venerdì 28 maggio 2021

Si apre con un omaggio a Dante la stagione estiva del teatro di Verbania

Saranno Alessio Boni e Marcello Prayer a tenere a battesimo l’estate culturale di Verbania. Sabato 5 giugno al Centro eventi multifunzionale «Il Maggiore» andrà in scena «Anima smarrita», concertato a due su Dante Alighieri, che affianca alle terzine del «Sommo poeta» una selezione di testimonianze audio di autori del Novecento italiano, da Giuseppe Ungaretti a Eugenio Montale, da David Maria Turoldo a Carmelo Bene.
Si apre così per il teatro piemontese, nato nel 2016 sulle sponde del lago Maggiore per volontà dell’architetto madrileno Salvador Perez Arroyo, un ricco cartellone di eventi che per i prossimi tre mesi vedrà intrecciarsi prosa, musica, opera e danza.
Subito dopo Alessio Boni e Marcello Prayer, domenica 13 giugno sarà la volta di Antonella Ruggero con il suo «Concerto versatile», un recital che fonde il pop con la musica sacra o le melodie dal mondo, nel quale saranno in scena anche Roberto Olzer (al pianoforte e all’organo liturgico) e Roberto Colombo (al vocoder e al synth basso).
A seguire, giovedì 17 giugno, saliranno, quindi, sul palco del teatro verbanese Roberta Lidia De Stefano, Alessandra Faiella, Eva Riccobono, Marina Rocco e Lucia Vasini nello spettacolo «I monologhi della vagina», su testo di Eve Ensler e per la regia di Emanuela Giordano.
Mentre mercoledì 30 giugno i riflettori si accenderanno su Angela Finocchiaro e Daniele Trambusti, protagonisti di «Bestia che sei», reading a due voci, scritto dal bolognese Stefano Benni, che dà vita a una sfilata di caratteri surreali e grotteschi - a volte molto reali, altre decisamente fantastici-, che ci ricordano come l’homo sapiens sia la bestia più ridicola e feroce del cosmo.
Il primo appuntamento di luglio, sabato 3, sarà, invece, con lo spettacolo «Non svegliate lo spettatore», dedicato alla vita dello scrittore e sceneggiatore Ennio Flaiano. Il pubblico – si legge nella sinossi - «sarà proiettato, con i piedi fortemente poggiati sulle nuvole, nel mondo della letteratura, del cinema e del teatro attraverso la recitazione di Lino Guanciale e il commento musicale del maestro Davide Cavuti».
Mentre domenica 4 luglio i riflettori saranno puntati sull’Orchestra I Pomeriggi Musicali che, sotto la bacchetta di Elena Casella, presenterà un omaggio a Ludwig Van Beethoven, del quale sarà protagonista anche la soprano Elizabeth Hertzberg. La Finzi Academy, organizzatrice dell’appuntamento con la Fondazione «Il Maggiore» di Verbania, sta ideando un evento unico, eseguito con pubblico in sala e diffusione contemporanea all'esterno tramite un sistema di cuffie wi-fi silent system. Tramite le luci delle cuffie stesse, il pubblico, diretto dalla regista Angela Giulia Toso, formerà delle immagini che enfatizzeranno la spettacolarità dell'evento.
Seguirà, venerdì 9 luglio, l'appuntamento con la Mm Contemporary Dance Company e il loro «Carmen/Bolero», uno spettacolo che porta in scena due grandi titoli del repertorio musicale nell'interpretazione di due coreografi italiani: Emanuele Soavi, da anni attivo in Germania, e Michele Merola, direttore artistico della compagnia.
Sarà poi la volta, martedì 13 luglio, di «Amen», uno spettacolo in forma di concerto per voci ed elettronica, con la presenza di Massimo Recalcati e la regia di Walter Malosti. Oltre al noto psicoanalista, al suo debutto nella scrittura teatrale, animeranno la performance, che questa estate prevede solo altre due date a Spoleto e a Napoli, le voci di Marco Foschi, Federica Fracassi e Danilo Nigrelli e i suoni di Gup Alcaro. Venerdì 16 luglio sarà, invece, la volta di «Ci vuole orecchio: Elio canta e recita Enzo Jannacci». Sul palco, nella coloratissima scenografia disegnata da Giorgio Gallione, insieme a Elio ci saranno cinque musicisti, i suoi stravaganti compagni di viaggio, che formeranno un’insolita e bizzarra carovana sonora. Musiche, ma anche scritti e pensieri di compagni di strada, reali o ideali, di Jannacci comporranno il racconto scenico, in un viaggio che spazia da Beppe Viola a Cesare Zavattini, da Franco Loi a Michele Serra, da Umberto Eco a Fo o a Gadda.
Domenica 18 luglio
toccherà, quindi, esibirsi alla Compagnia Egribianco Danza, che porterà sul palco il suo «Gran Galà per la Giornata mondiale della danza», un percorso tra grandi classici coreografati da Susanna Egri e Raphael Bianco come il balletto «Children of Darkness» ed estratti tratti dagli spettacoli «Apparizioni» e «Amor di Mundo», oltre a una prima assoluta dal titolo «Indifferentemente», un duo sulle note di un classico della canzone napoletana interpretato dalla voce inconfondibile e straordinaria di Mina.
Venerdì 23 luglio l'appuntamento sarà, invece, con Gioele Dix e il suo monologo «Vorrei essere figlio di un padre felice», un viaggio ispirato ai primi quattro canti dell’«Odissea», in cui Telemaco, figlio di Ulisse, va alla ricerca del padre mettendosi in cammino tra mare e terra in un percorso che sarà anche di crescita, di presa di coscienza di sé. «Con la sua affilata ironia e pescando dalla sua storia personale e dagli autori che più ama, - si legge nella sinossi- l’attore metterà in scena un recital vivace e documentato per affermare il comune destino dei figli: la lotta individuale per meritare l’amore e l’eredità dei padri».
Mentre Anna Foglietta sarà protagonista della serata di sabato 31 luglio con «La bimba col megafono (Istruzioni per farsi ascoltare)»: uno spettacolo confessione, un monologo tragicomico recitato e cantato, in cui il pubblico potrà ridere e riflettere sulla vita, la libertà, la rivoluzione.
Seguirà, sabato 7 agosto, la rappresentazione di «Gianni Schicchi», opera comica in un atto di Giacomo Puccini, con libretto di Gioacchino Forzano, che prende spunto dalla «Commedia» dantesca, o meglio dai celebri versi dell’«Inferno»: «Quel folletto è Gianni Schicchi / e va rabbioso altrui conciando».
Giovedì 26 agosto tornerà in scena la Compagnia Egribianco Danza con «Scritto sul mio corpo», spettacolo in cui la live music perfomance e il sound design sono curati dalla band BowLand. La coreografia è – si legge nella sinossi - «una preghiera corale profana, che nella sua laicità racchiude gli slanci appassionati, gli sbilanciamenti emotivi, i caratteri umani e spirituali, la precarietà e le speranze del tempo presente».
Seguirà un altro omaggio, il terzo, a Dante Alighieri nei settecento anni dalla morte. Venerdì 3 settembre l’attrice Lella Costa porterà in scena «Intelletto d’amore», per la regia di Gabriele Vacis. «Nella «Divina Commedia» - racconta l’artista - i personaggi femminili non sono molti, ma sono determinanti». Basti ricordare che ad accompagnare Dante nel paradiso è una donna: Beatrice. Lo spettacolo accende i riflettori su alcune tra le donne dantesche: da Francesca a Taibe, la prostituta delle Malebolge, senza dimenticare «Gemma Donati, la moglie del poeta, madre dei suoi figli, - si legge nella sinossi - che spiegherà come si convive con l’ideale amoroso di tuo marito, se non sei tu».
Omaggerà Dante anche l’appuntamento successivo, in programma sabato 11 settembre: «Ma misi me per l’alto mare aperto», con Michele Mirabella e il duo Saverio Mercadante, composto da Rocco Debernardis al clarinetto e Leo Binetti al pianoforte. La narrazione, che si struttura nella forma di chiacchierata con il pubblico, unisce alla lettura di alcuni passi immortali danteschi a suggestioni musicali e a proiezioni di immagini.
A chiudere la programmazione estiva sarà, nella serata di venerdì 24 settembre, l’orchestra Verdi di Milano, sotto la direzione di Elena Casella e con Cristiana Pegoraro al pianoforte.
Una stagione, dunque, ricca quella del Centro eventi multifunzionale «Il Maggiore», con la quale Verbania spera di catalizzare anche l’attenzione dei turisti, da sempre attratti dalle località turistiche del lago Maggiore.

Didascalie immagini
1 Alessio Boni e Marcello Prayer; 2. Antonella Ruggero; 3. Compagnia Egri-Bianco. Foto Camparotto;  4. Lino Guanciale. Foto: Manuel Scrima; 5. MM Contemporary Dance Company; 6. Lella Costa; 7. Michele Mirabella; 8. Massimo Recalcati  
 
Informazioni utili
www.ilmaggioreverbania.it

#notizieinpillole, cronache d'arte della settimana dal 24 al 30 maggio 2021

A Milano quattro illustratori arricchiscono la proposta del ristorante all'aperto di Eatitaly. Su Catawiki sono all'asta alcuni pezzi imperdibili della collezione Vistosi. Prato si prepara ad accogliere una statua dedicata al calciatore Paolo Rossi. Grottaglie riapre il quartiere delle ceramiche. Al Masi di Lugano è in mostra una preziosa copia del quadro «Il giardino delle delizie». A Venezia la Fondazione Cini annuncia le nuove date «Homo Faber. Crafting a more human future»: si terrà nei giorni della Biennale d'arte. 
Tra gli eventi in programma la prossima settimana, si segnalano, invece, «I luoghi del progetto», in agenda dal 4 al 6 giugno in Triennale, l'iniziativa «Van Gogh saluta Padova», in scena dal 31 maggio al 6 giugno, e il progetto «Dante delle marionette», che debutta l'8 giugno al Piccolo di Milano. Questi sono gli appuntamenti di cui vi abbiamo parlato in settimana sulla pagina Facebook di Fogli d'arte (@foglidarte). 
Gli aggiornamenti del sito riprenderanno lunedì 7 giugno, mentre sulla pagina Facebook, dal 29 maggio al 6 giugno, pubblicheremo un solo aggiornamento giornaliero
Vi auguriamo una buona Festa della Repubblica italiana (2 giugno) e una serena festa del Corpus Domini (3 giugno). 
Buona lettura! 

