venerdì 24 dicembre 2021

Da Bolzano a Roma, quando il Natale diventa arte

«Angelus Loci», quattro installazioni per il natale di Bolzano
Si intitola «Angelus Loci» il progetto di arte contemporanea che la città di Bolzano, con la collaborazione dello studio di comunicazione FranzLAB, ha ideato in occasione del Natale. Lo spazio pubblico cittadino sarà abitato, fino al prossimo 6 gennaio, da quattro installazioni site-specific firmate dagli artisti altoatesini Carla Cardinaletti, Michael Fliri, Elisa Grezzani e Hubert Kostner.
Per veicolare e comunicare messaggi positivi – soprattutto in una terra multilingue e multiculturale come l’Alto Adige - è stata scelta la figura dell’angelo, presente in ogni cultura e religione, e identificativa anche del genius loci, dello «spirito del luogo» di Bolzano. I serafini, per esempio, sono presenti in vari affreschi sacri del territorio.
Michael Fliri (Tubre - Val Monastero, 1978), recentemente premiato con l'Artist Award del Ministero della Cultura austriaco, ha utilizzato queste figure di luce per la sua installazione «Still With Earthly Desires + Aspirant», un mix di musica, video e fotografie di grande formato che trasportano il pubblico in una dimensione parallela: ali e corpi ipnotizzano lo sguardo, il movimento e il tempo si trasformano in incorporeità.
Elisa Grezzani (Bressanone, 1986) mette, invece, al centro della sua installazione - un grande arazzo decorato e coloratissimo, una sorta di talismano di pace e speranza – la figura del serafino Vehuiah, angelo a sei ali di pura luce o fuoco, appartenente alla più alta gerarchia celeste, secondo la Kabbalah porta con sé nuova energia luminosa, dissipando il caos.
Mentre Carla Cardinaletti (Bolzano, 1971) regala alla sua città l’«Angelo rosa», con la parola «Angel» in corsivo, scritta che, all’imbrunire, si illumina di rosa. Si illumina anche la scritta «L U C I» nell’opera di Hubert Kostner (Bressanone, 1971), che ha voluto così rendere omaggio a una parola che, nella sua brevità, può contenere una miriade di messaggi: da sempre, nei riti cristiani come in quelli pagani e di altre culture al solstizio d’inverno, se ne celebra con l’allungarsi del giorno il ritorno, come simbolo di rinascita.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito franzlab.com.
 
Al Museo Davia Bargellini l’arte presepiale secondo i bolognesi
Da quindici anni l’Istituzione Bologna Musei offre al suo pubblico una mostra dedicata all’arte presepiale tradizionale, come momento di avvicinamento e celebrazione collettiva della raffigurazione della Natività nella notte di Betlemme. Di anno in anno, l’iniziativa ha posto il pubblico a confronto con scuole di aree regionali diverse. Il nuovo appuntamento espositivo, in cartellone fino al 16 gennaio, è dedicato alla ricchissima e secolare tradizione iconografica bolognese.
Elisabetta Bertozzi, Leonardo Bozzetti, Giovanni Buonfiglioli, Mirta Carroli, Marco Dugo, Paolo Gualandi e Luigi Enzo Mattei sono gli artisti che espongono le proprie opere al museo Davia Bargellini, rendendo, contemporaneamente, omaggio alla scultrice e presepista Francamaria Fiorini, improvvisamente scomparsa nel 2020, di cui è esposto il bozzetto preparatorio del primo e unico «presepe ortodosso» mai realizzato, presentato e donato nel 2019 al patriarca di Mosca Cirillo I.
Le piccole statue in mostra sono versioni attualizzate delle figure del presepio classico felsineo, uscite dalle locali botteghe artigiane tra il XVIII e il XIX secolo. I vari personaggi riprendono, rinnovandole, iconografie storiche tradizionali come la «Meraviglia», l’«Adorazione», il «Dormiglione» e la «Tradizione» (ovvero l’adulto che accompagna i bambini a vedere il presepio, perché imparino la sapienza umana e divina). Sono testimoni di questa storia gli illustri modelli di grandi plasticatori bolognesi ed emiliani dei secoli passati, che si conservano proprio nella collezione del museo Davia Bargellini, frutto dell’intelligente impegno del suo fondatore Francesco Malaguzzi Valeri.
Dal pifferaio di Leonardo Bozzetti al brentadore (il trasportatore di vino) di Luigi Enzo Mattei, dal magio di Mirta Carroli al burattinaio di Marco Dugo, il presepe «made in Bologna, mette, dunque, in scena e trasfigura la vita quotidiana, mostrando esemplarmente ancora una volta come, parafrasando il cardinale Giacomo Biffi, «siamo tutti nel presepio», con il nostro volto e la nostra vocazione.
Per maggiori informazioni è possibile consultare la pagina www.museibologna.it/arteantica.

Biella festeggia il Natale con un’opera di Casorati

Il periodo natalizio è strettamente legato al tema della maternità e della nascita. Biella lo festeggia con l’esposizione, nella Cattedrale di Santo Stefano, del dipinto «Studio per La barca», opera del novarese Felice Casorati, uno dei maestri del Realismo italiano.
Appartenente a un collezionista privato biellese, l’opera è lo studio preparatorio per «La barca» (1934), tela esposta nella Galleria d'arte moderna «Ricci Oddi» di Piacenza.
Nel dipinto sono rappresentate due donne a bordo di una piccola imbarcazione: una in primo piano tiene in braccio un neonato mentre lo allatta; la seconda sta nello sfondo di spalle e in posizione quasi appartata. Non è noto per quale contesto o committente l'artista abbia dipinto quest'opera.
Le donne sembrano rappresentare delle fuggitive che scappano da qualcosa o da qualcuno per rifarsi una nuova vita, per preservare la piccola creatura, per garantirgli una rinascita in un posto sicuro, come una moderna e sempre attuale fuga in Egitto, dove all'asino e a San Giuseppe si sostituisce un tragitto via mare con la Madonna, il Bambino e una ancella.
La pittura in «Studio per La Barca», che viene esposto a Biella nell’ambito del progetto «Sia luce», per quanto sia grezza e lasciata solo in stadio di prova è allo stesso tempo anche evocativa del suo carattere neoclassico, non legata all'impressione o all'espressione. È una pittura più celebrale e astratta, mai impregnata da suggestioni vitalistiche, ma legata solo all'esperienza diretta della percezione e catalogazione della realtà.
Per ulteriori informazioni è possibile consultare la pagina www.bi-boxartspace.com.

«Admirabile signum», La Spezia fa da scenario a una mostra sul presepe tra arte antica e contemporanea 
È un’opera di Marco Lodola (Dorno, Pavia, 1955), dal tradizionale impianto ludico e pop, ad aprire il percorso espositivo della mostra «Admirabile signum. Il presepe tra arte antica e contemporanea», allestita fino al 30 gennaio negli spazi della Fondazione Carispezia, per la curatela di Lara Conte e Alberto Salvadori che, per la parte relativa all’arte antica, hanno lavorato alla costruzione del percorso espositivo in dialogo con Simonetta Maione e Giulio Sommariva, con il contributo di Andrea Marmori.
La mostra mette in relazione importanti esemplari di presepe di produzione genovese e lombarda del XVIII secolo, principalmente provenienti dal Museo Luxoro di Genova, con un nucleo di opere e installazioni contemporanee, creando un ponte tra presente e passato, tra figurazione ed evocazione.
Attraverso media e linguaggi diversi, nel corso del XX secolo e nella contemporaneità gli artisti hanno continuato a confrontarsi con uno dei temi maggiormente rappresentati nella storia dell’arte occidentale, fornendone interpretazioni che vanno oltre l’iconografia e la dimensione figurativa tradizionale.
Accanto ai presepi settecenteschi il visitatore troverà creazioni di Roberto Almagno, Maria Lai, Marco Lodola, Fausto Melotti, Michelangelo Pistoletto e Guido Strazza. Per maggiori informazioni: https://foglidarte.blogspot.com/2021/12/admirabile-signum-presepe-tra-arte-antica-contemporanea-laspezia-fondazione-carispezia.html

Nella foto:  Roberto Almagno, Presepe foresta, 2001. Legno, Ø 300 cm. Museo Internazionale del Presepio Vanni Scheiwiller, Castronuovo Sant’Andrea (PZ)

Raffaello, Dante e Caravaggio nel presepe della Cappella Sistina
È una delle opere d’arte più importanti di tutti i tempi, il ciclo di affreschi di Michelangelo nella Cappella Sistina in Vaticano, a fare da cornice al presepe di stile e soggetto rinascimentale, visibile fino al prossimo 15 gennaio a Roma grazie al contributo della Fondazione Giulio e Giovanna Sacchetti onlus.
L’opera, di circa tre metri di lunghezza e due di profondità, è un omaggio a Raffaello Sanzio nel cinquecentesimo anniversario dalla sua scomparsa (ricorrenza commemorata lo scorso anno), ma anche a Dante e Caravaggio, di cui, nel 2021, si sono celebrati rispettivamente i settecento anni dalla morte e i quattrocentocinquanta anni della nascita. Questi tre personaggi appaiono così all’interno del presepe, insieme a Giulio II, il papa mecenate. Ma i riferimenti ai tre intellettuali rinascimentali non finiscono qui. Giuseppe e Maria indossano, infatti, vestiti ispirati allo «Sposalizio della Vergine» di Raffaello. Mentre sopra la grotta - ambientata in un’architettura che ricorda il Serapeo di Villa Adriana a Tivoli e piazza della Cisterna a San Gimignano, ma anche alcuni scorsi caratteristici di Spoleto - è riprodotto in miniatura l'affresco con la «Scuola di Atene», situato nella Stanza della Segnatura all’interno dei Musei Vaticani, anche questo opera dell’urbinate.
Il presepe è stato realizzato nell’arco di nove mesi da un gruppo di artisti-artigiani (Giuseppe PasseriEva Maria Antulov e Alfonso Pepe) con grande attenzione ai dettagli e dopo aver effettuato studi su colori e su terre rare e di difficile reperimento. Il blu è stato, per esempio, ricavato dal più pregiato dei lapislazzuli al mondo, quello del Sar-e-Sang a nord dell’Afghanistan; mentre le azzurriti provengono dalla miniera di Alnif, in Marocco, e il diaspro, molto raro, dalle isole dell’arcipelago toscano.
Il presepe, donato al Vaticano, è anche e soprattutto un doveroso omaggio al marchese Giulio Sacchetti, scomparso nel 2010, già Delegato speciale della Pontificia commissione per lo Stato della Città del Vaticano. «Il mio rapporto con la Sistina, uno dei più importanti siti artistici al mondo, - ha detto la moglie, Giovanna Sacchetti, in occasione dell’inaugurazione - inizia nel 1980 con la firma del contratto di mio marito per seguire i lavori per la pulitura e termina nel 1994, con la messa solenne celebrata da papa Giovanni Paolo II, in occasione della presentazione dei restauri. In quei quattordici anni ho visitato molte volte il cantiere e tornare qui con un presepe dedicato a mio marito personalmente è molto commovente».
Per maggiori informazioni è possibile consultare la pagina www.fondazionegiulioegiovannasacchetti.it.

