lunedì 28 febbraio 2022

In mostra a Venezia Tapio Wirkkala, Toni Zuccheri e i vetri della Venini

Da cento anni, dal 1921, Venini è sinonimo di vetro di qualità. Di decennio in decennio, l’azienda muranese – racconta la presidente Silvia Damiani – «ha custodito e interpretato un patrimonio artistico unico, che affonda le proprie radici nella cultura veneziana del 1200, dando vita a opere inconfondibili capaci di fondere insieme i profondi saperi della tradizione con il fascino dell’estetica contemporanea».
Per celebrare questa ricorrenza «Le stanze del vetro», realtà nata dalla collaborazione tra la Fondazione Giorgio Cini onlus e dal Pentagram Stiftung, ha promosso, sull’isola di San Giorgio Maggiore, proprio di fronte a piazza San Marco, un progetto speciale a cura di Marino Barovier: «Tapio Wirkkala e Toni Zuccheri alla Venini».
L’esposizione, che rimarrà aperte fino al prossimo 13 marzo, ripercorre, attraverso duecento opere in vetro, le esperienze muranesi di due artisti presenti in fornace Venini, sia contemporaneamente che in tempi diversi, soprattutto nella seconda metà degli anni Sessanta: il rigoroso ed essenziale Tapio Wirkkala e il giocoso e sperimentale Toni Zuccheri.
Ognuno di loro, con la sua forte personalità, contribuì a caratterizzare la produzione della vetreria che, in quegli anni di grande trasformazione, non solo seppe proporre nuovi modelli senza rinunciare all’uso del colore, nonostante in quel momento a Murano l’uso del vetro cristallo fosse preponderante, ma riuscì anche a rispondere alle nuove esigenze di essenzialità provenienti dal mondo del design.
Il celebre designer finlandese Tapio Wirkkala (Hanko, 2 giugno 1915 – Helsinki, 19 maggio 1985) iniziò la sua collaborazione con Venini nel 1966, in occasione della Biennale di Venezia, dove mostrò gli eleganti esiti del suo lavoro a Murano. 
Forte di un’esperienza nel mondo del vetro nordico nella manifattura Iittala, l’artista coniugò la sua cultura con le tipiche lavorazioni muranesi, dalle quali rimase affascinato, che gli offrirono nuove possibilità espressive. Prese progressivamente confidenza con la tecnica della filigrana e con la «scoperta» del colore. Ricorse spesso alla tecnica dell’incalmo per l’esecuzione di manufatti policromi in vetro trasparente affiancando cromie diverse, in prevalenza dai toni freddi, ma anche con note vivaci. Ne sono un esempio, tra l’altro, le «Meduse» realizzate in filigrana sommersa, i vasi «Pianissimo», i «Gondolieri», dalle forme essenziali come i «Coreani» e le famosissime «Bolle», serie queste ultime destinate a un grande consenso. Caratteristico della sua ricerca è anche l’impiego di murrine di grandi dimensioni, che l’artista utilizzò in particolare per l’esecuzione di una serie di piatti. In un continuo lavorio, le serie successive nacquero da ulteriori sperimentazioni con l’impiego di stampi, soprattutto nei nuovi piatti, e da variazioni sul tema della filigrana spesso accostata al vetro opaco.
La mostra presenta anche alcuni disegni, un documento interessante perché Tapio Wirkkala e i maestri vetrai non parlavano la medesima lingua. A tal proposito l’artista dichiarava: «ho constatato che la lingua non è un problema almeno non con i lavoratori, se riesco a entusiasmarli e farli credere al progetto. Mi aiuto con i disegni. Se i bordi della carta non bastano, disegno col gesso sul muro e se questo non basta ancora, disegno sul pavimento».
La sperimentazione sulla materia vitrea e sui processi di lavorazione sono, invece, le note distintive di Toni Zuccheri che, ancora studente di architettura, giunse alla Venini chiamato per dar forma a un bestiario in vetro, presentato alla Biennale del 1964. Nacquero così anatre in vetro policromo insieme a inediti animali in vetro e bronzo (tacchino e faraona) a cui si aggiunse un’originale upupa dalle innumerevoli penne eseguite a caldo e dalla valenza scultorea. 
Questo primo bestiario, viene affiancato da alcune serie di vasi che dimostrano l’indagine di Zuccheri sulle possibilità della trasparenza, seguite negli anni successivi (1967-68) da nuovi vetri opachi dalle intense colorazioni e dalla linea organica, ispirata al mondo vegetale («Tronchi», «Ninfee», «Scolpiti»). Dalla fine degli anni Settanta il bestiario in vetro si arricchisce di nuovi modelli, riconfermando l’interesse di Zuccheri per questo tema, declinato in maniera mai scontata. Di grande interesse è anche il lavoro che l’artista svolge nel corso degli anni Sessanta sul vetro di grosso spessore per la realizzazione delle celebri vetrate per e con l’architetto Gio Ponti. Nella sala video dello spazio espositivo «Le stanze del vetro» saranno proiettati per tutto il periodo di apertura della mostra il film documentario «Pezzi sparsi» che Marta Pasqualini ha dedicato nel 2016 alla figura di Toni Zuccheri e il documentario «Tapio Wirkkala, The man who designed Finland».
Le rassegne, che possono essere visitate anche on-line grazie a un virtual tour in 3D, sono accompagnate, infine, da due monografie edite da Skira entrambe a cura di Marino Barovier e Carla Sonego. I cataloghi illustrano il lavoro di Wirkkala e Zuccheri alla Venini grazie a un’accurata ricerca documentaria basata su materiale d’archivio della vetreria e su documenti messi a disposizione dagli eredi dei due designer.

Didascalie delle immagini
1. Vasi della serie Bolle, Tapio Wirkkala per Venini, 1966-67; 2. Vasi della serie Lapponi, Tapio Wirkkala per Venini, 1966; 3. Piatto e coppe della serie Coreani, Tapio Wirkkala per Venini, 1966-67; 4. Fenice in vetro policromo e bronzo, Toni Zuccheri per Venini, 1987; 5. Tacchino in vetro a murrine, Toni Zuccheri per Venini, 1964; 6. Vasi della serie Scolpiti, Toni Zuccheri per Venini, 1967

Informazioni utili 
Tapio Wirkkala e Toni Zuccheri alla Venini. Due mostre a Le Stanze del Vetro. Le stanze del vetro, Fondazione Giorgio Cini. Isola di San Giorgio Maggiore, Venezia. Orari: ore 10 – 19, chiuso il mercoledì. Ingresso libero. Info: info@lestanzedelvetro.org, info@cini.it. Web: www.lestanzedelvetro.org, www.cini.it. Fino al 13 marzo 2022

