Acidato, opaco, laccato ed extra-light: è il cristallo il primo attore della mostra «12», promossa dalla Fondazione musei civici di Venezia, con l’azienda milanese Glas Italia, in occasione della Biennale di architettura.
L’obiettivo dell’esposizione, curata da Daniele Sorrentino, risiede nella volontà di guardare con occhi diversi l’oggetto di design riportandolo alla sua naturale funzione di utilizzo. I visitatori di Ca’ Pesaro e di Palazzo Fortuny, i due musei scelti come sedi espositive, sono, infatti, invitati non solo ad ammirare le opere esposte, ma anche a fruirne. Possono, cioè, sedersi lungo il percorso espositivo su panche, sedie e consolle d’autore realizzate da dodici famosi designer internazionali per Glas Italia, in un itinerario che spazia da Ronan & Erwan Bouroullec a Piero Lissoni, da Michele De Lucchi a Nendo, da Jean-Marie Massaud a Naoto Fukasawa, da Ron Gilad a Johanna Grawunder, da Jasper Morrison a Tokujin Yoshioka, da Elena Cutolo a Ettore Sottsass.
A Palazzo Fortuny si possono "incontrare", nello specifico, lavori contraddistinti da un innovativo utilizzo del cristallo, dove a dominare sono luce e colori sgargianti. Accanto a sedute come la moderna e geometrica chaise longue «I – Beam» di Jean-Marie Massaud o la panca «Brushstroke» di Nendo, è, per esempio, possibile ammirare una serie di elementi che fungono da supporti per alcune opere esposte nelle mostre primaverili del museo, tra le quali si segnalano lavori di Nan Goldin, Francesca Woodman, Vanessa Beecroft e Diane Arbus, inseriti nel percorso della rassegna «Le amazzoni della fotografia dalla collezione di Mario Trevisan».
A Ca’ Pesaro, invece, la purezza e la trasparenza del cristallo forniscono una sorta di elemento ideale per attraversare le suggestive sale del museo, recentemente oggetto di un’importante operazione di restyling del layout, nella cui collezione sono presenti, opere di straordinari protagonisti dell’arte otto-novecentesca come Picasso, Calder, Balla, Medardo Rosso, Wildt e Martini.
Panche, sedie e consolle rigorosamente trasparenti, progettate dai fratelli Bouroullec, da Ron Gilad e da Tokujin Yoshioka, possono essere fruite dai visitatori per meglio ammirare i capolavori presenti o, anche in questo caso, per divenire espositori di alcune opere, accuratamente selezionate dai depositi del museo ed eccezionalmente esposte per l’occasione.
A completamento del percorso, nell'androne al piano terra di Ca’ Pesaro, è, inoltre, possibile visitare una mostra dedicata all’architetto Ettore Sottsass che espone gli «Specchi di Dioniso» e di ««Shibam», progettati per Glas Italia nel 2007.
Informazioni utili
«12». Ca’ Pesaro, Santa Croce 2076 e Palazzo Fortuny, San Marco 3958 - Venezia. Orari in entrambe le sedi espositive: 10.00–18.00 (biglietteria, ore 10.00–17.00) Ingresso in entrambe le sedi espositive: intero € 10,00, ridotto € 7,50 (Ca’ Pesaro) € 8,00 (Palazzo Fortuny). Informazioni: info@fmcvenezia.it. Call center: 848082000 (dall’Italia), tel. +39.041.42730892 (dall’estero). Fino al 14 luglio 2014.
lunedì 30 giugno 2014
sabato 28 giugno 2014
«Feeding the Mind», Illy si mette in mostra per Expo Milano 2015
Era il 1992 quando, da un’idea di Francesco Illy, nascevano le Illy Art Collection, celebri tazzine d’artista che hanno trasformato un oggetto d’uso quotidiano in una tela bianca su cui, negli anni, si sono cimentati oltre settanta artisti di fama internazionale, da Michelangelo Pistoletto a Marina Abramović, da Anish Kapoor a Daniel Buren, da Robert Rauschenberg a Jannis Kounellis, da Louise Bourgeois a William Kentridge.
In occasione di Expo Milano 2015, l’azienda triestina lancia una nuova linea della collezione Illy SustainArt Collection, una serie di tazzine che si propone di indagare temi centrali nella prossima esposizione internazionale, il cui titolo è «Nutrire il pianeta, energia per la vita», come la terra, il nutrimento, l’arte e la creatività.
Autori di questo racconto, ad edizione limitata, sono quattro giovani artisti provenienti da altrettanti Paesi produttori di caffè: Costa Rica, Guatemala, Etiopia e Honduras. Si tratta di Esteban Piedra León, Naufus Ramírez-Figueroa, Elias Simé e Adàn Vallecillo.
Le loro opere, in mostra fino a domenica 6 luglio all’interno di Triennale DesignCafé di Milano, fanno parte del progetto «Feeding the Mind», un percorso narrativo di Illy che -dal chicco alla tazzina e da oggi sino all’esposizione universale- esplora i valori e i territori della marca e li propone attraverso l’arte contemporanea.
L’azienda triestina si prepara così ad Expo Milano 2015 dove sarà presente nel ruolo di official coffee partner e allestirà un proprio padiglione tematico nel quale parlerà del caffè come cibo per la mente, stimolo della creatività e fonte d’ispirazione.
In contemporanea con la presentazione delle nuove tazzine per la SustainArt Collection, serie che offre visibilità a talenti creativi di nazioni emergenti, Illy propone anche una mostra sulla storia delle proprie confezioni, un intrigante viaggio attraverso ottant’anni di tecnologia e design che conduce alla più recente novità dell’azienda triestina: Refilly, l’innovativa ricarica per il classico barattolo da 250 grammi di blend Illy, diventato ormai un’icona senza tempo nelle case di tutti gli appassionati di caffè. La ricarica si inserisce perfettamente all’interno del barattolo Illy che viene poi richiuso con il tappo originale per preservarne intatte qualità e freschezza. Coperto da due brevetti proprietari, Refilly, costituisce un’importante innovazione poiché è l’unica confezione in poliaccoppiato in grado di mantenere la pressurizzazione, il sistema di conservazione del prodotto e degli aromi utilizzato da Illy. E, dopo essere stata consumata, si smaltisce nella raccolta differenziata della plastica.
Ma le proposte del progetto «Feeding the Mind» non finiscono qui. Nello spazio Illyartlab, sono, infatti, esposte, attraverso un’installazione di grande impatto scenografico, ventotto immagini in bianco e nero, realizzate dal grande fotografo umanista Sebastião Salgado in Costa Rica e Salvador, attraverso le quali vengono illustrati la storia, le tradizioni e i paesaggi delle coltivazioni da cui Illy acquista i preziosi chicchi del proprio blend. La rassegna è l’anteprima mondiale del padiglione dedicato alla bevanda nera nell’ambito di Expo Milano 2015, all’interno del quale sarà esposto l’intero reportage realizzato dal fotografo brasiliano nelle terre del caffè.
Informazioni utili
Triennale di Milano (illyartlab e Triennale Design Cafè), viale Alemagna, 6 - Milano. Orari: martedì-domenica, ore 10.30 - 20.30; giovedì, ore 10.30-23.00; lunedì chiuso. Informazioni: tel. 02.89093899.Sito internet: http://triennale.org/. Fino al 6 luglio 2014.
In occasione di Expo Milano 2015, l’azienda triestina lancia una nuova linea della collezione Illy SustainArt Collection, una serie di tazzine che si propone di indagare temi centrali nella prossima esposizione internazionale, il cui titolo è «Nutrire il pianeta, energia per la vita», come la terra, il nutrimento, l’arte e la creatività.
Autori di questo racconto, ad edizione limitata, sono quattro giovani artisti provenienti da altrettanti Paesi produttori di caffè: Costa Rica, Guatemala, Etiopia e Honduras. Si tratta di Esteban Piedra León, Naufus Ramírez-Figueroa, Elias Simé e Adàn Vallecillo.
Le loro opere, in mostra fino a domenica 6 luglio all’interno di Triennale DesignCafé di Milano, fanno parte del progetto «Feeding the Mind», un percorso narrativo di Illy che -dal chicco alla tazzina e da oggi sino all’esposizione universale- esplora i valori e i territori della marca e li propone attraverso l’arte contemporanea.
L’azienda triestina si prepara così ad Expo Milano 2015 dove sarà presente nel ruolo di official coffee partner e allestirà un proprio padiglione tematico nel quale parlerà del caffè come cibo per la mente, stimolo della creatività e fonte d’ispirazione.
In contemporanea con la presentazione delle nuove tazzine per la SustainArt Collection, serie che offre visibilità a talenti creativi di nazioni emergenti, Illy propone anche una mostra sulla storia delle proprie confezioni, un intrigante viaggio attraverso ottant’anni di tecnologia e design che conduce alla più recente novità dell’azienda triestina: Refilly, l’innovativa ricarica per il classico barattolo da 250 grammi di blend Illy, diventato ormai un’icona senza tempo nelle case di tutti gli appassionati di caffè. La ricarica si inserisce perfettamente all’interno del barattolo Illy che viene poi richiuso con il tappo originale per preservarne intatte qualità e freschezza. Coperto da due brevetti proprietari, Refilly, costituisce un’importante innovazione poiché è l’unica confezione in poliaccoppiato in grado di mantenere la pressurizzazione, il sistema di conservazione del prodotto e degli aromi utilizzato da Illy. E, dopo essere stata consumata, si smaltisce nella raccolta differenziata della plastica.
Ma le proposte del progetto «Feeding the Mind» non finiscono qui. Nello spazio Illyartlab, sono, infatti, esposte, attraverso un’installazione di grande impatto scenografico, ventotto immagini in bianco e nero, realizzate dal grande fotografo umanista Sebastião Salgado in Costa Rica e Salvador, attraverso le quali vengono illustrati la storia, le tradizioni e i paesaggi delle coltivazioni da cui Illy acquista i preziosi chicchi del proprio blend. La rassegna è l’anteprima mondiale del padiglione dedicato alla bevanda nera nell’ambito di Expo Milano 2015, all’interno del quale sarà esposto l’intero reportage realizzato dal fotografo brasiliano nelle terre del caffè.
Informazioni utili
Triennale di Milano (illyartlab e Triennale Design Cafè), viale Alemagna, 6 - Milano. Orari: martedì-domenica, ore 10.30 - 20.30; giovedì, ore 10.30-23.00; lunedì chiuso. Informazioni: tel. 02.89093899.Sito internet: http://triennale.org/. Fino al 6 luglio 2014.
giovedì 26 giugno 2014
Debutto pistoiese per «Piccoli esercizi del buon morire» di Enrique Vargas
Sarà il Funaro di Pistoia ad ospitare la prima italiana del nuovo spettacolo di Enrique Vargas, regista e antropologo colombiano a capo della compagnia Teatro de los sentidos, all'interno della quale si approfondisce il tema della poetica sensoriale, intesa come relazione espressiva tra corpo e memoria, tra plasticità dello spazio scenico ed esperienza personale. Dal 27 al 29 giugno, il palcoscenico del centro culturale toscano, che l’artista sudamericano ha scelto come sede italiana della sua Scuola sulla poetica dei sensi, ospiterà lo spettacolo «Piccoli esercizi del buon morire», già presentato con successo in Giappone, al World Theatre Festival Shizuoka, nell’aprile 2014.
Sul palco saliranno Francisco Javier Garcia, Gabriel Hernàndez, Stephane Laidet, Arianna Marano, Patrizia Menichelli, Giovanna Pezzullo, Gabriella Salvaterra e Joan Gerard Torredeflot, con Massimiliano Barbini, Lisa Cantini, Rossana Dolfi, Emanuela Fiscarelli e Francesca Giaconi. Le luci sono a cura di Francisco Javier Garcia; costumi e maschere di Patrizia Menichelli. La direzione musicale è affidata a Stephane Laidet; mentre il paesaggio olfattivo vede al lavoro Nelson Jara e Giovanna Pezzullo.
Quest’ultimo lavoro è costruito sulle premesse classiche del teatro di Vargas.
Non è, dunque, corretto parlare di teatro quanto di «esperienza». Del teatro, in senso stretto, non mancano la regia, gli attori, scene e costumi (raffinatissimi) e in fondo, ogni volta che si assiste ad una messa in scena si fa un’esperienza ma qui, tanto per iniziare non c’è palcoscenico, si sentono odori, rumori, si provano precise sensazioni tattili.
Il Teatro de los Sentidos ha condotto un percorso di ricerca unico e del tutto originale, tanto da essere necessario un nuovo lessico. Per Enrique Vargas, gli attori sono «abitanti» e svolgono tutti anche un personale lavoro di ricerca oltre che di interpretazione, gli spettatori, chiamati ad un ruolo e una partecipazione attiva, sono «viajeros», «viaggiatori» e, infatti, in «Piccoli esercizi per il buon morire» non si sta sempre, comodamente, seduti in poltrona.
All’inizio dell’esperienza ci troviamo di fronte a due porte (che sono due domande): una si apre ai piccoli esercizi per il buon morire, l’altra ai piccoli esercizi per il buon vivere. Si tratta di un ingresso nel mondo dei morti che celebrano la vita, che è anche l’ingresso al mondo dei vivi che celebrano la morte.
Il grande tema di questo lavoro è «l’altro» che sta in noi, è trovare il senso della celebrazione della tensione tra la vita e la morte. La risonanza dell’«altro io» che risiede in noi è al tempo stesso la risonanza della nostra mortalità e dualità. Gli spettacoli di Enrique Vargas partono sempre da alcune domande, in questo caso ci si chiede se dobbiamo tenere nascosto «l’altro» che abita dentro di noi, o se dobbiamo giocare con lui quando combatte per uscire. Siamo le domande che viviamo. Alcuni di noi passano la vita nella paura di esprimerle. Altri cercano la convinzione del fanatico, preferendo risposte indiscutibili. Ciascuno di noi cerca la maniera migliore di formulare i propri interrogativi esistenziali. E queste esperienze con il mondo di Vargas e il Teatro de los sentidos aiutano, a volte, a individuare quelli più delicati e urgenti.
