venerdì 3 giugno 2011

54° Biennale d’arte di Venezia, Tintoretto illumina la contemporaneità

«Historia magistra vitae est». Il vecchio adagio ciceroniano sembra aver sedotto Bice Curiger, curatrice della 54. Esposizione internazionale d’arte di Venezia. Si apre, infatti, all’insegna dell’’antico’ e del già conosciuto la mostra «ILLUMInazioni», con la quale la studiosa svizzera, anima curatoriale della Kunsthaus di Zurigo e capo-redattrice della rivista «Parkett», lascia il suo segno nella storia, ormai più che centenaria, della Biennale, una delle poche (se non l’unica) manifestazione artistica di rilevanza internazionale che il nostro Paese è ancora in grado di produrre. Ad accogliere il visitatore sono, dunque, tre gigantesche e teatralissime tele del Tintoretto, uno degli artisti più sperimentali della nostra storia dell’arte. Si tratta della sconvolgente «Ultima Cena» (1592), del «Trafugamento del corpo di San Marco» (1562-1566) e della «Creazione degli animali» (1550-1553), opere di solito collocate tra la Basilica di San Giorgio Maggiore e le Gallerie dell’Accademia, caratterizzate da un singolare luminismo e da modernità compositiva rivoluzionaria per l’epoca, la cui violenta bellezza lascia senza fiato chiunque entri nelle sale del Padiglione centrale ai Giardini. Si sfata così il mito che l’arte contemporanea non abbia a che fare con quella del passato, anche se questo punta i riflettori sulla distanza abissale che esiste tra i suadenti bagliori del Tintoretto e la modesta luminosità di alcuni tra gli ottantatré artisti internazionali selezionati da Bice Curiger, dei quali trentadue sono under 35 e, per una strana coincidenza delle statistiche, trentadue sono donne.
Poco convincente (e, di sicuro, sgradita agli animalisti) è, per esempio, l’operazione di Maurizio Cattelan, che, auto-citando la sua partecipazione alla Biennale del 1997 (quella in cui si presentò con l’opera «Tourists») porta in Laguna «Others», un plotone di duemila piccioni imbalsamati e ne dissemina finti escrementi sui pavimenti del lungo percorso espositivo biennalesco, distribuito su ben dieci mila metri quadrati.
«Un commento all’incretinimento artistico o al crescente numero dei visitatori?», si domanda, seria, la guida breve di Marsilio editore, presentando l’opera. Ci piace pensare, piuttosto, che l’incontro-scontro tra gli asfissiaci uccelli catteliani e la «luce febbrile» del Tintoretto sia un invito a meditare sulla persistenza dell’antico e sulla volatilità, sulla transitorietà del contemporaneo. Un invito, questo, che ci viene rivolto anche da una delle opere più belle e chiacchierate di questa Biennale: la grande scultura in cera dello svizzero Urs Fischer, riproduzione 1:1 del noto «Ratto delle Sabine» (1583) del Giambologna. L’opera, esposta all’Arsenale, è destinata a consumarsi come una candela, trasformandosi in massa informe fino a sciogliersi del tutto, durante i cinque mesi di apertura della kermesse veneziana, in programma dal 4 giugno al 27 novembre, dopo i tre giorni di vernice per addetti ai lavori e stampa.
Poco distante, negli spazi delle Corderie, si trova un altro piccolo gioiello: il film «The clock» di Christian Marclay, un flusso di immagini, della durata di ventiquattro ore, che riunisce sequenze tratte da migliaia di pellicole, più o meno famose come «American gigolò» e «C’era una volta il west», nelle quali personaggi tra i più svariati, da Robert De Niro a Marcello Mastroianni, da Marilyn Monroe a Marlon Brando, si interrogano sul concetto di tempo. Quasi ogni inquadratura mostra un orologio, un campanile, una pendola o una sveglia, la cui ora segnalata coincide con quella reale, creando così una sincronicità incantatoria nel quale tutti siamo in attesa di veder scoccare il minuto successivo.
«Tempus fugit» sembra dirci Christian Marclay, ma qualche volta «perdere tempo», magari per una fila, regala un’emozione indescrivibile: è il caso di «Ganzfeld Piece», un’installazione di James Turrell, all’Arsenale, che inonda gradualmente due camere vuote di luce colorata, creando un’esperienza sensoriale e spirituale che lo stesso autore definisce «vedere nel sentire» e nella quale, per usare le parole di Bice Curiger, «i concetti spaziali di vicinanza e di lontananza si dileguano». Ci sono, poi, opere che è proprio impossibile non vedere e non ricordare per la loro dimensione o per la LORO stranezza, come il grande pipistrello del sudafricano Nicholas Hlobo per l’installazione «Iimpundulu Zonke Ziyandilandela», riflessione sul mito dell’uccello vampiro limpundulu descritto nei canti xhosa, i bidoni dell’immondizia di Klara Lidén, i soggetti religiosi e coloratissimi della scultura «Stilleben» di Katharina Fritsch o, ancora, la magnifica balena spiaggiata (diciassette metri di lunghezza, tre di altezza e due di larghezza) dell’opera «The Geppetto Experience» Loris Gréaud.
Alla Biennale si respira voglia di impegno sociale, ma anche di memoria, di sentimenti e di famiglia. Lo documentano bene, nell’ordine e in un percorso per exempla, le fotografie di David Goldblatt sul sistema di valori morali e sociali che hanno guidato la politica del Sudafrica durante gli anni dell’apartheid, l’omaggio a Gianni Colombo, con il ritorno in Biennale del suo splendido «Spazio elastico» (1967, )e i parapadiglioni, quattro nuove strutture scultoree realizzate ai Giardini e all’Arsenale per ospitare il lavoro di altri artisti e favorire nuove forme di collaborazione, a partire dai temi dell’identità e dell’appartenenza. In queste strutture, nate da un’intuizione felice di Bice Curiger per rendere più dinamico il percorso espositivo, la cinese Song Dong ricrea consunti luoghi abitati e stanze foderate da logori armadi, al cui interno è, tra l’altro, possibile vedere il lavoro di Yto Barrada, composto da assemblaggi di taccuini e di libri di ricette della nonna analfabeta, che si inventò un commovente codice di segni per comunicare. Franz West porta, invece, alla Biennale la ricostruzione del suo studio-cucina nella casa di Vienna.
Accanto alla mostra centrale, i Giardini e l’Arsenale offrono una selezione delle proposte espositive presentate dagli ottantanove Stati (nell’ultima Biennale erano settantasette) che hanno deciso di partecipare a questa edizione della kermesse veneziana, alcuni dei quali al loro debutto: Andorra, Arabia Saudita, Repubblica popolare del Bangladesh e Haiti.
Gli Usa sono rappresentati da Jennifer Allora e Guillermo Calzadilla, autori, tra l’altro, dell’opera «Track and Field», un carro-armato a grandezza naturale, rovesciato e posto di fronte al loro padiglione nazionale, i cui cingoli si trasformano in un tapis roulant per far allenare la squadra nazionale d’atletica. La Francia punta, invece, sul consolidato Christian Boltanski, che mette in mostra «Change», una riflessione su quanto la vita sia dominata dal caso e dal fato. Nel padiglione della Gran Bretagna va in scena uno spettacolare caravanserraglio di Mike Nelson, minuziosa ricostruzione di un mercato medio-orientale dalle atmosfere thriller. Mentre nel vicino padiglione della Germania si ricorda la figura di Christoph Schlingensief, morto nell’agosto del 2010, con una chiesa della paura, nella quale è raccontata la sua lotta, persa, contro il cancro, ma dove si è invitati anche a riflettere anche su temi quali la xenofobia, il senso di colpa, la paura dell’ignoto e «dello sconosciuto in me». Stanchi della ressa e stressati dal continuo bombardamento di immagini, non resta che immergersi nelle atmosfere silenziose e incantate dell’ateniese Diohandi, che per il padiglione della sua patria, la Grecia, ha pensato ad un’opera site specific abitata da acqua e luce. Una vera poesia!

