ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 21 maggio 2019

Da Merano a Fontanellato, otto labirinti da vedere

Il più leggendario è senz’altro quello di Cnosso, che secondo la mitologia greca fu fatto costruire dal re Minosse, sull'isola di Creta, per rinchiudervi il mostruoso Minotauro, nato dall'unione di sua moglie Pasifae con un toro.
L’ultimo nato in termini di tempo è quello ricreato da Milovan Farronato per il Padiglione Italia dell’attuale edizione della Biennale internazionale d’arte di Venezia, all’interno del quale si trovano le opere di Enrico David (Ancona, 1966), Liliana Moro (Milano, 1961) e della compianta Chiara Fumai (Roma, 1978 – Bari, 2017), scomparsa lo scorso anno.
Il labirinto è da sempre un luogo affascinante, carico di mistero e di simbologia, un viaggio del quale si conosce la meta, ma non la strada per raggiungerla.
Virail, la piattaforma che compara i diversi mezzi di trasporto per trovare la soluzione migliore per ogni esigenza, ha da poco proposto ai suoi utenti un percorso su e giù per l'Italia, nel quale perdersi e ritrovarsi, in mezzo alla natura, tra i dedali più belli del nostro Paese.
Il viaggio può partire da Kränzelhof, una delle cantine che puntellano l’area di Merano e che producono vini nella zona di Cermes, tra le montagne dell’Alto Adige.
La tenuta ha una storia antichissima, pare risalga addirittura al 1182, e oggi è famosa non solo per le bottiglie che vengono prodotte, ma anche per i suoi sette giardini. Uno di questi ospita un labirinto vinicolo, un’opera più unica che rara in Italia, realizzata con oltre dieci specie diverse di vitigni. Il percorso di 1500 metri fu voluto dal proprietario, il conte Franz Graf Pfeil, e, ogni anno, seguendo un tema specifico, viene decorato con opere d’arte diverse per arricchire la visita dei curiosi che vogliono perdersi e giocare tra le viti.
Rimanendo nel Nord-est merita una segnalazione il labirinto situato sull’isola di San Giorgio, a Venezia, raggiungibile in pochi minuti di vaporetto da piazza San Marco. Tra le mete più gettonate dagli amanti dell’arte, che in questi mesi potranno ammirare una bella retrospettiva di Alberto Burri alla Fondazione Cini e una raffinata personale di Sean Scully in Basilica, l'isola permette di avventurarsi, all'interno dell’antico convento, nel Labirinto Borges, costruito nel 2011 in omaggio allo scrittore argentino Jorge Luis Borges e alla sua opera «Il giardino dei sentieri che si biforcano».
Il percorso è creato con oltre tremila piante di bosco e si snoda per circa mille e centocinquanta metri, ma la vera sorpresa la si può scoprire solo guardando il dedalo dal campanile della chiesa di San Giorgio Maggiore: i sentieri, tra spirali e linee rette, danno vita ad innumerevoli parole e simboli da individuare, tra cui anche la parola Borges.
Rimanendo in provincia di Venezia un altro labirinto da visitare è quello di Stra, a Villa Pisani, una delle più famose residenze della Riviera del Brenta, punto di riferimento architettonico e artistico importante, ma anche meta perfetta anche per gli amanti dei giardini. Il suo dedalo in siepi di bosso, realizzato nel diciottesimo secolo come luogo di divertimento e corteggiamento, è un piccolo capolavoro: nella torretta centrale, ai tempi, una dama mascherata era solita aspettare il cavaliere alle prese con il complesso percorso, pronta per rivelarsi una volta raggiunta.
In Veneto ci sono altri tre labirinti da non perdere: due in provincia di Padova, uno nel Veronese. Quest'ultimo si trova a Valeggio sul Mincio, nel parco di Sigurtà, che dal 1978 ospita al suo interno specchi d’acqua, decine e decine di specie diverse di piante, un elegante castelletto, aree didattiche e un grande labirinto, composto da oltre mille e cinquecento piante di tasso che superano i due metri.