giovedì 23 dicembre 2021

#notizieinpillole, cronache d'arte di fine 2021

«Oro e colore nel cuore dell'Appennino»: a Gubbio una mostra su Ottaviano Nelli e il Quattrocento
«La musica degli angeli e il fortore degli stabbi, l’inno sacro e la mascherata irriverente, la tenerezza liliale delle Madonne e la crudezza del sangue a fiotti di martirii, la dolcezza malinconica e la volgarità compiaciuta»: è tutta racchiusa nelle parole di Andrea De Marchi la cifra stilistica di Ottaviano Nelli (Gubbio, 1370 ca. – 1448-49), uno dei massimi pittori del gotico internazionale. All’artista eugubino, che ha portato «oro e colore nel cuore dell’Appennino», è dedicata la mostra allestita fino al 9 gennaio a Gubbio, nelle sale dei palazzi Ducale e dei Consoli.
L’esposizione, a cura di Andrea De Marchi e Maria Rita Silvestrelli, riunisce le opere più importanti del pittore: pale d’altare, anconette, dittici per la devozione individuale e affreschi strappati, tra cui un insolito grande polittico francescano, bizzarro nell’accostamento delle scene narrative e con scale proporzionali eterogenee, attualmente smembrato e conservato in cinque sedi tra Italia, Francia e Stati Uniti, che viene esposto per la prima volta nella sua integrità.
Attivo nel primo Quattrocento, radicato nella sua Gubbio, dove fu pure console, Ottaviano Nelli seppe fondere la tradizione locale con elementi desunti dalla pittura lombarda e dalla miniatura francese, sviluppando un linguaggio personale vicino alle soluzioni di Lorenzo Salimbeni e di Gentile da Fabriano. A capo di un’attivissima bottega, l’artista ci ha lasciato cicli vivacissimi, rutilanti di colori e di preziosità, pieni di verve, di ritratti e di sapidi aneddoti.
La mostra, di cui rimarrà documentazione in un catalogo di Silvana editoriale, racconta anche il contesto artistico e l’ambiente in cui lavorò il pittore quattrocentesco, esponendo lavori dell’orvietano Cola Petruccioli, del senese Taddeo di Bartolo e dell’eugubino Jacopo Bedi e di altri ancora.
In occasione della rassegna è stato, inoltre, ideato un itinerario urbano e transappenninico, con la visita a vari edifici del territorio, tra cui Santa Maria Nuova, dove è esposta la «Madonna del Belvedere», manifesto del gotico internazionale.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.mostranelligubbio.it

Nell'immagine: Madonna del Belvedere. Affresco, alt. 188 cm, lungh. 250 cm. Gubbio, Chiesa di Santa Maria Nuova  

In Veneto alla riscoperta di Noè Bordignon, un pittore e frescante in bilico tra Realismo e Simbolismo
È stato uno dei principali narratori delle povere genti e del mondo della campagna veneta nella seconda metà dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento. Si è mosso nel campo del Realismo, lasciandoci opere che sembrano fotografie d’epoca, e in quello del Simbolismo, dando vita a paesaggi dell’anima, dalle atmosfere diluite e dai veloci tocchi di colore. Ci ha lasciato lavori iconici come «La mosca cieca» (o La gatta cieca), «La pappa al fogo» o «Per l’America (i migranti)». Suoi affreschi, testimonianza di una religiosità in perfetta sintonia con la dottrina sociali della Chiesa di quei decenni, di cui è frutto la «Rerum Novarum» di papa Leone XIII (1891), sono visibili sulle volte e di tante chiese del territorio veneto, a partire dall’abbazia sull’isola di San Lazzaro degli Armeni, davanti a Venezia, senza dimenticare Bassano del Grappa e Asolo.
A cento anni dalla morte, Castelfranco Veneto e San Zenone degli Ezzelini, le due città che videro l’inizio e la fine della sua vita e della sua carriera, celebrano Noè Bordignon (1841- 1920), frescante e pittore, con una mostra, a cura di Fernando Mazzocca ed Elena Catra, che allinea una sessantina di opere dell’artista e offre anche alcuni puntuali confronti con i contemporanei Ciardi, Zandomeneghi, Milesi e non solo. L’esposizione allarga, inoltre, il suo occhio alle opere presenti sul territorio pedemontano e veneto (11 i comuni coinvolti con 21 siti e altri 9 i comuni segnalati).
La mostra celebrativa, in programma fino al 16 gennaio, prende le mosse da Castelfranco con un’evocativa introduzione dedicata all’universo femminile del pittore e con le prime due sezioni tematiche, «La formazione artistica e il pensionamento romano» e «La pittura del vero», che propongono suggestivi spaccati della quotidianità dell’epoca, scene popolari, quadri dal lessico familiare, umili interni, ma anche «buffe» rappresentazioni dal carattere realista. 
Nelle sale del Museo Casa Giorgione è, inoltre, visibile una notevole selezione di disegni e studi come il taccuino di appunti visivi del suo viaggio del 1878 a Parigi per l’Esposizione universale, dove Bordignon vinse una medaglia per l’opera «Ragazze che cantano nella valle».
L’esposizione prosegue, quindi, a San Zenone, completando la fase pittorica del Realismo legato al mondo campestre e soffermandosi sul ritratto e sulla svolta simbolista. Nelle sale di villa Manini Rubelli sono esposti per la prima volta i dipinti dei familiari gelosamente conservati nell’abitazione privata dell’artista. Sono, inoltre, visibili quadri come «Inverno», «Lieto Ritorno» e il bellissimo bozzetto di «Matelda», la guida di Dante nel XXVIII canto del Purgatorio, con cui Noè Bordignon, pur legatissimo alla tradizione, si mostra capace di stare al passo con i tempi, di saper rileggere e interpretare le nuove istanze senza venir meno alla sua visione dell’arte.
Per maggiori informazioni è possibile consultare la pagina www.mostrabordignon.it

Nelle immagini: 1.Noè Bordignon, La pappa al fogo, 1895. Olio su tela, 155 x 215 cm. Vicenza, Banco Popolare di Vicenza; 2. Noè Bordignon, Compatrioti di Canova, 1882. Olio su tela, 85 x 113 cm. Vicenza, Collezione privata; 3. Filippo Palizzi, Fanciulla sulla roccia a Sorrento, 1871. Olio su tela, 54,80 x 79,50 cm.Badia Polesine (Rovigo), Collezione Balzan  

A Venezia un’ampia retrospettiva su Mario De Biasi, tra fotografie famose e inediti
Dal 1947 al 2003, dagli esordi della sua collaborazione con la rivista «Epoca» fino agli ultimi lavori: oltre duecentocinquanta immagini, metà delle quali inedite e vintage, raccontano a Venezia, negli spazi della Casa dei Tre Oci, la parabola creativa di Mario De Biasi (Sois, Belluno, 1923 - Milano, 2013), tra i più straordinari interpreti del Novecento, instancabile viaggiatore e osservatore del mondo.
L’esposizione, curata da Enrico Viganò, accosta alle fotografie i disegni dell’autore: un universo dalle tinte forti e di infinita fantasia che ha per soggetti soli, occhi, teste e cuori. Ci sono, poi, in mostra anche volumi, numeri originali della rivista «Epoca», appunti, quaderni e due approfondimenti audiovisivi. L’intervista di Laura Leonelli in cui Mario De Biasi racconta la sua esperienza di fotografo e una proiezione di immagini, selezionata dalla figlia dell’artista, con i servizi per la collana di «Epoca» intitolata «Le meraviglie del mondo».
Testimone della nostra storia, il fotografo bellunese ci ha raccontato l’Italia del Dopoguerra, con la sua voglia di rinascita e di ricostruzione, l’insurrezione ungherese del 1956, lo scorso sulla luna, ma anche i suoi viaggi per il mondo - dalla Thailandia al Brasile, da Israele al Nepal – e i grandi divi del cinema come Brigitte Bardot, Fellini e Masina, Romy Schneider, Maria Callas.
Tra i tantissimi inediti, la Casa dei Tre Oci espone, per la prima volta, l’intera sequenza della fotografia più celebre e probabilmente più amata di De Biasi: «Gli Italiani si voltano», realizzata nel 1954 per il settimanale di fotoromanzi «Bolero Film» e scelta da Germano Celant come immagine guida della sua mostra al Guggenheim Museum di New York, «The Italian Metamorphosis 1943-1968». Una splendida Moira Orfei vestita di bianco passeggia per il centro di Milano, attirando lo sguardo di un gruppo di uomini.
Di grande impatto visivo, infine, è l’installazione dedicata alle pause pranzo raffigurante un mappamondo sul quale sono esposte quaranta fotografie vintage, di piccolo e piccolissimo formato, ciascuna connessa al luogo in cui è stata scattata. L’intento è di restituire il senso di universalità e il taglio antropologico della ricerca di Mario De Biasi, che ritrova in un semplice gesto quotidiano un forte senso di comunanza tra culture lontane e diverse.
Per maggiori informazioni è possibile visitare il sito www.treoci.org

Didascalie delle immagini: 1. Gli italiani si voltano, Milano, 1954. © Archivio Mario De Biasi / courtesy Admira, Milano; 2.Brigitte Bardot, Venezia, 1957. © Archivio Mario De Biasi / courtesy Admira, Milano 

«Great men», da Brera un film sull’esilio di Dante e Napoleone
Dante Alighieri
e Napoleone Bonaparte, due uomini in esilio, raccontati al tempo del Covid: si potrebbe riassumere così la trama di «Great men», esperienza interattiva on-line disponibile dal 30 dicembre sulla piattaforma Brera Plus +.
Dopo i documentari, i programmi speciali, i concerti e le visite virtuali al suo patrimonio artistico, il museo milanese, diretto da James Bradburne, è diventato scenario, insieme con le Gallerie d’Italia, di una pièce teatrale scritta dalla giovane drammaturga inglese Emily Renée e diretta dal regista e scenografo italiano Fabio Cherstich, con protagonisti gli attori Jorge Franco IV, Marco Gambino, Jacopo Rampini.
La registrazione dello spettacolo, avvenuto in un’unica replica, è la base del progetto on-line: un film che consente al pubblico l’interazione e che racconta connessioni significative tra l’esperienza di allontanamento dalla propria patria d’origine vissuta dallo scrittore fiorentino e dal condottiero corso, di cui ricorrono rispettivamente i settecento e i duecento anni dalla morte, con lo stato di isolamento che tutti noi abbiamo esperito negli ultimi due anni a causa della pandemia.
Emily Renée è rimasta affascinata dal rapporto genitoriale dei due uomini. Se da un lato, Napoleone, a seguito del primo esilio all’Elba, non vide mai più suo primogenito, dall’altro, Dante visse la condizione di esule sempre in compagnia dei suoi due figli. Questa storia viene raccontata da due giovani contemporanei, Thomas e Bijan, che, attraverso alcune conversazioni su Skype, tratteggiano lo scenario di un mondo fortemente in cambiamento, in cui faticano a collocarsi, rivelando un rapporto non ancora risolto con la figura paterna.
Il video interattivo «Great Men», della durata di un’ora, è in lingua inglese e sottotitolato in italiano. Può essere visionato con la propria «BreraCard», generata in automatico durante l’acquisto di un biglietto per visitare la Pinacoteca o acquistabile su BreraBooking.org al costo di 15,00 euro. La tessera permette sia la fruizione on-line di uno ricco programma di eventi culturali, sia la possibilità di visitare fisicamente il museo, per tre mesi e per tutte le volte che lo si desidera.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito BreraPLUS.org

«Visioni dantesche», un video dell’Accademia di Belle Arti di Bologna per la mostra modenese «Dante illustrato nei secoli»
È un video realizzato dagli studenti dell’Accademia di Belle arti di Bologna, attraverso tecniche di animazione digitali e tradizionali, a chiudere il percorso espositivo della mostra «Dante illustrato nei secoli. Testimonianze figurate nelle raccolte della Biblioteca estense universitaria», allestita fino al prossimo 8 gennaio a Modena.
La regia e l'ideazione del progetto, intitolato «Visioni dantesche», sono di Filippo Pierpaolo Marino, docente di Digital Video. Le composizioni e le animazioni sono state realizzate da Simone Tacconelli e Manuela Tommarelli, insieme a Ivan Pjevcevic; mentre Stefano Diso ha curato il sound design.
Attraverso immagini e suoni, lo spettatore è condotto per mano alla scoperta delle illustrazioni dantesche conservate dalla Biblioteca estense di Modena e rielaborate attraverso il collage, la pittura e il disegno al fine di creare nuove visioni e suggestioni dell’opera dell’Alighieri, affresco della complessità dell'animo umano, nonché dello spirito profetico del «sommo poeta».
Dai manoscritti miniati e dalle prime edizioni a stampa della «Divina Commedia», fino alle opere di Gustave Doré, Francesco Scaramuzza, William Blake, Salvator Dalí e Renato Guttuso, l’esposizione modenese, a cura di Grazia Maria De Rubeis, illustra - raccontano gli organizzatori - «un capitolo della storia secolare del commento e della fortuna dell'Alighieri, oltre che della storia del libro e, più in generale, dell'arte figurativa».
Tra i pezzi più pregevoli in mostra c’è il «Dante estense», un manoscritto con disegni acquarellati, «papyrus style», sul margine superiore di tutti i fogli. Altri rarissimi documenti sono rappresentati da incunaboli illustrati da rami e xilografie come la «Commedia» stampata a Firenze nel 1481, con due rami incisi dall’orafo e incisore fiorentino Baccio Baldini su disegno di Botticelli. Chiude il percorso la monumentale opera dantesca in tre volumi, che impegnò Amos Nattini (1892-1985) sia come illustratore, che come editore per più di venti anni, completa del mobile leggio disegnato dal famoso architetto Giò Ponti.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.gallerie-estensi.beniculturali.it.