domenica 27 febbraio 2022

#notizieinpillole, cronache d'arte della settimana dal 21 al 27 febbraio 2022

Riapre a Venezia la casa di Mariano Fortuny
Riapre a Venezia il gotico Palazzo Pesaro degli Orfei, magico scenario del genio creativo del talentuoso Mariano Fortuny y Madrazo (Granada 1871, Venezia 1949) e della moglie Henriette Negrin, luogo di riferimento agli inizi del Novecento della élite intellettuale europea.
A due anni dall'«acqua granda» del novembre 2019, dopo i necessari interventi conservativi al piano terra, sabato 5 marzo la casa-atelier dell’artista, che a inizio Novecento scelse la città lagunare per le sue eclettiche sperimentazioni, verrà restituita al pubblico e diventerà un museo permanente.
Nel week-end del 12 e 13 marzo sono previste due giornate a ingresso gratuito (con obbligo di prenotazione), durante le quali sarà possibile ammirare anche un nucleo di opere di artisti americani di primo piano della raccolta Panza di Biumo.
I consistenti lavori di ripristino e messa in sicurezza, finanziati tramite Art Bonus, hanno permesso il restauro del portego, cui si accede da Campo San Beneto, con la riorganizzazione completa dei servizi di accoglienza. Nel contempo sono stati riallestiti gli ambienti del palazzo in senso filologico, con la restituzione delle sale alla memoria di ciò che l’artista spagnolo ci ha lasciato, e con la riapertura ai piani nobili delle meravigliose polifore, punto focale dell’architettura dell’edificio, ora pienamente valorizzata, e fonte di luce naturale modulata in base alle necessità.
Il percorso espositivo, di straordinaria suggestione, ha visto all’opera il maestro Pier Luigi Pizzi, con Gabriella Belli e Chiara Squarcina.
Il retroterra moresco, la cultura classica, le influenze orientali, il mito e il mondo wagneriano, i molteplici interessi e passioni di Mariano Fortuny rivivono, ora, con maggiore suggestione nel palazzo.
Dipinti, scenografie teatrali, invenzioni illuminotecniche, meravigliosi abiti e incredibili tessuti, ma anche opere della collezione personale, documenti e brevetti, testimonianze degli artisti e degli amici che al tempo giungevano a Venezia convivono nelle sale del palazzo veneziano con una selezione di fotografie d’epoca, testimoni di gusti, presenze, accostamenti, rimandi e relazioni tra personaggi, oggetti, creazioni, arti e saperi.
Per maggiori informazioni: https://fortuny.visitmuve.it/it/

(aggiornato il 3 marzo 2022, alle ore 14:30)

«Il berretto a sonagli», un Pirandello a due lingue per Gabriele Lavia
Era l’agosto del 1916 quando la penna prolifica di Luigi Pirandello dava vita al primo dei suoi tanti personaggi, teatrali e non, beffati dal destino, costretti a sentirsi addosso il peso dell’infelicità, ma capaci di prendersi un’amara rivincita nei confronti delle umiliazioni della vita. Dalle novelle «La verità» (1912) e «Certi obblighi» (1912), nasceva «Il berretto a sonagli», commedia in due atti in dialetto siciliano, messa in scena per la prima volta dalla compagnia di Angelo Musco al teatro Nazionale di Roma, nella giornata del 27 giugno 1917, sotto la regia di Nino Martoglio.
Considerato il primo esempio radicale di teatro italiano «espressionista», questo testo amarissimo, comico e crudele, specchio di una società «malata di menzogna», avrebbe avuto due anni dopo, nel 1918, anche una versione in lingua italiana, rappresentata per la prima volta il 15 dicembre 1923 al teatro Morgana di Roma dalla compagnia di Gastone Monaldi.
Protagonista del racconto, da sempre banco di prova per attori di consolidata esperienza, è Ciampa, un umile scrivano di mezza età che, tradito dalla moglie, accetta la condanna e la pena di spartire l’amore della propria donna con un altro uomo, facendo ricorso al silenzio, anzi dando della pazza alla moglie del suo rivale, che il tradimento invece lo vuole denunciare, pur di mantenere la facciata di rispettabilità del suo triste matrimonio.
A dare corpo e anima a Ciampa sul palco del teatro Strehler di Milano sarà, dal 3 al 13 marzo, Gabriele Lavia, una delle voci più appassionate ed efficaci del teatro del Nobel siciliano, qui in scena con Federica di Martino e con Francesco Bonomo, Matilde Piana, Maribella Piana, Mario Pietramala, Giovanna Guida, Beatrice Ceccherini. Le musiche sono di Antonio Di Pofi; le luci portano la firma di Giuseppe Filipponio. Le scene sono state disegnate da Alessandro Camera; mentre gli eleganti costumi hanno visto al lavoro gli allievi del terzo anno dell'Accademia Costume & Moda.
«Non c’è dubbio – dichiara Gabriele Lavia, nella doppia veste di attore e regista – che in siciliano questa ‘commedia nerissima’ sia più viva e lancinante. Noi faremo una mescolanza tra la ‘prima’ e la ‘seconda’ versione di questo ‘specchio’ di una umanità che fonda la sua convivenza ‘civile’ sulla menzogna. […] La verità – conclude l’artista - non può trovare casa nella società umana. Solo un pazzo può dirla… Ma tanto, si sa ‘…è pazzo!’». 
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.piccoloteatro.org

Foto di Tommaso Lepera

Dall’Ermitage a Roma, in mostra da rhinoceros la «Giovane donna» di Pablo Picasso
È la volta di Pablo Picasso al palazzo rhinoceros di Roma, il polo culturale affacciato sull’Arco di Giano e progettato da Jean Nouvel, cuore delle proposte artistiche e culturali della Fondazione Alda Fendi – Esperimenti. Dopo «L’adolescente» di Michelangelo e «I Santi Pietro e Paolo» di El Greco, lo spazio espositivo accoglie una nuova opera proveniente dal Museo statale dell’Ermitage di San Pietroburgo, per la prima volta sul suolo italiano: la «Giovane donna» olio su tela realizzato nel 1909 da Pablo Picasso, proveniente dalla collezione di Sergej Ščukin, celebre mercante moscovita di opere del Modernismo francese.
Al di fuori della rappresentazione canonica di una bellezza ideale, la donna ritratta – la modella Fernanda Olivier - è nuda e appare seduta in una poltrona di forma complessa e si staglia su uno sfondo neutro, scuro e astratto. I suoi occhi sono chiusi; sembra dormiente oppure sognante e la sua testa è leggermente inclinata. Manca una fonte di luce e le parti in cui si scompone il suo corpo sembrano illuminarsi dall’interno.
Attorno al dipinto cubista, che emerge dal nero delle pareti, Raffaele Curi, responsabile della linea artistica della fondazione romana, ha costruito un’ampia mappa esperienziale con un approccio immersivo e multimediale, in un percorso capace di mescolare musica, danza (dal Ballet Nacional de España al balletto «Parade» di Erik Satie) e memorie fotografiche della vita del pittore, dedicando, inoltre, un focus espositivo al rapporto tra l’artista spagnolo e l’attore italiano Raf Vallone.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito https://rhinocerosroma.com/.

[Nella foto: Pablo Picasso, «Giovane Donna», 1909, olio su tela, 92,3 x 73,3 cm. Photograph © The State Hermitage Museum, 2022. Foto di Pavel Demidov]

Ferrara ricorda Giorgio Bassani con la proiezione del documentario «Il Giardino che non c’è» di Rä di Martino
Era il 1962 quando usciva in libreria l'indimenticabile romanzo «Il giardino dei Finzi-Contini», uno dei primi libri italiani a parlare delle Leggi razziali del 1938 e della deportazione degli ebrei attraverso la narrazione delle storie d’amore e di amicizia, dei progetti di vita e delle partire a tennis di un gruppo di giovani ferraresi. A sessanta anni dalla pubblicazione del volume, nella settimana in cui si ricorda la nascita dell'autore Giorgio Bassani (Bologna, 4 marzo 1916 – Roma, 13 aprile 2000), il Museo nazionale dell'ebraismo italiano e della Shoah-Meis presenta, al Cinema Boldini in Sala Estense (piazza del Municipio 14), la proiezione, gratuita e aperta a tutta la cittadinanza, del documentario «Il giardino che non c'è» di Rä di Martino. L’appuntamento, in programma mercoledì 2 marzo, alle ore 21, verrà introdotto da Noa Karavan, autrice del soggetto, e da Amedeo Spagnoletto, direttore del Meis.
Il legame del museo ferrarese con «Il giardino dei Finzi-Contini» ha radici lontane. Nel 2018 l'artista israeliano Dani Karavan (1930-2021) e sua figlia Noa Karavan Cohen, notando come centinaia di turisti in giro per la città cercassero il celeberrimo Giardino dei Finzi-Contini scoprendo con stupore che non esisteva, immaginarono di dare corpo a questa suggestione, realizzando un omonimo pro-getto composto da un binario, una bicicletta, una scala e un muro di vetro, installati di fronte alle mura di Corso Ercole I d'Este, come nella vivida creazione di Bassani.
Prodotto da Alto Piano e Les Films du Poisson in co-produzione con Arte France e presentato fuori concorso all'ultima edizione del Torino Film Festival, il documentario si interroga su come un'opera d'arte può condizionare il modo di vedere il mondo, sul suo potere di creare un immaginario collettivo che trascende la realtà. Partendo dal capolavoro di Giorgio Bassani, «Il giardino che non c'è» mostra come questo romanzo abbia condizionato il nostro modo di rappresentare una città, un periodo storico drammatico, una famiglia ebraica, un giardino.
A raccontare l'effetto dirompente del romanzo di Bassani e del film che ne ha tratto Vittorio De Sica, vincendo nel 1972 il Premio Oscar, attori, comparse e intervistati che, nella cornice di giardini ferraresi, laziali e parigini, ripercorrono la fortuna dell'opera e l'immortale storia dei suoi protagonisti, alternandosi a stralci di film storici in continui rimandi temporali. Tra questi, non possono manca-re Lino Capolicchio e Dominique Sanda, che hanno incarnato il volto di Giorgio e di Micòl Finzi-Contini sul grande schermo. Hanno partecipato, tra gli altri, Paola Bassani, Simonetta Della Seta, Andrea Pesaro, Portia Prebys, Anna Quarzi e Chiara Valerio.
Questo appuntamento, in cui Ferrara ha l'opportunità di specchiarsi nella sua immagine, si pone così come la chiusura di un cerchio e porta a compimento un omaggio tanto alla memoria che alla città che continua a custodirla.
L’ingresso è gratuito, ma è consigliata la prenotazione su boxerticket. Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.meis.museum.