Per saperne di più
Video promozionale dello spettacolo «Piccoli esercizi del buon morire»
Informazioni utili
«Piccoli esercizi del buon morire». Il Funaro - Centro culturale, via del Funaro, 16/18 – Pistoia. Orari: da venerdì 27 a domenica 29 giugno, ore 18.15, ore 20.00 e ore 22.00 (tre repliche giornaliere – prenotazione obbligatoria). Informazioni: tel. fax +39.0573.977225, tel +39.0573.976853, e-mail: info@ilfunaro.org. Sito web: www.ilfunaro.org. Da venerdì 27 a domenica 29 giugno 2014.
Sul palco saliranno Francisco Javier Garcia, Gabriel Hernàndez, Stephane Laidet, Arianna Marano, Patrizia Menichelli, Giovanna Pezzullo, Gabriella Salvaterra e Joan Gerard Torredeflot, con Massimiliano Barbini, Lisa Cantini, Rossana Dolfi, Emanuela Fiscarelli e Francesca Giaconi. Le luci sono a cura di Francisco Javier Garcia; costumi e maschere di Patrizia Menichelli. La direzione musicale è affidata a Stephane Laidet; mentre il paesaggio olfattivo vede al lavoro Nelson Jara e Giovanna Pezzullo.
Quest’ultimo lavoro è costruito sulle premesse classiche del teatro di Vargas.
Non è, dunque, corretto parlare di teatro quanto di «esperienza». Del teatro, in senso stretto, non mancano la regia, gli attori, scene e costumi (raffinatissimi) e in fondo, ogni volta che si assiste ad una messa in scena si fa un’esperienza ma qui, tanto per iniziare non c’è palcoscenico, si sentono odori, rumori, si provano precise sensazioni tattili.
Il Teatro de los Sentidos ha condotto un percorso di ricerca unico e del tutto originale, tanto da essere necessario un nuovo lessico. Per Enrique Vargas, gli attori sono «abitanti» e svolgono tutti anche un personale lavoro di ricerca oltre che di interpretazione, gli spettatori, chiamati ad un ruolo e una partecipazione attiva, sono «viajeros», «viaggiatori» e, infatti, in «Piccoli esercizi per il buon morire» non si sta sempre, comodamente, seduti in poltrona.
All’inizio dell’esperienza ci troviamo di fronte a due porte (che sono due domande): una si apre ai piccoli esercizi per il buon morire, l’altra ai piccoli esercizi per il buon vivere. Si tratta di un ingresso nel mondo dei morti che celebrano la vita, che è anche l’ingresso al mondo dei vivi che celebrano la morte.
Il grande tema di questo lavoro è «l’altro» che sta in noi, è trovare il senso della celebrazione della tensione tra la vita e la morte. La risonanza dell’«altro io» che risiede in noi è al tempo stesso la risonanza della nostra mortalità e dualità. Gli spettacoli di Enrique Vargas partono sempre da alcune domande, in questo caso ci si chiede se dobbiamo tenere nascosto «l’altro» che abita dentro di noi, o se dobbiamo giocare con lui quando combatte per uscire. Siamo le domande che viviamo. Alcuni di noi passano la vita nella paura di esprimerle. Altri cercano la convinzione del fanatico, preferendo risposte indiscutibili. Ciascuno di noi cerca la maniera migliore di formulare i propri interrogativi esistenziali. E queste esperienze con il mondo di Vargas e il Teatro de los sentidos aiutano, a volte, a individuare quelli più delicati e urgenti.
Per saperne di più
Video promozionale dello spettacolo «Piccoli esercizi del buon morire»
Informazioni utili
«Piccoli esercizi del buon morire». Il Funaro - Centro culturale, via del Funaro, 16/18 – Pistoia. Orari: da venerdì 27 a domenica 29 giugno, ore 18.15, ore 20.00 e ore 22.00 (tre repliche giornaliere – prenotazione obbligatoria). Informazioni: tel. fax +39.0573.977225, tel +39.0573.976853, e-mail: info@ilfunaro.org. Sito web: www.ilfunaro.org. Da venerdì 27 a domenica 29 giugno 2014.
mercoledì 25 giugno 2014
Champagne per la nuova Ca’ Pesaro. Dom Pérignon restaura due sale del museo veneziano
Ca’ Pesaro brinderà a champagne i suoi nuovi spazi museali, pronti per la metà di ottobre. Dom Pérignon, marchio francese simbolo del lusso ed icona dell’eccellenza vinicola mondiale, ha, infatti, appena siglato un accordo di collaborazione con la Fondazione musei civici di Venezia, finalizzato al restauro di due sale dello storico edificio lagunare affacciato sul Canal Grande, al cui interno si trova la Galleria internazionale d’arte moderna.
«The Power of Creation» è il nome del progetto conservativo ideato e finanziato dalla maison del gruppo Moet et Chandon, teso a configurarsi –si legge nella nota stampa- come «un tangibile collegamento creativo tra antico e contemporaneo». I due locali del secondo piano di Ca’ Pesaro, da tempo chiusi e attualmente destinati a magazzino, in futuro ospiteranno, infatti, un circuito di mostre di artisti italiani e internazionali, ma anche opere provenienti dalle collezioni del museo.
Capolavoro dell’architettura civile barocca veneziana, l’edificio fu costruito nella seconda metà del XVII secolo per volontà della nobile e ricchissima famiglia Pesaro, su progetto del massimo architetto dell’epoca, Baldassare Longhena, cui si devono anche la Chiesa della Salute e Ca’ Rezzonico. La costruzione giunse al termine nel 1710 grazie a Gian Antonio Gaspari, che, rispettoso del progetto originario, arricchì il palazzo di un importante apparato ornamentale degli interni. Di esso, l’edificio conserva ancora oggi alcuni decori a fresco e a olio dei soffitti, dovuti ad artisti come Bambini, Pittoni, Crosato, Trevisani e Brusaferro.
Dopo i Pesaro, la dimora passò ai Gradenigo, poi ai Padri armeni Mechitaristi. Acquistata infine dalla famiglia Bevilacqua, l'edificio divenne di proprietà della duchessa Felicita Bevilacqua La Masa. Fu lei a destinare il palazzo all’arte moderna, donandolo a questo scopo al Comune di Venezia nel 1899. Divenuto sede museale, fu aperto al pubblico nel 1902. Dal 1908 al 1924, ospitò le storiche Mostre Bevilacqua La Masa che, in vivace contrapposizione alle Biennali di Venezia, favorirono una giovane generazione di artisti che non trovavano rilievo all’interno della kermesse, tra cui Boccioni, Casorati, Gino Rossi e Arturo Martini.
Un importante intervento di restauro risale al 2002; mentre il restyling del layout espositivo, a cura di Gabriella Belli e con il progetto espositivo di Daniela Ferretti, si è tenuto, lo scorso anno. In quella occasione sono state individuate le due sale che ora Dom Pérignon riporta a nuova vita. La riapertura è fissata per il 16 ottobre, con una mostra d’arte e un’esposizione fotografica che ripercorrerà le principali tappe della rinascita degli spazi.
Informazioni utili
Ca’ Pesaro, Santa Croce 2076 e Palazzo Fortuny, San Marco 3958 - Venezia. Orari: 10.00–18.00 (biglietteria, ore 10.00–17.00) Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 7,50. Informazioni: info@fmcvenezia.it. Call center: 848082000 (dall’Italia), tel. +39.041.42730892 (dall’estero).
«The Power of Creation» è il nome del progetto conservativo ideato e finanziato dalla maison del gruppo Moet et Chandon, teso a configurarsi –si legge nella nota stampa- come «un tangibile collegamento creativo tra antico e contemporaneo». I due locali del secondo piano di Ca’ Pesaro, da tempo chiusi e attualmente destinati a magazzino, in futuro ospiteranno, infatti, un circuito di mostre di artisti italiani e internazionali, ma anche opere provenienti dalle collezioni del museo.
Capolavoro dell’architettura civile barocca veneziana, l’edificio fu costruito nella seconda metà del XVII secolo per volontà della nobile e ricchissima famiglia Pesaro, su progetto del massimo architetto dell’epoca, Baldassare Longhena, cui si devono anche la Chiesa della Salute e Ca’ Rezzonico. La costruzione giunse al termine nel 1710 grazie a Gian Antonio Gaspari, che, rispettoso del progetto originario, arricchì il palazzo di un importante apparato ornamentale degli interni. Di esso, l’edificio conserva ancora oggi alcuni decori a fresco e a olio dei soffitti, dovuti ad artisti come Bambini, Pittoni, Crosato, Trevisani e Brusaferro.
Dopo i Pesaro, la dimora passò ai Gradenigo, poi ai Padri armeni Mechitaristi. Acquistata infine dalla famiglia Bevilacqua, l'edificio divenne di proprietà della duchessa Felicita Bevilacqua La Masa. Fu lei a destinare il palazzo all’arte moderna, donandolo a questo scopo al Comune di Venezia nel 1899. Divenuto sede museale, fu aperto al pubblico nel 1902. Dal 1908 al 1924, ospitò le storiche Mostre Bevilacqua La Masa che, in vivace contrapposizione alle Biennali di Venezia, favorirono una giovane generazione di artisti che non trovavano rilievo all’interno della kermesse, tra cui Boccioni, Casorati, Gino Rossi e Arturo Martini.
Un importante intervento di restauro risale al 2002; mentre il restyling del layout espositivo, a cura di Gabriella Belli e con il progetto espositivo di Daniela Ferretti, si è tenuto, lo scorso anno. In quella occasione sono state individuate le due sale che ora Dom Pérignon riporta a nuova vita. La riapertura è fissata per il 16 ottobre, con una mostra d’arte e un’esposizione fotografica che ripercorrerà le principali tappe della rinascita degli spazi.
Informazioni utili
Ca’ Pesaro, Santa Croce 2076 e Palazzo Fortuny, San Marco 3958 - Venezia. Orari: 10.00–18.00 (biglietteria, ore 10.00–17.00) Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 7,50. Informazioni: info@fmcvenezia.it. Call center: 848082000 (dall’Italia), tel. +39.041.42730892 (dall’estero).
martedì 24 giugno 2014
Lindsay Kemp, un coreografo con la passione per il disegno
È stato l’inventore di uno stile di teatro-danza totale, unico nel suo genere, nel quale intrattenimento, sensualità, rito, parodia, melodramma, trasgressione, umorismo e intensità emotiva si sono fusi dando vita a spettacoli di grande effetto visivo e musicale come l’indimenticabile «Flowers… una pantomima per Jean Genet», allestito ad Edimburgo nel 1968 e portato in tournée in tutto il mondo.
Ha fondato una sua compagnia teatrale di cui è stato allievo David Bowie, per il quale negli anni Settanta ha curato la messa in scena dei concerti «The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars», una pietra miliare nel genere dell'opera rock.
Ha realizzato una dozzina di regie di opere liriche, tutte replicate con grande successo fra Spagna e Italia, tra le quali «Madama Butterfly», «Il flauto magico», «I racconti di Hoffmann», «La Traviata», «Sogno di una notte di mezza estate» e «The Fairy Queen».
Da sempre, affianca il disegno e la pittura alla sua attività legata al palcoscenico, arrivando a disegnare i costumi per i suoi spettacoli ed esponendo le sue opere in musei prestigiosi come la Fundación Miró di Barcellona, il New York Museum of Modern Art e il Victoria & Albert Museum di Londra.
A quest’ultimo aspetto, forse più intimo e meno noto, della poliedrica vena creativa di Lindsay Kemp, coreografo, attore, ballerino e mimo conosciuto e apprezzato in tutto il mondo, che ha segnato indelebilmente l’arte performativa della seconda metà del secolo scorso, è dedicata la mostra «The Wednesday Drawings», allestita negli storici spazi di Palazzo Cominelli a Cisano di San Felice del Benaco, sul Lago di Garda.
La rassegna, curata da Rosanna Padrini Dolcini e Federico Sardella, con la collaborazione diretta dell’artista, presenta oltre quaranta opere recenti, inedite o realizzate per l'occasione.
Accanto a questi lavori su carta, collocati nelle tre sale del piano nobile dell’edificio gardesano, è possibile ammirare anche una serie di scatti firmati dal fotografo Carlo Rocchi Bilancini, nei quali si vede Lindsay Kemp improvvisare, per la prima volta nella sua carriera, una performance in acqua.
Completa il percorso espositivo, di cui rimarrà documentazione in un catalogo pubblicato per l’occasione, un video girato dalla regista teatrale Sara Poli, teso a documentare la presenza del maestro alla Fondazione Cominelli.
Per Lindsay Kemp, la pittura è una logica conseguenza del suo stare sulla scena, la danza si fa segno e diventa una traccia fluida sulla carta, in grado di muoversi liberamente e senza inibizioni, in cui pochi tratti sprigionano energia vitale. L’artista ricorre sempre agli stessi leitmotiv: la sua mano si muove veloce sul foglio e grazie a pennarelli con punte di differenti spessori disegna oggetti sempre simili che, per l’immediatezza del segno, sembrano essere stati fatti sotto gli occhi dei visitatori.