Al Piccolo di Milano il «Pinocchio» della compagnia Carlo Colla & figli
Le marionette della Carlo Colla & Figli hanno incontrato per la prima volta «Le avventure di Pinocchio» nello sceneggiato televisivo diretto da Luigi Comencini. Era il 1972. Quasi cinquant’anni dopo la compagnia marionettistica più famosa d’Italia torna a incrociare la sua strada con quella del capolavoro di Collodi, romanzo di formazione che racconta la metamorfosi di un burattino di legno, spesso discolo, in un bambino in carne e ossa, dopo aver vissuto mille avventure e prove per diventare grande.
Lo spettacolo, ridotto per la scena a partire dagli appunti di Eugenio Monti Colla e diretto da Franco Citterio e Giovanni Schiavolin, sarà sul palco del Piccolo Teatro Grassi di Milano da martedì 28 dicembre a domenica 9 gennaio.
Scene, sculture e luci portano la firma di Franco Citterio; i costumi sono stati ideati di Cecilia Di Marco e Maria Grazia Citterio. La musica originale è di Danilo Lorenzini e si dipana tra marcette circensi, valzer da saga paesana, ritornelli di cantastorie e il ligneo crepitare delle articolazioni del protagonista marionetta.
La drammaturgia, incorniciata da un prologo e da un epilogo, si sviluppa in sei differenti quadri e otto situazioni sceniche dinamiche, mutevoli e in movimento; queste saranno lo sfondo dei personaggi che, fra marionette e marionettine, animali antropomorfi e animali naturalistici, figurini, sagome e cartonaggi, superano le centocinquanta unità.
Gli attori di legno, con la loro gestualità e il loro forte potenziale evocativo, coadiuvate dalle voci storiche che, da anni, danno la parola ai piccoli personaggi, cercheranno di trascinare il pubblico in una sorta di ballata popolare, dalle tonalità dolci ma anche, a tratti, amare, scandagliando gli aspetti poetici insiti nel romanzo, creando un racconto a cavallo tra fantasia e sapienza popolare.
Per maggiori informazioni è possibile consultare la pagina www.piccoloteatro.org

Strenna 2021, l’ospedale Gaetano Pini pubblica un libro sul Conservatorio di Milano
Era il 1879 quando il medico Gaetano Pini, fondatore dell’allora Pio Istituto dei Rachitici di Milano, faceva pubblicare «Il nuovo Presagio», la prima di tante strenne nate con l’intento di «portare ai ricchi e ai felici il saluto e l’augurio dei miseri».
Da 143 anni quella tradizione è un immancabile appuntamento natalizio e, anno dopo anno, si è venuta a creare una «bibliotechina – amava dire Gaetano Pini - abbastanza varia» per gli argomenti trattati, ma con un baricentro evidente: Milano. La Pinacoteca di Brera, la Triennale, l’Università degli Studi, il Monastero maggiore di San Maurizio, la Villa reale di via Palestro, ma anche Alessandro Manzoni e l’Esposizione nazionale del 1881 sono, infatti, alcuni dei temi trattati.
Il nuovo volume rende omaggio a un’importante istituzione meneghina dedicata alla musica: il Conservatorio «Giuseppe Verdi». La narrazione è stata affidata agli autorevoli professionisti che vi operano. Stralci di storia, curiosità e aneddoti sono raccontati nei testi che hanno un taglio divulgativo. Il libro raccoglie, per esempio, le storie degli artigiani milanesi dell’Ottocento che hanno contribuito alla nascita della collezione degli strumenti e dei grandi nomi di alunni e docenti che hanno dato prestigio al Conservatorio, come Nino Rota o Claudio Abbado. Inoltre, tramite QR Code, è possibile ascoltare on-line un’esibizione dell’Orchestra sinfonica del Conservatorio di Milano e una della Verdi Jazz Orchestra.
Così Paola Lattuada, direttore generale dell’ospedale Gaetano Pini, spiega per quale motivo la strenna 2021 è stata dedicata al Conservatorio «Giuseppe Verdi»: «la creatività rappresenta da sempre un elemento importante da affiancare alla cura. Il valore attribuito alla musica riguarda la sfera emotiva: la musica è in grado di modulare l’umore di una persona in diverse circostanze nell’arco della vita, influisce in maniera rilevante nel quotidiano e, in una prospettiva più ampia, ha il potere di promuovere la salute fisica e psicologica e il benessere all’interno dei setting clinici. Ancora più nell’attuale clima di incertezza dovuto alla pandemia, l’ascolto della musica può rivelarsi un’esperienza salvifica».
Per maggiori informazioni: https://www.asst-pini-cto.it/.

Un giardino di sculture per il Part – Palazzi dell’arte di Rimini
È un museo a cielo aperte il Giardino delle sculture, che il Part – Palazzi dell’arte di Rimini, realtà museale che accoglie la collezione d’arte contemporanea della Fondazione San Patrignano, ha ideato per completare il suo percorso espositivo. L’area esterna, che è accessibile gratuitamente, presenta una selezione di sette sculture, il cui progetto museografico è stato realizzato dallo Studio AR.CH.IT di Luca Cipelletti; l’illuminazione è, invece, a cura dello Studio Pasetti Lighting di Alberto Pasetti Bombardella,
All’interno del perimetro vegetale, che interpreta una versione attuale del giardino all’italiana ed evoca l’idea di rovina nell’intrecciarsi di componente muraria e naturale, il visitatore può vedere opere cedute in comodato da gallerie e artisti, come l’installazione su grande scala in tubi d’acciaio e vernice, «Untitled (The Thing)» (2007), di Piotr Uklanski e la panchina «Il cane qui ritratto appartiene a una delle famiglie di Trivero. Quest’opera è dedicata a loro e alle persone che sedendosi qui ne parleranno» (2009) di Alberto Garutti.
Giuseppe Penone è in mostra con «Anatomia» (2011), un blocco di marmo bianco di Carrara dal quale spuntano le radici e i rami di alberi che sembrano vivere incastonati nel tempo. Arnaldo Pomodoro punta, invece, verso il cielo con l’opera in bronzo «Lancia di Luce I» (1985), dono di Daniele Pescali e Anna Cappanera Pescali. Sempre in bronzo, è l’opera dell’artista tedesca Kiki Smith, «Stella I» (2013); mentre Chen Zhen presenta «Jardin mémorable» (2000), un «giardino nel giardino», metafora di una bellezza perduta, con cinque lastre di bronzo e metallo i cui rilievi rappresentano la storia del parco dell’Imperatore Qianlong costruito a metà ‘700.
Il percorso espositivo è arricchito, poi, da un’installazione site-specific di Paul Kneale che, svettando a più di tre metri d’altezza tra la vegetazione, sembra una particolare specie arborea.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito palazziarterimini.it.
 
«Futuro passato»: in Friuli un bando per drammaturghi sul tema del «ricordare la memoria»
Il linguaggio teatrale, mezzo di comunicazione che vive ancora principalmente del ricordo e delle emozioni del pubblico nel qui e ora del suo manifestarsi, è perfetto per affrontare una discussione sul nostro passato: parte da questa considerazione il bando teatrale «Futuro Passato ricordare la memoria», lanciato dall’associazione culturale Tinaos, con il contributo della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia e della Fondazione Friuli, le cui candidature rimarranno aperte fino al prossimo 15 gennaio.
Il bando è rivolto a drammaturghi e autori teatrali senza limiti di età e mira a sostenere la creazione di nuovi testi di drammaturgia contemporanea sul tema, appunto, della memoria. Gli interessati possono inviare, attraverso la piattaforma Sonar (www.ilsonar.it), il proprio curriculum vitae, una lettera motivazionale e un testo di massimo cinque cartelle sul loro progetto. Dopo questa prima fase ci sarà la proclamazione di dieci semifinalisti, ai quali sarà chiesto di presentare un testo completo già scritto o pubblicato o un inedito. Tra di loro verranno scelti, entro il 1° marzo, i quattro finalisti, ai quali sarà chiesto di scrivere un ulteriore testo, questa volta inedito, a partire dai materiali raccolti durante la fase di ricerca sul campo, che si terrà tra aprile e maggio nei comuni di Udine, Cervignano e Buttrio (i selezionati saranno scritturati per 34 giorni consecutivi dal soggetto capofila. Per ognuno è prevista una paga lorda giornaliera di 73 euro per un totale lordo di 2.482 euro e l’alloggio in camera doppia in appartamento con uso cucina).
L’indagine si svilupperà attraverso laboratori che metteranno insieme professionisti teatrali, della danza, psicologi e operatori socio sanitari, così da far interagire l’azione culturale con il ruolo dei servizi sociali territoriali.
Tutor del progetto sarà Federico Bellini, drammaturgo, autore e traduttore dall’esperienza internazionale che dal 2017 al 2020 è stato drammaturgo e assistente alla direzione artistica della Biennale Teatro di Venezia. Accompagnerà i drammaturghi selezionati dallo studio del tema scelto fino alla composizione del nuovo testo.
I testi realizzati saranno raccolti in un unico volume pubblicati dalla casa editrice Bottega Errante di Udine e saranno disponibili anche in formato digitale all’interno della piattaforma Sonar. Uno dei testi prodotti vincerà il premio di produzione; agli altri tre sarà garantita la presentazione al pubblico e agli operatori del settore in forma di lettura scenica.
Per ulteriori informazioni è possibile contattare l’associazione culturale Tinaos. I recapiti sono reperibili al link www.tinaos.com.

Una mostra per i cinque anni Street Levels Gallery, lo spazio che racconta l’arte urbana a Firenze
Compie cinque anni la Street Levels Gallery, prima galleria fiorentina interamente dedicata all’arte urbana, che per l’occasione promuove, fino al prossimo 16 gennaio, la collettiva «Unity Wanted Vol.2», con quasi tutti gli autori che hanno esposto nella prima mostra dello spazio fiorentino, la cui inaugurazione si tenne il 17 dicembre 2016. Da allora la galleria di via Palazzuolo 74 AR si è proposta come un ambiente capace di interagire con il tessuto urbano, anche uscendo per le vie della città e instaurando fruttuose collaborazioni con comuni, festival, rassegne d’arte, musei, aziende, associazioni, collettivi, università, enti pubblici e privati.
Tra gli artisti che presenteranno i propri lavori in ci sono Hogre, una delle firme più note della street art internazionale, Mr. Wany, tra i più influenti writer del mondo, Rikyboy, noto per i suoi interventi murali in gran parte d'Italia e all’estero, e Clet, le cui immagini dall’estetica minimalista abitano gli spazi metropolitani e la segnaletica verticale delle principali città europee. Non mancano lungo il percorso espositivo i lavori di Camilla Falsini, Giulio Vesprini, Mìles, con le sue figure sospese tra poesia e incubo, Monograff, creatore di spazi metafisici in cui dialogano colore e forma, e del famoso stencil artist Ache77.
Espongono, inoltre, a Firenze Nemo’s, celebre per i suoi soggetti deformi in bilico tra la meraviglia e l’orrore, ed Exit Enter, i cui «omini» traducono in pochi, semplici tratti le declinazioni dei sentimenti umani, affrontando tematiche sociali contemporanee come il consumismo, l’immigrazione, la guerra. Si possono, infine, vedere le opere sul mondo naturale di Fabio Petani, Rame13 e James Vega (nella fotografia un suo lavoro), i graffiti di Urto e le riflessioni tra passato e presente di Mehstre.
Street Levels Gallery acquisirà parallelamente anche un proprio spazio virtuale, grazie alla nuova piattaforma web della galleria che sarà presto on-line. All’interno del nuovo sito www.streetlevelsgallery.com, proprio come nello spazio fisico della galleria, ogni artista avrà una sezione espositiva dedicata contenente una breve biografia, un testo di approfondimento e altre informazioni utili. Sulla piattaforma sarà presente anche una sezione e-commerce.