GROTTAGLIE SI PREPARA ALL’ESTATE. RIAPRE AL PUBBLICO IL QUARTIERE DELLE CERAMICHE

La storia di Grottaglie, «città dalle molte grotte», a pochi chilometri da Taranto, è legata a quella della produzione di ceramica, anche grazie alle ricche cave di argilla presenti sul territorio. Dopo sette mesi di chiusura al pubblico, le oltre cinquanta botteghe che si trovano lungo la gravina di San Giorgio, molte delle quali hanno al loro interno torni e fornaci, stanno tornando ad aprire le porte per svelare ai turisti le diverse fasi di lavorazione degli oggetti, secondo la tradizione nata nel Medioevo.
Oltre a piatti, ciotole, coppe, recipienti di varie forme, tra i pezzi che vengono prodotti ci sono i galletti, tipici di Grottaglie, i «pumi» (nella foto), che si vedono esposti sui davanzali delle case salentine e sono considerati di buon auspicio (ma solo se dati o ricevuti in dono), e la «pupa baffuta», personaggio nato da una leggenda: un vignaiolo, per sottrarre la giovane moglie tradizione dello «ius primae noctis», si travestì da donna e si presentò al suo feudatario al posto della ragazza, dimenticando però di tagliarsi i baffi. Il feudatario ne rise ma, per risparmiargli la vita, chiese tutto il vino prodotto dalle sue vigne in anfore con le fattezze di donna baffuta.
In città riapre anche, nel dirompente Castello Episcopio, il Museo della ceramica (dal martedì alla domenica, dalle ore 10:00 alle ore 13.00 e dalle ore 15:00 alle ore 18:00), che conserva al suo interno ben cinquecento e diciassette pezzi, che vanno dalla ceramica tradizionale per contenere alimenti o per cucinare alle maioliche dei secoli tra il XVII e XX, con brocche e zuppiere, fino ad oggetti contemporanei.
Per informazioni infopoint@comune.grottaglie.ta.it.

«UNA DIVINA COMMEDIA», DANTE SECONDO LA COMPAGNIA MARIONETTISTICA CARLO COLLA E FIGLI
Debutta al Piccolo Teatro di Milano il progetto «Dante delle marionette», promosso in occasione dei settecento anni dalla morte del Sommo poeta. Da martedì 8 a domenica 20 giugno il teatro Grassi ospita «Una Divina Commedia», con la compagnia marionettistica «Carlo Colla e Figli». Lo spettacolo si avvale della regia di Franco Citterio e Giovanni Schiavolin. Firma la colonna sonora Daniele Lorenzini. I costumi sono di Cecilia Di Marco e Maria Grazia Citterio.
L’idea di affiancare la marionetta al verso e all’immaginario dantesco risale ad alcuni decenni fa. Alla fine degli anni Ottanta, Eugenio Monti Colla aveva, infatti, dato incarico agli allora giovani laboratori di ideare e realizzare i primi materiali per un eventuale allestimento della «Divina Commedia». Oggi, a quattro anni dalla scomparsa di Eugenio e con l’ausilio dei suoi appunti, la compagna realizza finalmente il suo progetto dantesco.
Ma come affrontare un’opera di tale immensità? La marionetta - piccolo attore di legno, mosso a distanza dal marionettista e dall’autore che risultano essere i veri demiurghi dell’azione - è stato il metronomo per comprendere come ripercorrere il viaggio del Sommo poeta, come ridurre i versi originali, per capire quali episodi rappresentare e quali situazioni mettere in rilievo con un linguaggio teatrale dalla forma particolare.
Le marionette porteranno per mano lo spettatore a ripercorrere i momenti dell’«Inferno», ad assaporare alcune delle atmosfere del «Purgatorio» sino a compiere un salto nel «Paradiso», inteso come una delle «Apoteosi» tipiche degli spettacoli marionettistici della più radicata tradizione.
Il nuovo allestimento ha visto la realizzazione di nuove sculture e nuove marionette (circa 180 comprese le sagome), di nuovi costumi e di un inedito impianto scenico, per questa particolare occasione pensato come una scenografia dinamica che prevede più di venti ambienti.
Il progetto «Dante delle Marionette» proseguirà con l’allestimento della mostra «Le figure di Dante» al Mutef - Museo del teatro di figura di Milano e con la rassegna teatrale «Dante in baracca», organizzata nei mesi di giugno/luglio allo Stabilimento BASE, negli spazi dell’Ex Ansaldo.
Il costo del biglietto varia dai 25,00 euro della platea ai 22,00 della galleria. Gli spettacoli si terranno nei giorni feriali, alle ore 19.30, la domenica, alle ore 16.00.
Per informazioni: www.piccoloteatro.org

ASTE, LA COLLEZIONE IN VETRO DI MURANO DELLA FAMIGLIA VISTOSI SBARCA SU CATAWIKI
C’è il prototipo per il vaso «Morosina» di Ettore Sottsass, che fu realizzato in edizione limitata in duecentocinquanta pezzi e con un ulteriore pezzo di vetro. C’è un raro manufatto di design, la «Bottiglia dell’oratore», creata tra il 1962 e il 1963 da Peter Pelzel. E c’è anche un prezioso e quasi introvabile vaso di Fulvio Bianconi degli anni Sessanta. È ricco il catalogo degli oggetti di design, in vetro di Murano, realizzati tra gli anni Sessanta e Settanta, appartenuti alla collezione della famiglia Vistosi all’asta, fino al 3 giugno, su Catawiki, la piattaforma di aste on-line leader in Europa per oggetti speciali.
Alcuni dei pezzi proposti - come dichiarano gli eredi, Gino e Luciano Vistosi, sono «dei prototipi di produzione non firmati, unici nel loro genere perché mai messi in commercio, ma appartenenti alla nostra famiglia».
Quella di Vistosi è una storia di successo: da vetreria legata indissolubilmente al territorio veneziano è diventata, negli anni, un'azienda internazionale, esempio del miglior made in Italy.
Nota per la sua attività nel settore dell’illuminazione decorativa in vetro soffiato, l’azienda fu fondata, in società con il maestro Alfredo Barbini, da Guglielmo Vistosi nel 1945. Dopo pochi anni, Alfredo decise di aprire la propria vetreria; al suo posto subentrarono, sempre a fianco di Guglielmo, i figli Gino e Luciano e il fratello Oreste. Affascinati da sempre dall'industrial design, i Vistosi cercarono fin da subito di coniugare la tecnica vetraria locale con le più innovative tendenze stilistiche, specializzandosi in articoli per l’illuminazione.
Alla morte prematura di Guglielmo, i figli Gino e Luciano e il fratello Oreste iniziarono una collaborazione con grandi artisti come Peter Pelzel, Alessandro Pianon, Gianmaria Potenza e Fulvio Bianconi, grazie al quale ricevettero, per una serie di vasi cilindrici con decoro spiraliforme, il premio «Compasso d'Oro».
Negli anni '60 la Vetreria Vistosi ottenne alcuni dei massimi riconoscimenti, partecipando, tra l'altro, alla Biennale di Venezia.
Nel corso degli anni successivi si avvalse della collaborazione tra i più famosi designer italiani, tra i quali Gae Aulenti, Vico Magistretti, Eleonore Peduzzi Riva, Ettore Sottsass e Angelo Mangiarotti.
Per saperne di più: https://www.catawiki.it/. 

[Nella foto: Peter Pelzel, Bottiglia dell'Oratore, 1962-1963. Il pezzo è stato prodotto per la Vetreria Vistosi]

«I LUOGHI DEL PROGETTO», TRE GIORNI DI APPUNTAMENTI A MILANO
 
«Un viaggio nel paese del design»
è il titolo della mostra in programma dal 4 al 6 giugno a Milano, negli spazi della Triennale, in occasione della maratona di eventi «I luoghi del progetto», a cura di Claudio Palvarini e Lodovico Gualzetti.
Diciotto metri di immagini, fotografie e testi, allestiti nell’impluvium al primo piano, approfondiscono ciascuna realtà afferenti al Circuito lombardo musei design, una rete di ventisette realtà, ognuno con proprie caratteristiche e particolarità, che mantiene vivo un enorme patrimonio di altissima qualità e di importanza internazionale. Tra i protagonisti ci sono, infatti, gli archivi di Cesare Cattaneo, Origoni Steiner, Osvaldo Borsani, Piero Bottoni, Giovanni Sacchi, Gae Aulenti, Joe Colombo e Pierluigi Ghianda, ma anche musei come quello della Kartell o il Fisogni di Tradate, che mostra la curiosa evoluzione tecnologica connessa ai progetti dei distributori di carburanti, dal 1892 fino ad oggi.
Tra i numerosi appuntamenti che punteggiano la ricca tre giorni in programma in Triennale ci sarà anche il ciclo «Oggetti unici» (venerdì 4 giugno, dalle ore 17:00 alle ore 20:00; sabato 5 e domenica 6 giugno, dalle ore 16:00 alle ore 19:00), nel quale quindici protagonisti del Circuito lombardo musei design mostreranno e illustreranno un bozzetto, un modello, un prototipo o un oggetto di particolare interesse o rilievo. Fra questi ci saranno l’originale «Set di posate» studiate per l’utilizzo in aereo dell’Archivio Joe Colombo, la «Williams Curved 1» del Museo della macchina da scrivere, che importata in Italia da Camillo Olivetti fu il pretesto della nascita dell’omonima società, e il prototipo degli anni '60 di una «Macchina per caffè a uso domestico» ideato da Achille Castiglioni per La Cimbali.
Sono in programma anche gli incontri «Raccontare e raccontarsi, gli archivi narrati in un dialogo tra giovani autori e i curatorI» (sabato 5 e domenica 6 giugno, dalle ore 16:00 alle ore 19:00) e due appuntamenti dal titolo «Design in video» (sabato 5 giugno, dalle ore 19:00 alle ore 20:00; domenica 6 giugno, dalle ore 20:00 alle ore 21:00), con importanti e curiose proiezioni storiche, interviste, video aziendali e pubblicità. È prevista, inoltre, la presentazione del libro «Vogliamo ricostruire l’Italia» (domenica 6 giugno, alle ore 19), con una raccolta di poster ideati da giovani creativi in omaggio a designer, a grafici e architetti che hanno militato nella Resistenza e hanno subito persecuzioni.
Informazioni su https://museidesign.it/.

[Nelle foto: 1. Museo Fratelli Cozzi. Panoramica; 2. Museo Fisogni delle stazioni di servizio. Sala 3, pompe manuali a colonna degli anni ’20 e ’30. © Marco Mocchetti; 3. Archivio Gae Aulenti - casa studio, 1992. © Santi Caleca] 

AL MASI DI LUGANO UNA COPIA CINQUECENTESCA DELL'OPERA IL GIARDINO DELLE DELIZIE DI HIERONYMUS BOSCH
Il Masi di Lugano accende i riflettori su uno dei capolavori più noti di Hieronymus Bosch: «Il giardino delle delizie». Dallo scorso 23 maggio a Palazzo Reali è esposta una delle copie più significative del dipinto, la cosiddetta «Copia di Norimberga», realizzata molto probabilmente quando l'artista era ancora in vita.
«Il giardino delle delizie» di Bosch è un olio su tavola di quercia, datato al decennio 1490-1500, conservato al Museo del Prado di Madrid. Viene considerato uno dei dipinti più famosi, ma anche più misteriosi della storia dell’arte europea. L’eccezionale significato dell’opera, dall’enigmatico e complesso tema iconografico, fu subito riconosciuto dai contemporanei e le sue raffigurazioni del paradiso e dell’inferno hanno affascinato per oltre cinquecento anni il pubblico e gli studiosi.
Ancora prima della morte di Bosch, furono realizzate una serie di copie di pregio, in alcuni casi dipinte da pittori famosi come Michiel Coxcie o addirittura Lucas Cranach il Vecchio.
«Le copie di dipinti - raccontano a Lugano - sono state considerate, negli anni, sempre più come importanti documenti storici e opere d’arte degne di essere esposte. In aggiunta al loro valore artistico, esse possono contribuire alla comprensione del significato e dell’importanza dell’opera originale nei rispettivi cotesti storici. Ciò è ancor più vero nel caso in cui la realizzazione della copia è cronologicamente prossima all’originale».
Quella presentata a Palazzo Reali è stata variamente datata e situata in un arco temporale che va dal 1500 al 1550-1560 circa. È stato, quindi, dipinta quando Hieronymus Bosch era ancora in vita o al più tardi poco più di quarant'anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1516.
«Le altre copie storiche rinvenute -raccontano ancora a Palazzo Reali - si concentrano soprattutto sulla composizione, raramente viene imitato lo stile e solo in casi eccezionali la tecnica pittorica. La copia esposta è particolarmente preziosa perché riprende ampiamente l’originale proprio nella tecnica e nello stile pittorico, nel modo di rappresentare le figure, nella resa della luce e delle ombre, nonché nella stesura a sottili strati del colore sullo sfondo chiaro».
Si suppone che l’opera, oggi su tela, sia stata eseguita nelle dimensioni reali con l’aiuto di un cartone, proprio davanti all’originale. Ciò la rende estremamente preziosa anche in qualità di documento storico-artistico dato che l’originale del Prado lamenta molte lacune, in parte colmate dai diversi restauri succedutisi nel tempo, non sempre però in grado di restituire l’impostazione originale.