Ci sono voluti ben due anni per progettare questo dedalo e il doppio di tempo perché le piante raggiungessero l’altezza ottimale. La torretta al centro, meta finale di chiunque provi a risolvere il suo enigma, è ispirata a quella francese del parco Bois de Boulogne di Parigi: un dettaglio molto elegante che si sposa perfettamente con l’atmosfera del parco.
Nel Padovano merita, invece, una visita Villa Barbarigo a Valsanzibio, nel cui giardino, ricco di alberi secolari da tutto il mondo, di fontane e di statue ospita c'è un grande labirinto in bosso: un dedalo quadrato che oggi è tra i più grandi realizzati nel XVII secolo e giunti fino a noi.
La maggior parte delle piante fu posizionata tra il 1664 e il 1669 e ha, quindi, oltre quattrocento anni: un dettaglio che rende l’esperienza ancora più autentica.
Il percorso, voluto dal cardinale San Gregorio Barbarigo, raggiunge in totale i 1500 metri e fu realizzato con un forte significato simbolico: il complesso cammino verso la perfezione e la salvezza.
I sei vicoli ciechi e il circolo vizioso rappresentano i vizi capitali e costringono i visitatori a tornare sui propri passi, una metafora che invita a riflettere sui propri errori per raggiungere la salvezza, ossia il centro del labirinto e il suo punto più alto.
Il giardino venne realizzato dalla famiglia Barbarigo come voto a Dio per sconfiggere la peste del 1631, l’epidemia che segnò anni molto difficili e dolorosi per Venezia.
Il labirinto, in particolare, intendeva trasmettere un messaggio positivo: la vita può essere complicata, ma tutto si risolve poiché c’è sempre una via d’uscita.
Dal 1929 il giardino è di proprietà della famiglia Pizzoni Ardemani, oggi giunti alla terza generazione, che come i proprietari precedenti si impegno ad essere custodi attenti e scrupolosi di questo luogo unico al mondo per varietà botanica e per la sua simbologia.
Sempre nel Padovano ci sono i labirinti del Castello di San Pelagio, nome con cui è conosciuta Villa Zaborra, al cui interno è conservato il Museo del volo, uno spazio espositivo dedicato alla storia dell’uomo e dell’aria, dai primi studi ai mezzi spaziali, passando per mongolfiere e personaggi che hanno compiuto imprese straordinarie.
La villa accoglie tre ben dedali, ognuno con un proprio tema: il Labirinto del Minotauro, di ispirazione mitologica, il Labirinto africano, arricchito con animali e maschere rituali, e il Labirinto del «Forse che sì forse che no», ispirato a un’opera di Gabriele D’Annunzio.
Nel Nord-ovest è, invece, immancabile una visita al dedalo del Castello di Masino a Caravino, una delle tante residenze aristocratiche del Piemonte. Un tempo dimora dei conti Valperga, l'affascinante edificio è oggi proprietà del Fai - Fondo ambiente italiano. Il suo dedalo si trova all’interno del parco e rappresenta il secondo labirinto botanico più grande della nostra penisola. È un percorso ricco di svolte e vicoli ciechi ricostruito secondo l’antico progetto settecentesco, quando il castello si trasformò da massiccia fortezza a elegante dimora nobile.
Chiede il percorso tra i labirinti italiani Fontanellato, in provincia di Parma, con il Labirinto della Masone, aperto ai visitatori nel 2015. Interamente realizzato con oltre duecentomila piante di bambù, l'intero percorso supera i tre chilometri e permette al pubblico di camminare affiancato da canne alte anche quindici metri. Quello voluto da Franco Maria Ricci non è, però, solo un dedalo nel quale vagare, ma anche un luogo dedicato all’arte e alla musica, agli eventi e agli incontri: un vero e proprio punto di riferimento culturale nel territorio.
Sono tante, dunque, le occasione che l’Italia offre per una giornata in mezzo alla natura, giocando a perdersi e a ritrovarsi cullati dalle suggestioni di un elemento come il labirinto di cui è in debito molta arte e letteratura.