«I gesti del tempo», una nuova mostra della Triennale all’Aerostazione di Milano Linate
L’Aerostazione di Milano Linate apre le sue porte all’arte. In occasione della ristrutturazione e ampliamento della struttura, avvenuta lo scorso giugno, la Triennale aveva presentato una selezione di pezzi della sua collezione permanente realizzati da grandi maestri del design e dell’architettura – da
Achille e Pier Giacomo Castiglioni
a Roberto Sambonet, da Marco Zanuso e Richard Sapper a Bruno Munari – per ricordare ai passeggeri che il viaggio è un invito alla conoscenza. La prima esposizione ruotava, infatti, intorno alla ritrovata occasione delle vacanze e al concetto di ripartenza.
Da qualche giorno all’Aerostazione di Milano Linate è visibile una nuova mostra dedicato alla misurazione del tempo in tutte le sue dimensioni, a cura di curata Marco Sammicheli, direttore del Museo del design italiano di Triennale Milano.
«I gesti del tempo», questo il titolo dell’esposizione, presenta un catalogo di artefatti molto diversi tra loro ma tutti uniti dal comune denominatore del tempo misurato, vissuto, atteso e immaginato. Le vetrine ospitano quattro nuclei tematici: il tempo della sosta intesa come riposo, vizio e visione; il tempo del sogno, della fuga, dell’esotismo; il tempo del lavoro, della misurazione matematica, delle relazioni; il tempo degli interni, dell’intimità.
Nella hall dell’aerostazione continuerà a essere esposta l’opera «Carlton» di Ettore Sottsass per celebrare il quarantesimo anniversario di Memphis, movimento di design e pensiero progettuale fondato a Milano nel 1981.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.triennale.org.

«Bologna, dicono di lei»: una mostra da ascoltare
Dickens
, Stendhal, Goethe, Madame de Stael, Pasolini, Guccini, Lucarelli, Dante, Serao, Piovène, Hemingway e Lord Byron: sono molti gli autori italiani e stranieri che, nel corso dei secoli, hanno portato Bologna, con la bellezza dei suoi portici e delle sue torri, tra le pagine di un libro. Per iniziativa della casa editrice Elleboro, le centinaia citazioni sulla città sono state raccolte in un libro, «Bologna. Dicono di lei», che ora è diventato anche una mostra, allestita fino al 30 gennaio al Museo civico archeologico.
Grazie al contributo di Samuele Bersani, Alessandro Haber, Neri Marcorè, Veronica Pivetti e Carla Signoris, è nata una galleria audiovisiva che permette di conoscere gli autori che dal Seicento fino all’inizio del secolo scorso hanno raccontato Bologna nei loro diari, nelle loro lettere, nei loro romanzi e nelle guide, contribuendo anche a costruire l’identità della città.
I testi e le citazioni degli scrittori-viaggiatori sono accompagnati da una selezione di foto d’epoca provenienti dalla Cineteca di Bologna, ma anche da libri antichi, prime edizioni di romanzi, diari di viaggio, riviste bolognesi e stampe di Augusto Majani «Nasica». Mentre a fare da colonna sonora sono ouverture di opere di Rossini, Verdi, Donizetti, ma anche da musiche di Fredric Rzewsky e Pat Metheny. A queste note si aggiungono i suoni della città: il mondo acustico dei portici, delle campane, delle carrozze che creano il paesaggio sonoro di Bologna.
Nei settecento anni dalla morte, non manca un omaggio a Dante, con una sala-installazione a lui dedicata, dove sono esposti alcuni documenti trecenteschi ceduti in prestito dall’Archivio di Stato di Bologna che aiutano a immaginare il vivace humus culturale vissuto dallo scrittore, che alla città dedicò il «Sonetto sulla Garisenda» (1287).
Anche i portici, nominati a luglio Patrimonio mondiale dell’umanità di Unesco, hanno uno spazio dedicato, con una raccolta speciale di citazioni lette e interpretate da Samuele Bersani.
Per maggiori informazioni: http://www.museibologna.it/archeologico/eventi/47655/date/2021-11-09/id/106046.

«Lorenzo Bartolini e i suoi modelli», un nuovo video animato dedicato alla Gipsoteca della Galleria dell’Accademia di Firenze
«Eccolo qua il mio David, qui al riparo da oltre 140 anni...», afferma Michelangelo al cospetto della scultura più semplice nel video «Lorenzo Bartolini e i suoi modelli. Un ritratto», da poco diffuso sul sito della Galleria dell’Accademia di Firenze.
Nato da un’idea di Cecilie Hollberg, il progetto si avvale di soggetto, sceneggiatura e disegni di Paolo Fiumi; mentre lo sviluppo multimediale, animazione e realizzazione sono a cura di Antonio Osea Mansi.
Il video vede dialogare Michelangelo con Lorenzo Bartolini, l’uomo che ebbe l’idea «… di far mettere il David al riparo dalle intemperie».
Davanti «a una bevanda di gran moda» ai suoi tempi, il caffè, l’artista pratese racconta le sue origini, di come è diventato scultore, delle sue vicissitudini nel Regno di Francia e del suo legame con Napoleone Bonaparte, che lo vide arruolarsi nell'esercito francese e stabilirsi a Parigi.
Dopo la sconfitta del generale corso, Lorenzo Bartolini si rifugiò a Firenze e qui realizzò numerosi ritratti, disseminati in tutto il mondo, mentre nel suo studio rimanevano i modelli in gesso, quelli che si trovano ora in Gipsoteca.
Dopo la sua dipartita lo Stato italiano acquisì i gessi e li collocò nel convento di San Salvi, dove nel 1966 una terribile alluvione li danneggiò. «Ma non tutti i mali vengono per nuocere», afferma un partecipe Michelangelo nel video, perché i gessi furono riscoperti, restaurati e collocati alla Galleria dell'Accademia di Firenze e riallestiti come nello studio di Bartolini.
Per maggiori informazioni e per visionare il video è possibile collegarsi alla pagina www.galleriaaccademiafirenze.beniculturali.it.

Fondazione Cini, restauro e digitalizzazione per l’edizione veneziana delle favole di Esopo stampata da Bernardo Benali
Si concludono con un importante evento legato alle favole di Esopo, o meglio all’unica copia al mondo dell’edizione veneziana dell’opera stampata da Bernardino Benali (1490 circa), i settant’anni di attività della Fondazione Giorgio Cini di Venezia. Il volume arrivò sull’Isola di San Giorgio Maggiore nel 1962, con l’acquisizione del fondo di libri antichi appartenuto a Tammaro De Marinis (1878-1969) grazie al munifico intervento di Vittorio Cini.
Nel 2019 venne battuto a Firenze dalla casa d’asta Pandolfini un lotto della collezione Tammaro De Marinis e fra i libri e i documenti venne rinvenuto un foglio «staccato» proprio dell’edizione delle favole di Esopo conservata alla Fondazione Cini.
Il lotto è stato acquistato grazie al contributo di Giovanni Alliata di Montereale, nipote di Vittorio Cini, che l’ha prontamente donato alla fondazione veneziana consentendo il ricongiungimento delle parti. Il volume, scompleto di nove fogli, è stato, quindi, restaurato e integrato di una delle pagine mancanti.
Il restauro e la digitalizzazione dell’antico volume, che ha rappresentato la più recente sfida del centro di eccellenza ARCHiVe, è stato reso possibile grazie al finanziamento della Soprintendenza archivistica e bibliografica del Veneto e del Trentino-Alto Adige che ha valutato positivamente la proposta di restauro e di valorizzazione del bene.
Il volume consta oggi di 92 carte suddivise in 13 fascicoli dalla a alla n e le carte mancanti rendono mutili 3 fascicoli (c, m, n). La carta ritrovata, con la xilografia e il finale della favola n. 62, appartiene al fascicolo m e lì è stata ricollocata. Infine, l’intero volume è stato ricucito ed è stato nuovamente ancorato alla coperta che l’ha custodito negli ultimi 200 anni.
Le favole di Esopo saranno liberamente accessibili al pubblico, tramite la pubblicazione online nel sito della Fondazione Cini e nei principali cataloghi delle biblioteche. Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.cini.it.

mercoledì 22 dicembre 2021

«Admirabile signum», La Spezia fa da scenario a una mostra sul presepe tra arte antica e contemporanea