[Nella foto: Artista ignoto, Paesi Bassi. Copia del pannello centrale de «Il Giardino delle delizie» di Hieronymus Bosch, 1500-1560 ca., olio su tavola trasportato su tela. Collezione privata] 

A PRATO UNA STATUA PER PAOLO ROSSI, «L’EROE DI ESPAÑA ‘82»
«Palla al centro per Muller, ferma Scirea, Bergomi, Gentile, è finita! Campioni del mondo! Campioni del mondo! Campioni del mondo!». Il triplice urlo di Nando Martellini, il telecronista della Rai, entra nelle case di milioni di italiani e segna l’inizio di una grande festa. È l’11 luglio 1982 e, al Santiago Bernabeu di Madrid, la Nazionale di Enzo Bearzot ha appena vinto per 3 a 1 contro la Germania Ovest di Rummenigge, conquistando per la terza volta i Mondiali di calcio. Il presidente Sandro Pertini esulta in tribuna. Dino Zoff alza la coppa al cielo. Il CT Enzo Bearzot viene portato in trionfo dai suoi ragazzi. Gli italiani scendono in piazza per festeggiare una vittoria che mancava al palmares degli Azzurri dal 1938.
Uno degli artefici di quella storica affermazione calcistica a España ‘82 è Paolo Rossi, per tutti Pablito, centroavanti scomparso lo scorso 9 dicembre, che aveva iniziato a giocare a calcio, all’età di cinque anni, nella sua Prato, indossando la maglia del Santa Lucia.
La città toscana ha deciso di ricordare il giocatore con una statua realizzata dalla giovane artista fiorentina Elisa Morucci proprio nel luogo che ha visto l’inizio della sua avventura calcistica: il piccolo piazzale della cipresseta di Santa Lucia, dove, tra l’altro, il locale campo sportivo è intitolato a Vittorio Rossi, padre di Paolo.
La scultura, che sarà svelata a settembre, verrà realizzata in materiali nobili quali il bronzo (secondo l'antica tecnica della cera persa) e il marmo, nello specifico, un blocco di «verde delle Alpi», detto anche serpentino, molto utilizzato nelle chiese toscane e scelto per la base. La scultura si intitolerà semplicemente «Paolo» e misurerà un metro e dieci centimetri circa di altezza. 
A proposito del lavoro, Elisa Morucci dichiara: «So bene che tutti ricordano Paolo sorridente, mentre esulta per la mitica vittoria del Mondiale dell’82. Ho pensato molto a come rappresentarlo. Guardando e ascoltando le tante interviste, durante la lavorazione della scultura, ho creduto di cogliere aspetti, che per me si sono rivelati altrettanto importanti. Ho cercato di rappresentare la serietà, l’educazione, il bagaglio di valori, che tutti gli hanno riconosciuto nel tempo, accompagnati da una velata nostalgia. Ho voluto rappresentare questi aspetti, oltre al resto, al grande campione che è stato. Da artista, sento la necessità di andare più a fondo quando indago un’anima. E trovo che la cosa più bella che possa restituire e suscitare un lavoro in memoria di una persona così ricca di sfaccettature, sia proprio la stratificazione e complessità che gli sono proprie. Ecco perché, questo mezzo busto unisce la forma contemporanea a un gusto classico, quello delle sculture greco-romane, dove l’etica prendeva forma».
Per informazioni: www.elisamorucci.com

«ALCHEMY OF OBJECTS», UN FILM D’AUTORE PER LA MOSTRA «SHORT-CIRCUITS» 
Sono gli ultimi giorni di apertura per la mostra «Short-circuits», che Pirelli HangarBicocca dedica alla figura di Chen Zhen (1955, Shanghai – 2000, Parigi), nelle cui opere vengono trattati temi come la globalizzazione, il consumismo, il superamento dell’egemonia dei valori occidentali e l’incontro tra differenti culture. Per l'occasione sui canali social e sul sito web dell'istituzione milanese è stato lanciato lanciato, nella giornata di venerdì 28 maggio, un inedito cortometraggio dal titolo «Alchemy of objects», realizzato dal duo registico Kinonauts, formato da Matteo Primiterra (1985) e Matteo Stocco (1986), con musiche di Paolo Brusò. Il film, traendo ispirazione dalle opere presentate nella mostra milanese, ripercorre l’arco biografico e creativo dell'artista cinese, proponendo anche inediti documenti storici e preziosi contributi narrativi della moglie Xu Min e del figlio Chen Bo, presidente di Adac - Association des amis de Chen Zhen.
In questi giorni prossimi alla chiusura della mostra, visitabile anche on-line grazie alla piattaforma Arts&Culture di Google con riprese in 3D ad alta definizione, Pirelli HangarBicocca ha proposto anche una visita guidata (gratuita, ma con prenotazione obbligatoria). La conversazione, che si è tenuta mercoledì 26 maggio (alle ore 19:00), ha preso spunto spunto dalle opere esposte per addentrarsi poi negli aspetti culturali, storici e biografici di Chen Zhen, fornendo ai visitatori molteplici chiavi di lettura e spunti di approfondimento. Il pubblico ha potuto ascoltare il dialogo in cuffia, in diretta relazione con le opere nello spazio espositivo, mantenendo la distanza di sicurezza dagli altri visitatori. Alla fine della visita è stato possibile rivolgere domande ai due ospiti della conversazione.
Guide d’eccezione sono stati Hou Hanru e Marco Scotini, tra i più riconosciuti esperti delle interconnessioni tra arte orientale e occidentale. Hou Hanru, direttore artistico del Maxxi di Roma, è un profondo conoscitore del lavoro dell’artista, soprattutto dei suoi anni parigini (1990-2000), ed è stato tra i primi a promuovere l’arte cinese in Europa attraverso mostre fondamentali quali «Cities on the Move» (1997-99) e «Z.O.U. – Zone of Urgency» (alla 50a Biennale di Venezia, 2003). Nel 2015 ha, inoltre, presentato la grande retrospettiva di Chen Zhen al Rockbund Art Museum di Shanghai. Marco Scotini, direttore artistico dell’Fm Centro per l’arte contemporanea di Milano e responsabile del programma espositivo del Pav - parco arte vivente di Torino, è, invece, autore di uno dei testi per il catalogo pubblicato in occasione della mostra «Short-circuits». Recentemente ha realizzato due importanti progetti in Cina: la prima Biennale di Anren (2017) e la seconda Biennale di Yinchuan (2018), di cui è stato rispettivamente co-curatore direttore.
Informazioni su https://pirellihangarbicocca.org.

[Nella foto:  Chen Zhen mentre lavora nel suo studio. 13mo Arrondissement, Parigi, 1995-96 Courtesy l’artista e Galleria Continua]

VENEZIA, NUOVE DATE PER «HOMO FABER. CRAFTING A MORE HUMAN FUTURE»
Slitta ancora «Homo Faber. Crafting a more human future». La celebrazione del talento creativo nell’alta manifattura, che ha visto il suo debutto nel 2018, tornerà a Venezia, sull’Isola di San Giorgio, in occasione della prossima Mostra internazionale d’arte della Biennale di Venezia.
Dopo una lunga pausa dovuta all’emergenza sanitaria e a un’importante messa a punto di visione, obiettivi e missione, Fondazione Giorgio Cini e Michelangelo Foundation hanno scelto le nuove date della manifestazione internazionale che proporrà i più recenti esiti dell’eccellenza contemporanea del mondo artigianale. La mostra si terrà dal 10 aprile al 1° maggio 2022.
«Attendere la prossima primavera – spiegano dalla Fondazione Giorgio Cini - ha diversi significati: al primo posto la salute e la sicurezza degli operatori e degli espositori provenienti da tutto il mondo, e in particolare dal Giappone, ospite d’onore della prossima edizione della manifestazione, che porterà in Laguna due significative mostre dedicate alla scena produttiva e culturale nipponiche firmate da curatori di fama internazionale. La concomitanza con la Biennale d’arte offrirà altresì l’occasione di concretizzare ulteriori reti culturali con i principali operatori del settore presenti nel territorio veneziano».
La Fondazione Giorgio Cini si auspica che, per allora, la situazione pandemica sia risolta e si possano replicare i numeri della prima edizione: più di 62.000 visitatori in soli 17 giorni di apertura hanno potuto ammirare ben 16 mostre in cui erano esposti quasi mille oggetti rappresentativi per narrare l’intramontabile bellezza e il valore contemporaneo dei mestieri d’arte.
Viene rinviata al 2022 anche «Homo Faber in città», che condurrà il pubblico tra atelier, botteghe e nei monumenti storici, come la Chiesa della Pietà, le mostre a Palazzo Grimani e i laboratori della Fenice per svelare il ricchissimo patrimonio dell’artigianato veneziano nascosto tra calli e cortili. Nell’itinerario è compreso il «Dorsoduro Museum Mile», il percorso culturale che lega idealmente l’una all’altra alcune tra le più prestigiose istituzioni culturali veneziane: le Gallerie dell’Accademia, la Galleria di Palazzo Cini, la Collezione Peggy Guggenheim e Punta della Dogana.
Per maggiori informazioni: www.cini.it.

