mercoledì 7 febbraio 2018

Art for Kids, alla scoperta della Commedia dell'arte

La storia delle maschere di Arlecchino e Pulcinella, che ogni anno a Carnevale escono dal baule dei ricordi per diventare realtà viva sui palcoscenici, inizia in Italia nella seconda metà del Cinquecento, ma varca presto i confini nazionali e attraversa, cambiandolo, il teatro mondiale.
A quel tempo si formano delle compagnie di attori professionisti chiamati «comici dell’arte»: sono autori, interpreti, registi dei loro spettacoli e il loro modo di fare teatro viene chiamato Commedia dell’arte (dove il termine «arte» va inteso nel significato medioevale di «mestiere») o Commedia all’italiana.
La particolarità di questo nuovo genere è la «recita a soggetto»: gli attori non interpretano cioè testi letterari o copioni del teatro classico, ma si servono di «canovacci», ovvero di semplici tracce che delineano situazioni, intrecci e finali. Questi racconti, detti anche «scenari», contengono, inoltre, l’ordine delle scene, le entrate e le uscite.
Su queste trame, gli attori improvvisano, secondo le richieste e i desideri del pubblico, dialoghi, scherzi, frizzi, lazzi e burle, dando sfogo a tutto il loro estro di ballerini, acrobati, mimi e cantanti.
Questo modo di recitare si chiama «teatro all’improvviso». Improvvisare non significa, però, «recitare a caso», ma saper sfruttare al momento giusto certe dosi teatrali e suscitare, quindi, nel pubblico divertimento e partecipazione.
Per rendere i personaggi più riconoscibili, gli attori usano costumi e maschere di cuoio sul volto, e i personaggi stessi sono detti maschere o «tipi fissi», rappresentando i caratteri della società, aspetti eterni e immutabili dell’animo umano.
Ci sono, per esempio, il vecchio avaro (Pantalone), il servo fannullone (Arlecchino o Pulcinella) e quello obbediente e astuto (Brighella), la giovane innamorata (Isabella, Flaminia o Rosalba), il pretendente alla sua mano (Leandro, Lelio o Fabrizio), il militare (capitan Spaventa o capitan Fracassa, Rugantino, Scaramouche), il dottore pedante e un po’ saccente (Balanzone), la servetta civettuola (Colombina, Corallina, Smeraldina).
Ogni maschera, di origine regionale e con un proprio dialetto, ha un proprio repertorio di battute e detti che la caratterizzano; sono, per esempio, tipiche le «tiritere» del dottor Balanzone, interminabili sproloqui senza senso, e le «smargiassate» di Capitan Spaventa, discorsi roboanti da persona vanagloriosa.
La Commedia dell’arte prende vita nelle piazze, nei mercati, nei luoghi frequentati dalla gente semplice, dove si incominciano a rappresentare situazioni che parlano dei temi della vita, come l’amore, la povertà, la tirannia del forte sul debole.
Un’altra grande novità della Commedia dell’arte è la partecipazione delle donne agli spettacoli; prima di allora le parti femminili erano affidate solo a uomini giovani.
Gli attori si riuniscono in piccole compagnie e vanno di villaggio in villaggio, cercando di mettere insieme ogni giorno il pranzo con la cena (spesso il pubblico paga il «biglietto» con uova, verdura e, nel migliore dei casi, con una gallina per il brodo).
Viaggiano su carrozzoni che di sera si trasformano in palcoscenici illuminati da lanterne magiche, usano costumi vistosi e multicolori, e la musica accompagna il loro arrivo e le loro rappresentazioni.
Dopo due secoli, verso la metà del Settecento, la Commedia dell’arte incomincia a decadere; al suo posto si sviluppa un nuovo tipo di teatro. Le commedie sono completamente scritte, per mano di un autore. Il più grande rappresentante di questo genere è Carlo Goldoni (1707-1792), autore della riforma della Commedia dell’arte, che sostituisce i tipi fissi e le maschere con i caratteri, ripresi dalla vita di tutti i giorni, il canovaccio con il testo drammaturgico. L'autore si propone di far divertire il pubblico, ma si sforza sempre di comunicare un messaggio educativo, che tende a premiare gi autentici valori umani, a porre in buona luce le classi sociali medie o basse, denunciando invece la sciocca superficialità della mentalità degli aristocratici o degli arricchiti.
La Commedia dell’arte continua, però, ad affascinare ancora il pubblico di oggi per quella sua storia magica fatta di attori girovaghi, carrozzoni con teatri smontabili, bauli pieni di bellissimi abiti di scena e maschere della tradizione. Una storia, questa, che, dalla metà del Cinquecento alla riforma goldoniana, ha visto i comici dell’arte viaggiare di città in città, di paese in paese, chiamando tutti quanti a vedere i loro spettacoli con musica vivace, sonagli e, come ricorda Francesca Rossi nel libretto «Ti conosco, mascherina», con annunci roboanti: «Tragicommedia e meraviglie, avari, guerrieri e damigelli un soldo e un cosciotto per chi si siede un pane e una pera per chi sta in piedi!».

[Questo approfondimento sulla Commedia dell'arte è stato scritto nell'ambito del laboratorio di scrittura creativa della scuola multidisciplinare di teatro «Il cantiere delle arti», promossa dall'associazione «Culturando» al cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio. Il progetto dedicato alle maschere della tradizione si chiuderà nella serata di venerdì 18 maggio con un saggio-spettacolo che vedrà salire in scena trentasei bambini e ragazzi tra i 6 e i 15 anni, iscritti ai corsi «Piccoli attori» e «Attori in erba»]

Per saperne di più 
Casalini, Angelini, Crepaldi, «Maschere – Un libro per leggere, per fare teatro, per divertirsi», Editrice Piccoli, Torino 1997; 
Gina Bellot e Viviana Benini, «Storie di maschere», Nuove edizioni romane, Roma 1980; 
Gina Bellot, «Comandi, sior paròn. Storie e storielle del Carnevale di Venezia», Nuove edizioni romane, Roma 2007; 
Vito Montemagno, «Le maschere. Caratteri, storia e costumi», Capitol, Bologna 1990; 
Carla Poesio, «Le maschere italiane», Edizioni Primavera, Firenze 1992; 
Francesca Rossi, «Ti conosco, mascherina», edizioni corsare, Spello 2011.

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