È il 1223 quando a Greccio San Francesco d’Assisi dà vita alla tradizione del presepe. Da allora, ogni anno a Natale, i paesi dell’Occidente ricreano la scena della natività «come incontro con il divino nella povertà, come momento di resistenza e di forza interiore nella rinascita spogliata dalla ricchezza, come miracoloso calato nella quotidianità». A questa storia guarda la mostra «Admirabile signum. Il presepe tra arte antica e contemporanea», allestita fino al 30 gennaio negli spazi della Fondazione Carispezia, per la curatela di Lara Conte e Alberto Salvadori che, per la parte relativa all’arte antica, hanno lavorato alla costruzione del percorso espositivo in dialogo con Simonetta Maione e Giulio Sommariva, con il contributo di Andrea Marmori.
La mostra mette in relazione importanti esemplari di presepe di produzione genovese e lombarda del XVIII secolo con un nucleo di opere e installazioni contemporanee, creando un ponte tra presente e passato, tra figurazione ed evocazione. Attraverso media e linguaggi diversi, nel corso del XX secolo e nella contemporaneità gli artisti hanno continuato a confrontarsi con uno dei temi maggiormente rappresentati nella storia dell’arte occidentale, fornendone interpretazioni che vanno oltre l’iconografia e la dimensione figurativa tradizionale.
Il viaggio attraverso l’arte presepiale parte da Genova, dove nel corso del XVII secolo si sviluppa un’attenzione minuziosa alla rappresentazione scultorea della nascita di Gesù quando la Compagnia del santo presepio di Santa Maria di Castello, appositamente costituita per celebrare la figurazione del Natale, commissiona a Matteo Castellino figurine lignee che risulteranno opere di straordinaria invenzione.
Nel corso del Settecento la cultura genovese dei presepi raggiunge il proprio apice: le statuine genovesi divengono veri oggetti d’arte, il cui impatto è accresciuto da apparati scenici di fragile e spesso effimera fattura. I presepi genovesi presto divengono uno dei segni distintivi della Superba, che così dimostra, anche grazie a tali produzioni, una qualità sopraffina di mezzi e di gusto.
Legno intagliato e policromato, pasta di vetro per gli occhi, per gli abiti stoffe di rara fattura impreziosite da pizzi e galloni in argento e oro filato, pietre dure, coralli e filigrana per i raffinati monili erano i materiali utilizzati nella produzione delle statuine, rese con irraggiungibile verità storica. La messa a disposizione da parte dei Musei civici genovesi di parte del proprio patrimonio di presepi è stata occasione per mettere in luce una tradizione artistica di cui la Liguria è stata officina primaria. Il Museo Luxoro, che custodisce alcuni tra i più straordinari esempi di quest’arte, ha tra l’altro concesso in prestito uno straordinario presepe settecentesco a sagome dipinte su carta di produzione lombarda.
La mostra focalizza, poi, l’attenzione sul contemporaneo. Una sala è dedicata ai presepi di Maria Lai (Ulassai, 1919 – Cardedu, 2013) ed è realizzata con la preziosa collaborazione dell’archivio a lei dedicato.
«Amo il presepe – raccontava l’artista – come esperienza di qualcosa che, più ne indago l’inesprimibile, più trovo verità, più divento infantile e ingenua, e più rinasco. Amo il presepe perché ci raccoglie intorno alla speranza di un mondo nuovo. Amo il presepe perché si propone a tutti i linguaggi del mondo e come l’arte anche il presepe ha la possibilità di infinite interpretazioni personali».
Durante la sua lunga vicenda creativa l’artista sarda ha fatto della Natività uno dei temi centrali della propria ricerca, reinterpretandola tra favola ed epica con stoffe, sabbia, pane, pietre e terracotta, istituendo una continua relazione tra terra e cielo. Ogni suo presepe, realizzato esplorando antiche tradizioni artigianali e utilizzando materiali poveri, è un momento di avvicinamento al sacro come manifestazione di rinascita e rigenerazione.
La mostra spezzina presenta alcuni tra i più significativi presepi realizzati dall’artista nel corso degli anni e altre opere come ad esempio alcune mappe stellari cucite, che concorrono a dar vita alla narrazione di un’ascesa cosmica.
Grazie al Museo internazionale del presepio «Vanni Scheiwiller» di Castronuovo Sant’Andrea è stato, poi, possibile includere nel percorso espositivo il «Presepe foresta» (2001) di Roberto Almagno (Aquino, 1954) e il «Presepe blu notte» (2007) di Guido Strazza (Santa Fiora, 1922), che accoglie il visitatore nel salone di ingresso della Fondazione Carispezia. Quest’ultima installazione, presentata negli ultimi anni in alcuni dei più prestigiosi musei italiani d’arte contemporanea, affronta la tematica del presepe rinunciando completamente all’approccio figurativo, utilizzando al posto delle tradizionali statuette forme geometriche collocate sul profondo blu di un grande cielo circolare.
Partendo dal legno, materiale al centro della sua ricerca scultorea, Roberto Almagno costruisce, invece, una narrazione intensamente spirituale. La sua scultura nasce in continuità con la spiritualità della natura. Nei boschi l’artista sceglie i rami di legno che, poi, lavora con il fuoco e l’acqua, levigandoli e incurvandoli sino a ottenere forme essenziali e sinuose, che, come un disegno, ritmano lo spazio danzando nell’aria.
Il percorso espositivo si completa con due nomi cruciali dell’arte contemporanea italiana: Fausto Melotti (Rovereto, 1901 – Milano, 1986) e Michelangelo Pistoletto (Biella, 1933), artisti che a vario modo si sono relazionati con il tema della Natività e del presepe, ripensando la dimensione fisica e concettuale del linguaggio scultoreo e dell’iconografia sacra. Nell’allestimento della mostra, le filiformi creazioni metalliche di Fausto Melotti, prive di ogni monumentalità e retorica, attivano un dialogo intenso con il «Paesaggio» (1965) di Michelangelo Pistoletto, facente parte della serie degli «Oggetti in meno»: una piccola opera di cartone, carta colorata e figure di gesso, in cui manca l’immagine di Gesù Bambino.
Ad accogliere il visitatore in questo viaggio tra antico e contemporaneo alla scoperta del presepe è un’opera di Marco Lodola (Dorno, Pavia, 1955), concepita appositamente per l’occasione, che rallegrerà l’atmosfera della città proponendo un immaginario ludico e pop. «La condizione di sofferenza che viviamo oggi - racconta l’artista - è stata l’ispirazione da cui sono partito per rappresentare una rinascita luminosa, un senso di speranza, la fiducia in un cambiamento». Natale è anche questo, un tempo per andare oltre la paura del futuro.

Didascalie delle immagini
1. Anonimo artista lombardo, Complesso di figure da Presepe, seconda metà del secolo XVIII. Carta dipinta a tempera grassa incollata su cartone, scontornato e rinforzato da anime di ferro. Museo Giannettino Luxoro, Genova; 2. Presepe genovese, secolo XVIII. Museo Giannettino Luxoro, Genova; 3.Michelangelo Pistoletto, Paesaggio, 1965 (Oggetti in meno, 1965-1966), Cartone, veline, figurine da presepe, stracci, 70 x 40 x 20 cm. Cittadellarte – Fondazione Pistoletto, Biella. Foto: Archivio Pistoletto; 4. Una stanza della mostra spezzina; 5. In primo piano: Guido Strazza, Presepe blu notte, 2007 Legno, vetro, acciaio, Ø 300 cm. Museo Internazionale del Presepio Vanni Scheiwiller, Castronuovo Sant’Andrea (PZ); 6. Stanza dedicata a Maria Lai

Informazioni utili
Admirabile signum. Il presepe tra arte antica e contemporanea. Fondazione Carispezia, via Domenico Chiodo, 36 – La Spezia. Orari di apertura: tutti i giorni, escluso il lunedì, ore 11.00 - 20.00 (25 dicembre chiuso). Ingresso gratuito. Informazioni: www.fondazionecarispezia.it. Fino a domenica 30 gennaio 2022

martedì 21 dicembre 2021

Bologna, un viaggio in 3D tra i tesori del Museo medievale

Chi varca le porte del quattrocentesco Palazzo Ghisilardi – Fava, uno dei più pregevoli edifici rinascimentali di Bologna con la grandiosità dei suoi ambienti e la bellezza dei suoi affreschi, che nel Cinquecento videro al lavoro i tre Carracci, i fratelli Annibale (1560-1609) e Agostino (1557-1602) e il loro cugino Ludovico (1555-1619), si trova immerso in un’atmosfera di altri tempi. Raffinati manufatti, preziosi capolavori di Jacopo della Quercia, Francesco del Cossa, Vincenzo Onofri e altri ancora, oggetti unici – tra statuaria, manufatti lapidei, codici miniati, bronzi, armi, avori e vetri – offrono la possibilità di compiere un affascinante viaggio a ritroso nel tempo, regalando ai visitatori una visione di quello che era la città felsinea tra l’VIII e il XVI secolo.
Da qualche settimana, le porte di Palazzo Ghisilardi – Fava, dal 1985 sede del Museo civico medievale, possono essere varcate anche on-line, entrando nella versione tridimensionale, immersiva e interattiva dell’edificio di via Manzoni 4, nel centro storico della città, attraverso il collegamento presente al sito web https://museocivicomedievalebologna.publicsicc.com.
Dalla partnership tecnica tra l'Istituzione Bologna Musei e Publics ICC, start-up attiva nell’ambito della ideazione e realizzazione di software e soluzioni innovative volte alla fruizione del patrimonio artistico-culturale, è nato, infatti, 3D Art Xp, un nuovo percorso virtuale a libera accessibilità in grado di trasportare il visitatore direttamente all’interno degli spazi del museo, riprodotto fedelmente nella sua configurazione architettonica e nell’ordinamento del suo patrimonio, per un’esperienza di visita completa e dinamica grazie all'integrazione tra innovative tecnologie digitali 3D e contenuti audiovisivi. Si amplia così l'offerta informativa sul patrimonio storico-artistico del capoluogo emiliano con l’intento di rendere il pubblico più consapevole e desideroso di avvicinarsi per la prima volta alle collezioni del Museo civico medievale o di tornare a visitarle da un diverso punto di vista.
L’utilizzo di tecnologia laser a luce strutturata ha permesso di realizzare scansioni reali in alta risoluzione di tutti gli ambienti espositivi nella loro interezza, liberamente percorribili su qualsiasi tipo di device. Muovendosi all'interno dei quattro piani in cui si articola la planimetria virtuale, l’utente può esplorare lo space 3D ruotando il modello con qualsiasi angolazione a 360° per apprezzare il layout e il modo in cui ogni ambiente è correlato rispetto all'intero spazio. L’inserimento di punti di interesse dinamici tridimensionali (hotspot) consente, inoltre, un accesso veloce ad approfondimenti di carattere tecnico, storico e artistico attraverso contenuti audiovisivi di storytelling, realizzati con la consulenza scientifica dello staff del museo.
A dare il benvenuto, accogliendo idealmente il visitatore nel cortile di Palazzo Ghisilardi, è il direttore Massimo Medica, che ne ripercorre la complessa stratificazione storica, definendolo «un museo nel museo», per il radicamento nel tessuto urbano e il sedimento di accumulo plurisecolare di cui porta testimonianza. L’edificio accoglie, per esempio, una delle venti torri gentilizie di epoca medioevale, quella «dei Conoscenti», e ingloba anche reperti di epoca romana e notevoli resti murari in selenìte della Rocca imperiale che i Bolognesi distrussero nel 1115 all'indomani della morte di Matilde di Canossa, durante il processo di affermazione dell’autonomia comunale.
L'esperienza di visita si articola in sette percorsi tematici introdotti da brevi contrappunti narrativi in forma di clip, visibili anche sul canale YouTube di Publics Icc, che illuminano alcuni dei principali aspetti storici e storico-artistici di Bologna durante il Medioevo. «Una bussola giuridica per l’Europa: la Scuola bolognese dei Glossatori», «Bonifacio VIII e la lotta eterna tra Bologna e Ferrara», «Fondere l’immaginazione: l’arte del bronzo», «Un marchio per leggere la storia: i sigilli», «La società dei tornei: l’aristocrazia che guerreggia», «La micro scultura in avorio: lavori certosini e dettagli preziosi», «La ceramica artistica nel Medioevo» sono i capitoli che il visitatore può percorrere come in un avvincente romanzo storico, immergendosi nell’atmosfera di una cultura artistica di eccezionale vitalità espressiva, quella della Bologna medievale, tra la sua cospicua popolazione di glossatori e di studenti provenienti da ogni parte della Cristianità latina per frequentare l'eccellente Studium, patria medievale del diritto, e dentro le botteghe artistiche e librarie, che affermarono la città come centro preminente della produzione di manoscritti a sud delle Alpi.
Ai percorsi tematici è collegato un catalogo tridimensionale di quarantacinque manufatti artistici che permette di apprezzare dettagli e caratteristiche non visibili a occhio nudo, grazie a un processo di scansione con scanner mobili a luce strutturata, in grado di acquisire contemporaneamente forme e texture, e la riproduzione 3D con software di modellazione di ultima generazione. I pezzi selezionati sono rappresentativi della varietà delle collezioni del museo, tra i più iconici e prestigiosi che ne identificano il patrimonio ma anche tra i meno noti. La procedura di consultazione del modello prevede le principali modalità di interazione: movimento lineare, rotazione, variazione del punto di vista e la consultazione di una scheda descrittiva con le caratteristiche specifiche di ogni oggetto.
A ideale completamento del percorso virtuale 3D Art Xp, rimane consultabile sul portale www.storiaememoriadibologna.it lo scenario tematico dedicato al Lapidario, che consente una passeggiata virtuale nella raccolta di quarantuno manufatti lapidei, «fogli di pietra» in cui sono incise vicende pubbliche e private sullo sfondo della vita quotidiana bolognese tra Alto Medioevo e XVII secolo.