«‘Un mirabile presto’ scrive Francesco Arcangeli a proposito della pittura di Filippo De Pisis e questo stesso sentimento, questa meravigliosa, secca velocità della mano che disinvolta supera il pensiero e calca il palcoscenico / il foglio bianco, lasciando qualche tocco ed accennando qualche colore, quasi dei bagliori all’interno di un’ossatura fatta di segni neri, -scrive Federico Sardella in catalogo- lo intravediamo anche nei disegni di Lindsay Kemp». Ne nascono opere che sembrano capricci, dove è evidente il disinteresse per le forme chiuse e finite in favore di quelle aperte e in cui i soggetti ritratti si fondono, «rendendo palpabile –si legge ancora in catalogo- una idea di continuità, di fusione fra corpi senza nodi e senza fine, che si reggono a vicenda, si sfiorano, si completano, si amano». Ed è proprio l’amore a tessere la trama narrativa della mostra. «Manca nei disegni – scrive, infatti, David Haughton nel suo libro «Lindsay Kemp: Drawing and Dancing» (Stampa Alternativa / Nuovi equilibri, Roma 1988),– il genio dell’agonia e della tragedia, manca la violenza e la crudeltà che l'artista invece dipinge sulla scena: forse, solo perché lì non c’è il tempo per emozioni che sollecitano un motivo, ma solo il tempo per un puro momento di sogno, senza passato né futuro».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Lindsay Kemp fotografato da Carlo Rocchi Bilancini, Todi, 2011; [fig. 2] Lindsay Kemp , «Dolores y Florian», 2014, pennarelli su carta; [fig. 3] Lindsay Kemp, «Dracula», 2014, pennarelli su carta; [fig. 4] Lindsay Kemp, «Tra le quinte», 2014, pennarelli su carta
Informazioni utili
Lindsay Kemp - «The Wednesday Drawings». Fondazione Cominelli, via Padre F. Santabona, 9 - Cisano di San Felice del Benaco (Brescia). Orari: venerdì e sabato, ore 18.00-21.00; domenica, ore 10.00-12.00 e ore 18.00-21.00. Ingresso libero. Informazioni:tel. +39.338.6060153 o info@fondazionecominelli.it. Sito internet: www.fondazionecominelli.it. Fino al 24 agosto 2014.
Ha fondato una sua compagnia teatrale di cui è stato allievo David Bowie, per il quale negli anni Settanta ha curato la messa in scena dei concerti «The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars», una pietra miliare nel genere dell'opera rock.
Ha realizzato una dozzina di regie di opere liriche, tutte replicate con grande successo fra Spagna e Italia, tra le quali «Madama Butterfly», «Il flauto magico», «I racconti di Hoffmann», «La Traviata», «Sogno di una notte di mezza estate» e «The Fairy Queen».
Da sempre, affianca il disegno e la pittura alla sua attività legata al palcoscenico, arrivando a disegnare i costumi per i suoi spettacoli ed esponendo le sue opere in musei prestigiosi come la Fundación Miró di Barcellona, il New York Museum of Modern Art e il Victoria & Albert Museum di Londra.
A quest’ultimo aspetto, forse più intimo e meno noto, della poliedrica vena creativa di Lindsay Kemp, coreografo, attore, ballerino e mimo conosciuto e apprezzato in tutto il mondo, che ha segnato indelebilmente l’arte performativa della seconda metà del secolo scorso, è dedicata la mostra «The Wednesday Drawings», allestita negli storici spazi di Palazzo Cominelli a Cisano di San Felice del Benaco, sul Lago di Garda.
La rassegna, curata da Rosanna Padrini Dolcini e Federico Sardella, con la collaborazione diretta dell’artista, presenta oltre quaranta opere recenti, inedite o realizzate per l'occasione.
Accanto a questi lavori su carta, collocati nelle tre sale del piano nobile dell’edificio gardesano, è possibile ammirare anche una serie di scatti firmati dal fotografo Carlo Rocchi Bilancini, nei quali si vede Lindsay Kemp improvvisare, per la prima volta nella sua carriera, una performance in acqua.
Completa il percorso espositivo, di cui rimarrà documentazione in un catalogo pubblicato per l’occasione, un video girato dalla regista teatrale Sara Poli, teso a documentare la presenza del maestro alla Fondazione Cominelli.
Per Lindsay Kemp, la pittura è una logica conseguenza del suo stare sulla scena, la danza si fa segno e diventa una traccia fluida sulla carta, in grado di muoversi liberamente e senza inibizioni, in cui pochi tratti sprigionano energia vitale. L’artista ricorre sempre agli stessi leitmotiv: la sua mano si muove veloce sul foglio e grazie a pennarelli con punte di differenti spessori disegna oggetti sempre simili che, per l’immediatezza del segno, sembrano essere stati fatti sotto gli occhi dei visitatori.
«‘Un mirabile presto’ scrive Francesco Arcangeli a proposito della pittura di Filippo De Pisis e questo stesso sentimento, questa meravigliosa, secca velocità della mano che disinvolta supera il pensiero e calca il palcoscenico / il foglio bianco, lasciando qualche tocco ed accennando qualche colore, quasi dei bagliori all’interno di un’ossatura fatta di segni neri, -scrive Federico Sardella in catalogo- lo intravediamo anche nei disegni di Lindsay Kemp». Ne nascono opere che sembrano capricci, dove è evidente il disinteresse per le forme chiuse e finite in favore di quelle aperte e in cui i soggetti ritratti si fondono, «rendendo palpabile –si legge ancora in catalogo- una idea di continuità, di fusione fra corpi senza nodi e senza fine, che si reggono a vicenda, si sfiorano, si completano, si amano». Ed è proprio l’amore a tessere la trama narrativa della mostra. «Manca nei disegni – scrive, infatti, David Haughton nel suo libro «Lindsay Kemp: Drawing and Dancing» (Stampa Alternativa / Nuovi equilibri, Roma 1988),– il genio dell’agonia e della tragedia, manca la violenza e la crudeltà che l'artista invece dipinge sulla scena: forse, solo perché lì non c’è il tempo per emozioni che sollecitano un motivo, ma solo il tempo per un puro momento di sogno, senza passato né futuro».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Lindsay Kemp fotografato da Carlo Rocchi Bilancini, Todi, 2011; [fig. 2] Lindsay Kemp , «Dolores y Florian», 2014, pennarelli su carta; [fig. 3] Lindsay Kemp, «Dracula», 2014, pennarelli su carta; [fig. 4] Lindsay Kemp, «Tra le quinte», 2014, pennarelli su carta
Informazioni utili
Lindsay Kemp - «The Wednesday Drawings». Fondazione Cominelli, via Padre F. Santabona, 9 - Cisano di San Felice del Benaco (Brescia). Orari: venerdì e sabato, ore 18.00-21.00; domenica, ore 10.00-12.00 e ore 18.00-21.00. Ingresso libero. Informazioni:tel. +39.338.6060153 o info@fondazionecominelli.it. Sito internet: www.fondazionecominelli.it. Fino al 24 agosto 2014.
domenica 22 giugno 2014
«Greeters», Adrian Paci firma la decima Giornata del contemporaneo
Sembra uscita da un album di famiglia degli anni Settanta «Greeters», la foto di Adrian Paci scelta come immagine guida della decima edizione della Giornata del contemporaneo, iniziativa promossa per sabato 11 ottobre dai ventisei musei riuniti in Amaci, l’associazione al cui interno si trovano il Castello di Rivoli, Ca’ Pesaro a Venezia, il Mart di Rovereto, il Maxxi e il Macro di Roma.
Dopo Michelangelo Pistoletto (2006), Maurizio Cattelan (2007), Paola Pivi (2008), Luigi Ontani (2009), Stefano Arienti (2010), Giulio Paolini (2011), Francesco Vezzoli (2012) e Marzia Migliora (2013), la scelta è, quindi, caduta su un artista straniero (Adrian Paci è albanese di nascita), a testimoniare - si legge nella nota stampa- che «l'arte trascende confini e nazionalità e con il suo linguaggio può contribuire al percorso di crescita e maturazione di ogni società civile».
Nell'immagine sono ritratti due ragazzi che ci salutano in un gesto congelato dal fermo-immagine che trasforma la narrazione video in immagine fissa. Il tema del viaggio e del distacco è, quindi, alla base di «Greeters». I giovani nello scatto diventano per l'artista anche pretesto narrativo per affrontare le tematiche a lui care della debolezza, dell’insicurezza, della perdita e dell’abbandono, ma soprattutto strumento per parlare delle relazioni umane in senso universale. Tolti dal contesto, infatti, i due giovani non raccontano più nulla di se stessi, ma portano l’osservatore, impegnato nello sforzo di rispondere, a viverli come familiari, vicini, in una visione empatica che li unisce in un unico abbraccio. Le due figure, rese astratte dalla semplice ma potente operazione dell’artista che li strappa al loro contesto mostrano qualcosa di forte e allo stesso tempo di vulnerabile, con i loro volti apparentemente sereni, i loro gesti confidenziali, il loro sguardo che incrocia il nostro sostenendolo. Il ritmo delle loro braccia e la centralità frontale della scena comunicano stabilità, la loro nudità e la bassa definizione dell’immagine rendono il tutto sfuggente e fragile. La fotografia diventa allora l’evocazione di un dialogo profondo e intimo tra i soggetti della foto e lo spettatore, raccontando così non più un fatto di cronaca ma uno scorcio indefinito della nostra comune condizione umana.
«La scelta –spiega Adrian Paci– è stata quella di accostare due realtà che sembrano lontane, antitetiche. I due giovani della foto non c'entrano nulla con il cosiddetto “mondo dell'arte”. Nessun collegamento sembra riuscire a mettere insieme il vissuto che emerge da questa immagine e la realtà sofisticata e a volte cinica del mondo dell'arte. E qui sta il significato più profondo e il contributo che questa immagine cerca di portare: la semplicità e il carico di mondo che essa porta con sé si incontrano e si scontrano con il mondo dell'arte. "Quelli che stanno fuori" semplicemente salutano "quelli che stanno dentro" innescando una comunicazione carica di umanità».
Giunta alla sua decima edizione, anche quest’anno la Giornata del contemporaneo aprirà gratuitamente le porte dei ventisei musei Amaci e di un migliaio di realtà distribuite su tutto il territorio nazionale per presentare artisti e nuove idee attraverso mostre, laboratori, eventi e conferenze. Un programma multiforme che, di anno in anno, ha saputo regalare al grande pubblico un’occasione per vivere da vicino il complesso e vivace mondo dell’arte contemporanea, portando la manifestazione a essere considerata l’appuntamento annuale che ufficialmente inaugura la stagione artistica in Italia.
Informazioni utili
Amaci c/o Gamec, via San Tomaso, 53 - 24121 Bergamo, tel. 035.270272, fax 035.236962, info@amaci.org. Sito web: www.amaci.org.
Dopo Michelangelo Pistoletto (2006), Maurizio Cattelan (2007), Paola Pivi (2008), Luigi Ontani (2009), Stefano Arienti (2010), Giulio Paolini (2011), Francesco Vezzoli (2012) e Marzia Migliora (2013), la scelta è, quindi, caduta su un artista straniero (Adrian Paci è albanese di nascita), a testimoniare - si legge nella nota stampa- che «l'arte trascende confini e nazionalità e con il suo linguaggio può contribuire al percorso di crescita e maturazione di ogni società civile».
Nell'immagine sono ritratti due ragazzi che ci salutano in un gesto congelato dal fermo-immagine che trasforma la narrazione video in immagine fissa. Il tema del viaggio e del distacco è, quindi, alla base di «Greeters». I giovani nello scatto diventano per l'artista anche pretesto narrativo per affrontare le tematiche a lui care della debolezza, dell’insicurezza, della perdita e dell’abbandono, ma soprattutto strumento per parlare delle relazioni umane in senso universale. Tolti dal contesto, infatti, i due giovani non raccontano più nulla di se stessi, ma portano l’osservatore, impegnato nello sforzo di rispondere, a viverli come familiari, vicini, in una visione empatica che li unisce in un unico abbraccio. Le due figure, rese astratte dalla semplice ma potente operazione dell’artista che li strappa al loro contesto mostrano qualcosa di forte e allo stesso tempo di vulnerabile, con i loro volti apparentemente sereni, i loro gesti confidenziali, il loro sguardo che incrocia il nostro sostenendolo. Il ritmo delle loro braccia e la centralità frontale della scena comunicano stabilità, la loro nudità e la bassa definizione dell’immagine rendono il tutto sfuggente e fragile. La fotografia diventa allora l’evocazione di un dialogo profondo e intimo tra i soggetti della foto e lo spettatore, raccontando così non più un fatto di cronaca ma uno scorcio indefinito della nostra comune condizione umana.
«La scelta –spiega Adrian Paci– è stata quella di accostare due realtà che sembrano lontane, antitetiche. I due giovani della foto non c'entrano nulla con il cosiddetto “mondo dell'arte”. Nessun collegamento sembra riuscire a mettere insieme il vissuto che emerge da questa immagine e la realtà sofisticata e a volte cinica del mondo dell'arte. E qui sta il significato più profondo e il contributo che questa immagine cerca di portare: la semplicità e il carico di mondo che essa porta con sé si incontrano e si scontrano con il mondo dell'arte. "Quelli che stanno fuori" semplicemente salutano "quelli che stanno dentro" innescando una comunicazione carica di umanità».
Giunta alla sua decima edizione, anche quest’anno la Giornata del contemporaneo aprirà gratuitamente le porte dei ventisei musei Amaci e di un migliaio di realtà distribuite su tutto il territorio nazionale per presentare artisti e nuove idee attraverso mostre, laboratori, eventi e conferenze. Un programma multiforme che, di anno in anno, ha saputo regalare al grande pubblico un’occasione per vivere da vicino il complesso e vivace mondo dell’arte contemporanea, portando la manifestazione a essere considerata l’appuntamento annuale che ufficialmente inaugura la stagione artistica in Italia.
Informazioni utili
Amaci c/o Gamec, via San Tomaso, 53 - 24121 Bergamo, tel. 035.270272, fax 035.236962, info@amaci.org. Sito web: www.amaci.org.
venerdì 20 giugno 2014
Art Night Venezia, la cultura fa le ore piccole
A Venezia la notte del solstizio d'estate si colora di cultura e spettacolo. Sabato 21 giugno la città lagunare torna ad ospitare Art Night, manifestazione ideata e coordinata dall’Università Ca’ Foscari, con la collaborazione dell’Amministrazione comunale, che mira a coinvolgere tutti i soggetti cittadini attivi nel campo dell’arte. Un centinaio le istituzioni pubbliche e private coinvolte in questa quarta edizione, che prevede ben quattrocento eventi gratuiti tra visite guidate, concerti e letture drammatizzate.
A dare inizio alla serata sarà, allo scoccare delle 18, la performance «Family Dress», per la regia di Elisabetta Brusa e con la coreografia di Carla Marazzato, presentata dal marchio di abbigliamento e accessori Malìparmi nel cortile centrale dell’ateneo veneziano.
