giovedì 3 agosto 2017

«Un’eterna bellezza», al Mart di Rovereto una mostra sull’arte italiana del primo Novecento

Dopo la devastazione della Prima guerra mondiale e le rivoluzioni avanguardiste di inizio secolo nell’arte europea emerge un’esigenza di equilibrio e stabilità che prende il nome di «ritorno all’ordine»: la ribellione futurista, espressionista e cubista cede il passo alla bellezza e all’armonia del periodo simbolista fino ad approdare alla riconquista della tradizione mediterranea anche attraverso linguaggi metafisici o richiami a una «moderna classicità».
L’«aspirazione verso il concreto, il semplice e il definitivo», per usare le parole di Margherita Sarfatti, è il fondamento che nutre la poetica di numerosi artisti a cavallo tra gli anni Venti e Trenta.
Generi tradizionali quali il ritratto, la figura, il paesaggio e la natura morta sono interpretati secondo un nuovo linguaggio che declina in chiave moderna i valori dell’arte antica e rinascimentale, a cominciare dal «ritorno al mestiere», alla maestria tecnica del fare artistico inteso come strumento di restituzione e trasfigurazione del reale alla ricerca di una dimensione trasognata e senza tempo.
A questa storia guarda la mostra «Un’eterna bellezza», a cura di Beatrice Avanzi e Daniela Ferrari, allestita fino al 5 novembre negli spazi del Mart di Rovereto, dove è in corso anche una grande retrospettiva dedicata ad Armando Testa e alle sue visionarie pubblicità.
Una selezione di circa cento opere di alcuni tra i più significativi protagonisti dell’arte italiana come Carrà, Casorati, de Chirico, de Pisis, Funi, Martini, Oppi, Savinio, Severini e Sironi, molti dei quali presenti anche nelle collezioni del museo trentino, propone un percorso espositivo in sette tappe che parla del recupero della tradizione, con un occhio rivolto alle lezione di Giotto, Masaccio e Piero della Francesca.
Ad aprire la mostra, della quale rimarrà documentazione in un catalogo di Electa Editore, è un omaggio alla Metafisica, che vede il suo principale esponente in Giorgio de Chirico, autore di una poetica di rarefazione formale, di visionaria percezione della realtà, di straniante relazione tra i luoghi e le cose, attenta recupero dell’arcaismo e della pittura giottesca e rinascimentale.
Il ritorno all’antico è centrale anche nel movimento Novecento, nato a Milano nel 1922 dal sodalizio di sette artisti -Bucci, Dudreville, Funi, Malerba, Marussig, Oppi e Sironi- che fanno il proprio esordio l’anno seguente alla Galleria Pesaro di Milano, presentati da Margherita Sarfatti, e che espongono insieme alla Biennale di Venezia del 1924. Nei ritratti e nelle figure allegoriche dipinte da alcuni di questi autori, al centro della seconda sezione della mostra, l’antico è evocato dall’ambientazione ed è all’origine anche dello stile essenziale e solenne della rappresentazione, basato su un disegno accuratamente definito e su forme e volumi sintetici e maestosi.
Tra i temi al centro di questa stagione di ritorno all’ordine vi è la pittura di paesaggio con vedute urbane e luoghi della natura che affermano una piena riconquista dei valori pittorici fondati sulla tradizione.
Le architetture della periferia milanese «disegnate con il filo a piombo» da Sironi, proposte nella terza sezione della mostra, sono -si legge nella presentazione- «l’esempio più fulgido di questa capacità di rinnovare un genere pittorico, spogliandolo non solo di tutte le scomposizioni e frammentazioni avanguardiste ma anche dei residui del pittoricismo ottocentesco, approdando a una solida sintesi costruttiva».
L’esposizione roveretana permette di vedere anche le vedute di Milano e di Roma dipinte da Usellini e Donghi, oltre alle opere paesaggistiche di Carrà, nelle quali -afferma lo stesso artista- si ha una «trasformazione del paesaggio in poema pieno di spazio e di sogno».
