ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 27 settembre 2019

«La grande arte al cinema», Toni Servillo racconta l’Ermitage e San Pietroburgo

Oltre tre milioni di oggetti d’arte di epoche diverse, più di 66mila metri quadrati di spazio espositivo, un percorso di visita che supera i 30 chilometri e un numero di visitatori che lo scorso anno ha raggiunto la cifra di quattro milioni e duecento mila. Sono questi i numeri di uno dei musei più amati al mondo: l’Ermitage di San Pietroburgo, sogno fatto realtà della zarina Caterina II che nel 1764, dopo due anni di regno, iniziò la sua collezione di quadri grazie alla mediazione dell’ambasciatore russo Dolgoruky e del mercante berlinese J.E. Gotzowski. Quell’anno al Palazzo di Inverno, residenza imperiale e prima costola dell’attuale museo, - ricordano i professori Piotrovsy e Suslov nel bel volume di Colin Eisler che Magnus edizioni ha dedicato, negli anni Novanta, allo scrigno di tesori russo- entrarono duecentoventicinque opere, per la gran parte di artisti olandesi e fiamminghi, tra cui il «Giovane uomo con guanto» di Frans Hals e il «Ritratto di famiglia» di Jordaens. Da allora l’Ermitage si è andato espandendo sempre più. Già dieci anni dopo vantava oltre duemila tele. Oggi, con le sue collezioni, occupa ben cinque edifici, le cui costruzioni si sono susseguite tra il XVIII e il XIX secolo. Oltre al Palazzo di Inverno (1754-1762), progettato da Bartolomeo Rastrelli, sono, infatti, visitabili il Piccolo Ermitage (1764-1775), opera di Jean-Baptiste Vallin de la Mothe e di Jurij Velten, il Grande Ermitage, detto anche Vecchio Ermitage (1771-1787), disegnato anche questo da Jurij Velten, il Nuovo Ermitage (1839-1851), realizzato da Leo von Klenze, e il Teatro dell'Ermitage (1783-1789), firmato da Giacomo Quarenghi.
Si tratta di luoghi di grande fascino resi ancora più preziosi da una collezione, che vanta al suo interno grandi capolavori della storia dell’arte mondiale come, solo per fare qualche esempio, il «Suonatore di liuto» del Caravaggio, la «Madonna Benois» di Leonardo Da Vinci, il «Ritorno del figliol prodigo» di Rembrandt, la «Vergine annunciata» di Simone Martini e la «Madonna Connestabile» di Raffaello Sanzio.
A questo luogo straordinario è dedicato il film «Ermitage. Il Potere dell'Arte», una produzione originale 3D Produzioni e Nexo Digital, realizzata in collaborazione con Villaggio Globale International (che da anni collabora con Ermitage Italia) e Sky Arte, che arriverà in anteprima nelle sale italiane solo il 21, 22, 23 ottobre per essere poi distribuita in tutto il mondo.
Diretto da Michele Mally su soggetto di Didi Gnocchi, che firma anche la sceneggiatura con Giovanni Piscaglia, il documentario fa parte del progetto «La grande arte al cinema» (che entro la fine dell’anno farà uscire sui grandi schermi un omaggio a Frida Kahlo) ed è stato realizzato con la piena collaborazione del Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo e del suo direttore Michail Piotrovskij per raccontare il museo in maniera inedita ed emozionante, attraverso i secoli della storia russa e le vicende culturali che hanno portato allo sviluppo delle sue collezioni nel cuore della città.
La colonna sonora vanta la firma del pianista e compositore Dmitry Igorevich Myachin e sarà presentata con l’elettronica d’ambiente del sound designer Maximilien Zaganelli, disponibile su tutte le piattaforme digitali dal 18 ottobre.
A guidare lo spettatore in questo viaggio sarà l’attore Toni Servillo. A lui spetterà il compito di farci respirare lo spirito di San Pietroburgo e del suo museo, recitando brani tratti da poesie e romanzi, ma anche narrando le grandi storie di chi ha contribuito a costruire il mito del museo russo.
Immagini spettacolari porteranno il pubblico nei grandiosi interni dell’Ermitage dal Palazzo d'Inverno al teatro, dalle Logge di Raffaello alla Galleria degli Eroi del 1812.
