venerdì 20 marzo 2015

Pollock e «Alchimia», a Venezia una mostra per scoprire come nacque la tecnica del dripping

È il 4 settembre 1947 quando Jackson Pollock scrive alla madre Stella informandola che sta usando il suo grande telaio da ricamo per realizzare un’opera d’arte. Nasce così «Alchimia», il primo capolavoro dell’artista americano realizzato con la tecnica del dripping, ovvero la tecnica dello «sgocciolamento» del colore su una tela distesa a terra.
Quell'opera, del cui lavoro di esecuzione rimane documentazione in una serie di foto di Herbert Matter scattate nell’atelier di Long Island, è stata di recente restaurata dall’Opificio delle pietre dure di Firenze ed è attualmente al centro di una mostra allestita alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia.
«Alchimia di Jackson Pollock. Viaggio all’interno della materia» è il titolo dell’esposizione, a cura di Luciano Pensabene Buemi e Roberto Bellucci, che fino al prossimo 6 aprile accompagnerà il pubblico in un viaggio sorprendente all’interno del dipinto, eccezionalmente esposto senza la teca protettiva in modo da offrire l’esatta lettura della sua complessa superficie tridimensionale e della sua ampia palette di diciannove colori.
Video, riproduzioni in 3D, touch-screen, strumenti interattivi, nonché documentazioni e oggetti storici provenienti dalla Pollock-Krasner House and Study Center di Long Island permetteranno al visitatore di avere notizie sulla tecnica esecutiva e sull’intervento di restauro, rivelando la personalità di un artista che ha combinato materiali e metodi di applicazione tradizionali con tecniche totalmente anti-convenzionali.
L’esposizione veneziana costituisce il primo, importante risultato di un più ampio progetto di studio e conservazione dedicato a dieci opere di Jackson Pollock, realizzate tra il 1942 e il 1947, oggi di proprietà collezione Peggy Guggenheim. Le tele vennero acquisite dalla stessa Peggy Guggenheim, mecenate dell’artista americano, che le espose nella propria galleria newyorkese «Art of This Century» nel corso degli anni Quaranta.
Nell’insieme queste opere rappresentano un momento cruciale nel lavoro del maestro americano, ovvero il passaggio da un linguaggio pittorico relativamente tradizionale e figurativo/astratto, a quella tecnica distintiva di versare, schizzare e sgocciolare la pittura sulla tela stesa a terra.
Nell’ambito di questo progetto, «Alchimia» è stata trasferita lo scorso dicembre nel Laboratorio dipinti dell’Opificio delle pietre dure di Firenze, per un attento studio analitico e intervento di conservazione. Qui, nel corso del 2014, è stato esaminato ogni aspetto tecnico del dipinto da un team di oltre cinquanta persone, tra studiosi, scienziati e conservatori, provenienti da diversi istituti scientifici italiani impegnati nel campo della conservazione dei beni culturali, che ha lavorato incessantemente sull’opera, con l’entusiasmo di chi per la prima volta si avvicina a un capolavoro d’arte moderna del Novecento di queste dimensioni.
L’opera è stata sottoposta in seguito a un meticoloso intervento di pulitura, particolarmente complesso a causa della ricca e stratificata superficie pittorica, costituita da smalti, resine alchidiche, colori a olio, sabbia e sassolini, il tutto combinato in un impasto denso, fatto di grumi di pittura, schizzi e sgocciolamenti.
Il lavoro di conservazione, realizzato da Luciano Pensabene Buemi con Francesca Bettini ed illustrato in mostra da un filmato realizzato dalla Web Tv del Cnr - Consiglio nazionale delle ricerche, è stato necessario per rimuovere lo strato di sporco accumulato negli anni, che aveva compromesso la leggibilità del quadro, opacizzando i colori e diminuendo lo spazio tridimensionale creato dalla tecnica innovativa di Pollock.
Questo studio ha permesso di avere informazioni nuove sul dipinto: in passato si pensava che «Alchimia» fosse stata realizzata senza un piano preciso, attraverso schizzi e colate casuali. Oggi è emerso un progetto di lavoro razionale nella stesura dei colori, un sistema di contrappunti e simmetrie, in cui le linee rette si bilanciano con quelle curve, i colori brillanti con i colori opachi, il nero con l’argento, il blu con il rosso. I sottili tratti bianchi riemersi dopo la pulitura disegnano una sorta di griglia, come se Jackson Pollock avesse avuto in mente fin dall’inizio l’architettura generale del dipinto, e avesse così diretto l’opera come fa un direttore d’orchestra con i suoi elementi.
Il team coinvolto nel progetto di ricerca -formato da studiosi dell’Opificio delle Pietre Dure, del Molab e dell’Istituto Cnr, che per l’intera durata della mostra tutti i giovedì, alle 11.30 e alle 15, incontreranno il pubblico per raccontare il loro lavoro- concorda che in un’opera così grande sarebbe stato impossibile ottenere tale risultato in modo del tutto incontrollato. È, inoltre, stato scoperto che la tela è stata realizzata con 4,6 chilogrammi di materia pittorica, una quantità enorme se paragonata a quella utilizzata per i dipinti antichi e rinascimentali delle stesse dimensioni, che ne contengono in media tra i 200 e 300 grammi.
Con questa mostra si inaugura il progetto espositivo ideato dalla collezione Peggy Guggenheim, con il patrocinio della Missione diplomatica statunitense in Italia e il prezioso sostegno della Pollock-Krasner Foundation, per omaggiare i due fratelli Pollock. Dopo la rassegna su «Alchimia», le sale di palazzo Venier dei Leoni ospiteranno, a partire dal 23 aprile, la prima tappa europea della mostra itinerante «Jackson Pollock Mural. L'energia resa visibile», curata da David Anfam, che fino al 9 novembre permetterà al pubblico di ammirare l'immenso «Murale» (1943, University of Iowa Museum of Art, Iowa City) realizzato dall'artista per l'appartamento newyorkese di Peggy Guggenheim.
Parallelamente, le sale destinate alle mostre temporanee, presenteranno, fino al 14 settembre, la prima grande retrospettiva dedicata a Charles Pollock. La mostra, curata da Philip Rylands e realizzata grazie alla collaborazione dell'archivio Pollock di Parigi, allineerà un centinaio di opere tra dipinti, materiali e documenti, in parte inediti, oltre a lettere, fotografie e schizzi che analizzeranno il rapporto tra i due fratelli. Un’occasione, questa, per gettare nuova luce su uno dei maestri dell’Action Painting.