Informazioni utili

sabato 18 dicembre 2021

#notizieinpillole, cronache d'arte della settimana dal 13 al 19 dicembre 2021

«Gioielli», una nuova sezione per il «Catalogue Raisonné» di Arnaldo Pomodoro
«Collane, bracciali, anelli, spille, gemelli, eseguiti con il metodo della fusione su osso di seppia e con l’aggiunta di fili martellinati, grumi di materia, pietre fini o pietre grezze, e ancora scatole, portasigarette, piccole medaglie»: il «Catalogue Raisonné» on-line di Arnaldo Pomodoro si arricchisce di una nuova sezione dedicata ai «Gioielli». Sul sito sono visibili circa ottocento opere, realizzate per lo più in un’unica copia, insieme ai disegni su carta realizzati in fase di progettazione, che testimoniano le esperienze dell’artista nel campo dell’oreficeria a partire dagli anni Cinquanta.
«Vedere oggi le immagini in sequenza di tutti i gioielli presenti nel «Catalogue Raisonné» – scrive Arnaldo Pomodoro - mi emoziona profondamente; anzitutto perché si tratta di opere in gran parte sconosciute, non esposte nelle mostre o illustrate nei libri e nelle riviste. Questi piccoli oggetti preziosi, che durano a lungo inalterati e sembrano contraddire l’incessante e inesorabile trascorrere del tempo, racchiudono tante idee, riferimenti, esperienze e presentano, per così dire, un repertorio di elementi espressivi del mio proprio linguaggio».
Il «Catalogue Raisonné» - https://www.arnaldopomodoro.it/catalogue_raisonne/artworks/?lang=it - è uno strumento di consultazione immediato, gratuito, sempre aggiornato e preciso. È gestito dalla Fondazione Arnaldo Pomodoro, che si occupa anche dell’Archivio on-line - https://www.arnaldopomodoro.it/archive/sections/ -, nel quale dal 22 dicembre saranno presenti nuovi materiali utili a documentare e approfondire la vita e l'opera dell’artista. Nello specifico, nella sezione «Audiovisivi» saranno diffusi circa cinquanta filmati dal 1964 a oggi, tra film d'artista, documentari, interviste, riprese di inaugurazione di opere e mostre. «Fotografie» proporrà, invece, circa duecento immagini realizzate da artisti dello scatto quali Paolo Monti, Ugo Mulas, Maria Mulas e Carlo Orsi; mentre in «Materiali diversi» sarà possibile visionare l'intero nucleo di circa centocinquanta manifesti di mostre e di spettacoli teatrali, ma anche calendari, agende e cartoline.

Nelle immagini: 1. Arnaldo Pomodoro, Bracciale, 1966. Foto Aurelio Barbareschi; 2. Arnaldo Pomodoro, Spilla, 1958. Foto Dario Tettamanzi  

A Ravenna la mostra «Dante e Faruffini: il fascino del poeta su un pittore dell'Ottocento»
«Era un raggio di luce elettrica in una sala illuminata dall’olio»: così Carlo Dossi, nelle sue «Note azzurre», fissava il ricordo di Federico Faruffini (Sesto San Giovanni 1833 – Perugia 1869), pittore, incisore e fotografo, vicino alla Scapigliatura, le cui opere sono conservate alla Gam di Roma, alla Pinacoteca di Brera e ai Musei civici di Pavia.
All’artista, vincitore della medaglia d'oro al Salon de Paris del 1866 e del terzo premio all'Exposition Universelle dell'anno seguente, è dedicata la nuova mostra della biblioteca Classense di Ravenna, che inaugura nella serata di sabato 18 dicembre per rimanere aperta fino al 26 febbraio. L’esposizione, curata da Benedetto Gugliotta e Anna Finocchi, vuole essere anche un omaggio a Dante Alighieri, a settecento anni dalla morte.
Pochi dipinti, incisioni e volumi d'epoca formano un itinerario raccolto e prezioso, allestito negli spazi della Manica Lunga. Il visitatore può vedere, tra l’altro, il celebre olio su tela «La porta di casa degli Alighieri. Reminiscenze a Firenze» (1859), recentemente esposto nell’importante mostra dantesca tenutasi ai Musei di San Domenico a Forlì, accostato per la prima volta al delizioso bozzetto preparatorio e a un’incisione sul medesimo tema, sempre firmata da Federico Faruffini, quest'ultima concessa in prestito dai Musei civici del Castello visconteo di Pavia.
Il percorso espositivo presenta, inoltre, l'opera incisoria intrapresa dall’artista scapigliato per l'edizione Pagnoni della «Commedia» (1865) e l'albo di firme della tomba di Dante - ms. Classense n. 626 (1863-1897) -, con all’interno un disegno dantesco, recentemente riscoperto, tracciato dall’artista lombardo nella giornata del 27 ottobre 1863, in occasione di un suo, finora sconosciuto, viaggio in Romagna.
Si riannodano così i fili di un antico rapporto tra Ravenna, Dante e i viaggiatori che, lungo il dipanarsi dei secoli e ciascuno con la propria sensibilità, hanno reso omaggio al sepolcro del poeta, considerato da molti «il padre della Patria». Nel pantheon dei visitatori e delle visitatrici illustri dell'età moderna e contemporanea l’artista scapigliato si aggiunge, infatti, a Vittorio Alfieri, Lord Byron, Pio IX, Vittorio Emanuele II, Eleonora Duse, Nazario Sauro, Gino Bartali e molti altri ancora.
Per maggiori informazioni è possibile consultare la pagina www.classense.ra.it/faruffini.

Nelle fotografie: 1. Albo di firme della tomba di Dante, BCRa, ms. 626; 2. 1. La porta della casa degli Alighieri. Reminiscenze di Firenze, 1859, olio su tela (collezione privata)

Progetto Visea, ai Musei capitolini un’applicazione multimediale per scoprire la storia di un affresco

Come è stato realizzato da Tomaso Laureti il ciclo pittorico murale che orna a Roma la Sala dei Capitani nel Palazzo dei Conservatori ai Musei capitolini? Risponde a questa domanda il progetto Visea, un’applicazione multimediale innovativa, nata nell’ambito del bando Por/Fesr 2014-2020 della Regione Lazio «L’impresa fa cultura 2019», che racconta, in lingua italiana e inglese, l’arte del dipingere ad affresco.
Il ciclo pittorico, realizzato tra il 1587 e il 1594, raffigura alcuni dei più celebri episodi della storia di Roma antica tratti dall’opera «Ab Urbe Condita» di Tito Livio, intesi come exempla virtutis del popolo romano.
Dal 15 dicembre i visitatori potranno navigare all’interno delle scene sulle quattro pareti: «Giustizia di Bruto», «Orazio Coclite al ponte Sublicio», «Muzio Scevola davanti a Porsenna» e «Battaglia presso il lago Regillo». Potranno, inoltre, scoprire la sequenza temporale di esecuzione degli affreschi, ripercorrere le giornate di lavoro, cogliere i metodi tecnici usati dall’artista per passare da un disegno su carta all’intonaco, ma anche i suoi procedimenti nel dipingere e i suoi ripensamenti.
Attraverso un’applicazione avanzata su natural user interface, con lo storytelling di tipo multimediale (immagini e testo), i visitatori potranno ricevere anche informazioni sui personaggi principali raffigurati e su come nel tempo la Sala, già nota come Salotto degli imperatori, si sia arricchita di monumenti, statue e iscrizioni.
Alla proposta innovativa dei contenuti, il progetto associa una tecnologia all’avanguardia che tiene conto dell’emergenza epidemiologica da Covid 19. Il progetto Visea è, infatti, installato su un totem che funziona in modalità touch-less, ovvero senza contatto, informazioni con il solo movimento del dito indice.
Per maggiori informazioni è possibile consultare i siti www.museicapitolini.org, www.museiincomune.it e www.visea.it/

A Firenze la mostra immersiva «Inside Dalì» rende omaggio a Dante
Si intitola «Inside Dalì» la nuova mostra digitale e immersiva che Crossmedia Group presenta, fino al prossimo 16 gennaio, a Firenze, negli spazi del complesso di Santo Stefano al Ponte. La Galleria dell’immagine esplora l’universo onirico del maestro catalano, vera e propria icona del Surrealismo, attraverso un’esperienza multisensoriale della durata di circa trentacinque minuti, che anima un’area di oltre quattrocento metri quadrati con la proiezione continua di immagini e suggestioni dell’universo daliniano.
Lo spazio immersivo è preceduto da un’ampia area museale dove il pubblico può accostarsi ad alcune delle produzioni meno conosciute del maestro spagnolo come i dischi, i libri e una campagna pubblicitaria per le ferrovie francesi.
In occasione del settecentenario della nascita di Dante Alighieri, la mostra presenta anche l'intero ciclo di illustrazioni che l’artista catalano dedicò alla «Divina Commedia». Nel 1950 l’Istituto poligrafico dello Stato commissionò a Salvador Dalí un ciclo di illustrazioni per l’opera dantesca. L'artista vi lavorò per quasi nove anni, dando vita a cento acquerelli che, nel 1960, furono esposti al Musée Galliera di Parigi. Purtroppo, l’opera così come era stata inizialmente pensata non vide mai la luce a causa di una polemica sollevata da alcuni settori dell’opinione pubblica italiana contrari al fatto che una simile impresa fosse affidata a un artista straniero. Nel 1962 fu l’editore fiorentino Mario Salani a riproporre l’idea, progettando in sinergia con la casa editrice Arti e Scienza di Roma, un'edizione della «Commedia» in sei libri, due per ogni cantica, corredati dalle tavole di Dalí e con la supervisione scientifica di Giovanni Nencioni.
La «Commedia» di Dalì racchiude le principali espressioni del metodo pittorico paranoico-critico. Gli orologi molli, i cassetti che si aprono in ogni parte del corpo, le immagini mostruose e oniriche che hanno reso il maestro catalano famoso in tutto il mondo rivivono, infatti, nella rilettura daliniana delle tre cantiche dantesche.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.insidedali.it

Nella foto: Salvador Dalí, Divina Commedia, Paradiso, tav. VII, Dante dubbioso, fotoincisione a rilievo su legno, 1963, Firenze, Archivio Crossmedia Group 

«Passi», un’installazione di Alfredo Pirri per il Castello Maniace di Siracusa
Le hanno fatto da scenario edifici storici come la Certosa di Padula e l’Abbazia di Novalesa, spazi culturali quali il Centro arti visive Pescheria di Pesaro e la Cinemateca jugoslava di Belgrado, ma anche il Foro di Cesare a Roma, il Museo Novecento di Firenze, l’ex Centrale termoelettrica di Daste e Spalenga a Bergamo e l’ex bunker antiatomico voluto da Tito a Konjic, in Bosnia. L’installazione «Passi», avviata nel 2003 da Alfredo Pirri (Cosenza, 1957), sarà visibile fino al 31 dicembre a Siracusa, negli spazi del Castello Maniace, edificio costruito per volontà di Federico II fra il 1232 e il 1240, restituito alla città nel 2018 dopo un importante intervento di restauro.
Ottocento metri quadrati ricoperti di specchi calpestabili ridisegnano la Sala Ipostila, la ci architettura normanna, con le sue volte a crociera e le colonne in pietra, viene moltiplicata a dismisura. Il pubblico, inconsapevole protagonista di una performance collettiva, cammina sugli specchi frantumandoli, senza però romperli, e producendo immagini sempre nuove.
Sul pavimento in frantumi «galleggiano», come testimonianze emerse dagli abissi, alcuni reperti provenienti dal Museo archeologico «Paolo Orsi» di Siracusa, in dialogo con leggerissime sfere colorate realizzate dall’artista: «sono – si legge nella nota stampa - pesanti «proiettili» in pietra di antiche catapulte, divenuti qui oggetti misteriosi, metafisici, dal forte valore simbolico e formale».
In una seconda sala, dedicata all’aspetto grafico e progettuale del lavoro, sono esposti dei frammenti di capitelli ritrovati in loco, memorie storico-architettoniche accostate ad altre opere di Pirri: due nuovi disegni e una maquette di specchi dedicati al Maniace, insieme a una serie di acquerelli recenti.
Il Castello, macchina scenica luminosa e insieme macchina da guerra, mette così insieme – si legge ancora nella nota stampa - «la potenza dell’arte e del paesaggio con l’epica della morte e del potere propria del suo passato di fortezza militare e dimora reale».
Per maggiori informazioni e per l’acquisto dei biglietti è possibile consultare la pagina https://aditusculture.com/biglietti/sicilia/siracusa/castello-maniace-siracusa#

Nelle fotografie: Alfredo Pirri, Passi – Castello Maniace, 2021. SaIa Ipostila, installation view. Ph. Iole Carollo. Courtesy Regione Siciliana/Aditus