Lo spettatore potrà vedere anche i laboratori di restauro e conservazione di Staraya Derevna e la sezione di arte moderna e contemporanea dell'Edificio dello Stato Maggiore, che custodisce le straordinarie collezioni Shchukin e Morozov, con la più grande raccolta di Matisse al mondo.
«Per raccontarne visivamente lo sviluppo urbano e architettonico, -raccontano da Nexo Digital- la città verrà presentata nella sua veste diurna e negli splendori delle sue notti: la Prospettiva Nevskij, il lungoneva, i ponti, il complesso dell'Ermitage, il Cavaliere di Bronzo, le statue di Pushkin, Gogol e Caterina la Grande (amica di penna di Diderot e Voltaire), le dimore nobiliari che si affacciano sui canali. I grandi architetti italiani che disegnarono San Pietroburgo -Trezzini, Rastrelli, Quarenghi- sono i progettisti dei palazzi più belli; ma l’anima di San Pietroburgo e della Russia è sfuggente e prova a raccontarla anche una coppia di Roofers, giovani in cerca d’infinito che si arrampicano sui tetti della città offrendo prospettive sorprendenti». Dentro l’Ermitage si percorrerà la grande arte europea, da Leonardo a Raffaello, da Van Eyck a Rubens, da Tiziano a Rembrandt e Caravaggio.
Fuori dall’Ermitage, si vedranno luoghi ricchi di memorie, come la Fortezza di Pietro e Paolo, il primo edificio costruito a San Pietroburgo, teatro di avvenimenti celebri, come la grazia a Dostoevskij davanti al plotone di esecuzione, e ospita le tombe degli Zar.
Ma la leggenda di San Pietroburgo passa anche per la grande letteratura con Alexandr Pushkin -primo tra tutti - e il suo fondamentale contributo allo sviluppo della poesia e della lingua letteraria russa. Il docufilm mostra gli ambienti della casa-museo dello scrittore, dove è conservato il divano in cui morì, e quelli del Caffè letterario, in cui bevve il suo ultimo caffè. Non manca una testimonianza sulla vita e sull’opera di Fedor Dostoevskij attraverso l’abitazione dalla quale lo scrittore poteva osservare la vita della Neva, ambientazione dei suoi romanzi, tra i quali «Le notti bianche», il suo inno d’amore a San Pietroburgo. Spazio, quindi, a Nikolaj Gogol, citato attraverso brani de «La Prospettiva Nevskij», e ad Anna Achmatova, Vladimir Nabokov e Sergeij Esenin. Lo spettatore rivivrà, poi, le difficili condizioni degli intellettuali delusi dalla Rivoluzione e l'assedio di Leningrado, in uno dei momenti più tragici della storia della città. Il capitolo buio del regime di Stalin sarà, invece, evocato a partire dalla cessione di importanti opere dell'Ermitage a collezionisti stranieri: capolavori di Raffaello, Botticelli, Van Eyck e Perugino.
San Pietroburgo è, inoltre, la culla della grande musica russa, lo scenario su cui si sono mossi artisti come Michail Glinka, Sergej Prokofev, Piotr Caikovskij, Nikolaj Rimskij-Korsakov e Dimitrij Shostakovich. Le loro note sono interpretate dal soprano Anastasiya Snyatovskaya e dal maestro Dmitry Igorevich Myachin. Infine, le immagini de «Il lago dei cigni», in programma al Teatro dell'Ermitage, porteranno lo spettatore alle radici del balletto russo.
Dentro e fuori dall’Ermitage, scrigno dell’anima russa, scorre l’identità complessa di San Pietroburgo, città giovanissima eppure da subito protagonista della storia. Ad arricchire il suo ritratto composito e sfaccettato ci sono gli interventi dello scrittore Orlando Figes, del direttore dell'Accademia russa di Belle arti Semyon Michailovsky, dello storico della letteratura Evgeniy Anisimov, dello storico dell’arte Ilia Doronchenkov, della curatrici Irina Sokolova (Dipartimento arte fiamminga) e Irina Artemieva (Dipartimento arte veneta), di Harold Leich della Library of Congress di Washington e di Gabriele Finaldi, direttore della National Gallery di Londra. Non manca il commento di Aleksandr Sokurov, che con il film «Arca Russa» ha interpretato l’Ermitage come un luogo sospeso nel mondo e nel tempo, in perenne navigazione sul mare della storia. Un luogo magico, da sindrome di Stendhal, in cui perdersi. Anche attraverso lo schermo di un cinema.

