione il più ampia possibile sullo scenario artistico post-bellico.
Negli spazi del padiglione concesso dalla Grecia, allora devastata dalla guerra civile, Peggy espose centotrentasei opere, una ventina delle quali saranno in seguito donate a vari musei nel mondo, tra cui il Museo d’arte di Tel Aviv, la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma, il Museum of Modern Art di San Francisco, il Museum of Art, Rhode Island School of Design, il Museum of Art dell’Università dell’Iowa e l’ Art Museum di Seattle.
La mostra «1948: la Biennale di Peggy Guggenheim» mira a ricreare l’ambiente del padiglione attraverso documenti, fotografie, lettere e una maquette che per la prima volta ne ricostruisce gli spazi e l’allestimento originario del ’48, seguito dall’eminente architetto veneziano Carlo Scarpa, che collabora con la Biennale dal 1948 al 1972. Non mancheranno alcune delle opere allora in mostra, oggi parte della Collezione Peggy Guggenheim, insieme ad altre in seguito donate, quali «Composizione n. 113» (1939) di Friedrich Vordemberge-Gildewart e «Composizione» (1936) di Jean Hélion, oggi nella collezione del Museo d’arte di Tel Aviv, e che dagli anni Cinquanta non sono mai più state esposte a Venezia. La mostra offrirà, dunque, l’opportunità di riesaminare questo evento quale spartiacque nella carriera di Peggy e nella storia stessa della Biennale di Venezia. La collezione offrì, infatti, agli europei l’occasione di mettersi al passo con gli esiti migliori delle avanguardie più recenti, e conoscere gli artisti newyorkesi che avrebbero dominato la scena artistica degli anni ’50.

La mostra della collezionista creò non poco scompiglio e spaesamento nel pubblico e nella critica, ma fu anche visitata da personalità illustri come il presidente Luigi Einaudi, l’ambasciatore americano in Italia James Dunn e l’anziano storico dell’arte Bernard Berenson, sui cui testi la collezionista americana studiò e si documentò durante il suo primo viaggio in Europa, agli inizi degli anni ’20. Una fotografia di Lee Miller catturò, poi, una Peggy felicissima durante la visita del critico Lionello Venturi.
Della mostra rimane anche un prezioso catalogo fatto editare dalla stessa collezionista, con un disegno di Max Ernst in copertina, un testo del critico ed editore Bruno Alfieri e testimonianze di Herbert Read, Jean Arp e Max Ernst.
Sempre in concomitanza con il settantesimo anniversario dell’esposizione della collezione di Peggy Guggenheim alla Biennale di Venezia, nelle sale di Palazzo Venier dei Leoni saranno straordinariamente esposte, per la prima volta negli ultimi vent’anni, tutte e undici le opere di Jackson Pollock, oggi appartenenti alla collezione. Cinque di queste erano in mostra nel Padiglione del ’48 insieme agli altri capolavori delle avanguardie storiche.

Informazioni utili
1948: la Biennale di Peggy Guggenheim. Project Rooms, Collezione Peggy Guggenheim | Palazzo Venier dei Leoni  Dorsoduro 701 - Venezia. Orari: tutti i giorni, ore 10.00-18.00; chiuso il martedì; la biglietteria chiude alle ore 17.30. Ingresso: intero € 15,00, ridotto € 9,00. Informazioni: tel. 041.2405415. Sito internet: guggenheim-venice.it. Fino al 25 novembre 2018.