«Umano fervore», a Ravenna una mostra su Tina Modotti
Bella, audace, libera, determinata e con una biografia dai passaggi romanzeschi, che la vide essere attrice di cinema muto con Rodolfo Valentino e amante del rivoluzionario cubano Julio Antonio Mella. Tina Modotti (Udine, 17 agosto 1896 – Città del Messico, 5 gennaio 1942) è un'altra di quelle tante intellettuali del Novecento, da Tamara de Lempicka a Peggy Guggenheim, attorno alla cui figura si è creato un alone di leggenda. Alla sua produzione artistica è dedicata la nuova mostra del progetto «Camera Work», con cui il Comune di Ravenna indaga la fotografia contemporanea tra giovane sperimentazione e racconto storicizzato.
«Umano fervore», questo il titolo dell’esposizione, porta negli spazi di Palazzo Rasponi un nucleo di circa cinquanta opere che documentano il percorso, breve ma intenso, della fotografa friulana. Si parte dalle celebri «Calle» (1924) e dalla produzione nata dal sodalizio con Edward Weston per arrivare all’ epos degli umili, attraversando le immagini raccolte nel Messico dolente e meraviglioso degli uomini, delle donne e dei bambini di Tehuantepec.
L'allestimento include anche documenti biografici, testimonianze, scritti autografi e riflessioni che restituiscono il profilo di un’artista totale, dal talento inconfondibile e dalla profonda puntualità di sguardo, animata dall’urgenza esistenziale di cambiare il mondo. Tina Modotti è stata, infatti, dentro la storia. Ha voluto essere protagonista dei momenti più drammatici del nostro passato: la Rivoluzione messicana, la Guerra di Spagna, la Russia di Stalin, l’Europa sulla quale si proiettava la lunga ombra nera della Seconda guerra mondiale. Ce li ha raccontati senza sovrastrutture e compiacimenti estetici, con un’urgenza etica e uno stile scevro da declinazioni romanzesche, che dovrebbero essere sempre propria di chi racconta i fatti mentre accadono.
La mostra, a cura di Silvia Camporesi, rimarrà aperta fino al 20 febbraio. L’opening, in programma nel pomeriggio del 17 dicembre (alle ore 17:30), sarà accompagnato dal reading dell’attrice Elena Bucci, che introdurrà alla visione delle opere attraverso una selezione di scritti di e su Tina Modotti. Mentre sabato 18 dicembre, alle ore 17, è in programma una lectio magistralis della curatrice della rassegna, con la partecipazione di Marì Domini. Il 5 gennaio, sempre alle ore 17, ci sarà, invece, un incontro con il professor Claudio Natoli in occasione dell’annullo filatelico emesso per la ricorrenza dei settanta anni dalla morte dell’artista.
Per maggiori informazioni è possibile consultare la pagina https://www.comune.ra.it/events/tina-modotti-lumano-fervore-mostra-fotografica/.

Didascalie delle immagini: 1.Donna con bandiera, Messico, 1928; 2. Calle, Messico, 1924

Ancona, al museo tattile «Omero» inaugura la Collezione design

Dalla Moka Bialetti alla radio Cubo della Brionvega, dalla sedia Ghost della Kartell alla macchina da scrivere Valentine della Olivetti, dai 16 animali di Danese alla Vespa Piaggio: sono tanti gli oggetti iconici, protagonisti del nostro quotidiano dagli anni Sessanta a oggi, che animano il nuovo progetto del Museo tattile statale «Omero» di Ancona.
Sabato 18 dicembre negli spazi della Mole Antonelliana, all’ingresso Mandracchio, inaugura la Collezione di design, con trentadue creazioni che hanno vinto il Compasso d’oro o che sono state selezionate per il premio, esposte in un percorso che le classifica attraverso cinque parole chiave: viaggiare, abitare, cucinare, lavorare, giocare.
La filosofia che sottende alla nuova creazione, che accoglie il pubblico con una grande opera scultorea in terracotta di Paolo Annibali dal titolo «Frontone», è la medesima che anima il Museo Omero: i pezzi esposti possono essere toccati, ascoltati, manipolati, sperimentati con tutti i sensi.
L’allestimento, che sfrutta un lungo bancone per gli oggetti più piccoli e isole espositive per quelli di maggiori dimensioni, nasce con l’intento di mostrarne il viaggio dai negozi alle nostre case: la scatola, la confezione diviene così un elemento scenografico e narrativo.
A completare il racconto degli oggetti e dei loro creatori ci sono le sonorità del sound designer Paolo Ferrario e le parole di Chiara Alessi. Per i non vedenti c’è anche un’audio-guida progettata da CPU I-Teach.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito https://www.museoomero.it/.

«Abolite gli Armadi, gli Amanti non esistono piú!», Maurizio Costanzo torna a teatro con una nuova commedia
«Nel 1973, o giù di lì, insieme a Marcello Marchesi, per la regìa di Garinei e Giovannini, scrissi «Cielo Mio marito!», l’antica storia del tradimento. A distanza di 47 anni ho cercato di fotografare la situazione attuale. Mi sono reso conto che gli armadi a muro non servono più perché apparentemente gli amanti sono finiti. Ma poi, ho anche pensato che ci sono dei nuovi armadi a muro: i cellulari». Con questa dichiarazione di intenti Maurizio Costanzo torna a teatro, a dieci anni dalla sua ultima opera per il palcoscenico, con la commedia inedita «Abolite gli Armadi, gli Amanti non esistono più!», in scena all’Off/Off Theatre di Roma da martedì 21 dicembre a giovedì 6 gennaio.
Sul palco, sotto la regia di Pino Strabioli, saliranno Sveva Tedeschi, Veronica Rega, Luca Ferrini, Alberto Melone e David Nenci. Il disegno luci è di Umberto Fiori; le realizzazioni video di Silvia De Benedettis.
Con questo nuovo testo, leggero e scanzonato, Maurizio Costanzo racconta il tradimento via etere tra chat, siti on-line dedicati e WhatsApp. «Oggi – ci spiega la nuova commedia del giornalista romano - l'armadio ce lo portiamo in tasca» ed è il cellulare, dove «nascondiamo il meglio o il peggio della nostra intimità», senza il rischio che il partner venga a scoprirlo piombando nella stanza all'improvviso. L’eterno triangolo marito-moglie-amante, dunque, non si estingue, ma si rinnova.
«Abolite gli Armadi, gli Amanti non esistono più!» è, a detta del regista Pino Strabioli, «una conferenza, un convegno, una prolusione sull'adulterio di ieri e di oggi. […] una giostra teatrale su una delle istituzioni del mondo occidentale: le corna!».
Il copione è «stracolmo di situazioni e parole, riferimenti e allusioni. Dall'intramontabile grido «Cielo mio marito» alle tentazioni virtuali, il testo racconta, dunque, la coppia, quella ufficiale e quella segreta, con una vena di ironia, lasciando il sorriso sulle labbra.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito: http://off-offtheatre.com/.

Fotografie di Silvia Enriotti

A Milano le immagini vincitrici del Wildlife Photographer of the Year 2020
È lo scatto di una tigre siberiana, specie in via d’estinzione, che abbraccia un antico abete della Manciuria per marcare il territorio l’immagine che ha vinto la cinquantaseiesima edizione del «Wildlife Photographer of the Year», concorso di fotografia indetto dal Natural History Museum di Londra, nel quale sono stati visionati 45.000 scatti provenienti da 95 Paesi, realizzati da fotografi professionisti e dilettanti.
Questa immagine intitolata «The Embrace» e firmata da Sergey Gorshkov, è in mostra fino al fino al 31 dicembre a Milano, negli spazi di Palazzo Francesco Turati (ex spazio Forma), per iniziativa dell’associazione culturale Radicediunopercento, insieme a un altro centinaio di scatti. Tra questi c’è «The Fox That Got the Goose» della giovane finlandese Liina Heikkinen, vincitrice del «Young Wildlife Photographer of the Year 2020», che ha immortalato, in una delle isole di Helsinki, una volpe rossa che difende ferocemente i resti di un’oca dai suoi cinque fratelli rivali.
Tra i protagonisti dell’esposizione, per la quale sono state ideate delle visite guidate su Zoom (il venerdì, dalle ore 20:30, al costo di 7,00 euro), ci sono anche il giovane Alberto Fantoni, vincitore del «Rising Star Portfolio Award» con immagini che documentano la vita degli uccelli nel Mediterraneo, e altri sei italiani, ovvero Luciano Gaudenzio, Domenico Tripodi, Alessandro Gruzza, Andrea Pozzi, Andrea Zampatti e Lorenzo Shoubridge.
Il percorso espositivo illustra, nello specifico, tutte le immagini vincitrici e finaliste divise in categorie: anfibi e rettili, uccelli, Invertebrati, mammiferi, animali nel loro ambiente, piante e funghi, ambienti della terra, mondo subacqueo, natura urbana, ritratti animali, bianco e nero, visioni creative e giovani (fotografi fino a 10 anni, da 11 a 14 anni e da 15 a 17 anni).
Le visite guidate su Zoom sono introdotte dal video «People's Choice Award» con le venticinque foto premiate dalla giuria popolare e da un intervento di Paolo Russ che spiega il valore del Wildlife Photographer of the Year nell’ambito delle strategie del Natural History Museum di Londra. Per i visitatori on-line è disponibile anche un contenuto multimediale legato alla foto di Sergey Gorshkov. 
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito internet: www.radicediunopercento.it.

Nelle fotografie:  1. © Sergey Gorshkov, Wildlife Photographer of the Year 2020; 2. © Songda Cai, Wildlife Photographer of the Year 2020

«Corpi sul palco», arte e teatro si incontrano a Milano
L’arte sale sul palco. Venerdì 17 e sabato 18 dicembre al teatro Linguaggicreativi di Milano va in scena «Corpi sul palco», rassegna di performance curata da Andrea Contin con artisti visivi di livello internazionale, emergenti ed esordienti che usciranno dai contesti espositivi abituali per esibirsi nel campo della rappresentazione.
La prima serata saranno protagonisti Superteste con «Alfredino», Chiara Gambirasio con «When I was a fish», Marcella Vanzo con «Versi», Manuel Esposito e Aronne Pleuteri con «Freddo è l’oracolo», Lorenzo Ambiveri con «Cerimonia per l'abdicazione di Apollo» e Goldschmied & Chiari con «If I die I’m a legend». Mentre sabato 18 dicembre si succederanno sul palco Nicola Di Caprio con «Il bambino cosmico che risiede in me sorride beffardo», Sergio Racanati con «To futureless memory/possibilità di un memoriale», Matteo Coluccia con «Evidenze meteorologiche», Luigi Presicce con «La straordinaria caccia del capitone» e Teresa Antignani con «Terra ca nun senti».
Anche questa volta gli artisti invitati appartengono a generazioni diverse e hanno modi espressivi eterogenei, così che le serate di «Corpi sul palco» possano offrire una visione il più sintomatica possibile del mondo della performance nelle arti visive, all’interno di un contesto diverso, ma proprio per questo estremamente stimolante e denso di valenze simboliche e psicologiche.
Per maggiori informazioni, anche sui biglietti e sulle modalità di accesso, è possibile consultare la pagina www.corpisulpalco.com.