Per saperne di più
«La grande arte al cinema». «Ermitage. Il Potere dell'Arte». Nei cinema dal 21 al 23 ottobre 2019. Progetto Scuole - prenotazioni: Maria Chiara Buongiorno, progetto.scuole@nexodigital.it, tel. 02.8051633. Sito internet: www.nexodigital.it.

giovedì 26 settembre 2019

Imola, un murales di Kobra per ricordare Ayrton Senna

Da sette anni trasforma il volto di Imola. Stiamo parlando di RestArt, un festival di rigenerazione urbana e riqualificazione estetica della città attraverso la street art e più in generale la cultura, tenuto a battesimo nel settembre del 2013 dall’associazione Noi giovani, presieduta da Vincenzo Rossi.
L’ultima edizione, andata in scena dal 13 al 15 settembre all’Autodromo Enzo e Dino Ferrari, ha coinvolto oltre ventimila persone di tutte le età, permettendo loro di vedere mostre fotografiche, divertirsi ascoltando buona musica, partecipare a laboratori e, evento abbastanza raro, ammirare al lavoro importanti street artist di fama internazionale.
Questa edizione del festival -che gode del sostegno, tra gli altri, del Comune di Imola, della Città metropolitana di Bologna e della Regione Emilia- rimarrà nella memoria dei più per un evento artistico strettamente legato alla storia di quella che in molti chiamano la «città dei motori». RestArt ha, infatti, portato in Romagna uno dei più famosi street artist brasiliani, Eduardo Kobra, e lui ha regalato all’arredo urbano imolese un nuovo murales dedicato a uno dei più grandi piloti di sempre della Formula 1.
Da qualche giorno la pista dell’autodromo Enzo e Dino Ferrari è abbellita dall’immagine di Ayrton Senna, il campione dal casco giallo e dalla tuta rossa, che proprio su quel circuito perse la vita il primo maggio di venticinque anni fa, rimanendo nel cuore di molti non solo per le sue imprese sulla pista, che gli valsero ben tre titoli mondiali (1988, 1990 e 1991), ma anche per le sue tante e silenziose opere di solidarietà.
Il murales è stato ideato per la facciata del Maicc - Museo multimediale autodromo di Imola Checco Costa, dove è attualmente allestita la mostra immersiva «Ayrton Magico, l’anima oltre i limiti»: un susseguirsi di immagini, audio e filmati concessi dagli archivi Rai, che raccontano il percorso del pilota sudamericano dal debutto del 1984 al fatale Gran Premio di San Marino del 1994.
Kobra, street artist di San Paolo del Brasile –la stessa città natale di Senna-, è famoso nel mondo per i suoi murales colorati e per l’attivismo su temi come la guerra e il cambiamento climatico. Al campione brasiliano della Fomula 1 l’artista ha già dedicato due murales, visibili a San Paolo e a Rio De Janeiro.
Quello di Imola è il primo lavoro sul pilota realizzato fuori dal suo Paese d’origine.
L’artista, che ha lavorato in Romagna con Agnaldo Brito e Marcos Rafael, ha scelto di ritrarre Senna mentre guarda la pista con le dita puntate verso l’alto, ringraziando Dio.
«Il pilota -spiega Kobra- è stato un esempio di applicazione, duro lavoro e fede. È un simbolo brasiliano, di cui siamo molto orgogliosi e che ci serve da ispirazione. Rappresenta i valori più importanti della nostra cultura e non solo in termini legati al mondo delle competizioni, ma anche a livello umano. Senna era una persona buona e generosa, era sempre pronto ad aiutare gli altri, senza fare notizia o chiedere nulla in cambio. Nonostante il Brasile abbia avuto tanti campioni, nessuno ha mai rappresentato il nostro Paese in maniera così positiva».
La tecnica usata da Kobra è solo quella dello spray e smalti da compressore, dopo aver suddiviso la parete in tanti quadrati, dove ad ogni quadrato corrisponde un colore o sfumatura e diversa.
 «Un dettaglio del murales -racconta ancora l’artista- è la bandiera dell’Austria, che ho inserito nel casco. Nella triste gara in cui ha perso la vita, Senna voleva onorare il collega austriaco Ratzenberger, deceduto nello stesso circuito, quello stesso fine settimana del 1994. La storia di Senna è presente sulla fascia gialla del casco, in cui mostro l’inizio della sua carriera sui kart». Una carriera che lo stesso pilota spiegava così: «Correre, competere, è nel mio sangue, fa parte della mia vita».