Il progetto, ideato da Do-Knit-Yourself con il Naba di Milano, si compone di trenta abiti tessuti da differenti realtà in diversi luoghi del mondo, collegati tra loro per mezzo di lunghi strascichi, ai quali si aggiunge, in questa versione dello spettacolo (già proposto durante la Milano Design Week), un vestito ispirato agli anni Venti e Trenta, creato per l’occasione con un patchwork di ricami della storia Malìparmi.
Gli abiti saranno indossati dagli studenti delle due università veneziane e dagli allievi del gruppo Contact Improvisation del Centro teatrale di ricerca cittadino, che, accompagnati dalle noti di musicisti locali, danzeranno tra il pubblico e si riverseranno, poi, per le calli e i campielli colorando la notte d’arte lagunare.
Da quel momento in poi, gli eventi si susseguiranno in tutta la città fino alle ore piccole. L’appuntamento più atteso è senz’altro quello curato da Chiara Bertola con Nico Vascellari, uno degli artisti visivi più significativi nel panorama nazionale, che, insieme al gruppo Ninos du Brasil e al video-artista spagnolo Carlos Casas, ritmerà le ore di Art Night. Alle 22.30, il creativo veneto sarà, poi, a Ca’ Foscari, dove si terrà anche un interessante programma di laboratori per bambini a cura di Ca’rte Lab, per presentare l’anteprima assoluta del suo nuovo album, «Novos Misterios».
«Art Night Venezia», manifestazione che da quest’anno entra ufficialmente a far parte delle Notti d’arte europee, propone, inoltre, la rassegna «Arte in Comune», progetto culturale congiunto proposto dalla Fondazione musei civici e dalla Bevilacqua la Masa, che coinvolgerà Ca’Rezzonico, Ca’ Pesaro e il Museo di storia naturale.
In quest'ultimo spazio espositivo Fabio Roncato proporrà, per esempio, una videoinstallazione della Nebulosa del Granchio, ottenuta attraverso un collegamento Internet a un osservatorio remoto in Australia, mentre il collettivo artistico Anemoi rievocherà, in cortile, il gioco popolare dell'Albero della Cuccagna, in cui bambini di tutte le età saranno invitati a sfilare oggetti-premio agganciati a cordicelle poste ad altezza differente.
A Ca' Pesaro si terrà, invece, un'esposizione di opere di Giuseppe Abate, Paola Angelini, Pamela Breda e Saverio Bonato; a Ca' Rezzonico, dove è prevista anche un’esibizione musicale del gruppo Compact Improvisation, esporranno Marko Bjelancevic, il collettivo Gli Impresari, Samuele Cherubini, Caterina Erica Shanta ed Eleonora Sovrani.
Il programma di Art Night Venezia è ancora molto lungo e vale la pena darci una lettura per scoprire che all’isola di San Giorgio sarà possibile partecipare a una visita guidata notturna al campanile della chiesa e che al Seminario patriarcale è prevista un’apertura straordinaria del chiostro maggiore. Tutte le grandi mostre attualmente allestite in città saranno, poi, visibili anche in orario notturno, permettendo così al pubblico di visitare la collezione Peggy Guggenheim, la Fondazione Prada, Punta Dogana, Palazzo Grassi e altri spazi cittadini all’ombra della luna. Un’occasione, dunque, da non perdere quella offerta da Art Night Venezia per passare una sera diversa dal solito.
Informazioni utili
«Art Night Venezia». Venezia, sedi varie. Sabato 21 giugno 2014, dalle ore 18.00. Sito ufficiale della giornata: www.artnight.it. Twitter: @artnightvenezia. Facebook: artnight venezia. Instagram: @artnightvenezia. Informazioni: tel. 041.23466223-6227, e-mail: artnightvenezia@unive.it.
A dare inizio alla serata sarà, allo scoccare delle 18, la performance «Family Dress», per la regia di Elisabetta Brusa e con la coreografia di Carla Marazzato, presentata dal marchio di abbigliamento e accessori Malìparmi nel cortile centrale dell’ateneo veneziano.
Il progetto, ideato da Do-Knit-Yourself con il Naba di Milano, si compone di trenta abiti tessuti da differenti realtà in diversi luoghi del mondo, collegati tra loro per mezzo di lunghi strascichi, ai quali si aggiunge, in questa versione dello spettacolo (già proposto durante la Milano Design Week), un vestito ispirato agli anni Venti e Trenta, creato per l’occasione con un patchwork di ricami della storia Malìparmi.
Gli abiti saranno indossati dagli studenti delle due università veneziane e dagli allievi del gruppo Contact Improvisation del Centro teatrale di ricerca cittadino, che, accompagnati dalle noti di musicisti locali, danzeranno tra il pubblico e si riverseranno, poi, per le calli e i campielli colorando la notte d’arte lagunare.
Da quel momento in poi, gli eventi si susseguiranno in tutta la città fino alle ore piccole. L’appuntamento più atteso è senz’altro quello curato da Chiara Bertola con Nico Vascellari, uno degli artisti visivi più significativi nel panorama nazionale, che, insieme al gruppo Ninos du Brasil e al video-artista spagnolo Carlos Casas, ritmerà le ore di Art Night. Alle 22.30, il creativo veneto sarà, poi, a Ca’ Foscari, dove si terrà anche un interessante programma di laboratori per bambini a cura di Ca’rte Lab, per presentare l’anteprima assoluta del suo nuovo album, «Novos Misterios».
«Art Night Venezia», manifestazione che da quest’anno entra ufficialmente a far parte delle Notti d’arte europee, propone, inoltre, la rassegna «Arte in Comune», progetto culturale congiunto proposto dalla Fondazione musei civici e dalla Bevilacqua la Masa, che coinvolgerà Ca’Rezzonico, Ca’ Pesaro e il Museo di storia naturale.
In quest'ultimo spazio espositivo Fabio Roncato proporrà, per esempio, una videoinstallazione della Nebulosa del Granchio, ottenuta attraverso un collegamento Internet a un osservatorio remoto in Australia, mentre il collettivo artistico Anemoi rievocherà, in cortile, il gioco popolare dell'Albero della Cuccagna, in cui bambini di tutte le età saranno invitati a sfilare oggetti-premio agganciati a cordicelle poste ad altezza differente.
A Ca' Pesaro si terrà, invece, un'esposizione di opere di Giuseppe Abate, Paola Angelini, Pamela Breda e Saverio Bonato; a Ca' Rezzonico, dove è prevista anche un’esibizione musicale del gruppo Compact Improvisation, esporranno Marko Bjelancevic, il collettivo Gli Impresari, Samuele Cherubini, Caterina Erica Shanta ed Eleonora Sovrani.
Informazioni utili
«Art Night Venezia». Venezia, sedi varie. Sabato 21 giugno 2014, dalle ore 18.00. Sito ufficiale della giornata: www.artnight.it. Twitter: @artnightvenezia. Facebook: artnight venezia. Instagram: @artnightvenezia. Informazioni: tel. 041.23466223-6227, e-mail: artnightvenezia@unive.it.
giovedì 19 giugno 2014
«Cham», A Venezia un viaggio tra le arti rituali del Tibet
La policromia dei costumi e degli ornamenti, i suoni profondi e drammatici degli strumenti musicali, la potenza simbolica dei movimenti dei danzatori: è un omaggio alle danze rituali del Tibet quello che va in scena al Museo di storia naturale nella mostra «Cham», nata dalla collaborazione tra il fotografo Giampietro Mattolin e il giornalista Piero Verni con la Fondazione musei civici di Venezia.
L’esposizione, allestita fino a domenica 24 agosto, vuole essere un’introduzione al complesso mondo della civiltà orientale, visto attraverso uno dei suoi aspetti più simbolici: le danze rituali eseguite pubblicamente nei cortili dei monasteri himalayani di cultura buddista-tibetana davanti a un gran pubblico che, a volte, giunge da luoghi distanti settimane o mesi di cammino.
Spazio, dunque, molto adatto ad ospitare questa rassegna, suggestiva indagine sullo straordinario spaccato di usi e costumi che animano una delle popolazioni più affascinanti del pianeta, il museo al Fondaco dei Turchi, da sempre aperto alla valorizzazione di esperienze lontane dal nostro usuale vissuto. Giovanni Miani, frutto della sua prima esplorazione alla ricerca delle sorgenti del Nilo (1859-60), o di quella etnografica e naturalistica di Giuseppe De Reali, formatasi tra il 1898 e il 1929 durante le spedizioni di caccia grossa in Africa orientale ed equatoriale, o ancora, quella, altrettanto straordinaria, di Giancarlo Ligabue, grande figura di esploratore moderno.
Le sue collezioni permanenti custodiscono, infatti, preziose raccolte di grandi esploratori del passato alla scoperta di terre sconosciute: è il caso di quella etnologica del veneziano
Allestita al piano terra nella Galleria dei cetacei e realizzata con il coordinamento di Mauro Bon e Luca Mizzan, la mostra è composta da cinquantadue pannelli stampati su tela ed è suddivisa in otto sezioni, che raccontano i cham, ovvero le danze rituali eseguite dai monaci buddhisti e da quelli appartenenti al Bon, l'antica religione autoctona del Tibet.
Tutte le fasi di queste coreografie sono scandite dal suono di un'orchestra monastica, la cui composizione può variare da cinque elementi a oltre una ventina; gli strumenti usati sono per lo più i cembali (rolmo), i tamburi a manico (nga), le trombe telescopiche (dung-chen) e quelle corte (gya-ling).
La danza rituale fa parte dell'addestramento interiore del praticante e comprende anche meditazioni, visualizzazioni ed elaborate tecniche di concentrazione. Il cham si può, dunque, definire, sia pure con una certa libertà di linguaggio, una sorta di meditazione in movimento.
Per suo tramite il danzatore -come appare chiaramente anche dalle splendide immagini immortalate da Giampietro Mattolin- aiutato dalla musica, da apposite preghiere e dal simbolismo dei costumi che indossa, entra in un rapporto diretto con la divinità che rappresenta. Ogni danzatore esegue, dunque, la danza di un ben preciso personaggio del pantheon tantrico e con esso stabilisce un legame profondo.
Il monaco, grazie al potere del cham, "diventa" la divinità stessa, si identifica completamente e, tramite questa identificazione, ne acquisisce le qualità fondamentali raggiungendo così una superiore consapevolezza spirituale: è in questo stato mentale completamente purificato e trasfigurato che egli deve danzare. Attraverso la meditazione in rapporto alla divinità il praticante tantrico purifica dunque la sua intera struttura psico-fisica e quindi "protegge" quelle che vengono chiamate le tre basi: corpo, parola e mente.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Musica e orchestra. Foto di Giampietro Mattolin; [fig. 2] Che cosa è un Cham. Foto di Giampietro Mattolin; [fig. 3] Dove, quando e perché. Foto di Giampietro Mattolin
Informazioni utili
Cham. Le danze rituali del Tibet. Museo di Storia Naturale, Santa Croce 1730 – Venezia. Ingresso: ore 10.00-18.00 (biglietteria chiude un’ora prima); chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 8,00, ridotto € 5,50. Informazioni: call center 848082000(dall’Italia), +39.041.42730892 (dall’estero) o nat.mus.ve@fmcvenezia.it e info@fmcvenezia.it. Fino al 24 agosto 2014.
L’esposizione, allestita fino a domenica 24 agosto, vuole essere un’introduzione al complesso mondo della civiltà orientale, visto attraverso uno dei suoi aspetti più simbolici: le danze rituali eseguite pubblicamente nei cortili dei monasteri himalayani di cultura buddista-tibetana davanti a un gran pubblico che, a volte, giunge da luoghi distanti settimane o mesi di cammino.
Spazio, dunque, molto adatto ad ospitare questa rassegna, suggestiva indagine sullo straordinario spaccato di usi e costumi che animano una delle popolazioni più affascinanti del pianeta, il museo al Fondaco dei Turchi, da sempre aperto alla valorizzazione di esperienze lontane dal nostro usuale vissuto. Giovanni Miani, frutto della sua prima esplorazione alla ricerca delle sorgenti del Nilo (1859-60), o di quella etnografica e naturalistica di Giuseppe De Reali, formatasi tra il 1898 e il 1929 durante le spedizioni di caccia grossa in Africa orientale ed equatoriale, o ancora, quella, altrettanto straordinaria, di Giancarlo Ligabue, grande figura di esploratore moderno.
Le sue collezioni permanenti custodiscono, infatti, preziose raccolte di grandi esploratori del passato alla scoperta di terre sconosciute: è il caso di quella etnologica del veneziano
Allestita al piano terra nella Galleria dei cetacei e realizzata con il coordinamento di Mauro Bon e Luca Mizzan, la mostra è composta da cinquantadue pannelli stampati su tela ed è suddivisa in otto sezioni, che raccontano i cham, ovvero le danze rituali eseguite dai monaci buddhisti e da quelli appartenenti al Bon, l'antica religione autoctona del Tibet.
Tutte le fasi di queste coreografie sono scandite dal suono di un'orchestra monastica, la cui composizione può variare da cinque elementi a oltre una ventina; gli strumenti usati sono per lo più i cembali (rolmo), i tamburi a manico (nga), le trombe telescopiche (dung-chen) e quelle corte (gya-ling).
La danza rituale fa parte dell'addestramento interiore del praticante e comprende anche meditazioni, visualizzazioni ed elaborate tecniche di concentrazione. Il cham si può, dunque, definire, sia pure con una certa libertà di linguaggio, una sorta di meditazione in movimento.
Per suo tramite il danzatore -come appare chiaramente anche dalle splendide immagini immortalate da Giampietro Mattolin- aiutato dalla musica, da apposite preghiere e dal simbolismo dei costumi che indossa, entra in un rapporto diretto con la divinità che rappresenta. Ogni danzatore esegue, dunque, la danza di un ben preciso personaggio del pantheon tantrico e con esso stabilisce un legame profondo.