«VAN GOGH SALUTA PADOVA» CON IL CONCERTO «ALICE CANTA BATTIATO» E IL RECITAL «LETTERE A THEO» 
Si chiude con un concerto esclusivo la mostra «Van Gogh. I colori della vita», in corso al Centro San Gaetano di Padova. Domenica 6 giugno, alle ore 18:30, è in programma l’anteprima del tour estivo di «Alice canta Battiato», spettacolo che, insieme alla cantante forlivese, vedrà sul palcoscenico Carlo Guaitoli, storico pianista del musicista catanese.
Quello fra Franco Battiato e Alice, il cui vero nome è Carla Bissi, è stato più che un sodalizio artistico, una comunione di anime. Legati da una collaborazione nata negli anni Ottanta, i due artisti hanno dato vita a successi come la canzone «Per Elisa», che nel 1981 ha vinto il Festival di Sanremo e si è imposta nelle classifiche italiane e internazionali.
Nel concerto, Alice proporrà alcune delle opere più conosciute e amate del cantautore siciliano in un appuntamento di raffinata eleganza, che farà tappe nelle prossime settimane anche a Milano e Prato.
La settimana che precede la chiusura della mostra vedrà altri appuntamenti speciali, tutti organizzati da Linea d’Ombra e riuniti sotto il titolo «Van Gogh saluta Padova».
Si inizierà la sera del 31 maggio, alle ore 21:00, con un webinar dal titolo «Il paesaggio impressionista. Monet e i suoi amici», tenuto da Marco Goldin. Si proseguirà il 1° e il 3 giugno, alle ore 20:15, con «Van Gogh, davvero», un’esclusiva visita guidata, per sole trenta persone, accompagnati da una suggestiva colonna sonora, con l’esibizione dal vivo del fisarmonicista Gianni Fassetta, e dalla sempre coinvolgente arte oratoria di Marco Goldin.
Il 5 giugno, ore 20:30, è, invece, in programma, nell’Auditorium del Centro San Gaetano, «Vincent van Gogh. Lettere a Theo», anteprima di un recital ideato per la prossima stagione teatrale che unisce il racconto e la lettura di Marco Goldin alla musica di Remo Anzovino, uno dei compositori e pianisti più celebri sulla scena nazionale, le cui musiche hanno costituito la colonna sonora di film recenti dedicati ad artisti quali Gauguin, Monet e lo stesso van Gogh.
Infine, a mostra ormai conclusa, l’8 giugno, alle ore 21:00, sempre Marco Goldin proporrà una visita guidata on-line, su Zoom, alla mostra su Vincent Van Gogh che ha portato a Padova dipinti famosissimi come l’«Autoritratto con il cappello di feltro», «Il seminatore», i vari campi di grano, «Il postino Roulin», «Il signor Ginoux», «L’Arlesiana», i vari paesaggi attorno al manicomio di Saint-Rémy e tantissimi altri.
I biglietti per essere co-protagonisti di questi eventi sono acquistabili su https://biglietto.lineadombra.it; ogni giorno vedrà la messa in vendita di un singolo evento, naturalmente sino alla copertura dei posti di volta in volta disponibili.
Maggiori informazioni su www.lineadombra.it.

AL VIA A MILANO «EATALY PRESENTA: ILLUSTRI ALL’APERTO»: QUATTRO ARTISTI PER PIAZZA XXV APRILE
Prende il via venerdì 28 maggio l’iniziativa «Eataly presenta: Illustri All’aperto», una rassegna di interventi artistici sviluppata in collaborazione con l’Associazione Illustri, dal 2014 punto di riferimento per gli illustratori italiani sia nell’ideazione di mostre, attività di formazione e incontri sia per l’organizzazione di Illustri Festival, la biennale di illustrazione ospitata nel centro storico della città di Vicenza.
L’ampia area in piazza XXV Aprile, davanti a Eataly Milano Smeraldo, vedrà al lavoro quattro illustratori, invitati a creare un’opera originale che racconti l’esperienza del ristorante Eataly all’aperto, declinata su molteplici supporti – primo tra tutti il chiosco in piazza, che diventerà un vero e proprio elemento di decoro urbano e di espressione artistica grazie al suo completo rivestimento in collaborazione con il partner tecnico D-Factory, centro stile alle porte di Milano specializzato nella decorazione di interni e veicoli.
Ogni opera originale verrà presentata in speciali momenti dedicati in cui gli illustratori interverranno in piazza con un live painting. Si partirà venerdì 28 maggio, alle ore 18:00, con Elisa Macellari, per poi proseguire martedì 29 giugno con Ilaria Faccioli, martedì 27 luglio con Francesco Poroli e martedì 31 agosto con Luca Font, in una sorta di staffetta che culminerà a settembre in una mostra collettiva.
Eataly All’aperto è attivo dal lunedì alla domenica, dalle 7.30 alle 23.00 (gli orari sono suscettibili di variazioni in relazione all’evoluzione delle norme restrittive anti-Covid).

[Foto di copertina:Vincent van Gogh, Autoritratto con cappello di feltro grigio, 1887, olio su tela, cm 44,5 x 37.2. Van Gogh Museum (Vincent van Gogh Foundation), Amsterdam]

giovedì 27 maggio 2021

Tirolo, l’«Organo degli eroi» è lo «Strumento dell’anno 2021». I suoi concerti sono Covid-free

Ogni giorno, alle 12 in punto, a Kufstein, una splendida cittadina del Tirolo, si può ascoltare un concerto, anche se ci trova nel verde della natura, tra boschi e pascoli erbosi. Il merito è dell’organo più grande del mondo, che quest’anno, in occasione del suo novantesimo compleanno, è stato designato «Strumento dell’anno 2021» dal Consiglio musicale dei Paesi di lingua tedesca.
Già patrimonio culturale immateriale dell’Unesco dal 2017, l’organo fu realizzato nel 1931 in memoria dei caduti nella Prima guerra mondiale dal mastro organaro Oscar Walcker e da allora ha sempre suonato ininterrottamente, offrendo in estate anche il bis, verso sera, alla luce del tramonto.
In questi mesi caratterizzati dal distanziamento sociale per la pandemia, a Kufstein, ma non solo, si sono resi conto che l’«Organo degli eroi», questo il suo nome, rispetta da sempre le norme anti-Covid e che le sue note percepite in lontananza, anche a dieci chilometri di distanza, hanno qualcosa di contemporaneo; sembrano parte integrante delle misure per prevenire il contagio.
Il concerto d’organo che ogni giorno riempie la vallata di musica è diventato così un messaggero di speranza a distanza: ognuno può ascoltare le sue melodie mettendosi comodo in un luogo circondato dalla natura o in un angolo della bella cittadina tirolese. Il distanziamento è automatico: c’è (tanto) posto per tutti. Su un sentiero, in mezzo a un prato fiorito, sulla pittoresca Römerhofgasse, sul lungofiume: ogni posto è buono per assistere a un concerto diffuso unico ed esclusivo che, da quasi un secolo, riempie il Kufsteinerland di musica.
L’«Organo degli eroi» si trova nella maestosa torre della fortezza che campeggia su uno sperone di roccia sopra Kufstein. Con i suoi 46 registri e le sue 4.307 canne, è lo strumento all’aperto più grande del mondo. Il suo organista è un giovane musicista, Johannes Berger, che così racconta la particolarità del suo lavoro: «Se gli altri suonatori portano sempre con sé il loro prezioso strumento, nel mio caso sono io che mi reco dall’organo. Non posso esercitarmi a casa, ma devo recarmi alla fortezza per provare. Non posso sbagliare. C’è sempre molta gente in ascolto. Ogni volta che l’organo emette un suono ha sempre un pubblico che lo ascolta, anche passivamente. Non c’è organo al mondo come questo. Va conosciuto perfettamente, in ogni sfaccettatura».
Spesso, il venerdì, alle ore 18:30, Johannes Berger tiene altri concerti, suonando brani tratti dalle colonne sonore di film famosi, opere di Ludwig van Beethoven, musica popolare.
L’acustica migliore si gode sotto la tettoia della piazza antistante la fortezza: da qui si può anche osservare l’organista all’opera e persino chiedergli di suonare il proprio brano musicale preferito.
La straordinaria presentazione musicale dura circa venti minuti e finisce sempre con il pezzo «Der gute Kamerad» («Il buon compagno»). Chi ascolta il concerto a distanza di qualche chilometro, invece, della vista dell’organista, avrà gli occhi puntanti sui bellissimi paesaggi del Kufsteinerland, luoghi dove rigenerarsi e ricaricare le batterie. Si può, per esempio, sostare sotto l'abete secolare dello Steinberg, la riserva naturale del Kaisergebirge, o sulla famosa piattaforma a forma di spirale «Adlerblick», situata a 1.280 metri sul livello del mare e munita di un telescopio speciale che offre una magnifica vista. La musica vi raggiungerà anche lì, perché, come diceva Beethoven, anche «dove le parole non arrivano, la musica parla».

Didascalie delle immagini
[Figg.1] Organo degli eroi, Kufstein, Austria. Crediti fotografie: @kufsteinerland; [fig. 2] Manfred Zott suona l'Organo degli Eroi, Kufstein, Austria. Crediti fotografie: @kufsteinerland; [fig. 3] Johannes Berger suona l'Organo degli Eroi, Kufstein, Austria. Crediti fotografie: @kufsteinerland
 
Informazioni utili 
www.kufstein.com

mercoledì 26 maggio 2021

«Platea dell’umanità», la nuova mostra della Galleria Poggiali di Firenze è virtuale e in presenza