Il percorso espositivo prosegue, quindi, con un focus sul genere della natura morta. A questo tema si dedicano con un’assiduità quasi esclusiva soprattutto de Pisis e Morandi, il primo dipingendo oggetti che paiono personaggi di una narrazione, il secondo trasformandoli, al contrario, in elementi quasi astratti. Anche Dudreville, Oppi, Donghi e Cagnaccio di San Pietro si confrontano con questo genere; nelle loro tele -si legge nella presentazione- «le cose sembrano osservate attraverso le lenti di un realismo talvolta esasperato, che per nettezza, luminosità, trasparenza e precisione nei dettagli ricorda la grande tradizione della natura morta fiamminga». Mentre le atmosfere evocate da Severini appaiono solenni e silenziose.
La mostra analizza, poi, il tema del ritratto. Un atteggiamento meditativo e malinconico, un distacco dalle cose del mondo che le circondano è ciò che si evidenzia principalmente nei soggetti raffigurati. In alcuni dipinti di Cagnaccio, Casorati, Donghi e Oppi lo «specifico tono di solitudine» delle figure, come lo definisce lo scrittore Giacomo Debenedetti, è trasposto in una dimensione incantata e sospesa, tipica del Realismo magico. In molti dei ritratti esposti si riconoscono, inoltre, scelte compositive e formali ispirate alla pittura rinascimentale, come la presenza di scorci paesaggistici inquadrati da finestre o balconi.
Anche il tema del nudo, ampiamente diffuso nella pittura italiana degli anni Venti, costituisce un’occasione di studio e di confronto con i modelli degli antichi maestri. A tal proposito le curatrici della mostra roveretana affermano: «nelle figure femminili dipinte da Casorati si legge l’eredità delle forme pure di Masaccio e Piero della Francesca; quelle di Marussig e di Celada da Virgilio discendono dalle Veneri rinascimentali di Giorgione e di Tiziano; mentre le forme opulente dei nudi di Malerba e Oppi condensano in forme sintetiche l’idea di bellezza della statuaria greca e romana».
Tra i grandi temi della tradizione riscoperti dalla pittura italiana del primo Novecento vi è, inoltre, quello della maternità, le cui radici affondano nell’arte sacra: la tela «Madre che si leva» di Virgilio Guidi, ricco di puntuali rimandi all’arte rinascimentale, e il quadro di Anselmo Bucci con una donna che allatta teneramente il suo bambino sono due esempi del genere esposti nella mostra trentina.
L’ultima sezione della rassegna, dall’atmosfera intima e introspettiva, guarda alla quotidianità e al susseguirsi delle varie età della vita esponendo ritratti di fanciulli in posa, bimbi che giocano, gruppi di famiglia e anziani genitori.
Classicità e modernità si incontrano, dunque, tra le sale del Mart per raccontare un momento storico nel quale gli artisti abbandonano le sperimentazioni avanguardiste per guardare al passato. Ma senza nostalgia, senza voglia di tornare indietro. Alla ricerca della perfezione, delle sue regole, delle armonie.

Didascalie delle immagini
[Fig.1]Felice Casorati, Ritratto di Renato Gualino, 1923-1924. Istituto Matteucci, Viareggio; [fig. 2] Giorgio de Chirico, Enigma della partenza, 1914. Fondazione Magnani Rocca, Mamiano di Traversetolo (PR); [fig. 3]Filippo de Pisis, Natura morta, 1924. Mart, Collezione L.F.; [fig. 4] Achille Funi, Saffo, 1924. Collezione privata. Courtesy Studio d’arte Nicoletta Colombo, Milano

Informazioni utili
«Un’eterna bellezza – Il canone classico nell’arte italiana del primo Novecento». Mart, Corso Bettini, 43 – Rovereto. Orari: martedì-domenica, ore 10.00–18.00; venerdì, ore 10.00-21.00; lunedì chiuso. Ingresso: intero € 11,00; ridotto gruppi, giovani dai 15 ai 26 anni e over 65 anni € 7,00, biglietto famiglia € 22,00. Informazioni e prenotazioni: numero verde 800.397760, info@mart.trento.it. Sito internet: www.mart.trento.it. Fino al 5 novembre 2017.

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