Il monaco, grazie al potere del cham, "diventa" la divinità stessa, si identifica completamente e, tramite questa identificazione, ne acquisisce le qualità fondamentali raggiungendo così una superiore consapevolezza spirituale: è in questo stato mentale completamente purificato e trasfigurato che egli deve danzare. Attraverso la meditazione in rapporto alla divinità il praticante tantrico purifica dunque la sua intera struttura psico-fisica e quindi "protegge" quelle che vengono chiamate le tre basi: corpo, parola e mente.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Musica e orchestra. Foto di Giampietro Mattolin; [fig. 2] Che cosa è un Cham. Foto di Giampietro Mattolin; [fig. 3] Dove, quando e perché. Foto di Giampietro Mattolin
Informazioni utili
Cham. Le danze rituali del Tibet. Museo di Storia Naturale, Santa Croce 1730 – Venezia. Ingresso: ore 10.00-18.00 (biglietteria chiude un’ora prima); chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 8,00, ridotto € 5,50. Informazioni: call center 848082000(dall’Italia), +39.041.42730892 (dall’estero) o nat.mus.ve@fmcvenezia.it e info@fmcvenezia.it. Fino al 24 agosto 2014.
mercoledì 18 giugno 2014
«Cercando Conrad» tra le navi del Galata di Genova
«Alla fine di un viaggio c’è sempre un viaggio da ricominciare». Il verso di Francesco De Gregori avrebbe trovato d’accordo Joseph Conrad, romanziere di lingua inglese (ma con origini polacche), vissuto tra la seconda metà dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento, che sperimentò molte forme narrative, ma che deve la propria fama soprattutto ai racconti di viaggio e di mare, ancora oggi apprezzati per la loro straordinaria attualità e freschezza.
Alla vita avventurosa di questo scrittore vagabondo e pieno di inquietudini, che appena diciassettenne si imbarcò come marinaio semplice su una nave in partenza per le Indie occidentali e che in seguito diventò capitano di vascello per la Marina inglese, è dedicata la mostra «Cercando Conrad. Storie e navi di uno scrittore marinaio», allestita per tutta estate al Galata Museo del Mare di Genova, prima di spostarsi all’Acquario di Milano e, poi, al Museo della marineria di Cesenatico.
L’esposizione -curata da Pierangelo Campodonico, Giancarlo Costa e Massimo Rizzardini- intende ricordare i cent’anni dal passaggio dello scrittore in Italia e, nello stesso tempo, inaugura il programma di festeggiamenti per i dieci anni di attività della struttura ligure, realtà oggi gestita, con la Commenda di san Giovanni di Prè, dal Mu.Ma. – Istituzione musei del mare e della navigazione, e considerata uno dei più grandi musei marittimi del Mediterraneo, al pari di quello di Barcellona.
L’allestimento, concepito come un invito alla lettura di opere importanti per la storia della letteratura novecentesca come «Cuore di tenebra», si sviluppa al secondo piano del Galata, nelle sale che raccontano l’età della vela, dall’età di Napoleone al tramonto dei velieri, inquadrando storicamente così il contesto e l’opera dello scrittore.
Il percorso della mostra va a sovrapporsi sull’esistente, come un «gioco dell’oca», dove ogni tappa consente di scoprire la produzione letteraria e la vita di Joseph Conrad. Totem informativi raccontano la storia, la formazione, le esperienze del marinaio-scrittore; a fare da filo rosso tra di loro c’è un book carpet, ovvero una lunga striscia a pavimento che comprende copertine, titoli e pagine manoscritte delle sue opere. Mentre in casse e bauli, due elementi tipicamente marinari, sono collocate pagine significative della letteratura conradiana e prestigiose edizioni a stampa in possesso delle biblioteche cittadine «Berio» e «De Amicis».
Il percorso prosegue in una piccola sala di lettura dove è possibile sedersi comodamente su una poltrona, sfogliare uno o più libri, e farsi interrogare e affascinare dalle parole dello scrittore anglo-polacco. E, alla fine del viaggio, è possibile anche salire a bordo di un brigantino genovese, tipologia d’imbarcazione su cui Joseph Conrad navigò per oltre vent’anni. Qui le sue parole lasciano lo spazio agli oggetti e alla fisicità dell’ambiente, al racconto di una vita materiale che diventa avvolgente. È così che il cerchio si chiude: dal museo allo scrittore, dalla parola scritta all’oggetto e alla vita materiale che il museo raccoglie e conserva.
La rassegna racconta anche la Genova di Joseph Conrad. Lo scrittore visitò la città nel 1914 e vi rimase così impressionato da utilizzarla come scenario di un suo libro incompiuto, «Suspense», pubblicato postumo nel 1925. Ma il rapporto tra il capoluogo ligure e il romanziere non si limita solo a questi pochi giorni di permanenza. Joseph Conrad condivise fisicamente con la marineria dei liguri le navi, gli spazi, le rotte ma anche le avventure, le frustrazioni e i pericoli.
Tra il 1878 e il 1894 lo scrittore navigò, infatti, su velieri inglesi che i genovesi conoscevano molto bene, ospitandoli spesso in porto ed acquistandoli quando venivano posti in vendita dai loro armatori. Si spiega così come il «Narcissus», reso celebre dal racconto «Il negro del Narcissus», si ritroverà a Camogli, acquistato dall’armatore Bertolotto, dove farà bella mostra di sé fino al compimento del suo destino quando si infrangerà su una costa deserta del Brasile.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Joseph Conrad a bordo del Tuscania da Glasgow a New York, aprile 1923; [figg, 2, 3 e 4] Allestimento della mostra «Cercando Conrad. Storie e navi di uno scrittore marinaio» al Galata di Genova. Foto: Merlo Fotografia
Informazioni utili
«Cercando Conrad. Storie e navi di uno scrittore marinaio». Galata Museo del Mare, Calata de Mari – Darsena di Genova. Orari: ore 10.00-19.30 (ultimo ingresso ore 18.00). Ingresso: adulti € 12,00; ridotto € 10,00; ragazzi € 7,00; gruppi € 9,00; scuole € 5,50. Informazioni: tel. 010.2345655 o accoglienza@galatamuseodelmare.it. Sito internet: www.galatamuseodelmare.it. Fino al 12 ottobre 2014.
Alla vita avventurosa di questo scrittore vagabondo e pieno di inquietudini, che appena diciassettenne si imbarcò come marinaio semplice su una nave in partenza per le Indie occidentali e che in seguito diventò capitano di vascello per la Marina inglese, è dedicata la mostra «Cercando Conrad. Storie e navi di uno scrittore marinaio», allestita per tutta estate al Galata Museo del Mare di Genova, prima di spostarsi all’Acquario di Milano e, poi, al Museo della marineria di Cesenatico.
L’esposizione -curata da Pierangelo Campodonico, Giancarlo Costa e Massimo Rizzardini- intende ricordare i cent’anni dal passaggio dello scrittore in Italia e, nello stesso tempo, inaugura il programma di festeggiamenti per i dieci anni di attività della struttura ligure, realtà oggi gestita, con la Commenda di san Giovanni di Prè, dal Mu.Ma. – Istituzione musei del mare e della navigazione, e considerata uno dei più grandi musei marittimi del Mediterraneo, al pari di quello di Barcellona.
L’allestimento, concepito come un invito alla lettura di opere importanti per la storia della letteratura novecentesca come «Cuore di tenebra», si sviluppa al secondo piano del Galata, nelle sale che raccontano l’età della vela, dall’età di Napoleone al tramonto dei velieri, inquadrando storicamente così il contesto e l’opera dello scrittore.
Il percorso della mostra va a sovrapporsi sull’esistente, come un «gioco dell’oca», dove ogni tappa consente di scoprire la produzione letteraria e la vita di Joseph Conrad. Totem informativi raccontano la storia, la formazione, le esperienze del marinaio-scrittore; a fare da filo rosso tra di loro c’è un book carpet, ovvero una lunga striscia a pavimento che comprende copertine, titoli e pagine manoscritte delle sue opere. Mentre in casse e bauli, due elementi tipicamente marinari, sono collocate pagine significative della letteratura conradiana e prestigiose edizioni a stampa in possesso delle biblioteche cittadine «Berio» e «De Amicis».
Il percorso prosegue in una piccola sala di lettura dove è possibile sedersi comodamente su una poltrona, sfogliare uno o più libri, e farsi interrogare e affascinare dalle parole dello scrittore anglo-polacco. E, alla fine del viaggio, è possibile anche salire a bordo di un brigantino genovese, tipologia d’imbarcazione su cui Joseph Conrad navigò per oltre vent’anni. Qui le sue parole lasciano lo spazio agli oggetti e alla fisicità dell’ambiente, al racconto di una vita materiale che diventa avvolgente. È così che il cerchio si chiude: dal museo allo scrittore, dalla parola scritta all’oggetto e alla vita materiale che il museo raccoglie e conserva.
La rassegna racconta anche la Genova di Joseph Conrad. Lo scrittore visitò la città nel 1914 e vi rimase così impressionato da utilizzarla come scenario di un suo libro incompiuto, «Suspense», pubblicato postumo nel 1925. Ma il rapporto tra il capoluogo ligure e il romanziere non si limita solo a questi pochi giorni di permanenza. Joseph Conrad condivise fisicamente con la marineria dei liguri le navi, gli spazi, le rotte ma anche le avventure, le frustrazioni e i pericoli.
Tra il 1878 e il 1894 lo scrittore navigò, infatti, su velieri inglesi che i genovesi conoscevano molto bene, ospitandoli spesso in porto ed acquistandoli quando venivano posti in vendita dai loro armatori. Si spiega così come il «Narcissus», reso celebre dal racconto «Il negro del Narcissus», si ritroverà a Camogli, acquistato dall’armatore Bertolotto, dove farà bella mostra di sé fino al compimento del suo destino quando si infrangerà su una costa deserta del Brasile.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Joseph Conrad a bordo del Tuscania da Glasgow a New York, aprile 1923; [figg, 2, 3 e 4] Allestimento della mostra «Cercando Conrad. Storie e navi di uno scrittore marinaio» al Galata di Genova. Foto: Merlo Fotografia
Informazioni utili
«Cercando Conrad. Storie e navi di uno scrittore marinaio». Galata Museo del Mare, Calata de Mari – Darsena di Genova. Orari: ore 10.00-19.30 (ultimo ingresso ore 18.00). Ingresso: adulti € 12,00; ridotto € 10,00; ragazzi € 7,00; gruppi € 9,00; scuole € 5,50. Informazioni: tel. 010.2345655 o accoglienza@galatamuseodelmare.it. Sito internet: www.galatamuseodelmare.it. Fino al 12 ottobre 2014.
martedì 17 giugno 2014
«The Bridging Colours. White», la danza coreana va in scena a Venezia
I rituali degli sciamani coreani si incontrano con le suggestioni della danza contemporanea. Succede a Venezia, sull’Isola di San Giorgio Maggiore, dove l’Istituto di studi musicali comparati presenta la prima assoluta dello spettacolo «The Bridging Colours. White», dal noto coreografo Cho Yong Min, direttore della piattaforma di danza A+M (Asia Movement), che vede in scena anche la compagnia Pyung-In e l’ensemble di musica tradizionale coreana Nol Eum Pane. L’appuntamento, fissato per le ore 19 di mercoledì 18 giugno, si inserisce nel programma del seminario «La performance musicale: un approccio comparato» (18-19 giugno), coordinato da Gianmario Borio e Giovanni Giuriati, con la collaborazione dell’Ahrc Research Center for Musical Performance as Creative Practice, diretto da John Rink all’Università di Cambridge.
In una combinazione di musica e danza tradizionale coreane, derivate dai rituali degli sciamani locali, e coreografie contemporanee di Yong Min Cho, lo spettacolo esplora la simbologia del colore bianco, primo dei cinque colori tradizionali coreani (bianco, nero, rosso, blu e giallo). Ciascun colore è legato a una particolare simbolica, a sua volta connessa alle cinque direzioni, agli elementi e molteplici altri valori. In particolare, il bianco è associato all’Occidente, al metallo, alla castità, alla verità, all’innocenza e alla morte.
Nella prima parte dello spettacolo, dedicata alla tradizione, tre danzatori accompagnati dal suono di strumenti tipici come lo aiaeng (cetra a sette corde), il daegeum (flauto traverso), lo janggu (tamburo a clessidra), lo jing (gong) e il taepyongso (oboe), svolgeranno un’azione coreografica rivolta alla convocazione di uno spirito (un’anima), alla ricerca di una possibile riconciliazione che preceda il congedo, e così il ripristino della pace.
Le coreografie Salpuri Chum, Gijun Chum e Gopuri condurranno alla seconda parte dello spettacolo, concepita come una compenetrazione di musica tradizionale e danza contemporanea, nella quale non ci si dedicherà soltanto allo spirito (l’anima), ma ad una più profonda comprensione dei sensi umani e dello spazio, attraverso i ritmi delicati e la profondità del movimento, ai quali faranno da accompagnamento le note dell’ensemble Nol Eum Pan.
Tutti gli abiti di scena sono stati prodotti da Re;Code, fashion design brand nato in Corea del Sud, con base a Seoul ed interamente prodotto in Corea. Il marchio, già noto, promuove lo sviluppo di network tra designer indipendenti, uniti dal desiderio di creare attraverso l’utilizzo di materiali di riciclo e a basso impatto ambientale, facendo dell’eco-sostenibilità la sua la filosofia. Realizzando capi dal design unico (prodotti da uno ad un massimo di venti pezzi per ogni modello) tramite materiali di scarto, la moda ed il semplice re cycling, Re;Code abbraccia un nuovo scopo: creare un ciclo di consumo che riduca gli sprechi, promuovendo così una cultura per la valorizzazione dell’ambiente.
L’evento, a ingresso gratuito fino ad esaurimento dei posti disponibili, si inserisce nel seminario «La performance musicale: un approccio comparato», che vedrà al tavolo dei relatori Marco Lutzu della Ca' Foscari di Venezia, John Rink dell'università di Cambride, Francesco Giannattasio della Sapienza di Roma e Ingrid Pustijanic dell'ateneo di Pavia.
Didascalie delle foto
[Fig.1] Johmm Yong Min, direttore della piattaforma di danza A+M (Asia Movement). Foto: Mauro Valle; [fig. 2] Abiti per lo spettacolo «The Bridging Colours. White»; [fig. 3] Ensemble di musica tradizionale coreana Nol Eum Pane.