Torino, da Fondazione per l'arte Crt sette nuove opere per le collezioni di Gam e Rivoli
Sono sette le opere appena entrate nelle collezioni della Fondazione per l’arte moderna e contemporanea Crt, composta da circa 890 opere realizzate da più di 300 artisti dai linguaggi espressivi differenti, per un investimento di oltre 40 milioni di euro.
Le acquisizioni sono state effettuate grazie all’approvazione del Comitato scientifico internazionale di Fondazione Arte Crt, composto da Rudi Fuchs, presidente e già direttore dello Stedelijk Museum ad Amsterdam, Francesco Manacorda, direttore artistico di V-A-C Foundation (Mosca-Venezia), Nicholas Serota, presidente dell’Arts Council England, Manolo Borja-Villel, direttore del Museo Reina Sofia di Madrid, Beatrix Ruf, direttore Hartwig Art Foundation di Amsterdam; Carolyn Christov-Bakargiev, direttore del Castello di Rivoli, e Riccardo Passoni, direttore della Gam di Torino.
I sette lavori appena acquisiti, che portano la firma di sei artisti internazionali, sono stati, quindi, concessi in comodato gratuito ai due principali musei torinesi. Un’opera di Anne Imhof, «Untitled (Sex)» del 2020, e un’opera di Agnieszka Kurant, «Adjacent Possible» del 2021, arricchiranno le proposte espositive del Castello di Rivoli. Il primo lavoro è un’installazione che include un quadro «graffiato», nel quale emerge la sagoma di una testa senza volto, quattro amplificatori Marshalls impilati in due colonne, un materasso e una chitarra. Di Agnieszka Kurant è, invece, stata acquisita una serie di nuovi lavori su pietra di Luserna, che indagano direzioni alternative in cui la cultura umana potrebbe essersi evoluta o in cui si sta evolvendo attualmente. Nello sviluppo di questo progetto, l'artista ha collaborato con gli scienziati sociali computazionali LeRon Shults e Justin Lane per applicare un algoritmo a un archivio di migliaia di fotografie che riproducono le varie iterazioni di trentadue segni grafici, datati dal 40.000 a.C. al 14.000 a.C., documentati nelle grotte Paleolitiche in Europa e in Asia dalla paleoantropologa Genevieve von Petzinger.
Mentre cinque lavori di artisti italiani a metà carriera - Diego Perrone («Untitled», 2016), Luca Bertolo («Veronica», 17#05, 2017), Riccardo Baruzzi («Fisherman Harlequin - After Renato Birolli», 2019; «Via Saragozza 93», 2019) e Flavio Favelli («Military Decò» - A, 2019; nella foto) – già visti nella mostra «Sul principio di contraddizione» (dal 5 maggio al 3 ottobre 2021), saranno destinati ai progetti curatoriali della Gam – Galleria civica d’arte moderna di Torino.
Per maggiori informazioni: www.fondazioneartecrt.it.

Riapre al pubblico il Labirinto della Masone. In programma una mostra di aeropittura futurista
Riapre al pubblico, dopo la pausa invernale, il Labirinto della Masone, nato nel 2015 a Fontanellato, in provincia di Parma, da un’idea di Franco Maria Ricci – editore, designer, collezionista d’arte e bibliofilo – e da una promessa fatta nel 1977 allo scrittore argentino Jorge Luis Borges, affascinato da sempre dal simbolo del labirinto sia in chiave metafisica che come metafora della condizione umana.
Il Labirinto della Masone è il cuore di un borgo reale e immaginario realizzato dagli architetti Pier Carlo Bontempi e Davide Dutto. Il parco culturale si estende per otto ettari e racchiude al suo interno una rigogliosa vegetazione, diverse costruzioni che ospitano libri e collezioni d’arte (in mostra circa quattrocento opere che spaziano dalla scultura del Seicento alla pittura romantica dell’Ottocento). La struttura è arricchita da una caffetteria, un ristorante-bistrò e uno spazio gastronomico, tutti curati dallo chef Andrea Nizzi e dallo staff dei «12 Monaci», a cui si aggiungono due lussuose suite dove è possibile pernottare.
Il Labirinto del Masone è realizzato interamente con piante di bambù - in totale quasi 300.000 - appartenenti ad una ventina di specie diverse, alte tra i 30 centimetri e i 15 metri. Percorrendo questo intricato e affascinante dedalo lungo oltre tre chilometri, è possibile conoscere, grazie ai pannelli posti tra i viali, tutta la storia dei labirinti, a partire dal mito di Creta, passando per il Medioevo e il Rinascimento, fino ad arrivare ai giorni nostri. Un altro percorso a tappe racconta, poi, la storia del suo ideatore, Franco Maria Ricci.
Tra i prossimi eventi in programma si segnala, dal 9 aprile al 3 luglio, la mostra «Dall’Alto. Aeropittura futurista», a cura di Massimo Duranti e Andrea Baffoni, con circa novanta opere di artisti quali Gerardo Dottori, Osvaldo Peruzzi, Fillia, Enrico Prampolini, Tullio Crali e Tato e anche alcune aerosculture come quelle di Umberto Peschi e Mino Rosso.
Inoltre il 17, 18, 19 giugno il Labirinto della Masone ospiterà il Lost (Labyrinth Original Sound Track) Music Festival, una tre giorni e due notti di live, installazioni e mostre nel verde della natura.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito https://www.labirintodifrancomariaricci.it/.