Informazioni utili
[Fig. 1] Labirinto del Masone a Fontanellato, Parma; [fig. 2] Labirinto di Villa Pisani a Stra, in provincia di Venezia; [fig. 3] Labirinto di Villa Barbarigo a Valsanzibio, nel Padovano;  [fig. 4] Labirinto Borges all'Isola di San Giorgio Maggiore, a Venezia. Ph Agenzia Vision. Courtesy Fondazione Giorgio Cini; [figg. 5 e 6] Labirinto Sigurtà a Valeggio sul Mincio; [fig. 7] Labirinto della Kränzelhof in Alto Adige

sabato 18 maggio 2019

Riaperto a Zurigo il Pavillon Le Corbusier

Zurigo ha da poco ritrovato uno dei suoi tesori artistici. La scorsa settimana ha riaperto al pubblico, dopo un importante lavoro di restyling del costo di circa cinque milioni di franchi, durato diciotto mesi e curato da Silvio Schmed e Arthur Rüegg, il Pavillon Le Corbusier, commissionato all’architetto, designer, urbanista e artista svizzero-francese negli anni Sessanta dalla collezionista Heidi Weber.
Situato sulla riva orientale del lago, nel quartiere di Seefeld, in una incantevole posizione a pochi passi dal centro storico della città svizzera, l’edificio, completato nel 1967, rappresenta l’ultima costruzione di Le Corbusier, pseudonimo di Charles-Édouard Jeanneret-Gris (La Chaux-de-Fonds, 6 ottobre 1887 – Roccabruna, 27 agosto 1965), figura tra le più influenti della storia dell'architettura contemporanea, ricordato con Ludwig Mies van der Rohe, Frank Lloyd Wright e Alvar Aalto come maestro del Movimento moderno.
Il Pavillon, che si sviluppa su due piani, è interamente costruito in vetro, acciaio, pannelli di vernice colorata e cemento armato, un elemento, quest’ultimo, che l’architetto svizzero-francese ha utilizzato più volte come un vero e proprio strumento di espressione come documentano, per esempio, la Cappella di Notre-Dame du Haut a Ronchamp e Villa Savoye a Poissy, due dei suoi tanti edifici entrati a far parte del patrimonio Unesco.
Il padiglione espositivo -usato da Heidi Weber come spazio per i lavori artistici della propria collezione, dai dipinti a olio ai disegni, dai mobili alle sculture- segue, inoltre, appieno il sistema Modulor, una misura di grandezze sviluppata dall’artista sul rapporto di determinazione della sezione aurea, riguardo alle proporzioni del corpo umano, del quale egli stesso diceva: «è una scala di proporzioni che rende difficile l'errore, facile il suo contrario».
Il Pavillon ebbe una lunga esegesi come dimostrano numerosi schizzi e progetti realizzati a partire da metà degli anni Cinquanta. La realizzazione e poi il completamento dell'opera si devono molto alla pazienza e perseveranza di Heidi Weber. Fu, infatti, la collezionista e mecenate svizzera a ottenere dalla città di Zurigo il diritto di uso per cinquant'anni del suolo, il prato Blatterwiese, e fu sempre lei si adoperò per superare le molte difficoltà, prima fra tutte la morte dello stesso Le Corbusier. I lavori di realizzazione, iniziati nel 1964, furono, infatti, interrotti dalla morte del celebre architetto nell'agosto del 1965 e ripresero, quindi, con un nuovo team di progetto per terminare nel 1967.
Dal 2014 il padiglione, espressione perfetta di quella «sintesi delle arti» teorizzata da Le Corbusier, è entrato nelle disponibilità della città di Zurigo che, dal 2019, lo aprirà tutti gli anni da maggio a novembre. La gestione dell'edificio è stata affidata al Museo für Gestaltung, la più importante istituzione di design e di arte visiva in Svizzera con la sua collezione di oltre 500mila opere, che gestisce altri due musei cittadini.
Il Pavillon ospiterà, di anno in anno, mostre temporanee, manifestazioni e workshop tesi a illustrare le opere e l’enorme influenza dell'architetto franco-svizzero nel mondo dell’arte. La mostra d'apertura si intitola «Mon univers» ed è dedicata a una delle tante passioni di Le Corbusier: il collezionismo. Gli oggetti esposti, provenienti dalla fondazione intitolata all’artista e da importanti collezioni private, creano un dialogo tematico con il padiglione e sono presentati insieme con alcuni filmati dell’architetto e a una mostra permanente di fotografie realizzate dal celebre René Burri tra il 1955 e il 1965, nel suo ruolo di cronista visivo di Le Corbusier.
Da non perdere per chi si trova a Zurigo, oltre al rinnovato Padiglione in riva al lago, sono anche gli eventi promossi nelle altre due sedi del museo: la mostra dedicata a Sebastião Salgado, fino al 23 giugno, e la permanente «Collection Highlights», dove si possono ammirare icone del design svizzero quali il pelapatate Rex, il coltellino dell’esercito svizzero firmato Victorinox e anche il celeberrimo font «Helvetica».