Era il 2001 quando il critico e curatore svizzero Harald Szeemann (Berna, 11 giugno 1933 – Tegna, 18 febbraio 2005) firmava la sua seconda Biennale di Venezia. L’ambizione di quella mostra, che focalizzava l’attenzione su oltre centodieci artisti provenienti da una cinquantina di Paesi, era di mettere in scena se non proprio tutta l'umanità, almeno una fetta rappresentativa di essa, raccontando così le diversità e le contraddizioni del mondo in cui viviamo.
Il pubblico diventava - per stessa ammissione di Harald Szeemann - «spettatore, protagonista e misuratore delle cose»; si confrontava con temi di attualità come l’aborto, l’eutanasia, la clonazione, la violenza, la guerra, l’immigrazione e l’ecologia, ovvero tutto ciò che faceva, e tuttora fa parte, dello spettacolo della vita.
Non a caso il titolo di quella edizione della Biennale strizzava l’occhio al mondo del teatro. Era «Platea dell’umanità».
Con quella mostra, Harald Szeemann consegnava alla storia opere come «L’Ecce Homo» di Mark Wallinger e «La nona ora» di Maurizio Cattelan, riproponendo ai visitatori, in apertura del percorso espositivo, anche un lavoro significativo come «The End of the Twentieth Century» di Joseph Beuys, una distesa di rocce di basalto sparse sul pavimento in modo apparentemente casuale, che davano vita a una grigia foresta di segni fossili che improvvisamente ostruivano la via, costringendo a pensare.
A vent’anni di distanza, la Galleria Poggiali di Firenze guarda a quell’importante evento espositivo, che con «Dappertutto» del 1999 ha cambiato per sempre il volto della Biennale di Venezia, per la sua nuova mostra estiva, che si intitola appunto «Platea dell’umanità».
Punto di partenza della rassegna, in programma fino al 31 luglio e visibile anche tramite virtual tour all’indirizzo www.galleriapoggiali.com/it/virtual-exhibition, è una dichiarazione di Joseph Beuys secondo cui «ogni uomo è artista», frase, questa, con la quale il maestro tedesco intendeva riaffermare il concetto di «arte totale» e riportare l’esperienza creativa alla quotidianità, in una ricerca di valori e di significati universali. L’uomo, con le sue infinite possibilità, diventa così artefice del proprio destino, creatore di un nuovo Rinascimento. Questo è il messaggio che ci lasciano anche le trentacinque opere e i venti artisti selezionati per la mostra fiorentina alla Galleria Poggiali.
Il percorso espositivo si apre con un lavoro di Fabio Viale in marmo bianco e pigmenti, «Door Release» (2021), e con un «Paesaggio artificiale» (2019) di Goldschmied & Chiari, un’opera realizzata fotografando in studio fumogeni colorati e associandoli con vetro e superficie specchiante in un processo poeticamente e tecnicamente alchemico e performativo. Nella stessa sala è esposto anche un lavoro di Claudio Parmiggiani, «Senza titolo» (2021), nel quale fumo e fuliggine su tavola raccontano l’evanescenza delle farfalle, l’attimo, apparentemente etereo e fugace, che si fa eterno grazie alla creatività di un artista.
Tre opere della serie «Snakes and Drumroll» (2021) e il colorato olio su tela «Pietas» (2021) raccontano poi, sempre in apertura del percorso espositivo, la recente ricerca di Francesca Banchelli, giovane artista toscana convinta della necessità dell’opera come epifania ed evento gnoseologico imprescindibile all’evoluzione della specie umana. 
Nella mostra grande spazio ha, inoltre, il medium fotografico con opere come «Awakened» (2007) di David Lachapelle e «I pilastri della terra» (2020) di Virginia Zanetti, esposti nella seconda sala accanto ad «Aereo» (2020) di Fabio Viale, o come i tre scatti di Luigi Ghirri dedicati all’Emilia Romagna, collocati lungo il corridoio accanto ai lavori di Slater Bradley e Grazia Toderi, già protagonisti alla galleria Poggiali della mostra «Making Time» nel 2019.
Nella sala successiva, sono visibili una carta di Eliseo Mattiacci, «Stella Africa» (1983) di Gilberto Zorio, un lavoro in cera su vetroresina di Domenico Bianchi e un’opera in fumo e fuliggine su tavola di Claudio Parmiggiani, una delocazione di tre metri che ha per soggetto la celebre libreria, proposta al Maxxi di Roma in una declinazione avvolgente di ventidue tavole a formare un’intera sala senza soluzione di continuità.
Insieme a queste opere a parete, appartenenti all’Arte povera, trova posto nella stessa stanza un altro lavoro di Claudio Parmiggiani, l’opera «Senza titolo» (2019), consistente in un’arpa di metà Settecento con farfalle, presentata anche nella prima mostra dell’artista in un museo statunitense, tenutasi nel 2019 al Frist Art Museum di Nashville.
L’artista, che ha materializzato poeticamente l’assenza e il passaggio del tempo, facendo depositare la fuliggine su tavola, ma anche confrontandosi con l’opera di Giorgio Morandi, come documentano le sue bottiglie bianche su sfondo grigio del 2020, dialoga nella stanza successiva con Enzo Cucchi, uno dei protagonisti della Transavaguardia, autore di una serie dedicata a Vincent Van Gogh.
La parte finale della galleria fa luce sul ritorno alla pittura del finire degli anni Novanta con opere di Luca Pignatelli, Manfredi Beninati, Giovanni Frangi e Marco Fantini, che rimandano al nostro passato leggendolo con occhi nuovi.

Informazioni utili
Platea dell’umanità. Galleria Poggiali, via della Scala, 35/Ar – Firenze.  Ingresso libero. Orari: dal lunedì al sabato, ore 10-13 e ore 15-19, domenica su appuntamento. Ingresso libero. Tour virtuale all’indirizzo: www.galleriapoggiali.com/it/virtual-exhibition. Informazioni: tel. +39.055.287748 o info@galleriapoggiali.com. Sito internet: www.galleriapoggiali.com. Fino al 13 luglio 2021. 

martedì 25 maggio 2021

«Terre»: a Lugano quattordici artisti si confrontano con le qualità espressive della materia

Si intitola «Terre» la nuova mostra della Collezione Giancarlo e Danna Olgiati di Lugano, spazio ticinese appartenente al circuito del Masi - Museo d'arte della Svizzera italiana, che rivolge la propria attenzione alle principali avanguardie del XX secolo, dal futurismo allo spazialismo, dall'arte povera al nouveau réalisme,senza dimenticare le tendenze neo-astrattiste e il neo-pop.
L’esposizione, in agenda fino al prossimo 6 giugno, propone una selezione di ventidue opere di pittura e scultura che spaziano dagli anni Venti al presente, accomunate da una dimensione materica, molte delle quali mai esposte in precedenza. I quattordici artisti presenti in mostra – di epoche diverse e di varia origine geografica – indagano con straordinaria varietà di esiti le qualità espressive della materia: da una pittura dominata dai colori della terra, come quella di Zoran Mušič, alle ricerche informali di ambito italiano ed europeo, fino ai materiali cosmici di Enrico Prampolini, Eliseo Mattiacci e Anselm Kiefer.
Il progetto espositivo prende le mosse proprio da un significativo gruppo di cinque dipinti del pittore e artista grafico di origini slovene Zoran Mušič (Gorizia, 1909 – Venezia, 2005): «Paesaggio senese» (1953), «Enclos primitif» (E3) (1960), «Motif végétal» (1972), «Terre d’istria» (1957) e «Terre dalmate» (1959). Queste opere testimoniano la stagione creativa che segue il trasferimento dell’artista a Parigi nel 1953, quando la sua produzione pittorica si avvicina al linguaggio dell’informale francese. Attraverso una pittura di motivi organici dalle tonalità aride che spesso sconfina oltre il figurativo, il pittore goriziano racconta un universo intimo e personale, in cui riaffiora il ricordo delle terre dell’infanzia e del vissuto dell’artista.
Nella stessa sala dialogano alcune importanti opere di tre maestri del Novecento italiano, protagonisti della stagione informale: Alberto Burri (Città di Castello, 1915 – Nizza, 1995), Leoncillo (Leoncillo Leonardi, Spoleto, 1915 – Roma, 1968) ed Emilio Vedova (Venezia, 1919 – 2006). Interrogandosi sulla possibilità di rappresentare un mondo devastato a seguito della distruzione operata dai conflitti mondiali, questi autori danno vita a una ricerca che si libera dal controllo ideale e razionale dell’immagine in favore dell’espressività di elementi come sacchi di juta, ferro, legno o plastica. Di Burri è esposto un «Bianco Nero Cretto» del 1972, la cui superficie frammentata che richiama le fessurazioni delle terre argillose restituisce la sofferenza della materia esposta al processo di essiccamento; l'opera prefigura tutta la drammaticità del «Grande Cretto» (1984-89) realizzato dall’artista a Gibellina, sulle macerie della città rasa al suolo dal terremoto che, nel 1968, colpì la Valle del Belice, in Sicilia. La scultura «Senza titolo» (1960) rivela, invece, l’originale processo creativo con cui Leoncillo utilizza il gres (materiale ceramico a pasta dura), lasciando trasparire la profonda identificazione dell’autore con la materia stessa, mentre nella scultura «Per uno spazio - 29» (1987-88) di Emilio Vedova è la carica gestuale della pittura ad imporsi, andando ad inglobare a sé un altro materiale (il legno), fino a connotarlo di una qualità plastico-spaziale.
L’incontro con l’arte informale prosegue nella sezione successiva con le opere pittoriche di due dei suoi maggiori interpreti in ambito europeo: «Marrò» (1958) di Antoni Tàpies (Barcellona 1923 – 2012) e «Masque de terre» (1960) di Jean Dubuffet (Le Havre, 1901 – Parigi, 1985). Entrambi esplorano l’uso di materie povere, come i detriti o la terra, mescolati alla pittura a olio, nella completa assenza di figurazione che non lascia spazio ad altro che al potere suggestivo della materia grezza. Se Dubuffet pone l'accento sull'aspetto primordiale e istintivo dell’interazione con la materia, Tàpies realizza un’opera che appare come un vero e proprio muro di terra solcato da segni e incisioni, solida presenza che ci invita ad andare oltre la materia stessa.
La mostra prosegue, al di là di ogni distinzione cronologica, con un omaggio allo scultore italiano Arturo Martini (Treviso, 1889 – Milano, 1947). La scultura di piccolo formato in terra refrattaria «Violoncellista» (1931 ca.) si colloca nella fase più alta della sua creazione, che egli stesso ha definito il «periodo del canto», quando riceve il primo premio per la scultura alla Prima Quadriennale di Roma (1931) ed è invitato con una sala personale alla Biennale di Venezia (1932).
In dialogo con questa scultura è messa l’opera in gesso dipinto «Deux oiseaux» (1926) di Max Ernst (Brühl, Germania, 1891 – Parigi, 1976), eseguita a due anni di distanza dalla fondazione del movimento surrealista a Parigi. Con singolare inventività tecnica, Ernst elabora una raffinata composizione dove si possono distinguere vaghe forme di uccello emergenti da tessiture materiche e cromatiche eterogenee. Pur realizzata a quasi un secolo di distanza, la scultura «Belle du vent» (2003) di Rebecca Horn (Michelstadt, 1944), costituita da una coppia di elementi in pietra vulcanica azionati da un motore, suggerisce un’atmosfera altrettanto onirica e surreale. Attraverso un linguaggio simbolico, l’artista tedesca combina dispositivi meccanici e materiali organici per indagare temi quali la natura nel suo andamento ciclico, lo scorrere del tempo, l’esistenza umana. Tra gli artisti della contemporaneità, inoltre, il tedesco Markus Lüpertz (Reichenberg, 1941) e il colombiano Gabriel Sierra (San Juan Nepomuceno, 1975) – presenti in mostra rispettivamente con il dipinto «Ulysses II» (2011) e l’opera a parete «Untitled» (2014) – rivelano due distinte modalità di relazionarsi con il concetto di materia: il primo evocandolo all’interno di una dimensione prettamente pittorica, mentre il secondo assemblando oggetti tridimensionali dalla forte connotazione architettonica che vanno a sovvertire le coordinate spazio-temporali contingenti.
Il percorso si chiude con un capitolo dedicato ai materiali «cosmici». Di Enrico Prampolini (Modena, 1894 – Roma, 1956), forse il più eclettico e originale esponente del futurismo italiano, vengono presentate quattro opere: i due celebri polimaterici «Automatismo polimaterico C» (1940) e «Automatismo polimaterico F» (1941) esprimono una visione lirica e spirituale della realtà, definita dall’artista stesso «idealismo cosmico». Attraverso l’elaborazione polimaterica, Prampolini intende proiettarsi «oltre i confini della realtà terrestre», sino ad indagare i misteri del cosmo. Se in queste opere vengono evocati i processi produttivi e i ritmi biologici della natura, nel decennio successivo prevale piuttosto la concezione della materia come inedita realtà extra-pittorica e anti-illusoria, come si può evincere dalle due opere polimateriche «Apparizioni bioplastiche» (1954) e «Composizione S6: zolfo e cobalto» (1955). Il tema del rapporto dell’uomo col cosmo contraddistingue l’intera vicenda creativa dell’artista marchigiano Eliseo Mattiacci (Cagli, 1940 – Fossombrone, 2019). L’autore stesso riferisce come sue fonti d’ispirazione «il cielo, il Cosmo, l’immensità dell’infinito».
Entrambi i lavori qui esposti, «Spazio meteoritico» (1984) ed «Esplorare» (2003), ben rappresentano l’enigmatico rigore con cui Mattiacci formula il suo universo visivo attraverso l’uso originale dei metalli, materiali «vivi» in grado di attivare scambi di energie e nuove relazioni spaziali. Di ispirazione cosmico-astronomica, infine, è anche la grande opera pittorica «Eridanus» (2004) di Anselm Kiefer (Donaueschingen, 1945): qui la sfera celeste solcata dalla geometria della costellazione dalla quale aggetta un sottomarino in piombo, mette in luce la riflessione dell’artista sul rapporto con la storia recente della nazione tedesca.
La collezione Giancarlo e Danna Olgiati di Lugano racconta così, attraverso ventidue tele e quattordici artisti, come l’arte tra il ventesimo e il ventunesimo secolo sia stata capace di evidenziare l’irrinunciabile esigenza dell’uomo di confrontarsi con la terra – nella sua accezione fisica e metafisica – luogo di origine, sviluppo e fine di ogni essere umano.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Alberto Burri, Bianco Nero Cretto, 1972, acrovinilico su cellotex, 76,5 x 101,5 cm; [fig. 2] Enrico Prampolini, Automatismo polimaterico, 1941, collage e olio su carta, 32,4 x 40,6 cm; [fig. 3] Eliseo Mattiacci, Spazio meteoritico, 1984, trucioli di bronzi diversi con meteoriti in fusione di alluminio, 157 x 237 cm; [fig. 4]  Anselm Kiefer, Eridanus, 2004, olio, emulsione acrilica, carboncino e stucco su tela con sottomarino in piombo, 190 x 280 cm; [fig. 5] Arturo Martini, «Violoncellista», 1931 circa; [fig. 6] Antoni Tàpies, Marrò, 1958 © Fundació Antoni Tàpies / 2021, ProLitteris, Zurich