Toscana, apre a Pietrasanta la Andrea Chisesi art gallery
Il centro storico di Pietrasanta, «la piccola Atene» del Lucchese, si arricchisce di una nuova galleria d’arte. Sabato 5 marzo, alle ore 18, inaugura la sede versiliese della Andrea Chisesi Art Gallery, gemella dell’atelier siracusano che ha sede a Ortigia.
Il nuovo spazio, curata da Marcella Damigella, avrà sede al piano terra di un antico edificio del XVII secolo dove, il 12 ottobre 1821, nacque Eugenio Barsanti, il presbitero insegnante di fisica, che insieme all’ingegnere Felice Matteucci nel 1853 inventò il motore a scoppio. Lo stabile, le cui sale interne che ospitano la galleria sono state rivisitate per l’occasione con uno in stile industrial, è ubicato al civico 79 della storica e centralissima via Giuseppe Mazzini, a due passi da piazza Duomo.
Per il taglio del nastro Marcella Damigella ha previsto l’esposizione di una cinquantina di opere di Andrea Chisesi tra pitture, disegni e fusioni, che testimoniano tutto il percorso dell’artista romano, classe 1972, compresa una selezione tratta dalle collezioni più famose degli ultimi anni come la serie sui «Fuochi d’artificio» una vera e propria esplosione di colori e di forme, che si rivela un inno alla vita. Mentre a completare il percorso espositivo è la collezione ispirata alla natura e al panismo dannunziano, che richiama l’ultima esposizione di Andrea Chisesi al Vittoriale degli Italiani di Gardone Riviera.
Il visitatore è accolto in un luogo senza tempo: le pareti cineree accolgono le opere pittoriche che dialogano ed evocano secoli di storia, poiché l’idea è di immaginare un viaggio, attraverso arredi vintage che permettano di richiamare ricordi passati dal sapore di casa e di tradizione. «La galleria – afferma a tal proposito la curatrice Marcella Damigella - deve rimandare a un luogo dove l’arte è qualcosa di familiare, dove ci si sente a proprio agio».
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.andreachisesi.com.

Fondazione Giorgio Cini, lo Scalone del Longhena candidato al Progetto Art Bonus 2021
C’è anche la Fondazione Giorgio Cini di Venezia tra gli enti selezionati per la sesta edizione del concorso «Progetto Art Bonus dell’anno». Fino al prossimo 21 marzo sarà possibile votare on-line, sul sito sul sito https://artbonus.gov.it/concorso/, per il restauro dello Scalone del Longhena, gravemente danneggiato dall’«acqua granda» del 2019.
A questa prima fase di votazione, ne seguirà una seconda: dal 22 marzo al 1° aprile, i dieci interventi di restauro che avranno ricevuto il maggior numero di voti sulla piattaforma, parteciperanno alla finale che si terrà sui profili Facebook e Instagram di Art Bonus.
Il progetto per lo scalone monumentale che dal chiostro palladiano conduce al piano di rappresentanza del monastero e alla foresteria vecchia è il risultato straordinario della lunga e continua attività dell’architetto veneziano Baldassarre Longhena, sull’Isola di San Giorgio Maggiore, risalente agli anni ‘40 del Seicento.
Il monumentale accesso alle sale superiori dell’appartamento abbaziale ha subito ingenti danni con la marea eccezionale del 2019. Grazie al bando promosso dalla Fondazione di Venezia, che ha finanziato con oltre 180.000€ l’intervento coinvolgendo le Fondazioni di origine bancaria associate ad Acri, la Fondazione Giorgio Cini ha presentato l’anno scorso, in occasione dei suoi settant’anni di attività, i risultati del restauro.
Un primo intervento sullo scalone ha richiesto lo smontaggio completo e il successivo restauro della pavimentazione in rosso, biancone di Verona e nero assoluto, nonché al recupero delle tarsie marmoree dei pianerottoli, al rifacimento dei marmorini e al restauro della bellissima nicchia dorata con l’allegoria di Venezia.
A seguire, gli studenti del Corso triennale in Tecniche del restauro dell’Uia-Università internazionale dell’arte, nell’ambito di un progetto formativo condiviso, hanno offerto un prezioso contributo per il completamento del restauro del livello inferiore dello scalone, con operazioni di pulitura, desalinizzazione e stuccatura, che hanno interessato i portali, le cornici architettoniche delle nicchie e le sculture.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.cini.it.

«Novecento elegante», in mostra al Museo del tessuto di Prato abiti e accessori dalla donazione Fineschi
Si intitola «Novecento Elegante. Abiti e accessori dalla donazione Fineschi» la mostra allestita fino al prossimo 29 maggio al Museo del tessuto di Prato. Oltre ottanta oggetti tra abiti e accessori femminili e maschili da giorno e da notte, insieme ad abbigliamento infantile e a una selezione di giocattoli, raccontano un secolo di moda, in un viaggio che spazia dai ricami e dalle trine degli eleganti e raffinati négligé degli anni Venti agli outfit dei primi grandi brand italiani degli anni Ottanta come Gianfranco Ferré e Rocco Barocco.
I pezzi in mostra, per la curatela di Daniela Degl’Innocenti con la collaborazione di Valentina Sonnati, provengono dalla collezione della famiglia Fineschi, tra le più attive della borghesia imprenditoriale pratese fin dalla metà dell’Ottocento, prima con lo storico pastificio fondato nel 1821, poi con l’attività di vendita delle auto degli anni più recenti. I vari oggetti di abbigliamento sono stati raccolti negli ultimi vent’anni con cura e passione da Ada Tirinnanzi, prima di essere donati nel 2021 al museo pratese.
Lo studio della collezione e l’interessante patrimonio fotografico e video conservato dalla famiglia Fineschi hanno permesso non solo di ricostruire il vissuto dei numerosi componenti, ma anche di rintracciare la storia degli abiti, la datazione, la manifattura e l’appartenenza dei curiosi oggetti d’uso quotidiano che corredano la raccolta.
I vestiti della collezione seguono in modo puntuale i riferimenti alle tendenze della moda del periodo, come testimoniano le riviste, le planche, i figurini, i libri tendenze e campionario - appartenenti ad altre collezioni del museo - che arricchiscono l’esposizione creando un suggestivo dialogo tra questa eterogenea varietà di materiali.
Completano il percorso due interessanti dipinti di Galileo Chini del 1934 e un video che racconta come le molte e affascinanti microstorie che attraversano la vita della famiglia Fineschi siano anche lo specchio dei costumi sociali e della moda italiana del secolo scorso.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.museodeltessuto.it/mostre/novecento-elegante/.

 
Aperte le prenotazioni per l’iniziativa «Mi illumino di meno» al Museo Bagatti Valsecchi di Milano
Una visita guidata sul tema dell’energia elettrica: è questa l’iniziativa che il Museo Bagatti Valsecchi di Milano sta organizzando in occasione di «M’illumino di meno», la celebre e partecipata campagna radiofonica dedicata al risparmio energetico e agli stili di vita sostenibili, lanciata da «Caterpillar» e Rai Radio2 nel 2005, che quest’anno si terrà nella giornata dell’11 marzo.
In questa diciottesima edizione, in cui la trasmissione chiede ai suoi ascoltatori di spegnere, pedalare, rinverdire, migliorare, la Casa-museo neorinascimentale ha deciso di partecipare con una visita speciale che ricorda la modernità dei fratelli Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi, che a fine Ottocento realizzarono una dimora dove l’innovazione tecnologica è sempre andata di pari passo con la funzionalità, tanto che fu una delle prime case di Milano dotata di illuminazione elettrica, ma anche di acqua corrente calda e fredda e di riscaldamento in tutte le stanze.
I visitatori che mercoledì 11 marzo, alle ore 15:30, sceglieranno di entrare negli spazi di Via Gesù, quindi, oltre ad ammirare la collezione artistica dei due fratelli, potranno conoscere l’evoluzione dell’illuminazione domestica nel corso degli anni da fine Ottocento fino ai giorni nostri.
È già possibile prenotare la visita guidata sul sito www.museobagattivalsecchi.org.  