venerdì 1 giugno 2018

Qui, ora (con il giusto tempo)», debutto in galleria per Vinil

I disegni come espressione d’arte libera, i tatuaggi come forma d’artigianato, l’inchiostro come ingrediente chiave per fermare (e firmare) l’hic et nunc, il qui e l’ora, per sempre. Si potrebbe riassumere così il lavoro di Ylenia Manzoni, in arte Vinil, apprezzata artista e tatuatrice bergamasca, i cui disegni saranno protagonisti della mostra «Qui, ora (con il giusto tempo)», con cui la 255 Raw Gallery, il polo artistico della vivace via Torquato Tasso di Bergamo, festeggia il suo secondo compleanno.
Le opere esposte, realizzate con pantone su carta, sono caratterizzate da linee nette e definite, figure leggere, fanciullesche e affascinanti, ed esprimono il suo io più profondo, l’anima da artista che da sempre la accompagna. I disegni sono in mostra, fino al prossimo 27 luglio, in quella che gli organizzatori definiscono «una concept gallery dallo stile domestico, ma ad alto tasso di natura, con piante e fiori, in continuità con il carattere unico di Vinil, con le sue numerose esperienze e con la sua passione per la natura, ambiente di grande ispirazione». A conferma di questo, un corner dell’esposizione è dedicato alla ricostruzione di un salotto green, dove trovano spazio i vasetti per piantine caratterizzati dal tratto unico di Ylenia.
La mostra ha, poi, un’ideale prosecuzione da Wooden Bergamo, in via San Bernardino, dove ha trovato casa la collezione esclusiva di t-shirt disegnate dall’artista.
Classe 1988, Vinil è nata a Merate, dopo il diploma al liceo artistico ha studiato per un anno all’Accademia delle Belle Arti di Brera per arrivare a dedicarsi al disegno che, da semplice passione, è diventata una vera e propria vocazione. Quasi un’ossessione. Così, dopo aver fatto gavetta come assistente in uno studio di tatuaggi e, soprattutto, dopo aver conosciuto alla Convention di Milano Amanda Toy, tatuatrice famosa in Italia e all’estero, ha acquistato le sue prime macchinette. Da quel momento, Vinil non si è più fermata. Oggi lavora per Area Industriale Tattoo Brescia e ha all’attivo guest spot con fuoriclasse del settore come Peter Aurisch e Angelique Houtkamp.
«Qui, ora (con il giusto tempo)» è la sua prima mostra personale e vede in esposizione, oltre ai disegni originali, pantone su carta, serigrafie, una parete dedicata ai suoi post social più apprezzati: Vinil è molto seguita anche online dai suoi oltre 34 mila followers su Instagram.
«I miei disegni -racconta Vinil- parlano per me, esprimono chi sono e ciò in cui credo. Lo stile potrebbe essere definito fiabesco per via delle lunghe ciglia e delle gote rossissime che dono solitamente ai personaggi che ritraggo, ma prendo ispirazione da ogni aspetto della vita reale. Sono le relazioni e i trascorsi a renderci ciò siamo. E se nel disegno mi ritengo completamente libera, nel tatuare, invece, pongo grande ascolto ai miei clienti. Contamino le mie idee con le loro. Nessun disegno è uguale a un altro, ogni tatuaggio mostra l’anima di chi lo accoglie». L’artista racconta, poi, anche la scelta del titolo per la mostra: «Ho scelto di intitolare l’esposizione «Qui, ora (con il giusto tempo)» perché vorrei invitare i visitatori a prendersi del tempo per assaporare le immagini. Per non guardarle e basta, magari velocemente e distrattamente come siamo abituati a fare ogni giorno, ma per sentirle davvero, ascoltarle, capirle».

Informazioni utili
 «Qui, ora (con il giusto tempo)». 255 Raw Gallery presso Palazzo Zanchi, via Torquato Tasso, 49 / C - Bergamo. Orari: dal lunedì al venerdì, dalle ore 10.00 alle ore 19.00. Ingresso libero. Informazioni: www.255.gallery. Fino al 27 luglio 2018. 


