mercoledì 5 maggio 2021

#Dante700, a Firenze una call for artist per la scenografia dello spettacolo «In fuga dall’ingiusta pece»

«[…] Condannato per baratteria, frode, falsità, dolo, malizia, inique pratiche estortive, proventi illeciti, pederastia, […] a 5000 fiorini di multa, interdizione perpetua dai pubblici uffici, esilio perpetuo (in contumacia), e se lo si prende, al rogo, così che muoia». Con questa sentenza del 10 marzo 1302, racchiusa nel «Libro del Chiodo», attualmente conservato all'Archivio di Stato di Firenze, Dante Aligheri, allora appena trentasettenne, iniziava la sua vita da esule. Le accuse erano pretestuose, frutto di una vendetta per la sua attività tra i Guelfi bianchi. Ma lo scrittore, che allora si trovava a Roma per un tranello di papa Bonifacio VIII, vicino agli avversari politici del «Sommo poeta», la fazione dei Neri, che aveva preso il potere della città toscana sul finire del 1301, con il sostegno di Carlo di Valois, non rivide mai più la sua patria. L’autore della «Divina Commedia» preferì non difendersi da quella che considerava una «giustizia ingiusta»; trascorse la sua vita da esule, di corte in corte, sperimentando «come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e 'l salir per l'altrui scale» («Paradiso», canto XVII, vv. 55-60); e ancora oggi le sue spoglie mortali sono conservate a Ravenna.
Alla storia di Dante Alighieri esule sarà dedicato lo spettacolo «In fuga dall’ingiusta pece» dell’associazione culturale «Arte e arti» e della compagnia teatrale «Attori e convenuti», inserito tra il centinaio di progetti che compongono il cartellone ufficiale delle celebrazioni per i settecento anni dalla morte dello scrittore.
Il lavoro consiste in una rievocazione in forma drammaturgico-poetica della vicenda personale e processuale nella quale fu coinvolto Dante, di cui si trovano più volte richiami nella «Divina Commedia»: dall’incontro con Ciacco («Inferno», Canto VI) a quello con Farinata degli Uberti («Inferno», Canto X), dalla profezia di Brunetto Latini («Inferno», Canto XV) a quella di Corrado Malaspina («Purgatorio», Canto VIII), fino al colloquio con l’avo Cacciaguida («Paradiso», Canto XVII).
Nel titolo «In fuga dall’ingiusta pece» sono riassunti i temi trattati nello spettacolo, ovvero la condizione di esule del poeta e l'ingiustizia della  sua condanna; la pece a cui si fa riferimento è quella nella quale lo scrittore immerge, nei Canti XXI e XXII dell’«Inferno», i condannati per baratteria, il reato del quale egli fu accusato.
Nella solitudine dell’esilio, Dante riflette sul suo stato di migrante «forzato», sull’uso distorto della giustizia quale strumento per estromettere gli avversari e sulla sua scelta di non difendersi da false accuse infamanti. Il testo teatrale, che debutterà il prossimo 14 settembre a Ravenna, per poi fare tappa a Firenze e Verona, si sofferma su tutti questi aspetti ed è costituito dall'intreccio dei brani tratti dalle opere dantesche con commenti elaborati da studiosi e critici d'arte.
«In un’atmosfera tra l’onirico e il reale, - spiegano dalla compagnia fiorentina - sulla scena si materializzeranno i personaggi che hanno popolato questa tragica fase della vita di Dante e sono stati trasfigurati o citati nella sua «Commedia»: dai «neri diavoli» dei Canti XXI e XXII dell’«Inferno» - i quali assumono le sembianze dei suoi persecutori -, ai signori che lo hanno accolto e ospitato. Davanti a loro, lo scrittore da accusato si trasforma in accusatore, anche se rimarrà per sempre un confinato».
La call for artist, aperta fino al 20 giugno (informazioni all'indirizzo redazione@artearti.net), nasce con l’intento di creare una scenografia poliedrica ottenuta con la proiezione, anche simultanea, delle immagini realizzate per l’occasione dagli artisti. Il processo a Dante - evento ignorato dai pittori di ogni epoca - diventerà così un gioco caleidoscopico, nel quale le varie opere, che potranno essere realizzate con qualsiasi tecnica espressiva bidimensionale, si intersecheranno e si dissolveranno l’una nell’altra, disegnando il clima evocato dal testo.
La scelta dell’immagine per la promozione di questo concorso non è casuale ed è caduta su «Giotto dipinge il ritratto di Dante», opera del 1859 di Dante Gabriel Rossetti. «L’acquerello - raccontano gli organizzatori - rappresenta Giotto, con le fattezze dell'artista Rossetti, mentre ritrae il «Sommo poeta». Così come l'artista preraffaellita si è concesso la licenza di dare il suo volto al pittore di Vicchio, così gli artisti contemporanei sono invitati a creare una rappresentazione del processo a Dante, in totale libertà espressiva e adottando metafore, simbologie o licenze artistiche, tanto più che l’evento dell’udienza non vide la presenza dell’Alighieri».
Aldilà dei fatti storicamente accaduti, gli artisti del nostro tempo sono così chiamati a celebrare lo scrittore e la sua opera più famosa, la «Divina Commedia», figlia proprio dell’esilio.

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