Cenacolo vinciano, al via il restauro della Crocefissione del Montorfano

Ha preso il via lo scorso dicembre scorso, al Museo del Cenacolo vinciano di Milano, il restauro della «Crocefissione» di Donato Montorfano e dei dipinti murali che ornano, nel refettorio di Santa Maria delle Grazie, la parete ovest, quella miracolosamente risparmiata dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale.
L’intervento - annunciato nel febbraio 2021 tra quelli prioritari per la Direzione regionale musei della Lombardia – è stato avviato dopo la predisposizione dell’impegnativo cantiere e al termine dell’iter di affidamento, che ha visto l’assegnazione ad AuriFoliaRestauri, di Torino.
La progettazione dell’intervento è stata eseguita da Michela Palazzo, che ha diretto il museo milanese fino a poco prima dell’avvio del cantiere. La direzione dei lavori, invece, è affidata a Emanuela Daffra, non nuova a cantieri impegnativi, coadiuvata da Lorenza dall’Aglio e da Silvia Zanzani, architetto che da pochi giorni ha lasciato la direzione del Castello scaligero di Sirmione per assumere proprio quella del Cenacolo vinciano.
Le attività di restauro, nelle prime fasi, sono concentrate sul grande affresco della «Crocefissione», per procedere poi sulla parete laterale. Su questa parete e sulla volta sono presenti motivi decorativi realizzati a partire dal 1488, mentre alle estremità sono visibili due lunette decorate. Quella adiacente all’«Ultima Cena» raffigura uno stemma in una ghirlanda di foglie e frutti ed è attribuita allo stesso Leonardo da Vinci. Di quasi certa attribuzione leonardesca sono anche i ritratti di Ludovico il Moro con la moglie Beatrice d’Este e i figli, collocati nella parte inferiore della «Crocefissione» e ormai quasi del tutto perduti.
Ogni aspetto dell’intervento, compreso l’allestimento del cantiere, è stato progettato in modo da minimizzarne l’impatto su quella macchina delicata e complessa che è il refettorio, strenuamente protetto da polveri e inquinanti. Non solo: le diverse opere sono state organizzate e programmate in modo da poter mantenere aperto il museo per tutta la durata dei lavori, riservando le lavorazioni più articolate o più rumorose agli orari di chiusura; i dettagli dell’opera temporaneamente nascosta sono offerti ai visitatori tramite un ledwall e il procedere del restauro è raccontato sul sito attraverso costanti aggiornamenti.
«Il cantiere, nato per esigenze conservative, - racconta, infine, Emanuela Daffra - sarà anche una importante occasione di approfondimento sulla storia dell’edificio, sull'opera di Montorfano, sulle effigi ducali. Già dalle prime settimane di lavoro appare chiaro che molti dei luoghi comuni su questo dipinto dovranno essere rivisti».
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito https://cenacolovinciano.org/

«L’hôpital Des Poupées», a Firenze una mostra di Séléne De Condat
Venticinque fotografie raccontano alla Crumb Gallery di Firenze l’ultimo progetto fotografico della parigina Séléne de Condat, «L’Hôpital des poupées», che narra la storia dell’Ospedale delle bambole, una piccola bottega artigiana nel cuore di Roma, in via di Ripetta, vicino a piazza del Popolo, che esiste dal 1939. Qui Federico Squatriti, erede dell’attività di famiglia, con il sapiente aiuto della madre Gelsomina, ultraottantenne, rimette in sesto bambole di qualsiasi epoca: antiche, di legno o di carta pesta, di pannolenci o di porcellana, soldatini di piombo e marionette.
I clienti del negozio capitolino sono collezionisti che provengono da tutte le parti del mondo per restaurare e riportare a nuova vita questi fascinosi oggetti e come ogni paziente di un vero ospedale, ogni bambola viene dimessa con un referto diagnostico che indica le riparazioni subite e i consigli su come trattarla. E, per chi lo desidera, si può assistere, su appuntamento, a sedute di lavoro dimostrative.
A Roma la bottega è conosciuta anche come «il negozio del terrore» per l’atmosfera un po’ inquietante della vetrina dove si affastellano teste, occhi, braccia e gambe di bambole ed è su questi particolari che si sofferma l’obbiettivo della de Condat, quasi le bambole fossero esseri umani. «Queste bambole sorprese dalla macchina fotografica - scrive Marcelle Padovani nell’introduzione al catalogo - hanno avuto una loro vita, una loro parte, una loro storia, e i loro desideri, ed eccole adesso handicappate, azzoppate, invecchiate, sciancate, e brutalmente confrontate all’idea della propria disgregazione, che non è altro che la morte. Come noi. Esattamente come noi».
Séléne de Condat ci sottopone, come sotto una lente d’ingrandimento, la polvere del tempo che si stratifica sulla superficie delle poupées, negli angoli della bottega che emana un ché di magico e sinistro allo stesso tempo e di cui non puoi che subirne il fascino.
La mostra, visibile fino al 26 marzo, è accompagnata da un catalogo, edito dalla Collana NoLines, con testi di Rory Cappelli e della giornalista francese Marcelle Padovani, attiva dagli anni Settanta, che ha collaborato con Giovanni Falcone alla stesura del libro «Cose di Cosa Nostra», pubblicato nel 1991 da Rizzoli.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.crumbgallery.com.

Mirabilia, arte cinese e design: Tre aste imperdibili nella sede milanese di Cambi
Arte cinese, design per intenditori, artigianato di alta qualità e mirabilia: è questa l’offerta che ha messo in campo la Cambi casa d’aste con i tre appuntamenti in programma dal 22 al 24 febbraio nella sua sede milanese.
Si è cominciato martedì 22 febbraio (in una tornata unica a partire dalle ore 15) con la sezione «Mirabilia», un’asta in pieno stile Wunderkammer che sottolinea la «meraviglia» dell’uomo per gli elementi naturali che lo circondano, la sua attrazione per le bellezze del mondo. Sono andati all’incanto una magnifica selezione di lotti, da affascinanti memento mori a fossili unici. Tra i top lot: una rara ammonite iridescente, il cui guscio è composto di madreperla fossilizzata in ammolite (stima: 24.000 - 28.000 €), il cranio di xiphactinus, uno dei più grandi pesci predatori del tardo cretaceo (stima: 24.000 - 26.000 €) e il magnifico esemplare di halisauro, feroce predatore marino dell'epoca dei dinosauri (stima: 38.000 - 42.000 €): un «mostro» di 3 metri di lunghezza preparato su lastra così da poter essere appeso al muro come un quadro.
Mercoledì 23 febbraio è stata la volta di «Fine Chinese Works of Art». Da segnalare tra i pezzi d’arte orientale all’incanto ci sono stati un vaso flambè, marcato con il nome dell’imperatore Qianlong, come tutti gli oggetti commissionati dal palazzo imperiale (stima: 30.000 - 40.000 €), e una coppia di cachepots della fine dell’800 realizzati per una concubina, che poi divenne imperatrice riuscendo a portare il figlio sul trono (stima: 20.000 - 30.000 €). Il top lot è stato senz’altro la rara figura di Guanyin incoronata, statua in bronzo parzialmente dorata proveniente probabilmente da un tempio (stima: 50.000 - 70.000 €). L’asta si svolgerà in una doppia tornata: la prima alle ore 10 (lotti 1 – 158) e la seconda alle ore 14 (159 – 318).
Le aste di Cambi si sono chiuse giovedì 24 febbraio con «Design Lab» (in una tornata unica a partire dalle ore 14). Tra i pezzi all’incanto si segnalano un mobile contenitore di Borsani (stima: 1.500 – 2.000 €) e una lampada di Achille e Piergiacomo Castiglioni (stima: 1.000 – 2.000 €); mentre il lotto simbolo di questo appuntamento è stato uno dei pezzi cult del design degli anni ’70: la «Poltrona Piede UP7» di Gaetano Pesce (stima: 2.000 – 4.000 €).
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.cambiaste.com.

