sabato 7 marzo 2009

Eleonora Duse e Gabriele D'Annunzio, una storia d'amore tra teatro e letteratura

«Gli perdono di avermi sfruttata, rovinata, umiliata. Gli perdono tutto, perché ho amato». Morendo a migliaia di chilometri di distanza dal suo Paese natale, sola e gravemente malata, è a Gabriele D'Annunzio che pensa Eleonora Duse (Vigevano, 3 ottobre 1858–Pittsburgh, 21 aprile 1924), straordinaria attrice drammatica di fine ‘800 e inizio ‘900, che ha infiammato le platee di mezzo mondo e che ha ammaliato personaggi del calibro di Konstantin Stanislavskij, Anton Cechov, Charlie Chaplin, George Bernard Shaw, Isadora Duncan, Matilde Serao e Sibilla Aleramo.
La travagliata e intensa storia d'amore con il Vate, iniziata dopo la separazione dal marito Tebaldo Checchi (suo collega di lavoro nella Compagnia Città di Torino e padre della figlia Enrichetta) e il sofferto distacco dall’amante Arrigo Boito (personalità di spicco della Scapigliatura milanese e stimato librettista di Giuseppe Verdi), sembra aver lasciato un segno indelebile nel cuore della Divina.
La passione tra questi due leggendari protagonisti della cultura italiana fin de siécle scoppia a Venezia nel settembre 1894 e dura una decina d’anni. Attrazione fisica, curiosità intellettuale e interesse pratico caratterizzano la relazione, durante la quale Gabriele D’Annunzio scrive cinque opere teatrali dedicate all’attrice -Sogno di un mattino di primavera, La Gioconda, La gloria, Francesca da Rimini e Sogno d’un tramonto d’autunno- ed Eleonora Duse sostiene finanziariamente le imprese artistiche e le dissolutezze del suo compagno, amandolo contro ogni ragionevolezza. Numerosi sono, infatti, i tradimenti sentimentali e professionali che la Divina deve sopportare: l'alcova del Vate continua a essere affollata di donne. I suoi segreti più intimi vengono messi nero su bianco nel romanzo Il fuoco. Due grandi tragedie dannunziane a lei destinate, La città morta e La figlia di Iorio, vengono affidate, all’ultimo, dal suo stesso amante ad altre due interpreti: Sarah Bernhardt ed Irma Gramatica.
Eleonora Duse  fu, dunque, una donna dalla vita travagliata, che -malgrado questo- seppe fondere il suo straordinario talento artistico e il suo fascino misterioso e seduttivo, rivoluzionando l'arte della recitazione, con la sua capacità di trasmettere emozioni e di comunicare messaggi attraverso un linguaggio non verbale, caratterizzato da movenze impercettibili e sguardi
espressivi. L'intensità delle interpretazioni, il faticoso lavoro di penetrazione psicologica dei personaggi e lo stile scarno, privo di enfasi declamatoria e con scene e costumi semplici, fecero, infatti, dell’attrice veneta l'antesignana del teatro moderno, in netto contrasto con la sua storica rivale, Sarah Bernhardt.
Figlia d'arte, Eleonora Duse esordì a quattro anni nella compagnia di giro del padre, interpretando la parte di Cosetta nei Miserabili di Victor Hugo. La prima prova della sua bravura, secondo una tradizione biografica consolidata che ha le proprie origini nel romanzo Il fuoco di Gabriele D’Annunzio, risale, invece, al 1873 con l’interpretazione della Giulietta shakespeariana, sul palco dell’Arena di Verona. Mentre è del 1879, con la rappresentazione della Teresa Raquin di Emile Zola a Napoli, che l’attrice ottiene la sua definitiva consacrazione. Da allora, fatta eccezione per la difficile parentesi dannunziana e il ritiro dalle scene negli anni compresi tra il 1909 e il 1921, la Divina miete un successo dietro l’altro, da La locandiera di Carlo Goldoni a La cavalleria rusticana di Giovanni Verga, da Antonio e Cleopatra di William Shakespeare a La porta chiusa di Marco Praga, da Monna Vanna di Maurice Maeterlinck a I bassifondi di Maksim Gor'kij, senza dimenticare i numerosi allestimenti di opere teatrali scritte da Giuseppe Giacosa, Alexandre Dumas figlio e del prediletto Henrik Ibsen, del quale l’artista porta in scena Casa di bambola, Spettri, Rosmersholm, La donna del mare ed Hedda Gabler.
Due le rappresentazioni più note della Duse: l’interpretazione del Romeo e Giulietta di William Shakespeare all’Arena di Verona e la mancata partecipazione alla tragedia La figlia di Iorio di Gabriele D’Annunzio.
La prima rappresentazione è passata alla storia per l’innovativa recitazione di netto stampo tardo-romantico dell’attrice, che colorò l’intera opera di un connotato tipicamente simbolista e liberty-decadente come l’uso di un bouquet di fiori: Eleonora Duse –ricorda, infatti, Renato Simoni, sulle pagine del Corriere della Sera- «aveva profumato la tragedia con la grazia fragile di una rosa che, tra le sue mani, assumeva, ad ogni atto e ad ogni frase della passione, un significato nuovo».
La figlia di Iorio è, invece, nota per un gossip d’antan. La parte della protagonista dell’opera, Mila di Codro, era stata promessa da D’Annunzio alla Duse. A pochi giorni dalla “prima”, l’attrice veneta, che aveva già studiato il copione a memoria e preparato l’abito, venne sostituita da Irma Gramatica. Il Vate mandò un fattorino a ritirare il costume di scena, con accluso un biglietto: «Il teatro è un mostro che divora i suoi figli: devi lasciarti divorare». Di fronte all'evidenza del tradimento, la «Divina» gli scrisse: «Non ti difendere, figlio, perché io non ti accuso. Non parlarmi dell'impero della ragione, della tua vita carnale, della tua sete, di vita gioiosa. Sono sazia di queste parole! Da anni ti ascolto dirle…Parto di qui domani. A questa mia non c'è risposta». In effetti, non ci fu mai una replica a quell’addio, se non molti anni dopo, quando Gabriele D’Annunzio, alla notizia della scomparsa dell’attrice, disse: «E’ morta quella che non meritai».

Didascalie delle immagini[fig. 1] Mario Nunes Vais, Eleonora Duse, Roma, 1910 ca. [fig. 2] Eleonora duse come Margherita Gautier ne La signora delle camelie di Alexander Dumas. Fils.Fotografia di Mario Nunes Vais, 1904 circa. [fig. 3] La copertina del Times, dedicata ad Eleonora Duse.

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