Vedi anche
Venezia, un anno all’insegna dei fratelli Pollock alla collezione Geggenheim
Venezia, alla Guggenheim un progetto di studio su Jackson Pollock

Per saperne di più
Il filmato su «Alchimia» della Web tv Cnr 

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Jackson Pollock, «Alchimia» («Alchemy»), 1947. Olio, pittura d'alluminio (e smalto?) e spago su tela, 114,6 x 221,3 cm. Collezione Peggy Guggenheim, Venezia 76.2553 PG 150;[fig. 2] Jackson Pollock, «Alchimia» («Alchemy») - particolare, 1947. Olio, pittura d'alluminio (e smalto?) e spago su tela, 114,6 x 221,3 cm. Collezione Peggy Guggenheim, Venezia 76.2553 PG 150; [fig. 3] Il quadro «Alchimia» di Jackson Pollock all'Opificio delle pietre dure di Firenze; [fig. 4] Allestimento della mostra «Alchimia di Jackson Pollock. Viaggio all’interno della materia» alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia. Foto: Matteo De Fina

Informazioni utili 
«Alchimia di Jackson Pollock. Viaggio all’interno della materia». Collezione Peggy Guggenheim - Palazzo Venier dei Leoni,  Dorsoduro 701   – Venezia. Orari: mercoledì-lunedì, ore 10.00-18.00; chiuso il martedì. Ingresso (comprensivo della visita alla collezione permanente, alle raccolte di Hannelore B. e Rudolph B. Schulhof e Gianni Mattioli e del Giardino delle sculture Nasher): intero € 14,00; seniors oltre i 65 anni € 12,00; studenti entro i 26 anni € 8,00; bambini (0-10 anni) e soci ingresso gratuito. Prevendita on-line: http://www.vivaticket.it/index.php?nvpg[evento]&id_evento=1212198. Visite guidate: tutti i giorni, alle ore 15.30; non è necessaria la prenotazione. Informazioni: Tel. 041.2405440/419 o info@guggenheim-venice.it. Fino al 6 aprile 2015. 

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