Informazioni utili
Terre. Collezione Giancarlo e Danna Olgiati, Lungolago Riva Caccia - Lugano. Orari: venerdì - domenica, ore 11.00 – 18.00. Ingresso libero. Informazioni: +41.(0)91.8157973, info@collezioneolgiati.ch. Sito internet: www.collezioneolgiati.ch | www.masilugano.ch. Fino al 6 giugno 2021

lunedì 24 maggio 2021

Dai cameo cinquecenteschi ai selfie contemporanei: in un libro di 24 Ore Cultura «L’autoritratto» nel corso dei secoli

Per secoli gli artisti hanno escogitato modi per includere sé stessi all’interno delle loro opere, disseminando tracce della propria presenza in dipinti, disegni, sculture e - in epoca più recente - film, fotografie e installazioni. Dagli antichi cameo ai selfie contemporanei sono numerosi i sistemi con cui, dal XV secolo ai giorni nostri, gli artisti hanno trattato il tema dell’autorappresentazione. A raccontarli è da qualche settimana, dall’uscita in libreria e on-line dello scorso 11 marzo, un libro a della scrittrice e curatrice Natalie Rudd, edito da 24 Ore Cultura nella collana Art Essentials, che raccoglie testi che offrono un’introduzione di prim’ordine alle idee, ai personaggi e alle opere della storia dell’arte che più hanno influenzato il nostro modo di vedere il mondo. Accanto a volumi come «50 momenti che cambiarono l’arte» di Lee Cheshire e «Le donne dell’arte» di Flavia Frigeri, il libro «L’autoritratto» di Natalie Rudd, Senior Curator dell’Arts Council Collection, prestigiosa collezione di arte moderna e contemporanea, racconta come nel corso del tempo, dal Rinascimento tra Italia e mondo fiammingo per arrivare ai nostri tempi, l’autorappresentazione continui a essere largamente praticato dagli artisti nelle sue diverse forme e amato dal pubblico per la sua capacità di illuminare un’ampia gamma di questioni universali: identità, umana fragilità, scopo dell’esistenza, mortalità.
Attraverso l’analisi di alcuni tra i più grandi capolavori della storia dell’arte, l’autrice esplora in ogni capitolo del libro l’opera di un artista diverso, proponendo una visione specifica di sessanta stili e approcci, prendendo in considerazione le varie tecniche utilizzate e i diversi modi per esprimere sé stessi.
Il viaggio si snoda partendo dal cameo di Jan van Eyck nel «Ritratto dei coniugi Arnolfini», passando per i dipinti tormentati di Francisco Goya, Vincent van Gogh, Eduard Munch e Frida Kahlo fino ad arrivare a tecniche tipiche della contemporaneità come la fotografia di Cindy Sherman, la performance di Marina Ambramović e l’installazione di Tracey Emin.
Le ragioni per cui gli artisti nel corso dei secoli hanno scelto di rappresentare sé stessi nelle loro opere sono molteplici: alcuni hanno usato sguardi rivolti all’osservatore ed espressioni criptiche per esprimere condizioni interiori, crisi profonde o rivelazioni sconvolgenti. Tanti si sono ritratti con pennello e tavolozza in mano per promuovere il loro lavoro. Altri ancora hanno, invece, esplorato il potenziale camaleontico del genere e trovato infinite possibilità di gioco, di nascondimento, di mascheramento e trasformazione.
Grande spazio viene dato nel volume alle artiste donne, che dell’autoritratto spesso hanno fatto un simbolo di espressione della condizione femminile e una rivendicazione delle proprie capacità. Nate in un contesto prettamente patriarcale, dove l’azione artistica era ad uso esclusivo dell’uomo, Artemisia Gentileschi e Sofonisba Anguissola attraverso l’autoritratto trovano la libertà di esplorare i temi dell’identità e del genere: la prima esprimendo con la pittura il suo ruolo di donna vincente, la seconda sfruttando la propria intelligenza per compiere sottili trasgressioni. Mentre Dorothea Tanning giocando con i simbolismi e gli scenari onirici della sua opera si impone a tutti gli effetti nel panorama del surrealismo, mettendosi sullo stesso piano dei suoi colleghi uomini. Infine, Zanele Muholi, giovane artista sudafricana - il cui autoritratto è anche la copertina del libro - usa la fotografia per parlare di attivismo politico e sostegno alle minoranze: grazie alle tecniche di postproduzione intensifica il nero della propria pelle, celebrandone la bellezza in risposta ai media generalisti che cercano invece di schiarire i corpi neri.
In un’epoca che si interroga più che mai sulle nozioni di identità personale, il libro approfondisce la questione centrale del perché gli artisti ritornino più e più volte all’autoritratto, illustrando come questo genere riesca a rivelare i volti mutevoli dell’individualità e dell’egoismo.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Cover «L’autoritratto» di Natalie Rudd; [fig. 2][fig. 2] Sofonisba Anguissola, Autoritratto al cavalletto, fine anni Cinquanta del XVI secolo. Olio su tela, 66 x 57 cm. Museum-Zamek, Lancut, Polonia; [fig. 3] Dorothea Tanning, Compleanno, 1942- Olio su tela, 102 x 65 cm, Philadelphia Museum of Art, Philadelphia. Acquisizione in occasione del 125° anniversario con il contributo di C. K. Williams, II, 1999 (1999-50-1). Dorothea Tanning © ADAGP, Paris and DACS, London 2021

Informazioni utili
Titolo: L’autoritratto. Editore: 24 ORE Cultura. A cura di: Natalie Rudd. Formato: brossura 14 x 21,5 cm. Pagine: 176 pp. corredate da 100 illustrazioni. Prezzo: € 14,90. Codice ISBN: 978-88-6648-526-1. In vendita in libreria e on-line. Sito internet: www.24orecultura.com

domenica 23 maggio 2021

#Notizieinpillole n. 2: cronache d'arte della settimana dal 17 al 23 maggio 2021

Una mostra italiana, «Ulisse. L’arte e il mito», si è aggiudicato il prestigioso «Global Fine Art Awards» nella categoria «Best Ancient». La Fondazione Arnaldo Pomodoro ha messo on-line la sezione Scenografia del «Catalogue Raisonné» dell'artista. Palazzo Strozzi ha portato in libreria un volume da collezione: «La Ferita. The Wound». Palazzo Te ha pubblicato un'interessante guida tematica al suo patrimonio storico-artistico, interamente dedicata alle Veneri. In Sicilia è stato trovato un testo inedito di Gesualdo Bufalino: la sceneggiatura «Io, Franca Florio». Al Piccolo Teatro è andato in scena «Antichi maestri», una riflessione sulle arti figurative. Venezia si appresta a ospitare il festival «Lo schermo dell’arte», in programma da giovedì 27 a domenica 30 maggio. Sempre a Venezia, alla Biennale di architettura, è possibile conoscere la storia del borgo di Peccoli, un'ottima meta turistica per l'imminente estate. Queste alcune delle notizie di cui vi abbiamo parlato questa settimana sulla pagina Facebook di «Fogli d'arte» (@foglidarte).
Buona lettura!   

1. IL «LABORATORIO PECCIOLI» TRA I PROTAGONISTI DELLA BIENNALE DI ARCHITETTURA
Tra le colline della Valdera, sulla direttrice che va da Pisa a Volterra, c'è un paese che guarda al futuro, rispettoso del suo passato, di una storia fatta di antiche pievi, piccoli musei, campi coltivati di olivi, viti e alberi da frutta. Stiamo parlando di Peccioli, borgo collinare dove l’arte contemporanea e la sostenibilità giocano un ruolo di primo piano. Premiato con la Bandiera arancione, la certificazione del Touring club italiano assegnata alle località con meno di 15.000 abitanti che, oltre ad avere un patrimonio storico, culturale e ambientale di pregio, sanno valorizzare il proprio territorio in termini di accoglienza turistica di qualità, il paese toscano è pronto a farsi scoprire dai visitatori della diciassettesima edizione della Biennale di architettura di Venezia (22 maggio-21 novembre 2021). Il borgo di Peccioli sarà, infatti, tra i protagonisti del Padiglione Italia, dove andrà in scena la mostra «Comunità resilienti», curata da Alessandro Melis dello studio Heliopolis 21.
La resilienza della cittadina toscana ha un cuore verde. La storia del comune è, infatti, legata alla presenza di un grande impianto di smaltimento nella frazione di Legoli, la cui gestione, fatta di accorta partnership pubblico-privato attraverso la società Belvedere, ingoia immondizia e riversa energia, ricchezza, servizi, strutture, infrastrutture, assistenza, bellezza, cura ambientale e benessere a tutta l’Alta Valdera.
La discarica, affrescata da Sergio Staino e dagli enormi wall drawing dell’artista neoavanguardista David Tremlett – che dopo la Tate Gallery di Londra, il MoMA di New York, ha fatto capolino in queste terre con un intervento nel borgo medioevale che è nei cataloghi della storia dell’arte contemporanea – è oggetto di interventi artistici così come l’intero borgo. Nakagawa, Massimo Bartolini, Umberto Cavenago, Alberto Garuti, Federico de Leonardis, Vedovamazzei, Vittorio Corsini, Fortuyn/O’Brien, Vittorio Messina, Patrik Tuttofuoco sono solo alcuni degli artisti che hanno realizzato le loro installazioni dando vita a un vero e proprio museo all'aperto.
Il luogo è stato anche dotato di un anfiteatro, una passerella sorprendente per servizi di moda (Gucci, Prada, Fendi, Valentino, Bulgari sono solo alcuni degli stilisti che si sono fatti incantare da Peccioli) e una ribalta inedita per spettacoli di teatro e di musica. Ne sanno qualcosa Fabio Concato, Pierfrancesco Favino, Luca Zingaretti, Luca Sofri, l’orchestra del Maggio Fiorentino, Claudio Santamaria, Walter Veltroni e molti altri personaggi, intellettuali, scienziati, economisti, artisti, performer.
Ma nel borgo va in scena anche il primo esperimento al mondo di robotica sociale in un contesto reale: i robot sfilano nei vicoli medioevali, fungono da spazzini a domicilio, portano la spesa a casa, vanno in farmacia o a fare acquisti per gli anziani con difficoltà deambulatorie. Nel paese ci sono anche la casa domotica testata dai cittadini, incubatori d’impresa, spin-off accademici e centri di ricerca sull’innovazione. Tutto parla la lingua del futuro, senza dimenticare la storia.