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Jacopo Robusti detto Tintoretto, «La creazione degli animali» (The Creation of the Animals), 1550-1553. Gallerie dell'Accademia, Venezia. Courtesy: Ministero per i beni e le attività culturali [fig. 2] Maurizio Cattelan, «Turisti», 1997. Courtesy: Maurizio Cattelan Archive; [fig. 3]James Turrell, «Skyspace Zuoz», 2005. Courtesy:James Turrell. Foto:Florian Holzherr; [fig. 4] Gianni Colombo, «Spazio elastico», 1967-68. Courtesy: Archivio Gianni Colombo, Milano; fig. 5]Song Dong, «S«ong Dong’s Parapavilion – Sketch of the Main Space», 2011. © Song Dong. Courtesy:  The Pace Gallery, Beijing

Informazioni utili
«ILLUMInazioni». 54. Esposizione internazionale d'Arte. Giardini  e  Arsenale - Venezia.Orari: 10.00-18.00; chiuso il  lunedì, escluso il 6 giugno, 15 agosto, 31 ottobre e il 21 novembre. Ingresso: intero € 20,00, ridotto € 16,00, studenti/under 26 € 12,00, family formula € 40,00 (2 adulti + 2 under 14), gruppo adulti € 13,00 (minimo 10 persone), gruppo studenti scuole secondarie € 8,00, gruppi studenti universitari € 10,00, permanent pass € 70,00, permanente pass per studenti under 26 € 45,00.  Catalogo ufficiale, catalogo breve e guida: Marsilio editore, Mestre. Informazioni: tel. 041.5218828. Sito internet: www.labiennale.org 2.Fino al 27 novembre 2012. 

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