Informazioni utili
«The Bridging Colours. White». Isola di San Giorgio Maggiore – Venezia. Mercoledì 18 giugno, ore 19.00. Ingresso libero fino ad esaurimento dei posti disponibili. Informazioni: Istituto interculturale di studi musicali comparati, tel. 041.2710357, fax 041.5238540, musica.comparata@cini.it. Sito internet: www.cini.it.
In una combinazione di musica e danza tradizionale coreane, derivate dai rituali degli sciamani locali, e coreografie contemporanee di Yong Min Cho, lo spettacolo esplora la simbologia del colore bianco, primo dei cinque colori tradizionali coreani (bianco, nero, rosso, blu e giallo). Ciascun colore è legato a una particolare simbolica, a sua volta connessa alle cinque direzioni, agli elementi e molteplici altri valori. In particolare, il bianco è associato all’Occidente, al metallo, alla castità, alla verità, all’innocenza e alla morte.
Nella prima parte dello spettacolo, dedicata alla tradizione, tre danzatori accompagnati dal suono di strumenti tipici come lo aiaeng (cetra a sette corde), il daegeum (flauto traverso), lo janggu (tamburo a clessidra), lo jing (gong) e il taepyongso (oboe), svolgeranno un’azione coreografica rivolta alla convocazione di uno spirito (un’anima), alla ricerca di una possibile riconciliazione che preceda il congedo, e così il ripristino della pace.
Le coreografie Salpuri Chum, Gijun Chum e Gopuri condurranno alla seconda parte dello spettacolo, concepita come una compenetrazione di musica tradizionale e danza contemporanea, nella quale non ci si dedicherà soltanto allo spirito (l’anima), ma ad una più profonda comprensione dei sensi umani e dello spazio, attraverso i ritmi delicati e la profondità del movimento, ai quali faranno da accompagnamento le note dell’ensemble Nol Eum Pan.
Tutti gli abiti di scena sono stati prodotti da Re;Code, fashion design brand nato in Corea del Sud, con base a Seoul ed interamente prodotto in Corea. Il marchio, già noto, promuove lo sviluppo di network tra designer indipendenti, uniti dal desiderio di creare attraverso l’utilizzo di materiali di riciclo e a basso impatto ambientale, facendo dell’eco-sostenibilità la sua la filosofia. Realizzando capi dal design unico (prodotti da uno ad un massimo di venti pezzi per ogni modello) tramite materiali di scarto, la moda ed il semplice re cycling, Re;Code abbraccia un nuovo scopo: creare un ciclo di consumo che riduca gli sprechi, promuovendo così una cultura per la valorizzazione dell’ambiente.
L’evento, a ingresso gratuito fino ad esaurimento dei posti disponibili, si inserisce nel seminario «La performance musicale: un approccio comparato», che vedrà al tavolo dei relatori Marco Lutzu della Ca' Foscari di Venezia, John Rink dell'università di Cambride, Francesco Giannattasio della Sapienza di Roma e Ingrid Pustijanic dell'ateneo di Pavia.
Didascalie delle foto
[Fig.1] Johmm Yong Min, direttore della piattaforma di danza A+M (Asia Movement). Foto: Mauro Valle; [fig. 2] Abiti per lo spettacolo «The Bridging Colours. White»; [fig. 3] Ensemble di musica tradizionale coreana Nol Eum Pane.
Informazioni utili
«The Bridging Colours. White». Isola di San Giorgio Maggiore – Venezia. Mercoledì 18 giugno, ore 19.00. Ingresso libero fino ad esaurimento dei posti disponibili. Informazioni: Istituto interculturale di studi musicali comparati, tel. 041.2710357, fax 041.5238540, musica.comparata@cini.it. Sito internet: www.cini.it.
lunedì 16 giugno 2014
Venezia, a Palazzo Mocenigo i ventagli dell’hotel Metropole
Aprirlo con un movimento secco è arte; dischiuderlo con lentezza e sguardi maliziosi un esercizio di stile: il ventaglio è da sempre molto più di un semplice accessorio d’abbigliamento, è un modo per comunicare in maniera pudica e riservata i propri sentimenti. Con un semplice e vanitoso battito di stecche e di tessuto, si possono, infatti, raccontare bronci e sorrisi. Lo sapevano bene le donne della corte di Maria Antonietta di Francia o quelle dell’Inghilterra vittoriana che avevano un loro invisibile codice per parlare con l’amato: un ventaglio chiuso e appoggiato al cuore significava fedeltà, uno aperto e agitato con veemenza l’impossibilità di dare seguito a una passione.
A questo piccolo e frivolo accessorio femminile, inventato dagli antichi egizi e diffusosi in Europa tra il XVII e il XVIII secolo, è dedicata la nuova mostra che la Fondazione Musei civici di Venezia promuove per tutta estate negli spazi di Palazzo Mocenigo – Centro studi di storia del tessuto e del costume, edificio recentemente oggetto di un radicale intervento di restyling realizzato con il fondamentale apporto dell’architetto e scenografo di fama internazionale Pier Luigi Pizzi, in cui vengono fedelmente riproposte le suggestioni di un’abitazione nobiliare veneziana e l’evolversi delle tendenze della moda tessile.
Nel portico del museo è visibile, fino al prossimo 14 settembre, una straordinaria selezione di ventagli antichi provenienti dalla collezione privata dell’hotel Metropole, esercizio commerciale di proprietà dal 1968 della famiglia Beggiato, ubicato all’interno di uno dei più antichi palazzi della città, affacciato sulla Riva degli Schiavoni, a pochi passi da piazza San Marco. Lo stabile, che ebbe tra i suoi ospiti più illustri Sigmund Freud, Marcel Proust e Thomas Mann, appare, infatti, per la prima volta nel 1500 in una celebre pianta di Jacopo De Barbari. La sua notorietà è, poi, dovuta soprattutto alla permanenza tra le sue mura di Antonio Vivaldi, che qui impartì lezioni di musica e compose i suoi più celebri capolavori, tra cui i «Concerti», l’«Estro armonico» e le «Quattro stagioni».
Gli oggetti esposti a Palazzo Mocenigo sono complessivamente ventiquattro e sono esempi di un antiquariato di classe che attraversa i secoli e le mode; sono stati selezionati tra i pezzi solitamente in mostra nell’albergo veneziano, all’interno delle camere e su un intero piano dove la proprietà ha ricreato una stravagante Wunderkammer, nella quale sono visibili porta-biglietti da visita dell’800, trousse da sera della Belle Epoque, insoliti cavatappi, schiaccianoci e crocifissi.
La maestosa originalità dei ventagli vanta nondimeno un Étage a sé, con più di duecento pezzi: dipinti a mano, in pizzo, seta, tartaruga, madreperla, ma anche eclettici in piuma di struzzo, che ne rappresentano la collezione forse più stravagante.
Considerato soprattutto per uso aristocratico ed artistico, con immagini dipinte sia sulla pagina che sulle montature, questo accessorio ha rappresentato per lungo tempo un oggetto indispensabile per le dame della classe superiore che lo usavano come mezzo per proclamare il proprio status e la propria femminilità. Ma il ventaglio non è solo un manufatto vezzoso e bello da vedere, è anche una testimonianza di mode passate, un accessorio che parla un linguaggio d’altri tempi fatto di eleganza, ricercatezza e seduzione.
Per saperne di più
Apre a Venezia il museo più profumato d’Italia
Informazioni utili
Ventagli. Collezione Hotel Metropole. Palazzo Mocenigo - Centro studi di storia del tessuto e del costume, Santa Croce, 1992 - Venezia. Orari: martedì-domenica, ore 10.00–17.00 (la biglietteria chiude mezz'ora prima, alle ore 16.30); chiuso lunedì. Ingresso: intero € 8,00; ridotto € 5,50. Informazioni: call center 848082000 (dall’Italia), + 3904142730892 (dall’estero). Sito internet: mocenigo.visitmuve.it. Fino al 14 settembre 2014.
A questo piccolo e frivolo accessorio femminile, inventato dagli antichi egizi e diffusosi in Europa tra il XVII e il XVIII secolo, è dedicata la nuova mostra che la Fondazione Musei civici di Venezia promuove per tutta estate negli spazi di Palazzo Mocenigo – Centro studi di storia del tessuto e del costume, edificio recentemente oggetto di un radicale intervento di restyling realizzato con il fondamentale apporto dell’architetto e scenografo di fama internazionale Pier Luigi Pizzi, in cui vengono fedelmente riproposte le suggestioni di un’abitazione nobiliare veneziana e l’evolversi delle tendenze della moda tessile.
Nel portico del museo è visibile, fino al prossimo 14 settembre, una straordinaria selezione di ventagli antichi provenienti dalla collezione privata dell’hotel Metropole, esercizio commerciale di proprietà dal 1968 della famiglia Beggiato, ubicato all’interno di uno dei più antichi palazzi della città, affacciato sulla Riva degli Schiavoni, a pochi passi da piazza San Marco. Lo stabile, che ebbe tra i suoi ospiti più illustri Sigmund Freud, Marcel Proust e Thomas Mann, appare, infatti, per la prima volta nel 1500 in una celebre pianta di Jacopo De Barbari. La sua notorietà è, poi, dovuta soprattutto alla permanenza tra le sue mura di Antonio Vivaldi, che qui impartì lezioni di musica e compose i suoi più celebri capolavori, tra cui i «Concerti», l’«Estro armonico» e le «Quattro stagioni».
Gli oggetti esposti a Palazzo Mocenigo sono complessivamente ventiquattro e sono esempi di un antiquariato di classe che attraversa i secoli e le mode; sono stati selezionati tra i pezzi solitamente in mostra nell’albergo veneziano, all’interno delle camere e su un intero piano dove la proprietà ha ricreato una stravagante Wunderkammer, nella quale sono visibili porta-biglietti da visita dell’800, trousse da sera della Belle Epoque, insoliti cavatappi, schiaccianoci e crocifissi.
La maestosa originalità dei ventagli vanta nondimeno un Étage a sé, con più di duecento pezzi: dipinti a mano, in pizzo, seta, tartaruga, madreperla, ma anche eclettici in piuma di struzzo, che ne rappresentano la collezione forse più stravagante.
Considerato soprattutto per uso aristocratico ed artistico, con immagini dipinte sia sulla pagina che sulle montature, questo accessorio ha rappresentato per lungo tempo un oggetto indispensabile per le dame della classe superiore che lo usavano come mezzo per proclamare il proprio status e la propria femminilità. Ma il ventaglio non è solo un manufatto vezzoso e bello da vedere, è anche una testimonianza di mode passate, un accessorio che parla un linguaggio d’altri tempi fatto di eleganza, ricercatezza e seduzione.
Per saperne di più
Apre a Venezia il museo più profumato d’Italia
Informazioni utili
Ventagli. Collezione Hotel Metropole. Palazzo Mocenigo - Centro studi di storia del tessuto e del costume, Santa Croce, 1992 - Venezia. Orari: martedì-domenica, ore 10.00–17.00 (la biglietteria chiude mezz'ora prima, alle ore 16.30); chiuso lunedì. Ingresso: intero € 8,00; ridotto € 5,50. Informazioni: call center 848082000 (dall’Italia), + 3904142730892 (dall’estero). Sito internet: mocenigo.visitmuve.it. Fino al 14 settembre 2014.
venerdì 13 giugno 2014
«Di fiore in foglio», a villa Carlotta va in scena la pittura botanica di Angela Petrini
Non c‘è cornice migliore di villa Carlotta, dimora del tardo Seicento affacciata sul lago di Como e nota per il suo vasto parco con una stupefacente fioritura primaverile di rododendri e di azalee in oltre centocinquanta varietà, per la mostra di pittura botanica contemporanea «Di fiore in foglio».
L’esposizione, in programma da venerdì 13 a domenica 29 giugno, allinea quaranta tavole di Angela Petrini, realizzate con la tecnica dell’acquerello. Si tratta di opere frutto di un’attenta osservazione scientifica ed esito eccellente di una pratica artistica lunga e faticosa, ma necessaria a rendere i colori, le trasparenze e le innumerevoli consistenze dei tessuti vegetali.
Accanto a ritratti di fiori e piante noti, ricorrenti nei nostri giardini e boschi, è presente lungo il percorso espositivo una serie di tavole sugli alberi esotici fioriferi d’Italia, recentemente premiata con la Silver Gilt Medal dalla Royal Horticultural Society, all’ultima edizione dell’RHS Orchid & Botanical Art Show di Londra. In questi disegni, che hanno nel visitatore un impatto simile a quello di un’immagine fotografica tanto è dettagliato il soggetto raffigurato, sono impressi sulla carta elementi vegetali presenti in prestigiosi e storici orti e giardini botanici del nostro Paese come quelli di Padova, Palermo e Torino.
Perfezione stilistica e attenzione per i dettagli, ovvero rigore scientifico, si uniscono, dunque, al gusto del bello e alla dedizione nei confronti della natura in questa mostra che permette al pubblico di venire a conoscenza di un’arte nuova e poco diffusa, seppur di antiche origini, come quella della pittura botanica, da sempre a servizio della scienza e degli appassionati del mondo vegetale.
L’artista novarese Angela Petrini, presidente dell’associazione pittori botanici «Floraviva» e Associated Member della britannica «Society of Botanical Artists» (dove ha ottenuto il diploma con lode), si dedica da molto tempo a raccontare le bellezza della natura, ritraendo le piante dal vero, in grandezza naturale e in modo scientifico. Un lungo lavoro, il suo, che non è mai semplice riproduzione perché la realizzazione di un disegno dura mesi, il fiore ritratto un giorno. Quelle in mostra sono, infatti, copie eseguite ad vivum, dove il risultato finale è una sintesi delle peculiarità di una specie che l’artista ha visto mutare giorno dopo giorno, ora dopo ora, cogliendone l’essenza.