mercoledì 30 maggio 2018

A Torino una ritrovata Madonna della Fabbrica di San Pietro

È stato da poco oggetto di un importante intervento di restauro e prima di tornare nella sua sede naturale, il Vaticano, è al centro di una mostra promossa dalla Fondazione Torino Musei. Stiamo parlando della «Madonna di Scossacavalli», esposto fino al prossimo 16 luglio a Palazzo Madama, nella Camera delle Guardie.
Il dipinto è un olio su tavola e fu commissionato nel gennaio del 1519 a un «Dipintore», del quale purtroppo non è tramandato il nome e per il quale non c’è al momento un’attribuzione sicura. Conosciamo, invece, il committente, la moglie di tal Pietro Pedreto, che fece realizzare il dipinto per la chiesa di San Giacomo Scossacavalli in Roma. L’edificio sorgeva nei pressi della basilica vaticana, ma fu demolito nel 1937, insieme a tutte le case circostanti della cosiddetta Spina di Borgo, per realizzare la monumentale Via della Conciliazione che dal Tevere conduce a Piazza San Pietro.
In seguito alla demolizione della chiesa di San Giacomo, il dipinto fu trasferito nei depositi della Fabbrica di San Pietro e abbiamo notizia di primi tentativi di restauro nel XVII e poi nel XVIII secolo. Solo nel 2016 venne avviato il non facile restauro, affidando l’incarico a due valenti professionisti romani: Lorenza D’Alessandro per la parte pittorica e Giorgio Capriotti per il supporto ligneo. L’intervento è stato lungo e impegnativo, perché il dipinto era fortemente danneggiato, soprattutto sul busto della Vergine e nella metà inferiore, con cadute irreversibili di colore dovute molto probabilmente all’immersione nell’acqua del Tevere che era straripato allagando tutta la chiesa all’antivigilia di Natale del 1598. Le cronache raccontano che l’acqua si arrestò improvvisamente sotto le labbra della Vergine, lasciando il segno della piena. Quella storica traccia si può ancora riconoscere in una scura linea orizzontale che attraversa il dipinto, e il danno è ancora più evidente nella parte inferiore, dove la pittura è andata totalmente perduta.
Nell’allestimento ideato per Palazzo Madama dall’architetto Roberto Pulitani, del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, oltre al dipinto vengono presentate riproduzioni di fotografie e documenti che descrivono non solo il complesso intervento di restauro in tutte le sue fasi, ma anche la storia della chiesa andata distrutta e del contesto urbanistico ove essa sorgeva. La chiesa di San Giacomo era, infatti, sede dell’Arciconfraternita del Santissimo Corpo di Cristo, che ebbe come confratelli più di venti cardinali - tra i quali i futuri papi Innocenzo IX e Paolo V - e numerose alte cariche della curia romana, con personaggi illustri come Domenico Fontana e Pierluigi da Palestrina.
Il restaurato dipinto della Madonna col bambino era allocato sopra l’altare della prima cappella a destra entrando. Qui certamente lo vide Raffaello, che abitava in un palazzetto di fronte a questa chiesa, e anche il pittore Perin del Vaga, che dimorò anch’egli in Borgo Nuovo in una casa vicino all’abitazione del maestro urbinate, del quale fu allievo e collaboratore. Nel 1521 un anonimo artista di Parma realizzò per la Madonna di Scossacavalli un tabernacolo, che serviva anche da «macchina processionale» quando la venerata immagine mariana veniva solennemente portata in processione, come nell’anno 1522 per scongiurare la peste che aveva colpito la popolazione di Roma. Nella cappella ad essa dedicata, detta anche Cappella della Beata Vergine delle donne, il dipinto fu oggetto d’intensa devozione, testimoniata sulla tavola dalla presenza di numerosi fori e abrasioni dovuti alla pratica devozionale di fissare con chiodi corone, collane, gioielli ed ex voto.

Informazioni utili
Una ritrovata Madonna della Fabbrica di San Pietro. Dalla chiesa di San Giacomo Scossacavalli alla basilica vaticana. Palazzo Madama - Museo civico d’arte antica, piazza Castello - Torino. Orari: lunedì-domenica, ore 10.00-18.00, chiuso il martedì; la biglietteria chiude un'ora prima. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00. Informazioni: tel. 011.4433501. Sito web: www.palazzomadamatorino.it. Fino al 16 luglio 2018.