Didascalie delle immagini
Tutte le foto pubblicate sono di Adrian Lungu

Per saperne di più
https://www.facebook.com/restarturbanfestival/

martedì 24 settembre 2019

«Morandi-esque»: il design contemporaneo incontra le nature morte di Morandi

L’estremo equilibrio compositivo delle sue nature morte, intrise di luce e poesia, ne hanno fatto uno degli artisti più amati e quotati del Novecento. Il bolognese Giorgio Morandi, figura caratterialmente schiva e creativamente estranea alla lezione dei grandi movimenti pittorici del suo tempo, è stato capace di dare una solennità pacata e austera a tanti oggetti semplici e banali, protagonisti involontari della nostra quotidianità: bottiglie, vasi, brocche, caffettiere, ciotole, fiori. Il mondo del design contemporaneo non poteva non guardare alle sue tele, dai colori tenui e dai delicati accordi cromatici, come a dei modelli iconici imprescindibili. Basti pensare, solo per fare un esempio, alle candele artistiche e ai vasi in ceramica di Sonia Pedrazzini per la serie «Le Morandine», che portano nelle nostre case lo stile inimitabile del maestro bolognese con i suoi silenzi compositivi e i suoi oggetti dalla linearità senza tempo, straordinariamente contemporanei pur essendo tradizionali.
In occasione di Cersaie 2019, il salone internazionale della ceramica per l’architettura che si tiene alla Fiera di Bologna dal 23 al 28 settembre, il mondo del design contemporaneo torna a guardare all’insegnamento di quello che una vulgata fin troppo riduttiva ha definito «il maestro delle bottiglie».
Casa Morandi - realtà afferente allo straordinario patrimonio dell’Istituzione Bologna Musei con il Mambo, Villa delle Rose e il Museo della memoria di Ustica- presenta il progetto espositivo «Morandi-esque».
L’originale dimora–atelier al numero 36 di via Fondazza, dove il maestro ha vissuto e lavorato dal 1910 al 1964, ospita i lavori in stampa digitale e i modelli in 3D realizzati dagli studenti partecipanti al workshop dedicato alla relazione fra le tecniche architettoniche e l’arte di Giorgio Morandi, ideato e condotto nel 2018 da Zaid Kashef Alghata, fondatore di House of Zka e docente di design architettonico all’Università del Barhain.
Il tema su cui si è sviluppato il percorso formativo è stata la verifica progettuale su quanto il lavoro di Morandi abbia in comune con concetti e schemi usati nello studio dell’architettura e quanto allo stesso tempo il metodo e l’approccio dell’artista abbiano influenzato lo studio dell’architettura.
Incentrato sulle procedure architettoniche di interpretazione, il workshop ha proposto la comprensione dello spostamento da una prospettiva pittorica, che l’architetto statunitense Peter Eisenman descrive come una «semplice membrana, una linea fra una figura e una superficie» a «un profilo architettonico a tre dimensioni, a un recipiente con una sua propria forma», producendo così un divario nelle sembianze fra ciò che può essere costruito, sia come speculazione della immaginazione del pittore che come realtà fisica dell’oggetto originario. In una sorta di ribaltamento del processo creativo morandiano, gli studenti sono partiti dall'esito pittorico per tornare alla forma originale attraverso un percorso inverso. La correlazione leggibile fra rappresentazione e oggetto della rappresentazione, inerente alla pratica di architettura, fra il disegno e il modello o il disegno e l’edificio, coinvolge tecniche di analisi e costruzione, interpretazione e documentazione.
I partecipanti al workshop sono partiti analizzando una decina di dipinti dell’artista bolognese, ridefinendoli e ridisegnandoli da un punto di vista architettonico, ma sempre rifacendosi ad un’interpretazione precisa e letterale del dipinto. Pur tentando di rendere gli oggetti con un certo grado di autonomia, si sono sempre assicurati che questi combaciassero con la fonte originale. L’esercizio iniziale ha richiesto un metodo geometrico rigoroso nel tracciare le silhouettes degli oggetti attraverso l’uso di archi e cerchi, ripetendo gli stessi gesti compiuti dallo stesso Morandi nel segnare la posizione dei suoi modelli sul piano di lavoro. Le tracce sono state poi rese in tridimensione attraverso le proiezioni, mantenendo come riferimento la distanza dell’oggetto dalla linea dell’orizzonte presente nel dipinto e il loro angolo prospettico, per limitare così la distorsione del disegno morandiano originale. Sfruttando le sottili variazioni operate da Morandi nel rappresentare sempre lo stesso gruppo di oggetti, le inevitabili discrepanze immaginative hanno creato delle differenze formali e prodotto oggetti dalle molteplici fogge. Questo lavoro è stato guidato dal pensiero e dal fondamentale insegnamento del noto storico e critico dell’architettura Robin Evans che riteneva il disegno architettonico «non dominante ma sempre interagente con ciò che rappresenta» e ha offerto al contempo un’ulteriore riflessione sui metodi di rappresentazione attraverso le nuove tecnologie digitali.
Un’occasione, dunque, quella offerta dalla mostra a Casa Morandi per parlare ancora una volta della modernità di quello che Roberto Longhi chiamava «il solitario di via Fondazza», un artista che ha reso pittura la riservatezza e la bellezza semplice della sua anima.

Didascalie delle immagini
Per tutte le fotografie: Credito / Credit: House of ZKA | @houseofzka | www.houseofzka.com

Informazioni utili
«Morandi-esque». Casa Morandi, via Fondazza 36 | 40125 Bologna. Orari: dal 24 al 29 settembre (Bologna Design Week), ore 17.00–21.00; dal 4 ottobre fino al 1° dicembre (solo su appuntamento) venerdì e sabato, ore 14.00–16.00; domenica, ore 11.00–13.00. Ingresso: libero. Informazioni:  tel. 051.300150/6496611. Sito internet: www.mambo-bologna.org/museomorandi/. Inaugurazione: martedì 24 settembre 2019 h 18.00. Dal 25 settembre al 1° dicembre 2019.