Protagonisti dell’esposizione, quindi, l’arte e la scienza, il senso estetico e l’interesse botanico, con un messaggio profondamente attuale: i disegni vogliono ricordare allo spettatore la ricchezza e la varietà del nostro ambiente, stimolando il desiderio di salvaguardarlo. «In questo scenario, la divulgazione di una corretta cultura naturalistica, di cui l’immagine botanica è espressione eloquente e mezzo efficace per risvegliare uno stupore nuovo per la terra, diventa -si legge nella nota stampa- fondamentale per attuare una profonda riflessione sulla bellezza e infinita sapienza della natura».
In occasione della mostra si consiglia, inoltre, di visitare la villa, meta privilegiata di turisti provenienti da tutto il mondo che ne ammirano il patrimonio floreale e quello artistico nel quale sono annoverate, tra l'altro, opere di Antonio Canova eFrancesco Hayez . In un itinerario tra antichi esemplari di camelie, cedri e sequoie secolari, platani immensi e essenze esotiche, è nel parco della dimora che si susseguono gli incontri più sorprendenti: il giardino roccioso, la valle delle felci, il bosco dei rododendri, il giardino dei bambù, il museo degli attrezzi agricoli e straordinari scorci che ben giustificano la fama di questo luogo, fin dall'Ottocento considerato «un angolo di paradiso».
Informazioni utili
«Di fiore in foglio», mostra personale di Angela Petrini. Villa Carlotta, via Regina, 2 - Tremezzo (Como). Orari: 9.00-19.30 (la biglietteria chiude alle ore 18.00, il museo alle ore 18.30). Ingresso (museo, mostra e parco botanico): intero € 9,00, over 65 € 7,00, studenti € 5,00, bambini (dagli 0 aio 5 anni) gratuito. Servizi: Bar-caffetteria; Spazio pic-nic; Book-shop, ascensore interno e esterno. Informazioni: tel. (+39)0344.40405 o segreteria@villacarlotta.it. Sito internet: www.villacarlotta.it. Dal 13 al 29 giugno 2014.
L’esposizione, in programma da venerdì 13 a domenica 29 giugno, allinea quaranta tavole di Angela Petrini, realizzate con la tecnica dell’acquerello. Si tratta di opere frutto di un’attenta osservazione scientifica ed esito eccellente di una pratica artistica lunga e faticosa, ma necessaria a rendere i colori, le trasparenze e le innumerevoli consistenze dei tessuti vegetali.
Accanto a ritratti di fiori e piante noti, ricorrenti nei nostri giardini e boschi, è presente lungo il percorso espositivo una serie di tavole sugli alberi esotici fioriferi d’Italia, recentemente premiata con la Silver Gilt Medal dalla Royal Horticultural Society, all’ultima edizione dell’RHS Orchid & Botanical Art Show di Londra. In questi disegni, che hanno nel visitatore un impatto simile a quello di un’immagine fotografica tanto è dettagliato il soggetto raffigurato, sono impressi sulla carta elementi vegetali presenti in prestigiosi e storici orti e giardini botanici del nostro Paese come quelli di Padova, Palermo e Torino.
Perfezione stilistica e attenzione per i dettagli, ovvero rigore scientifico, si uniscono, dunque, al gusto del bello e alla dedizione nei confronti della natura in questa mostra che permette al pubblico di venire a conoscenza di un’arte nuova e poco diffusa, seppur di antiche origini, come quella della pittura botanica, da sempre a servizio della scienza e degli appassionati del mondo vegetale.
L’artista novarese Angela Petrini, presidente dell’associazione pittori botanici «Floraviva» e Associated Member della britannica «Society of Botanical Artists» (dove ha ottenuto il diploma con lode), si dedica da molto tempo a raccontare le bellezza della natura, ritraendo le piante dal vero, in grandezza naturale e in modo scientifico. Un lungo lavoro, il suo, che non è mai semplice riproduzione perché la realizzazione di un disegno dura mesi, il fiore ritratto un giorno. Quelle in mostra sono, infatti, copie eseguite ad vivum, dove il risultato finale è una sintesi delle peculiarità di una specie che l’artista ha visto mutare giorno dopo giorno, ora dopo ora, cogliendone l’essenza.
Protagonisti dell’esposizione, quindi, l’arte e la scienza, il senso estetico e l’interesse botanico, con un messaggio profondamente attuale: i disegni vogliono ricordare allo spettatore la ricchezza e la varietà del nostro ambiente, stimolando il desiderio di salvaguardarlo. «In questo scenario, la divulgazione di una corretta cultura naturalistica, di cui l’immagine botanica è espressione eloquente e mezzo efficace per risvegliare uno stupore nuovo per la terra, diventa -si legge nella nota stampa- fondamentale per attuare una profonda riflessione sulla bellezza e infinita sapienza della natura».
In occasione della mostra si consiglia, inoltre, di visitare la villa, meta privilegiata di turisti provenienti da tutto il mondo che ne ammirano il patrimonio floreale e quello artistico nel quale sono annoverate, tra l'altro, opere di Antonio Canova e
Informazioni utili
«Di fiore in foglio», mostra personale di Angela Petrini. Villa Carlotta, via Regina, 2 - Tremezzo (Como). Orari: 9.00-19.30 (la biglietteria chiude alle ore 18.00, il museo alle ore 18.30). Ingresso (museo, mostra e parco botanico): intero € 9,00, over 65 € 7,00, studenti € 5,00, bambini (dagli 0 aio 5 anni) gratuito. Servizi: Bar-caffetteria; Spazio pic-nic; Book-shop, ascensore interno e esterno. Informazioni: tel. (+39)0344.40405 o segreteria@villacarlotta.it. Sito internet: www.villacarlotta.it. Dal 13 al 29 giugno 2014.
mercoledì 11 giugno 2014
Venezia, una veranda di luce per il nuovo Peggy Guggenheim Cafè
In una città d’arte come Venezia, da visitare a piedi e con spazi espositivi disseminati per quasi ogni calle e campiello, la ristorazione museale è diventata un capitolo importante e non trascurabile per valutare l’offerta proposta. Dal Dogana Cafè al bar di Palazzo Grassi, dal ristorante «Qcoffee» della Fondazione Querini Stampalia (disegnato da Mario Botta) alla caffetteria di Palazzo Grimani, sono tanti i posti dove concedersi una pausa, sorseggiando un caffè o spiluccando un tramezzino.
Tra i locali più intriganti di Venezia c’è senz’altro il Museum Café della Collezione Peggy Guggenheim che, in occasione della Biennale di Architettura, si presenta con un look completamente rinnovato.
Collocato sul lato interno di Palazzo Venier dei Leoni, il bar-bistrot trova spazio nella veranda prospiciente il giardino interno, cuore verde di quella che fu la dimora della collezionista americana Peggy Guggenheim per oltre trent’anni e che oggi è uno dei luoghi di cultura più preziosi dedicati all’arte del Novecento.
Il restyling della caffetteria, che ha visto all’opera lo studio Hangar Design Group per quanto riguarda il concept e la realizzazione, ha voluto dare al museo un’area relax contemporanea. Il progetto ha così enfatizzato l’elemento della luce naturale che penetra dal giardino all’interno della veranda attraverso la definizione di uno spazio pulito, dalle linee sobrie e lievi. Gli arredi di alto design, creati da Arclinea, si inseriscono con eleganza sul fondale bianco delle pareti, amplificando la luminosità dell’ambiente.
Al centro dello spazio campeggia il lampadario «Peggy», concepito specificatamente per questo luogo e realizzato dall’azienda Vistosi. In perfetto equilibrio intorno a un doppio asse, il nuovo elemento d’arredo è composto da una serie di sfere in vetro soffiato e metallo che incorporano un’idea modernista di spazio, dove la luce costituisce il punto focale dell’ambiente, interpretando la polarità cromatica del bianco e nero con la leggerezza di un segno razionale ed elegante.
Preziosi nella realizzazione del Peggy Guggenheim Café sono stati anche i contributi di Mapei e Hausbrandt che, insieme ad Hangar Design Group e Arclinea, fanno parte di Intrapresae Collezione Guggenheim, gruppo di aziende che da anni sostiene fedelmente tutte le attività del museo, condividendone la passione per l'arte e credendo nella comunicazione culturale come moderna forma di comunicazione aziendale.
A completare l’allestimento, è una serie di grandi ritratti fotografici di Peggy Guggenheim che offrono al visitatore uno sguardo intimo sulla vita della grande collezionista che abitò all’interno di questi spazi dal 1948 fino alla sua morte, avvenuta nel 1979. Un tributo, questo, alla memoria della sua figura carismatica, così determinante per la storia dell’arte del Novecento.
Informazioni utili
Peggy Guggenheim Café. Palazzo Venier dei Leoni, Dorsoduro 701 I- Venezia. Informazioni: tel. 041.2405411 o info@guggenheim-venice.it.
Tra i locali più intriganti di Venezia c’è senz’altro il Museum Café della Collezione Peggy Guggenheim che, in occasione della Biennale di Architettura, si presenta con un look completamente rinnovato.
Collocato sul lato interno di Palazzo Venier dei Leoni, il bar-bistrot trova spazio nella veranda prospiciente il giardino interno, cuore verde di quella che fu la dimora della collezionista americana Peggy Guggenheim per oltre trent’anni e che oggi è uno dei luoghi di cultura più preziosi dedicati all’arte del Novecento.
Il restyling della caffetteria, che ha visto all’opera lo studio Hangar Design Group per quanto riguarda il concept e la realizzazione, ha voluto dare al museo un’area relax contemporanea. Il progetto ha così enfatizzato l’elemento della luce naturale che penetra dal giardino all’interno della veranda attraverso la definizione di uno spazio pulito, dalle linee sobrie e lievi. Gli arredi di alto design, creati da Arclinea, si inseriscono con eleganza sul fondale bianco delle pareti, amplificando la luminosità dell’ambiente.
Al centro dello spazio campeggia il lampadario «Peggy», concepito specificatamente per questo luogo e realizzato dall’azienda Vistosi. In perfetto equilibrio intorno a un doppio asse, il nuovo elemento d’arredo è composto da una serie di sfere in vetro soffiato e metallo che incorporano un’idea modernista di spazio, dove la luce costituisce il punto focale dell’ambiente, interpretando la polarità cromatica del bianco e nero con la leggerezza di un segno razionale ed elegante.
Preziosi nella realizzazione del Peggy Guggenheim Café sono stati anche i contributi di Mapei e Hausbrandt che, insieme ad Hangar Design Group e Arclinea, fanno parte di Intrapresae Collezione Guggenheim, gruppo di aziende che da anni sostiene fedelmente tutte le attività del museo, condividendone la passione per l'arte e credendo nella comunicazione culturale come moderna forma di comunicazione aziendale.
A completare l’allestimento, è una serie di grandi ritratti fotografici di Peggy Guggenheim che offrono al visitatore uno sguardo intimo sulla vita della grande collezionista che abitò all’interno di questi spazi dal 1948 fino alla sua morte, avvenuta nel 1979. Un tributo, questo, alla memoria della sua figura carismatica, così determinante per la storia dell’arte del Novecento.
Informazioni utili
Peggy Guggenheim Café. Palazzo Venier dei Leoni, Dorsoduro 701 I- Venezia. Informazioni: tel. 041.2405411 o info@guggenheim-venice.it.
lunedì 9 giugno 2014
A Pesaro una Notte bianca (anzi due) a misura di bambino
Filo rosso di questa quinta edizione della manifestazione è l’arte del volo. Ecco così che la patria di Gioachino Rossini, nota per le sue spiagge vellutate che da anni ottengono l’ambito riconoscimento della Bandiera blu, diventerà per due giorni una vera e propria «città volante», dove acrobati e trapezisti daranno vita ai loro mirabolanti esercizi di sospensione tra cielo e terra.
A tenere a battesimo la manifestazione saranno le Winx, le fatine dalle ali magiche, tanto amate dai bambini, che venerdì 13 giugno, alle 18, saliranno sul palco di piazza del Popolo per inaugurare il loro villaggio, nel quale sarà possibile partecipare a laboratori di giochi e colori, ma anche vincere un Cinebirthday Winx, ovvero una specialissima festa di compleanno, in uno dei cinema Giometti, in compagnia di Bloom, Flora, Stella, Aisha, Musa e Tecna.
Guest star della manifestazione sarà il funambolo-filosofo Andrea Loreni, un uomo che ha fatto della vertigine e della ricerca di equilibrio il proprio mestiere e che è stato protagonista di esaltanti traversate su filo d’acciaio come quelle che l’hanno visto camminare sul fiume Po, sulla piazza Maggiore di Bologna e tra le rocche riminesi di Penna e Billi. A Pesaro «l’artista che passeggia nel cielo» attraverserà, nella serata di sabato 14 giugno (intorno alle ore 22.45), piazza del Popolo su un filo sospeso tra due estremità. Si chiuderà così La ½ notte bianca dei bambini, a cui fa da sottotitolo la frase «Vola solo chi osa farla» di Luis Sepúlveda, che vedrà esibirsi nel pomeriggio di venerdì 13 giugno, dalle 18.30 alle 21.30, anche il duo artistico formato da Erica Fierro e Urana Marchesini, protagoniste di uno spettacolo di danza acrobatica che ridisegnerà il confine tra i contorni architettonici e il cielo, quasi a riconsegnare senso a ciò che spesso non osserviamo fagocitati dall’abitudine e dalla quotidianità.
In piazza del Popolo, un vero e proprio «palcoscenico artistico a tre dimensioni», sarà possibile vedere anche una performance di tessuti aerei a cura di Maurizia Lacqua (sabato 14, ore 22.30), uno spettacolo di magia e giocoleria volante di Officina Korù (venerdì 13, ore 22.15) e l’esibizione dei Flying Circus che, con la rappresentazione «Codice del volo»(sabato 14, ore 19.15 e ore 21.30), riproporranno ai più piccoli (ma anche agli adulti) l’interrogativo sempre affascinante sul perché l’uomo voglia volare e parleranno del giovane Leonardo da Vinci e del suo progetto «Il grande Nibbio».