2. ON-LINE LA SEZIONE «SCENOGRAFIA» DEL «CATALOGUE RAISONNÉ» DI ARNALDO POMODORO
Si arricchisce di un nuovo, importante capitolo il catalogo ragionato di Arnaldo Pomodoro (Morciano di Romagna, 23 giugno 1926). Dal 18 maggio è on-line la sezione relativa alla scenografia, che documenta attraverso fotografie di spettacoli, materiali progettuali, locandine, note per la messinscena e opere correlate la storia complessiva di tutti i progetti dell’artista per il teatro.
A partire dalle prime esperienze a Pesaro, all’inizio degli anni Cinquanta, sino alle scenografie realizzate nel 2014 al teatro Greco di Siracusa, nella ricorrenza del centenario dell’Inda - Istituto nazionale del dramma antico, la passione del maestro per la scena ne ha fatto uno dei protagonisti più conosciuti del teatro contemporaneo.
«Nell’organizzazione teatrale e in ciascuno spettacolo ho sempre voluto mettere in evidenza la straordinaria valenza dell’elemento visivo – ha dichiarato Arnaldo Pomodoro – […]. Per completare e arricchire il progetto scenico ho sempre dedicato grande impegno allo studio dei costumi e all’uso di ornamenti, maschere, copricapi, armature e oggetti d’uso, come ulteriori elementi visionari di grande suggestione. […] Sono convinto che la scenografia debba anzitutto arricchire di significato il testo, per amplificarne l’effetto. […] Il compito dello scenografo, infatti, è quello di ‘mediare’ visualmente il testo per un nuovo pubblico in un altro e diverso periodo storico».
Il «Catalogue Raisonné» on-line, che per l’occasione si presenta in una rinnovata veste grafica, è un progetto in progress condotto dalla Fondazione Arnaldo Pomodoro sotto la supervisione dell’artista: uno strumento di consultazione immediato, gratuito, sempre aggiornato e preciso, rivolto a studiosi, istituzioni culturali e studenti, collezionisti, operatori di mercato che vogliano approfondire la conoscenza dell’opera del maestro. Dopo le sezioni dedicate a sculture, disegni, multipli e scenografia, il catalogo affronterà progressivamente tutti gli altri ambiti sperimentati dall’artista con il suo lavoro: gioielli, studi progettuali, grafiche, arti applicate.
Un’ampia sezione biografica, bibliografica e antologica consente di accedere a informazioni esatte e verificate sull’artista, a un ricchissimo apparato di immagini e a materiali documentari rari e di difficile reperibilità. È disponibile anche una sezione dedicata alle opere in collezioni pubbliche, con possibilità di collegamenti e consultazioni mirate, secondo molteplici chiavi di ricerca e di geolocalizzazione. 
Per essere sempre aggiornato il catalogo ha bisogno del contributo degli utenti: chiunque disponga di informazioni o voglia contribuire al corredo iconografico, può scrivere una e-mail a catalogueraisonne@fondazionearnaldopomodoro.it. Il catalogo può essere consultato al link: https://www.arnaldopomodoro.it/catalogue_raisonne/project/.

[Nella foto: «Un ballo in maschera», 2005. Scenografia di Arnaldo Pomodoro. Foto di Vaclav Sedy]

3. «LA FERITA» DI JR DIVENTA UN VOLUME DA COLLEZIONE 
A marzo, nei giorni del terzo lockdown dei musei, Palazzo Strozzi a Firenze cambiava volto. La facciata dell’edificio, uno dei simboli cittadini del Rinascimento, diventava palcoscenico di un intervento site specific di JR, artista contemporaneo tra i più celebri al mondo: «La Ferita. The Wound». Un collage fotografico in bianco e nero, alto 33 metri e largo 28, costruito come una anamorfosi, un gioco illusionistico, andava a comporre uno squarcio simbolico sulla parete, dal quale si intravedevano un’immaginaria sala espositiva, una biblioteca e alcune tra le opere più celebri opere del patrimonio artistico fiorentino come «La Primavera» e «La Nascita di Venere» del Botticelli e «Il ratto delle Sabine» del Giambologna. L’artista francese proponeva così una riflessione sulla difficile accessibilità ai musei, e ai luoghi della cultura in genere, durante la pandemia.
L’evento, primo appuntamento del programma Palazzo Strozzi Future Art, si arricchisce ora di un volume da collezione edito da Marsilio Editori (cartonato ricoperto, 30 x 30 cm, pp. 48, con 30 ill. a col. ISBN 978-88-297-1194-9; euro 29,00), che è stato presentato lunedì 17 maggio, alle ore 18.30, uno speciale appuntamento live, sul profilo Instagram dell’istituzione fiorentina, con l’artista e il curatore Arturo Galansino.
Attraverso una suggestiva documentazione fotografica dell’installazione, del suo work in progress e dei suoi riferimenti, il libro racconta la genesi di quest’opera così originale e significativa e la inquadra all’interno del percorso artistico di JR che a Palazzo Strozzi si è espresso con una sperimentale contaminazione con la storia dell’arte.
«Siamo orgogliosi che «La ferita» si completi con un progetto editoriale così speciale. Abbiamo curato ogni dettaglio di questo volume, e ci siamo misurati con una dimensione narrativa originale e nuova - dichiara Arturo Galansino, direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi –. Fin dal suo svelamento «La ferita» ha rappresentato una grandiosa forma di ispirazione per i cittadini di Firenze e per tutto il mondo. Con questo libro abbiamo voluto sviluppare ulteriormente la sua forza con l’obiettivo di sviluppare nuove connessioni tra la parola e l’immagine».
Per informazioni: www.palazzostrozzi.org.

4. IN LIBRERIA IL VOLUME «VENERE A PALAZZO TE» DI CLAUDIA CIERI VIA 
«Palazzo Te è un luogo-scrigno che incorpora miti e metamorfosi in ogni suo angolo, un labirinto di architetture e pitture che chiede di essere non solo ammirato, ma anche decifrato, letto, ascoltato, vissuto. Nella cultura e nell’immaginario di Giulio Romano e della nobiltà rinascimentale che ha abitato e vissuto il palazzo nei momenti di festa, il mito greco, filtrato dalla letteratura latina, era vivo e capace di emozionare. Era una presenza che si animava di rimandi, di letture, di immagini e di sogni. Il mito parlava e cantava. Oggi occorre farne memoria». Così Stefano Baia Curioni, direttore di Fondazione Palazzo Te, racconta l’importanza del progetto espositivo che l’istituzione mantovana sta dedicando a Venere, dea della bellezza che nasce dall’armonia, pacificatrice del cielo e della terra.
La prima delle tre mostre in programma, «Il mito di Venere a Palazzo Te», è appena diventata un libro, edito da Tre Lune con il contributo di Gruppo Tea. Disponibile in libreria, alla biglietteria del museo e on-line sul sito www.fondazionepalazzote.it, il volume, intitolato «Venere a Palazzo Te» (16,5x24 cm, 120 pp., brossura cucita, ISBN 978-88-31904-19-3, euro 14), è scritto da Claudia Cieri Via e arricchito da un corredo di oltre centocinquanta immagini a colori.
La studiosa esplora le varie raffigurazioni della «dea delle dee» nel palazzo mantovano, le confronta con altri modelli, ne indaga la tradizione formale e iconologica, le dispiega in un racconto avvincente, colto, semplice e necessario. Venere forza generatrice della natura, dea dell’amore, consacrata dea della bellezza dal Giudizio di Paride, emerge dalle pareti e dai soffitti di Palazzo Te, il «sacrario di Venere», grazie al pennello di Giulio Romano, «erede del graziosissimo Raffaello».
Divinità archetipica nei suoi aspetti contraddittori di figura ora pudica ora erotica, la dea è narrata nelle favole antiche come legittima moglie dell’anziano Vulcano, amante di Marte, dio della guerra, coinvolta da una passione amorosa con Adone fino alla morte.
La mostra a Palazzo Te presenta al pubblico le numerose Veneri raffigurate nel museo, tra stucchi e affreschi, valorizzate da un nuovo sistema di illuminazione. Il percorso è arricchito dall’esposizione di due opere legate alla produzione di Giulio Romano in prestito dal Palazzo Ducale di Mantova: la scultura «Afrodite velata», appartenuta all’artista e fonte di ispirazione per la Venere in stucco del soffitto della Camera del Sole e della Luna, e un arazzo eseguito da tessitori fiamminghi su disegno dello stesso Giulio Romano.
Per maggiori informazioni: tinyurl.com/pwj68atm.

5. «ANTICHI MAESTRI», A TEATRO UNA RIFLESSIONE SULL’ARTE
Da oltre trent’anni, ogni due giorni, un vecchio signore, musicologo per il «Times» e appassionato d’arte, si reca al Kunsthistorisches Museum di Vienna, si siede nella Sala Bordone e si mette a osservare con attenzione maniacale un celebre quadro di Tintoretto: «Ritratto di uomo barbuto». Perché quell’uomo ha un atteggiamento tanto strano? Che cosa cerca in quel capolavoro? La bellezza? No. I difetti perché «il tutto e il perfetto non li sopportiamo», ci risponde lo scrittore Thomas Bernhard nel suo romanzo «Antichi maestri» (1985).
Penultimo libro dell’autore austriaco e ideale conclusione di una trilogia delle arti, composta da «Il soccombente» (1983), ambientato nel campo della musica, e da «A colpi d’ascia» (1984), incentrato sull’arte drammatica, «Antichi maestri» è dedicato all’arte figurativa, ma è anche il racconto di una storia d’amore: sulla panca davanti al «Ritratto di uomo barbuto», il musicologo Reger, protagonista del romanzo, ha conosciuto quella che sarebbe diventata sua moglie e lì, giorno dopo giorno, ne ravviva il ricordo.
In bilico tra farsa e tragedia, tra confessione testamentaria e nostalgia per un amore perduto, il romanzo, nell’adattamento scenico di Fabrizio Sinisi e con la traduzione di Anna Ruchat, va in scena fino a domenica 23 maggio al Piccolo Teatro di Milano.
Il regista Federico Tiezzi trasforma l’opera di Bernhard in un vero e proprio studio teatrale sulla funzione dell’arte, i limiti della bellezza, la nevrosi della modernità, l’angoscia della solitudine e la disperazione della marginalità.
Tutti gli «Antichi Maestri» sono nulla per Reger, impersonato da Sandro Lombardi, di fronte al ricordo moglie; in tutti il musicologo ravvisa l’errore, la mancanza di genio. In scena ci saranno anche Martino D’Amico nel ruolo di Atzbacher e Alessandro Burzotta in quello di Irrsigler. Scene e costumi portano la firma di Gregorio Zurla; le luci sono di Gianni Pollini.
«Nel romanzo – dice il regista, Federico Tiezzi - pubblicato con il sottotitolo, non trascurabile, di Commedia, Bernhard, tra esilaranti elucubrazioni e ciniche invettive contro il mondo dell’arte, la città di Vienna e i suoi abitanti, innesca un feroce divertissement che si snoda su una pluralità di punti di vista, nel contempo farseschi e pessimistici, verso quello che lo scrittore austriaco considera simbolo dell’ipocrisia per eccellenza: l’essere umano». Antichi Maestri sarà in scena dal martedì al sabato, alle ore 1:30, la domenica, alle ore 16:00. Il costo del biglietto è fissato a euro 33,00 per la platea ed euro 26,00 per la balconata.
Informazioni su www.piccoloteatro.org