Informazioni utili 
Pavillon Le Corbusier, Höschgasse 8 - 8008 Zürich. Orari: da martedì a domenica, ore 12.00 – 18.00; giovedì, ore 12.00 – 20.00. Informazioni: tel. +41434464468, welcome@pavillon-le-corbusier.ch. Sito internet: www.pavillon-le-corbusier.ch.

giovedì 16 maggio 2019

«Planet or plastic?»: a Bologna una mostra sull’uso consapevole della plastica

È la chiesa che custodisce il famoso «Compianto del Cristo morto», uno dei più vigorosi ed espressivi capolavori della scultura italiana, modellato in terracotta nella seconda metà del Quattrocento da Niccolò dell’Arca. Ma, da qualche settimana, è anche la sede di una mostra che propone una riflessione sull’uso consapevole e responsabile della plastica nell’ambito di una campagna internazionale lanciata dal National Geographic, che vede tra i testimonial italiani Marco Mengoni. Fino al prossimo 22 settembre Santa Maria della Vita, complesso monumentale fondato nella seconda metà del XIII secolo dalla Confraternita dei Battuti o Flagellati e gestito dal 2006 da Genus Bononiae, ospita la rassegna «Planet or plastic?», curata da Marco Cattaneo, direttore di National Geographic Italia, e dalla redazione, con la collaborazione della scrittrice e documentarista Alessandra Viola.
Leggera, resistente, economica: la plastica ci ha cambiato la vita. Dall'elettronica alla sanità fino ai trasporti e al più semplice oggetto di consumo oggi non possiamo più farne a meno, ma quella prodotta dalla sua invenzione a oggi, riciclata solo in minima parte, si sta accumulando nell'ambiente. Da quel giorno del 1954 ne sono stati prodotti 8,3 miliardi di tonnellate, di cui 6,3 sono diventati rifiuti che possono rimanere nell'ambiente anche per 400 anni o più. Perché le materie plastiche non sono biodegradabili. La plastica che finisce in mare mette in pericolo la vita degli animali marini, si accumula in grandi isole galleggianti, e con il tempo si rompe in pezzi sempre più piccoli che vengono ingeriti da pesci, cetacei, uccelli.
L’esposizione accompagna lo spettatore in un coinvolgente percorso articolato in una quarantina di foto e due video-installazioni volte a provocare una riflessione sul materiale che è diventato ormai sinonimo di degrado e distruzione del pianeta. Otto sono i grandi temi trattati dalla rassegna: dalla quantità di plastica prodotta nel mondo all’impatto sull’ambiente e sulla catena alimentare, dal riuso all’educazione individuale e collettiva.
Il percorso della mostra alterna le fotografie dei grandi reporter di National Geographic all'originale lavoro artistico di Mandy Barker, che ha scelto di raccogliere rifiuti di plastica da tutto il mondo per un progetto fotografico di eccezionale valore estetico e al tempo stesso di grande impatto emotivo. All’interno della rassegna è possibile, inoltre, ammirare l’installazione «Iceberg», di Francesca Pasquali, artista nota per rivalutare oggetti d’uso comune, come delle semplici cannucce di plastica per farne delle vere e proprie opere d’arte.
Completa il percorso la proiezione del documentario «Punto di non ritorno» del regista premio Oscar Fisher Stevens e dell'attore Leonardo Di Caprio: un affascinante resoconto sui drammatici mutamenti che si verificano oggi in tutto il mondo a causa dei cambiamenti climatici. ormai sinonimo di degrado e distruzione del pianeta. Otto i grandi temi in mostra, dalla quantità di plastica prodotta nel mondo all’impatto sull’ambiente e sulla catena alimentare, dal riuso all’educazione individuale e collettiva.
La mostra, che è interamente prodotta con materiali riciclabili come cartone alveolare e carta da parati, offrirà anche l'occasione per partecipare a un grande progetto collettivo. Ai visitatori è richiesto di portare a Santa Maria della Vita e lasciare in un grande contenitore le loro bottiglie di plastica, una per ciascuno di loro. Quelle bottiglie troveranno nuova vita in un’installazione architettonica itinerante che sarà l'oggetto del concorso internazionale di idee «Plastic Monument – Architectural Design Competition», che vedrà in giuria architetti del calibro di Kengo Kuma, Carlo Ratti e Italo Rota. Il concorso, bandito da YAC - Young Architects Competitions, vedrà giovani architetti sfidarsi per realizzare un'installazione destinata a farsi ambasciatrice internazionale dei valori di tutela e sensibilità ambientale propri della mostra.
La rassegna bolognese si propone così di dimostrare quanto sia opportuno gestire la plastica in maniera opportuna nel rispetto del nostro pianeta.

Informazioni utili 
Planet or Plastic?. Chiesa Santa Maria della Vita, via Clavature, 8-10 – Bologna. Orari: martedì - domenica, ore 10.00 – 19.00. Ingresso: intero 10,00 euro, ridotto 5,00 euro. Informazioni: tel. 051.19936343 - esposizioni@genusbononiae.it. Sito web: www.genusbononiae.it. Fino al 22 settembre 2019