Su Zoom due incontri sulla mostra veneziana «Surrealismo e magia. La modernità incantata»
C’è grande attesa per la mostra «Surrealismo e magia. La modernità incantata», che aprirà al pubblico il prossimo 9 aprile alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia. In preparazione alla prima esposizione interamente dedicata all’interesse dei surrealisti per la magia, l’alchimia e l’occulto, il 24 febbraio e il 10 marzo, alle ore 18, Gražina Subelytė, curatrice dell’esposizione e associate curator del museo lagunare, conduce su Zoom due incontri, gratuiti e aperti a tutti, volti a presentare e approfondire alcune delle tematiche chiave della mostra. Si tratta dei primi due appuntamenti di un ricco calendario di Public Programs che accompagnerà la mostra nel corso della sua apertura, fino al 26 settembre.
Durante il primo talk del 24 febbraio, dal titolo «Segreti esoterici: il Surrealismo e il suo esordio magico», si è guardato, nello specifico, al rapporto tra Surrealismo e Romanticismo, Simbolismo, Medioevo e Rinascimento nordico, nonché l’arte metafisica, introducendo nozioni e simboli fondamentali che rivelano il lato magico dell’arte surrealista. Se la centralità dell’onirico, dell’irrazionale e dell’inconscio nel movimento è ben nota, meno nota è invece la fascinazione per temi quali la magia, l'alchimia e l'occulto. Il poeta francese André Breton, nel suo libro «L’arte magica» (1957), definisce il Surrealismo come la riscoperta della magia in una modernità disincantata e razionalizzata. Così facendo, Breton inserisce il movimento come ultima espressione di una lunga tradizione di «arte magica», rappresentata, per esempio, dai pittori Hieronymus Bosch, Hans Baldung Grien, Albrecht Dürer e Francisco Goya, il cui immaginario fantastico affascina i surrealisti.
Il 10 marzo è previsto, invece, un incontro dal titolo «Simboli di guarigione: Surrealismo e magia negli anni ’40». Per informazioni e iscrizioni ai due incontri, si deve scrivere a didattica@guggenheim-venice.it.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il link https://www.guggenheim-venice.it/it/mostre-eventi/mostre/surrealismo-e-magia-la-modernita-incantata/.
 
Il Maxxi di Roma ricorda Francesca Alinovi
Il Maxxi - Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma, in collaborazione con la Fondazione In Between Art Film, omaggia Francesca Alinovi (Parma, 28 gennaio 1948 - Bologna, 12 giugno 1983), una delle grandi protagoniste del clima di sperimentazione artistica che ha caratterizzato il passaggio tra gli anni Settanta e Ottanta.
Mercoledì 23 febbraio, dalle 17 alle 20:30, si è tenuto un simposio a ingresso gratuito, con prenotazione sul sito maxxi.art. L’idea del panel è nata dal dialogo tra Paola Ugolini e Veronica Santi, autrice del documentario «I am not alone anyway» e co-curatrice con Matteo Bergamini del volume «Francesca Alinovi» (2019,) che raccoglie scritti e saggi in parte inediti. Coinvolgendo storici, critici e artisti che negli anni hanno continuato ad approfondire il suo lavoro e valorizzarne la memoria, l’obiettivo del simposio è storicizzare e attualizzare la figura di Francesca Alinovi e la sua impostazione critica tracciando una linea storica che dalla fine degli anni Settanta arriva alla scena contemporanea. Hanno introdotto Bartolomeo Pietromarchi e Alessandro Rabottini. Sono intervenuti Maria Alicata, Matteo Bergamini, Dafne Boggeri, Ivo Bonacorsi, Piersandra Di Matteo, Maria Luisa Frisa, Marcello Jori, Fabiola Naldi, Veronica Santi. Hanno moderato Paola Ugolini.
In occasione del convegno, dal 23 al 27 febbraio (alle ore 11.30 | 13.00 | 14.30 | 16.00 | 17.30), nella videogallery del Maxxi, sarà proiettato il documentario «I am not alone anyway» (2017, durata 75 min), che ripercorre la parabola esistenziale nelle avanguardie artistiche di Francesca Alinovi. Il film ha lo scopo di riportare alla luce il pensiero critico della studiosa, per anni oscurato dalla sua tragica scomparsa nel 1983 divenuta un famoso caso di cronaca nera, con interviste ad artisti, colleghi e amici.
Una ricca selezione di materiale dell'epoca testimonia l'effervescente panorama artistico di New York, dove Francesca Alinovi frequenta la scena New Wave, i graffitisti del Bronx e l’East Village. Il documentario ricostruisce anche la vivacità culturale dell’Italia e di Bologna ngli anni a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta, con le prime edizioni della Settimana internazionale della performance, l’attività degli autori di Linus, Valvoline e Frigidaire, a partire da Andrea Pazienza e Marcello Jori, il teatro d'avanguardia dei Magazzini criminali e della Raffaello Sanzio Societas, il design dello Studio Alchimia e di Alessandro Mendini, gli artisti italiani del postmoderno, tra cui Luigi Ontani e Salvo, fino ad arrivare al manifesto dell'Enfatismo.
Per maggiori informazioni è possibile consultare la pagina https://www.maxxi.art/events/i-am-not-alone-anyway/

[Nell’immagine: Francesca Alinovi, ritratto, foto © Lucio Angeletti]

«Dai romantici Segantini», la mostra padovana si può vedere anche on-line
Si può visitare anche da casa la mostra «Dai romantici a Segantini. Storie di lune e poi di sguardi e montagne. Capolavori dalla Fondazione Oskar Reinhart», che raccoglie nelle sale del Centro San Gaetano di Padova settantasei opere che danno testimonianza della ricerca e dei movimenti artistici tra Svizzera e Germania, tra Ottocento e Novecento. Giovedì 24 febbraio, alle 21, il curatore Marco Goldin ha tenuto una visita guidata in diretta su Zoom. Il racconto è stato arricchito da contenuti extra e immagini in alta definizione, montate da Alessandro Trettenero. L’appuntamento on-line, della durata di circa ottanta minuti, è stato pensato per tutti coloro che non abbiano ancora potuto visitare la mostra padovana o vogliano rivivere le emozioni provate lungo il percorso espositivo. Br> Acquistando il biglietto sul sito Linea d’Ombra (biglietto.lineadombra.it), si potrà rivivere l’evento fino al 27 febbraio, compiendo così un viaggio che spazia da Caspar David Friedrich, a Giovanni Giacometti, padre di Alberto, e Giovanni Segantini, passando attraverso artisti noti come Bocklin, Albert Anker o Ferdinand Hodler, un cui quadro, «Sguardo verso l'infinito», chiude significativamente il percorso espositivo. A conclusione della visita guidata, lo stesso curatore risponderà in diretta alle domande del pubblico.
In questi stessi giorni è possibile vedere su YouTube due anteprime dedicate alle opere «Città al sorgere della luna» (1817, Kunst Museum Winterthur, Fondazione Oskar Reinhart) di Friedrich (https://youtu.be/u5Uj2WFtQx0) e «Paesaggio alpino con donna all'abbeveratoio» (1893 circa, Kunst Museum Winterthur, Fondazione Oskar Reinhart) di Segantini (https://youtu.be/TZ99uzgJPF0).
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito https://www.lineadombra.it.