Nella foto: Chiara Gambirasio, still da Oggetto, complemento, via (Volo, Corsa, Nuoto), 2021

«Atelier des enfants», a Venezia tre giorni con la compagnia di circo contemporaneo Quattrox4
A Venezia c’è un luogo in cui i più piccoli possono apprendere il linguaggio dell’arte contemporanea direttamente dagli artisti. È Palazzo Grassi, dove da giovedì 16 a sabato 18 dicembre è in agenda un nuovo appuntamento di «Atelier des Enfants», il nuovo ciclo di incontri per bambine e bambini dai 6 agli 11 anni in compagnia di ospiti d’eccezione. Protagonista della tre giorni è la compagnia Quattrox4, nata a Milano nel 2011, che promuove la cultura del circo contemporaneo come linguaggio artistico ponendola in dialogo con altri linguaggi della sfera performativa.
Il laboratorio si ripeterà per tre sessioni: giovedì 16 e venerdì 17, dalle ore 16:30 alle ore 18, e sabato 18 dicembre, dalle ore 10:30 alle ore 12. A conclusione della residenza gli artisti Piergiorgio Milano, Pietro Selva Bonino, Clara Storti si esibiranno in uno spettacolo gratuito aperto a tutto il pubblico in scena nell’atrio di Palazzo Grassi (sabato 18 dicembre, alle ore 17).
Le attività presentate da Quattrox4 saranno liberamente ispirate al «contrapposto» - figura retorica della composizione scultorea classica al centro della mostra in corso a Punta della Dogana «Bruce Nauman: Contrapposto Studies» – declinato in una riflessione tra equilibrio, imitazione, fragilità e resistenza.
I bambini potranno sperimentare con il proprio corpo una nuova espressività, lavorando sul potenziamento delle proprie capacità motorie e sulla relazione con l’altro. Queste pratiche trovano origine nella cultura del circo contemporaneo, nato in Francia negli anni Settanta del Novecento da una commistione di generi: teatro, danza contemporanea e discipline circensi.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.palazzograssi.it

«Geronimo Stilton. Brescia Musei Adventures»: con una app-game alla scoperta della Pinacoteca Tosio Martinengo e del complesso di Santa Giulia
Il topo giornalista più amato dai bambini di tutto il mondo arriva ai musei di Brescia con un’anteprima mondiale. Geronimo Stilton è protagonista di una innovativa app-game dedicata ai bambini dai 6 anni in su che coinvolge quattro sedi museali della città: il Museo di Santa Giulia, la Pinacoteca Tosio Martinengo, Brixia. Parco archeologico di Brescia romana e il Museo «Luigi Marzoli».
Per l’occasione sono stati ideati tre percorsi unici e originali, redatti in collaborazione tra i Servizi educativi della Fondazione Brescia Musei e Atlantyca Entertainment, sperimentabili con smartphone o tablet (anche noleggiabile nelle varie sedi museali) e resi ancora più coinvolgenti dall’utilizzo della realtà aumentata. Alcuni pezzi del museo sono, infatti, trasformati in immagini 3D da osservare, rigirare e ingrandire per carpirne fino al più piccolo dettaglio. La app è disponibile gratuitamente su AppStore e PlayStore, offrendo anche una versione in lingua inglese e strumenti per la scuola.
Per Santa Giulia è stata ideata la visita «Geronimo Stilton alla ricerca del medaglione perduto». Per aiutare il direttore dell’«Eco del roditore» a trovare un prezioso reperto conservato nel museo, i bambini dovranno recuperare diversi oggetti sparsi lungo il percorso espositivo, rispondendo a domande e indovinelli. Al termine della visita, il topo nato da un’idea di Elisabetta Dami inviterà i più piccoli a spostarsi nel Parco archeologico per concludere l’esperienza davanti alla meravigliosa Vittoria Alata.
In «Geronimo Stilton, un’avventura a colpi di pennello» protagonista è, invece, la Pinacoteca Tosio Martinengo. Con l’espediente di ridisegnare un quadro conservato nell’ufficio del topo-giornalista, i bambini si muoveranno tra le sale del museo e ammireranno i preziosi dipinti lì custoditi: da «San Giorgio e il drago» alla «Cena in Emmaus», dalla «Pala Rovelli» del Moretto ai «Pitocchi» di Giacomo Ceruti, passando per il «Ritratto di gentiluomo» di Moroni e straordinarie sculture come «La notte» di Thorvaldsen e il «Laocoonte» di Ferrari.
In «Geronimo Stilton una giornata da cavaliere», infine, i più piccoli faranno un tuffo nel mondo medievale e, attraversando le sale del Museo «Luigi Marzoli», scopriranno quali erano le parti che componevano un’armatura e come era decorata, quali erano le prove che un giovane doveva superare per diventare cavaliere e tantissime altre curiosità.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.bresciamusei.com.
 
«In Dante Veritas. Sins Artguide»: un art book digitale di Vasily Klyukin per il settecentenario dell’Alighieri
È un viaggio immaginario attraverso l’«Inferno» dantesco quello che propone l’artista e scultore russo Vasily Klyukin con il suo «In Dante Veritas. Sins Artguide», un progetto che è insieme un e-book con uno speciale video e un’audioguida disponibile in undici lingue. La piattaforma digitale, ideata durante i mesi del primo lockdown in occasione dei settecento anni dalla morte del Sommo poeta, comprende opere di artisti classici e contemporanei che hanno riflettuto sul tema dei vizi, raccolte in capitoli tematici.
L’art book è completato da foto e video tratti dalla mostra «In Dante Veritas», presentata dall’artista nel 2019 al Museo di stato di San Pietroburgo e a Venezia, nei giorni dell’ultima Biennale d’arte. Il libro, disponibile al link https://book.vklyukin.com, consta di ventisette capitoli e ha un tempo di visualizzazione totale di venticinque minuti.
Sfogliando le pagine, i lettori entrano in uno spettacolo immersivo privato, che è anche – nelle intenzioni dello stesso artista - «un viaggio personale di introspezione», durante il quale si ha la possibilità di trovarsi faccia a faccia con tutti i vizi umani e di incontrare «i moderni Cavalieri dell'Apocalisse»: la sovrappopolazione, la disinformazione, lo sterminio, l’inquinamento. L’eterna dicotomia tra bene e male viene raccontata attraverso opere di Leonardo, Pablo Picasso, Vincent Van Gogh, Rodin, David, Koons e molti altri ancora.
 
«Chatta col David», un nuovo progetto della Galleria dell’Accademia di Firenze

Il David entra nel terzo millennio e «chatta» con i suoi ammiratori. Dal 15 dicembre, attraverso il sito web della Galleria dell’Accademia di Firenze, sarà possibile interagire con la celebre scultura di Michelangelo e scoprire, battuta dopo battuta, informazioni di tipo storico, artistico, religioso ma anche con aneddoti e curiosità.
A rendere possibile questa esperienza è un chatbot - un software automatizzato in grado di interagire con gli utenti in forma di chat - sviluppato a partire da un'idea di Cecilie Hollberg, direttore del museo toscano, ricorrendo agli strumenti sviluppati da Querlo, società di New York specializzata nella produzione di applicazioni tecnologiche tramite l'intelligenza artificiale.
Alla produzione dei contenuti ha, invece, collaborato l'Accademia di Belle Arti di Firenze. Gli studenti del corso di «Didattica per i musei», sotto la guida della professoressa Federica Chezzi, hanno elaborato le prime domande, un centinaio in tutto, al quale il David dà risposta. «Perché sei considerato un simbolo? Cosa hai provato a sconfiggere Golia? Ti piace la musica? Che tipo era Michelangelo? Ti piace Firenze? Che lingua parli? Perché sei nudo?» sono alcuni dei quesiti ai quali la statua, capolavoro della scultura mondiale e ideale di bellezza maschile nell'arte, ma anche nella sua umanità, sa dare risposta.
Quella attualmente pubblicata è la versione Beta; il chatbot è, infatti, stato sviluppato attraverso il sistema del Deep Learning, che prevede un accrescimento progressivo nel corso del tempo della sua capacità di comprensione e risposta, in accordo alle richieste poste dagli utenti.
«L'idea - afferma Cecilie Hollberg, direttore della Galleria dell’Accademia di Firenze - nasce dalla volontà di portare il museo nella modernità e per essere aggiornati bisogna rivolgersi ai giovani. Questa esperienza con l'intelligenza artificiale può essere considerata un primo approccio oltre che un modo giocoso per attirare l'attenzione di chi non è solito avvicinarsi all'arte».
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.galleriaaccademiafirenze.it.

Firenze, a Palazzo Medici Riccardi una mostra su Benozzo Gozzoli e la sua Cappella dei Magi
Fu la dimora di Cosimo il Vecchio e Lorenzo il Magnifico. Ospitò artisti quali Donatello, Michelangelo, Paolo Uccello, Benozzo Gozzoli e Botticelli. È per tutti la casa del Rinascimento. Stiamo parlando di Palazzo Medici Riccardi a Firenze, che per una sera, quella di mercoledì 15 dicembre, ha aperto gratuitamente le porte al pubblico. Dalle ore 17:30 alle ore 19:30, esclusivamente previa prenotazione, è stato possibile visitare il museo e vedere in anteprima la mostra «Benozzo Gozzoli e la Cappella dei Magi», con la guida delle due curatrici, Serena Nocentini e Valentina Zucchi.
In questi giorni, lungo il percorso tradizionale del palazzo, a partire dall’elegante Cortile di Michelozzo per giungere alla splendida Galleria degli Specchi, affrescata da Luca Giordano con l’«Apoteosi dei Medici», i visitatori possono ammirare ammirare anche l’altra mostra attualmente in corso: «Il Fiorentino. Il Gran Diamante di Toscana», dedicata a uno dei più preziosi e rari gioielli dei Medici, oggi perduto, la cui storia viene raccontata attraverso testimonianze documentarie quali disegni, inventari medicei e altri documenti d’archivio.
La nuova esposizione su Benozzo Gozzoli, che rimarrà aperta fino al 10 marzo, è, invece, intimamente legata alla storia del palazzo mediceo, che proprio al suo interno custodisce la meravigliosa Cappella dei Magi, uno dei più alti capolavori dell’artista, affrescata su commissione medicea alla fine degli anni Cinquanta del Quattrocento. L'esposizione racconta i legami del pittore con la famiglia Medici e con la città di Firenze in un suggestivo intreccio fra opere originali e creazioni multimediali.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito http://www.palazzomediciriccardi.it/.

Fotografia di Simone Lampredi 

Freschi di stampa, Electaarchitettura pubblica la monografia «Spazio Lavoro Architettura» sull’Headquarters del gruppo Chiesi a Parma
Innovazione, persone e sostenibilità: sono queste tre parole chiave ad aver guidato Efa studio di architettura nella configurazione dell’edificio direzionale di Chiesi, gruppo farmaceutico internazionale orientato alla ricerca con base a Parma.
Costruito su una superficie di 46.300 metri quadrati, riqualificando un’area industriale dismessa senza alcun consumo di suolo agricolo, il nuovo Headquarters - abitato già dal 2020 e ora, con il graduale ritorno alla normalità, sempre più vivo - ospita circa cinquecentoquaranta persone, tra cui il top management del gruppo, attualmente presente con proprie filiali in trenta Paesi nel mondo.
Va, inoltre, sottolineato che il quartier generale di Chiesi si trova all’interno del più ampio progetto «KilometroVerdeParma», un corridoio alberato lungo l’autostrada A1 nato per riqualificare l’ambiente di uno dei tratti autostradali più trafficati d’Europa, in continuità con lo spirito dell’azienda. A testimonianza di tali scelte, l’Headquarters è il primo edificio nel suo genere ad aver ottenuto la certificazione Leed Platinum (Leadership in Energy and Environmental Design) in Italia ed è tra i primi trentacinque edifici al mondo.
Il progetto sorto prossimità del Centro ricerche, inaugurato nel 2011, è il protagonista della monografia «Spazio Lavoro Architettura» (pp. 144, illustrato, rilegato, ISBN 9788892820548, € 40,00), appena edita da Electaarchitettura in edizione bilingue, italiano e inglese. Il volume, a cura di Emilio Faroldi e Maria Pilar Vettori, contiene otto brevi saggi (gli autori sono Marco Biagi, Stefano Capolongo, Dario Cea, Pietro Chierici, Alberto Chiesi, Alessandro Chiesi, Emilio Faroldi, Giorgia Fochi, Francesca Pesci, Laura Piazza, Maria Pilar Vettori) ed è corredato da un ricco apparato iconografico di disegni tecnici e di foto d’autore a firma di Marco Introini, Pietro Savorelli, Kai-Uwe Schulte-Bunert.
Pagina dopo pagina, si scopre la filosofia che ha animato l’ideazione e la costruzione del nuovo spazio, composto da un padiglione polifunzionale, un auditorium e un ristorante aziendale. Socialità, inclusività e welfare complessivo dei dipendenti sono, infatti, alla base delle scelte progettuali, tese a valorizzare non solo la produttività aziendale, ma anche le relazioni umane secondo un nuovo tipo di fruizione più flessibile, attento anche allo svago extra-lavorativo.
Per ulteriori informazioni: www.chiesi.com.

Foto di Marco Introini