Andandando a caccia dei tanti palloncini colorati sospesi nel cielo di Pesaro, segnaletica scelta dagli organizzatori per indicare le varie location del festival, si potrà, poi, rimanere incantati dai vari spettacoli di bolle di sapone che il mago Billy Bolla proporrà in via Rossini, realizzare colorati aquiloni in piazza della Libertà, divertirsi con il Truccabimbi in via Branca, assaggiare le prelibatezze dello street food in via San Francesco o, ancora, creare farfalle colorate ed esotici origami dalle mille forme in piazza delle Erbe.
La ½ notte bianca dei bambini proporrà, inoltre, un articolato omaggio a Hayao Miyazaki, uno dei maestri mondiali dell'animazione a cui si devono successi come «Le avventure di Lupin III», film del quale ha curato la regia, o «Heidi» e «Anna dei capelli rossi», serie televisive che lo hanno visto all’opera nella realizzazione delle scenografie.
La manifestazione pesarese dedicherà al fumettista giapponese due spazi: il primo in via Passeri con un allestimento scenografico pensato proprio per godersi al meglio le sue opere; il secondo a palazzo Gradari, dove saranno proiettati i film «Porco Rosso» (venerdì 13, ore 21), che narra le avventure di un pilota di caccia dal volto di maiale, e «Il castello errante di Howl» (sabato 14, ore 21), tratto da un libro di Diana Wynne Jones e presentato nel 2004, alla 61ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia.
Tanti, dunque, gli eventi organizzati per questa inedita Notte bianca a misura di bambino, in programma per due giorni dalle 18 alle 23, che permetterà anche agli adulti di vivere la città in maniera inedita, con il naso all’insù e toccando il cielo con un dito grazie a funamboliche esibizioni che lasceranno tutti con il fiato sospeso.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Aquiloni; [fig. 2] Ritratto di Erica Fierro; [fig. 3] Una performance di Flying Circus; [fig.4] Una performance di Andrea Loreni; [fig. 5] Una scena di un laboratorio di origami per bambini
Informazioni utili
La ½ Notte Bianca dei Bambini. Pesaro, sedi varie. Orari: venerdì 13 e sabato 14 giugno, ore 18.00-23.00. Informazioni: Città di Pesaro - Unità organizzativa Turismo, tel 0721.387101/102/103, turismo@comune.pesaro.pu.it o redazioneturismo@comune.pesaro.pu.it. Sito web: www.mezzanottebiancadeibambini.it.
venerdì 6 giugno 2014
Festival per Dire, l’arte del racconto trova casa a Testaccio
«Più festival che scandali, ed è tutto dire»: con questo titolo ironico Beppe Severgnini raccontava nei giorni scorsi, in un suo articolo per la rubrica «Italians» del «Corriere della Sera», la passione tutta italiana di riunirsi in nome della cultura.
Dal viaggio alla letteratura, dal teatro al giornalismo: non c'è città del nostro Paese che, nel ricordo di un suo concittadino illustre o per valorizzare il proprio patrimonio artistico, non si faccia tentare dall'idea di promuovere un festival.
Tra gli ultimi nati c'è quello di Bea - Branded Entertainment & Arts, società di comunicazione pubblicitaria che si occupa della produzione di contenuti culturali e d’intrattenimento per la creative community KleinRusso: il Festival per Dire.
La rassegna, i cui appuntamenti saranno tutti a ingresso gratuito, nasce da un’idea di Fabrizio Russo e dall’esperienza del BeaCafé, il caffè letterario di via Giano Parrasio, tra Trastevere e Monteverde vecchio, condotto e coordinato da Andrea Ballarini, che da circa un anno, ogni giovedì, rappresenta un vero crocevia di autori e artisti.
Sabato 7 e domenica 8 giugno a Testaccio, negli spazi del centro di produzione culturale «La Pelanda», i riflettori saranno così puntati sull'affabulazione, sul racconto dal vivo, sulle storie vissute o semplicemente immaginate.
Per questa prima edizione, patrocinata dall’Assessorato alla cultura, creatività e promozione artistica di Roma Capitale, la rassegna può contare sulla presenza di ospiti illustri, a cominciare dal bolognese Stefano Benni che parlerà della sua conoscenza enciclopedica degli animali esotici e di come nascono i suoi menù fantasmagorici. A seguire, i ragazzi del Centro sperimentale di cinematografia proporranno una lettura teatrale a più voci in cui, attraverso le memorie di illustri cinematografari, si ripercorrerà quel momento indimenticabile che il cinema italiano ha vissuto da dopo la guerra fino agli anni Settanta. Seguirà, quindi, un incontro con Valeria Merilini, una delle più importanti restauratrici italiane che ha già al suo attivo il restauro di tre opere del Caravaggio. I giornalisti e scrittori Claudio Cerasa e Michele Masneri parleranno, poi, della politica italiana da dietro le quinte; mentre l’illustratore Filippo Scòzzari racconterà l’esperienza de «Il Male», giornale che ha cambiato per sempre il linguaggio della satira con le sue opere irriverenti e piene di poesia.
Nella giornata di sabato 7 giugno sarà ospite del festival anche lo scrittore Andrea Villani con un monologo teatrale dedicato alla figura romantica e guascona di Luciano Lutring, il solista del mitra. A seguire, la scena sarà occupata dal popolare artista toscano David Riondino, il cui estro affabulatore sarà declinato in vari campi: dall’improvvisazione in rima alla canzone d’autore, dal cabaret al monologo. Spazio, quindi, alle suadenti note del jazz in attesa del breakfast di domenica 8 giugno con la scrittrice Sandra Petrignani, protagonista dell’incontro «Tutte le storie sono storie d’amore».
Gli eventi vedranno, poi, in scena gli esperti di radio Massimo Cirri e Josè Bagnarelli, lo chef Claudio Dordei, il fotografo Nadir Naldi, l’esperto di cinema Anton Giulio Onofri, lo scrittore Luca Scarlini e, per concludere, il critico Filippo La Porta, il teorico dell’innovazione Andrea Granelli e la giornalista Flavia Trupia.
Agli appassionati d’arte si segnala l’incontro con Gea Casolaro che, nella giornata di domenica 8 giugno, parlerà del suo progetto «Still here», nato durante un periodo di residenza a «La Cité Internationale des Arts» di Parigi.
Alternando lunghe camminate a piedi nelle strade parigine alla visione di centinaia di film girati nella capitale francese, l’artista ha creato la propria memoria di quei luoghi, dotandosi di ricordi non vissuti direttamente, ma introiettati attraverso le storie viste al cinema o in televisione. Grazie al ricorso a pellicole che coprono circa cento anni di storia cinematografica, Gea Casolaro ha, dunque, fatto propria la città; ha compiuto un attraversamento che riattualizza quella prerogativa tipicamente parigina della flânerie, esaltata da Baudelaire, analizzata da Benjamin e poi rinnovata da Guy Debord nell’accezione di «deriva».
A condurre il festival sarà Andrea Ballarini, romanziere e saggista, in un’ideale continuazione con le serate del BeaCafé. Ad affiancarlo nell’intero week-end ci saranno i racconti illustrati dei fumettisti Marco Corona e Luca Ralli e la voce fuori campo del giovane attore Nick Russo. Una due giorni, dunque, interessante quella proposta a Roma per «stare lontani dalla banalità del chiacchiericcio televisivo e per -spiegano gli organizzatori- riscoprire il piacere di raccontare e ascoltare».Con la certezza che «a volte una persona –lo diceva l'americano Barry Lopez- per sopravvivere ha bisogno di una storia più ancora che di cibo».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Locandina della prima edizione del Festival per Dire di Roma; [figg. 2 e 3] Un incontro al BeaCafè di Roma, il caffè letterario di via Giano Parrasio dove è nata l’idea del Festival per Dire; [fig. 4] Un frame del progetto «Still here» di Gea Casolaro; [fig. 5] Ritratto di Stefano Benni. Foto di Marco Cella; [fig. 6] Ritratto dell’illustratore Filippo Scozzari
Informazioni utili
Festival per Dire. La Pelanda – Centro di produzione culturale, piazza Orazio Giustiniani, 4 – Roma. Orari: sabato 7 giugno, dalle 10.30 alle 24; domenica 8 giugno, dalle 10.30 alle 19.30. Ingresso gratuito fino ad esaurimento dei posti disponibili. Programma: http://www.festivalperdire.com/#programma. Informazioni: Elettra Filardo, tel. 06.5880682 o info@festivalperdire.com. Sito internet: www.festivalperdire.com. Da sabato 7 a domenica 8 giugno 2014.
Dal viaggio alla letteratura, dal teatro al giornalismo: non c'è città del nostro Paese che, nel ricordo di un suo concittadino illustre o per valorizzare il proprio patrimonio artistico, non si faccia tentare dall'idea di promuovere un festival.
Tra gli ultimi nati c'è quello di Bea - Branded Entertainment & Arts, società di comunicazione pubblicitaria che si occupa della produzione di contenuti culturali e d’intrattenimento per la creative community KleinRusso: il Festival per Dire.
La rassegna, i cui appuntamenti saranno tutti a ingresso gratuito, nasce da un’idea di Fabrizio Russo e dall’esperienza del BeaCafé, il caffè letterario di via Giano Parrasio, tra Trastevere e Monteverde vecchio, condotto e coordinato da Andrea Ballarini, che da circa un anno, ogni giovedì, rappresenta un vero crocevia di autori e artisti.
Sabato 7 e domenica 8 giugno a Testaccio, negli spazi del centro di produzione culturale «La Pelanda», i riflettori saranno così puntati sull'affabulazione, sul racconto dal vivo, sulle storie vissute o semplicemente immaginate.
Per questa prima edizione, patrocinata dall’Assessorato alla cultura, creatività e promozione artistica di Roma Capitale, la rassegna può contare sulla presenza di ospiti illustri, a cominciare dal bolognese Stefano Benni che parlerà della sua conoscenza enciclopedica degli animali esotici e di come nascono i suoi menù fantasmagorici. A seguire, i ragazzi del Centro sperimentale di cinematografia proporranno una lettura teatrale a più voci in cui, attraverso le memorie di illustri cinematografari, si ripercorrerà quel momento indimenticabile che il cinema italiano ha vissuto da dopo la guerra fino agli anni Settanta. Seguirà, quindi, un incontro con Valeria Merilini, una delle più importanti restauratrici italiane che ha già al suo attivo il restauro di tre opere del Caravaggio. I giornalisti e scrittori Claudio Cerasa e Michele Masneri parleranno, poi, della politica italiana da dietro le quinte; mentre l’illustratore Filippo Scòzzari racconterà l’esperienza de «Il Male», giornale che ha cambiato per sempre il linguaggio della satira con le sue opere irriverenti e piene di poesia.
Nella giornata di sabato 7 giugno sarà ospite del festival anche lo scrittore Andrea Villani con un monologo teatrale dedicato alla figura romantica e guascona di Luciano Lutring, il solista del mitra. A seguire, la scena sarà occupata dal popolare artista toscano David Riondino, il cui estro affabulatore sarà declinato in vari campi: dall’improvvisazione in rima alla canzone d’autore, dal cabaret al monologo. Spazio, quindi, alle suadenti note del jazz in attesa del breakfast di domenica 8 giugno con la scrittrice Sandra Petrignani, protagonista dell’incontro «Tutte le storie sono storie d’amore».
Gli eventi vedranno, poi, in scena gli esperti di radio Massimo Cirri e Josè Bagnarelli, lo chef Claudio Dordei, il fotografo Nadir Naldi, l’esperto di cinema Anton Giulio Onofri, lo scrittore Luca Scarlini e, per concludere, il critico Filippo La Porta, il teorico dell’innovazione Andrea Granelli e la giornalista Flavia Trupia.
Agli appassionati d’arte si segnala l’incontro con Gea Casolaro che, nella giornata di domenica 8 giugno, parlerà del suo progetto «Still here», nato durante un periodo di residenza a «La Cité Internationale des Arts» di Parigi.
Alternando lunghe camminate a piedi nelle strade parigine alla visione di centinaia di film girati nella capitale francese, l’artista ha creato la propria memoria di quei luoghi, dotandosi di ricordi non vissuti direttamente, ma introiettati attraverso le storie viste al cinema o in televisione. Grazie al ricorso a pellicole che coprono circa cento anni di storia cinematografica, Gea Casolaro ha, dunque, fatto propria la città; ha compiuto un attraversamento che riattualizza quella prerogativa tipicamente parigina della flânerie, esaltata da Baudelaire, analizzata da Benjamin e poi rinnovata da Guy Debord nell’accezione di «deriva».
A condurre il festival sarà Andrea Ballarini, romanziere e saggista, in un’ideale continuazione con le serate del BeaCafé. Ad affiancarlo nell’intero week-end ci saranno i racconti illustrati dei fumettisti Marco Corona e Luca Ralli e la voce fuori campo del giovane attore Nick Russo. Una due giorni, dunque, interessante quella proposta a Roma per «stare lontani dalla banalità del chiacchiericcio televisivo e per -spiegano gli organizzatori- riscoprire il piacere di raccontare e ascoltare».Con la certezza che «a volte una persona –lo diceva l'americano Barry Lopez- per sopravvivere ha bisogno di una storia più ancora che di cibo».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Locandina della prima edizione del Festival per Dire di Roma; [figg. 2 e 3] Un incontro al BeaCafè di Roma, il caffè letterario di via Giano Parrasio dove è nata l’idea del Festival per Dire; [fig. 4] Un frame del progetto «Still here» di Gea Casolaro; [fig. 5] Ritratto di Stefano Benni. Foto di Marco Cella; [fig. 6] Ritratto dell’illustratore Filippo Scozzari
Informazioni utili
Festival per Dire. La Pelanda – Centro di produzione culturale, piazza Orazio Giustiniani, 4 – Roma. Orari: sabato 7 giugno, dalle 10.30 alle 24; domenica 8 giugno, dalle 10.30 alle 19.30. Ingresso gratuito fino ad esaurimento dei posti disponibili. Programma: http://www.festivalperdire.com/#programma. Informazioni: Elettra Filardo, tel. 06.5880682 o info@festivalperdire.com. Sito internet: www.festivalperdire.com. Da sabato 7 a domenica 8 giugno 2014.