[Nella foto: Caspar David Friedrich, «Le bianche scogliere di Rügen», 1818, olio su tela, cm 90 x 70 Kunst Museum Winterthur, Fondazione Oskar Reinhart © SIK-ISEA, Zurigo (Philipp Hitz)]

«Territori del futuro», al Maxxi di Roma un incontro sulla mostra «Amazzonia» di Sebastião Salgado
Per sei anni Sebastião Salgado ha viaggiato nell’Amazzonia brasiliana, fotografando la foresta, i fiumi, le montagne e le persone che vi abitano. Sono nate così oltre duecento immagini, che è possibile vedere sino al prossimo 25 aprile al Maxxi di Roma, con l’accompagnamento sonoro creato per l’occasione da Jean-Michel Jarre. Il fruscio degli alberi, le grida degli animali, il canto degli uccelli o il fragore delle acque che scendono dalla cima delle montagne, raccolti in loco, compongono il paesaggio sonoro della mostra.
In occasione dell’appuntamento espositivo, venerdì 25 febbraio, alle ore 18, si è tenuto il talk «Territori del futuro. Emergenza climatica e salvaguardia degli ecosistemi». Introdotti da Pietro Barrera, segretario generale della Fondazione Maxxi, e da Franco Ippolito, presidente della Fondazione Lelio e Lisli Basso Onlus, sono intervenuti Ivanilde Carvalho, Luigi Ferrajoli, Stefano Liberti, Gianni Tognon e, in video, Marcela Vecchione Gonçalves, ricercatrice e docente al Centro di studi avanzati sull’Amazzonia nell’Università Federale del Pará, in Brasile. Ha moderato la giornalista Anna Maria Giordano.
Focus dell’incontro, in programma in Sala Carlo Scarpa, è stata l’Amazzonia, intesa come una finestra sul mondo in cui viviamo, specchio degli effetti del cambiamento climatico e del collasso ecologico che rischiamo di affrontare. Il dialogo tra le comunità indigene e contadine che vivono nella regione e gli esperti che la osservano può offrire nuovi elementi per riformulare la convivenza tra popoli e ambiente e superare le logiche di sfruttamento irrazionale.
A seguire si è tenuta la proiezione del video «Manta Manaos» dell’artista e attivista ecuadoriana Rosa Jijón, che racconta il grande progetto di costruzione di un asse fluviale e stradale tra Manta (Ecuador) e Manaos (Brasile), uno sguardo critico su possibili disastri socio-ambientali su cui è fondamentale riflettere.
Per maggiori informazioni: https://www.maxxi.art.

venerdì 25 febbraio 2022

«Tra la carne e il cielo», le parole di Pasolini incontrano la musica di Bach

Intellettuale «corsaro», regista provocatorio, scrittore e poeta di straordinaria sensibilità, giornalista dalla penna acuta e pungente, «profeta laico», Pier Paolo Pasolini ha segnato il Novecento con il suo pensiero indipendente e scomodo. A cento anni esatti dalla nascita, Lucca ricorda l’artista bolognese con lo spettacolo «Tra la carne e il cielo», in programma sabato 5 marzo, alle ore 21, nella chiesa di San Francesco.

Letteratura e musica si incontreranno sotto la volta dell’elegante e austero edificio duecentesco con un appuntamento ideato da Valentino Corvino, direttore di orchestre nazionali e internazionali, con all’attivo numerose collaborazioni con celebri cantanti e cantautori come Mina, Vasco Rossi, Adriano Celentano, Renato Zero e molti altri.
 
Sul palco salirà Moni Ovadia, uno degli artisti più amati e popolari in Italia, straordinario intrattenitore nonché ideatore, regista e attore di un teatro musicale assolutamente peculiare, dagli importanti risvolti sociali e politici. 

 Protagoniste dell’incontro, a ingresso gratuito con prenotazione on-line da martedì 1° marzo sul sito www.fondazionecarilucca.it, saranno le memorie, le lettere, i testi e le poesie di Pier Paolo Pasolini, estratti dai famosi «Quaderni rossi», dalla corrispondenza contenuta in «Vita attraverso le lettere», dalla sceneggiatura del film «Accattone» e perfino dall’intervista che lo scrittore concesse a Furio Colombo solo poche ore prima di morire.
 
La lettura di queste pagine si intersecherà costantemente con l’esecuzione di tutti i brani di Johann Sebastian Bach, usati da Pier Paolo Pasolini come colonna sonora di molti suoi film, tra i quali si ricordano «Accattone» (1961), «Il Vangelo secondo Matteo» (1964), «Sopralluoghi in Palestina per Il Vangelo secondo Matteo» (1963-64), «Appunti per un film sull’India» (1968), «Sequenza del fiore di carta» (1968) e «Salò o le 120 giornate di Sodoma» (1975).
 
L’intellettuale bolognese amava, infatti, profondamente le musiche del compositore tedesco, tanto da dedicargli tra il 1944 e il 1945, un testo poco noto e incompiuto, «Studi sullo stile di Bach», ispirato alle sei sonate per violino BWV 1001-1006, edito nel 1999 nel primo dei due volumi di «Saggi sulla letteratura e sull’arte», pubblicato dalla Mondadori nella pregevole collana «I Meridiani». 

Ciò che più lo affascinava di quelle note, alle quali lo iniziò, nella primavera friulana del 1943, la violinista slovena Pina Kalc, profuga a Casarsa in seguito all’occupazione tedesca della Slovenia, era la convivenza a volte pacifica, a volte sofferta, tra le pulsioni terrene e un’elevata spiritualità. Da qui il titolo dello spettacolo: «Tra la carne e il cielo», un’espressione dello stesso scrittore, tratta dai «Quaderni rossi» e usata per parlare del «Siciliano della prima sonata in Sol minore».

A eseguire l’accompagnamento musicale saranno la violinista Valentino Corvino, Benedetta Mazzucato, contralto solista che ha debuttato nei più prestigiosi teatri di tutto il mondo, e l’ensemble Sonora Corda, composto da un quartetto vocale, violini, viole, violoncelli, oboi, flauto e contrabbasso.
Lo spettacolo, distribuito da Reggio Iniziative Culturali e proposto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, sarà, inoltre, arricchito dalla proiezione di una selezione di rare e preziose foto, gentilmente concesse dalla Cineteca di Bologna, che riproporranno al pubblico la magia dei set di film quali «Teorema», «Uccellacci e uccellini» e «Vangelo Secondo Matteo», tre vette della cinematografia pasoliniana.

Anche la fotografia e il linguaggio filmico racconteranno, dunque, a Lucca il legame tra Pier Paolo Pasolini e la musica di John Sebastian Bach, un mondo di note, insieme sacre e sublimi, che lo scrittore mise a contatto, in «Accattone», con l’umile, il profano, il volgare e, nel «Vangelo secondo San Matteo», con l’umanità del Cristo e il suo messaggio nella lotta di emancipazione dalle ingiustizie e dalle sofferenze patite dall’umanità. 
 
Informazioni utili
www.fondazionecarilucca.it

domenica 20 febbraio 2022

#notizieinpillole, cronache d'arte della settimana dal 14 al 20 febbraio 2023

A Ivrea, la capitale italiana del libro 2022, una mostra sull’illustratore Jean-Michel Folon
È Ivrea, la città che re Arduino scelse come prima capitale d’Italia e che Adriano Olivetti trasformò in un laboratorio del futuro, la Capitale italiana del libro 2022.
La visione comunitaria che costituì il periodo olivettiano è stato il tema scelto per il dossier di candidatura, alla cui elaborazione hanno partecipato oltre cinquanta persone e sette community del mondo del libro. Grande spazio nel progetto è stato dato alla Lettera 22, la mitica macchina per scrivere portatile ideata dalla Olivetti, una vera e propria icona del nostro tempo, che compare addirittura nel logo di Ivrea Capitale italiana del libro.
La città festeggia la vittoria, annunciata lo scorso 16 febbraio, con una mostra di Jean-Michel Folon (Uccle, 1º marzo 1934 – Principato di Monaco, 20 ottobre 2005), secondo appuntamento del ciclo espositivo «Olivetti e la cultura nell’impresa responsabile», che proseguirà a settembre con una rassegna sui dodici libri strenna ideati da Giorgio Soavi.
Jean-Michel Folon, «l’ultimo grande cartellonista del Novecento», nasce in Belgio nel 1934. Studia architettura a Bruxelles, ma nel 1955 abbandona gli studi universitari per dedicarsi al disegno. Si trasferisce a Parigi, dove è influenzato dalla pittura d’avanguardia di Pablo Picasso e dei surrealisti. Nei primi anni ’60 i suoi disegni sono accolti da alcune riviste americane, ma il suo stile, decisamente anticonformista e straniante, non si afferma immediatamente. La svolta avviene grazie all’incontro con Giorgio Soavi, che in Olivetti ha incarichi di art director nell’ambito della Direzione Pubblicità e Stampa, diretta da Renzo Zorzi. L’artista inizia così la sua collaborazione con l’azienda piemontese. Il sodalizio dura per oltre trent’anni e dà vita a grafiche, poster, libri illustrati, mostre e installazioni, alcune entrate decisamente nella storia.
La rassegna al Museo Garda, visibile fino al 5 giugno, illustra questo incontro fecondo, partendo dai carteggi Folon-Soavi e proponendo, tra l’altro, l’iconico manifesto pubblicitario per la Lettera 22 (1968), le illustrazioni per la prima agenda da tavolo dell’azienda (1969) e per le strenne «La metamorfosi» di Franz Kafka (1973) e «Cronache marziane» di Ray Bradbury (1979), nonché l’installazione nella stazione Waterloo della metropolitana di Londra (1975).
Una sezione dell'esposizione è, poi, dedicata al libro «Le message» (1967), storia di un «petit bon homme», un omino qualunque che, capitato in una grande stanza arredata con un’enorme macchina per scrivere, inizia a saltare di tasto in tasto e, una volta riempito il foglio di lettere e numeri, lo piega a forma di aeroplanino e lo lancia in aria. In modo poetico e fantasioso le immagini di Jean-Michel Folon descrivono così un aspetto tipico della filosofia olivettiana: lanciare le idee e renderle libere, a disposizione di tutti.
Il visitatore si ritrova così immerso in un mondo fatto di colori evanescenti nei toni pastello, di disegni contraddistinti da pochi elementi simbolici e da forme stilizzate: omini volanti e metropolitani, aeroplanini, frecce colorate. Il tutto parla il linguaggio della poesia e del sogno, invitando a sperare in un mondo migliore.
Per maggiori informazioni è possibile consultare i siti https://ivreacapitaledellibro.it/ e https://www.museogardaivrea.it/