[Le immagini sono di Luca Manfrini]

6. ASSEGNATO A «ULISSE. L’ARTE E IL MITO» IL GLOBAL FINE ART AWARDS NELLA CATEGORIA BEST ANCIENT 
A due soli anni di distanza dalla vittoria del «Global Fine Art Awards» con «L'Eterno e il Tempo», nella categoria «Best Renaissance, Baroque, Old Masters», le grandi mostre forlivesi tornano sul podio del prestigioso premio americano.
Nella giornata di martedì 18 maggio, in diretta streaming da New York e Parigi, la mostra «Ulisse. L’arte e il mito» si è, infatti, aggiudicata il premio nella categoria «Best Ancient» della settima edizione del concorso, superando il British Museum di Londra, il J. Paul Getty Museum di Los Angeles, il Metropolitan Museum of Art di New York, il Louvre di Abu Dhabi, il Museu d’Arqueologia de Catalunya di Barcellona.
Il riconoscimento ha premiato nel contempo lo straordinario lavoro svolto continuativamente per sedici anni dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì ai Musei San Domenico, sotto il coordinamento e la guida di Gianfranco Brunelli, e il taglio particolarmente innovativo della mostra su Ulisse, che, pur senza rinunciare al rigore e all’approfondimento tematico, ha saputo coinvolgere il pubblico di tutte le età con numerosi inserti di natura multimediale.
Il prestigioso premio ha confermato, inoltre, la qualità e il valore delle grandi mostre forlivesi a livello mondiale, proprio mentre ai Musei San Domenico è in corso un’importante rassegna dedicata a Dante Alighieri, in occasione delle celebrazioni per il settimo anniversario della sua morte, che offre una rilettura della figura del «Sommo poeta» e della sua opera attraverso le immagini che lo hanno reso celebre in tutto il mondo in un arco temporale che va dal Duecento al Novecento.

7. DEBUTTA AL MIA FAIR IL PREMIO «ESPLORARE GAVI - IMMAGINI D'AUTORE DAL PIEMONTE» 
Esporrà in una cornice prestigiosa come il Mia - Milan Image Art Fair il vincitore della prima edizione di «Esplorare Gavi - Immagini d'autore dal Piemonte», il premio fotografico per professionisti e artisti della fotografia promosso dal Consorzio tutela del Gavi, il grande vino bianco piemontese.
Per partecipare al concorso, promosso con i patrocini di Enit - Agenzia nazionale del turismo e GAI-Giovani artisti italiani, c‘è tempo fino al 31 agosto. Gli interessati devono inviare un progetto composto da cinque a dieci immagini, che racconti il variegato paesaggio del Gavi - terra di confine tra Piemonte e Liguria ricca di bellezze paesaggistiche, architettoniche e umane -, ma che documenti anche i suoi caratteri distintivi, i suoi landmark e i suoi protagonisti. Le modalità narrative considerate sono la fotografia di paesaggio, lo still-life e la ritrattistica.
I lavori saranno selezionati da una giuria composta, tra gli altri, da Fabio Castelli, fondatore e co-direttore di Mia Fair, dai curatori Roberto Mutti e Denis Curti, e da Antonio Carloni, direttore del festival Cortona On The Move.
L'autore degli scatti vincitori non solo esporrà alla fiera milanese, in programma dal 7 al 10 ottobre, ma si aggiudicherà anche l'incarico di realizzare, nella primavera-estate 2022, un servizio fotografico nel territorio del Gavi del valore di € 4.880 lordi, oltre al rimborso delle spese di viaggio e permanenza.
Informazioni e modalità di partecipazione al link www.consorziogavi.com/esplorare-gavi/.


8. «IO, FRANCA FLORIO»: RITROVATA UNA SCENEGGIATURA INEDITA DI GESUALDO BUFALINO 
A consegnare la sua figura alla memoria del tempo» è stata la pennellata rapida ed eccentrica di Giovanni Boldini. Ma donna Franca Florio, altrimenti nota come la «regina di Sicilia» o «la stella d’Italia», suggestionò la fantasia di più di un intellettuale del suo tempo, a partire da Gabriele D’Annunzio. Alla nobildonna palermitana, una delle esponenti di maggiore rilievo della Belle Époque siciliana, guardò anche Gesualdo Bufalino, come documenta un inedito appena ritrovato fra le sue carte.
Non si tratta di un testo di narrativa, ma di una sceneggiatura commissionata allo scrittore tra il 1993 e il 1994 da Edward R. Pressman, produttore cinematografico americano, conosciuto soprattutto per il film «Wall Street» di Oliver Stone, con Michael Douglas premio Oscar come miglior attore protagonista. Il copione, un dattiloscritto con correzioni a mano e varianti applicate con lo scotch dallo stesso autore, reca come titolo: «Io, Franca Florio». Interlocutore dello scrittore fu Alessandro Camon, figlio di Ferdinando, sceneggiatore, che si era trasferito a Hollywood come produttore esecutivo.
Il soggetto della sceneggiatura è il racconto della straordinaria vita di Franca Florio, donna bellissima, simbolo di un mondo fatto di eleganza e opulenza. Sposata con Ignazio Florio, Franca fu vittima di un destino senza pietà, prima per la morte precoce dei figli, poi per il tracollo economico della famiglia, infine per il suo lungo sopravvivere, postuma di se stessa, in un tempo che ne aveva quasi dimenticato il nome.
Con «Io, Franca Florio» - che in base a un appunto del ’95 l’autore voleva inserire nel secondo volume delle «Opere», edito da Bompiani, dandogli così un autonomo valore letterario - Gesualdo Bufalino non era alla sua prima prova di sceneggiatore. Tra il 1988 e il 1989 lo scrittore comisano aveva, infatti, collaborato da consulente con Sandro Bolchi e Lucio Mandarà all’adattamento per la tv del romanzo di De Roberto «I Viceré» e, successivamente, aveva scritto un «timido abbozzo» di una sceneggiatura tratto dal suo romanzo «Argo il cieco».

9. «LO SCHERMO DELL’ARTE», CINEMA D'AUTORE A VENEZIA 
«Lo schermo dell’arte», film festival fiorentino diretto da Silvia Lucchesi, ritorna a Venezia e riapre il teatrino di Palazzo Grassi. L’appuntamento, in programma da giovedì 27 a domenica 30 maggio, prevede la proiezione di quindici titoli in lingua originale, con sottotitoli in italiano, firmati da importanti video-artisti e filmmaker internazionali. In ogni giornata saranno a disposizione quattro sessioni di proiezioni, accessibili su prenotazione obbligatoria sul sito www.palazzograssi.it.
Giovedì 27 maggio si partirà con «Szeemann and Lenin Crossing the Alps» di Rudolf Herz (Germania, 2019, 18’ 46’’), un ritratto inedito e intenso del celebre curatore e critico d’arte svizzero Harald Szeemann (1945 – 1980), scomparso nel 2005. A seguire, è in programma il film dell’artista palestinese Emily Jacir, «Letter to a friend» (Palestina, 2019, 43’), che lancia un appello al gruppo di ricerca inglese Forensic Architecture affinché conduca delle indagini sulla strada di Betlemme in cui la famiglia dell’artista vive da anni. Ci sarà, poi, «Recoding Art» (Brasile, 2019, 15’) di Bruno Moreschi e Gabriel Pereira, che mette in scena un singolare esperimento, invitando sette diverse tipologie di intelligenze artificiali a reinterpretare alcune opere del Van Abbemuseum di Eindhoven. La giornata si concluderà con «Spit Earth: Who Is Jordan Wolfson? » (Stati Uniti, 2020, 55’) di James Crump, su una serie di questioni che riguardano la società contemporanea: omofobia, misoginia, razzismo, nazionalismo, antisemitismo e violenza.
Venerdì 28 maggio si inizierà con «De Oylem iz a Goylem» di Omer Fast (Austria, Germania, 2019, 24’) con una serie di riflessioni sul nostro sistema di credenze. Sarà, poi, il momento di «The Sculpture» dell’artista taiwanese Musquiqui Chihying (Taiwan, 2020, 28’), sulla vicenda Xie Yanshen, collezionista e filantropo cinese, nonché direttore del Museo internazionale privato di arte africana a Lomé, in Togo. A chiudere la giornata sarà «Aalto» di Virpi Suutari (Finlandia, 2020, 103’), un omaggio al grande architetto scandinavo condotto attraverso l’intenso scambio epistolare tenuto con la prima moglie, Aino.
Sabato 29 maggio si inizierà con «Bustrofedico» di Anna Franceschini (Italia, 2019, 14’ 47’’), realizzato per il finissage del Padiglione Italia alla Biennale d’Arte 2019. Si proseguirà con «History of a Tree» di Flatform (Italia, 2020, 24’), la storia della quercia vallonea più antica d’Europa, sita a Tricase, in provincia di Lecce, sotto la cui chioma in quasi un millennio di vita hanno trovato riparo donne e uomini di passaggio. Successivamente, verranno proiettati «Becoming Alluvium» di Thao Nguyen Phan (Spagna, Vietnam, 2019, 16’40’’), «Three Works for Piano» di Dani Gal (Germania, 2020, 34’) e «#JR» di Serge July e Daniel Ablin (Francia, 2018, 52’), il documentario dedicato all’artista francese che con le sue fotografie di dimensioni colossali coinvolge diverse popolazioni incontrate in tutto il mondo nella convinzione che l’arte possa offrire un contributo fondamentale per cambiare le cose.
Domenica 30 maggio si inizierà con «Haunting» di John Menick (Stati Uniti, 2020, 32’) che conduce il pubblico nel cuore della storia del cinema horror. Si proseguirà con «Kala Azar» (Paesi Bassi, Grecia, 2020, 91’), il primo lungometraggio dell’artista greca Janis Rafa. Infine, verrà proiettato «Keith Haring: Street Art Boy» di Ben Anthony (Regno Unito, 2020, 53’), un salto nella scena culturale newyorkese degli anni Ottanta, tra new wave, rap e graffiti.
Per maggiori informazioni: www.palazzograssi.it.