Le fotografie sono di Mariano Dallago 

Torino: al via «Futura», la nuova stagione di Casa Fools
Dalla commedia brillante alla performance di teatro-danza, dalla lirica dal vivo alla stand up comedy, passando per spettacoli che riflettono sull’arte contemporanea, su vicende epocali della storia recente o sul nostro presente: è ricco il cartellone della rassegna torinese «Futura – È arrivata la bella stagione», la programmazione 2022 di Casa Fools che ha visto alla direzione artistica il Collettivo Cartellone Condiviso, venticinque persone fra appassionati di teatro e commercianti e residenti del quartiere Vanchiglia.
Ad aprire la stagione è stato, nelle serate di venerdì 18 e sabato 19 febbraio, il monologo comico «Le donne baciano meglio», di e con Barbara Moselli, che ha raccontato, con ironia e leggerezza, il percorso di scoperta dell’omosessualità femminile, partendo dall’esperienza autobiografica dell’autrice.
La programmazione proseguirà il 4 e il 5 marzo con lo spettacolo «Una canzone infinita», delle compagnie Odemà e Filo di paglia, che racconta il golpe di Pinochet attraverso una performance di teatro e danza. L’11 marzo sarà, invece, in scena una nuova produzione originale di Casa Fools: «Opera Pop Live». Luigi Orfeo, regista lirico e attore, si fa autore e interprete di uno show che unisce all’evocazione del racconto teatrale la potenza emotiva del canto lirico, dando vita a un lavoro di ricerca e contaminazione per diffondere fra il grande pubblico l’eccellenza, tutta italiana, del melodramma.
Il 18 e 19 marzo sarà, quindi, la volta di «Io che odio solo te - and f**k you Mrs Maisel», nuovo lavoro di Corinna Grandi che torna alla stand up partendo dalla presa di coscienza epocale dell’arrivo dei 40 anni. L’1 e il 2 aprile sarà, poi, il turno di «Due passi sono» del duo teatrale Carullo – Minasi, la cui cifra stilistica è l’indagine dell’assurdità compulsiva del vivere quotidiano. Mentre il 29 e il 30 aprile si rifletterà con «L’indispensabile *Capitolo 1» del collettivo l’Amalgama, un'indagine all’interno della nostra società attraverso incontri e interviste con persone di diversa età, genere ed estrazione sociale.
A chiudere il cartellone sarà la compagnia Asterlizze che, il 13 e 14 maggio, metterà in scena «Arte», commedia brillante e ironica di Yasmina Reza, vincitrice del premio Molière, che scandaglia con sarcasmo le relazioni umane, attraverso una riflessione sull'arte contemporanea.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.casafools.it.

Nelle foto: 1.«Due passi sono», del duo teatrale Carullo – Minasi, sarà in scena a Torino, a Casa Fools, nelle serate dell'1 e del 2 aprile 2022; 2.«Io che odio solo te - and f**k you Mrs Maisel», nuovo lavoro di Corinna Grandi, sarà in scena a Torino, a Casa Fools, il 18 e il 19 marzo 2022  

Venezia, Carnevale al museo per «ricordare il futuro»
«E più di tutto mi ricordo il futuro». È una citazione del pittore Salvador Dalì a fare da filo rosso a «Remember the future», il cartellone di eventi che Massimo Checchetto, scenografo del teatro La Fenice, ha ideato per il Carnevale 2022 di Venezia.
Tra le tante iniziative in programma fino al primo marzo nelle strade e nei luoghi culturali della città lagunare, tutte consultabili sul sito www.carnevale.venezia.it, ci sono anche quelle promosse dal Muve che ha organizzato, a partire da venerdì 18 febbraio e fino al martedì grasso, l’apertura serale straordinaria, fino alle ore 22, dei Musei di piazza San Marco (Palazzo Ducale e Museo Correr) e del circuito dei Musei del Settecento veneziano (Ca’ Rezzonico, Museo di Palazzo Mocenigo - Centro studi di storia del tessuto, del costume e del profumo e Casa di Carlo Goldoni), visitabili per l’occasione con biglietto cumulativo dalla tariffa particolarmente vantaggiosa (16 euro per l’intero e 13 euro per il ridotto).
«A Venezia anche il Carnevale ha una storia magnifica - spiega Mariacristina Gribaudi, presidente della Fondazione Musei civici di Venezia - con usanze che si sono stratificate anno dopo anno nelle feste popolari e hanno prodotto i dipinti e i racconti che oggi i musei custodiscono, a partire da quel gioiello che è Ca' Rezzonico, il nostro Museo del Settecento veneziano. Il Carnevale è festa di strada e può sembrare strano invitare a festeggiarlo nei musei, ma il Carnevale di Venezia è anche festa antica, le sue immagini sono famose nel mondo e ammirarle è sempre una gioia. Grandi artisti veneziani del passato ci hanno lasciato opere importantissime».
Tra questi c’è Pietro Longhi, che ha dedicato svariati dipinti al Carnevale, il più celebre dei quali è, forse, quello con il rinoceronte Clara, che ci ricorda come nel Settecento durante questa festività, che durava ben tre mesi, in piazza San Marco venivano allestiti dei «casotti» con venditori di vario genere - burattinai, maghi, astrologi, ciarlatani - e anche con animali esotici come leoni, elefanti e, in questo caso, il rinoceronte. Sempre Pietro Longhi rappresenta la bauta, la celebre maschera veneziana, uno dei travestimenti più comuni nel Carnevale antico, soprattutto a partire dal XVIII secolo, rimasto in voga fino a oggi.
Venezia celebra, inoltre, nei suoi musei una tra le più celebri maschere della commedia dell’arte, il Pulcinella, soggetto dei magnifici affreschi di Giandomenico Tiepolo, dipinti per la villa di famiglia a Zianigo vicino a Venezia e oggi custoditi a Ca' Rezzonico, uno dei musei che fanno parte della rete dedicata al Settecento veneziano.
Alle aperture straordinarie si aggiunge un evento gratuito dedicato a bimbi e famiglie a Ca' Pesaro. Domenica 27 febbraio, alle ore 11 e alle ore 14:30, si terrà l’incontro «Una casetta Pop-up», per far scoprire le infinite possibilità creative della carta.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.visitmuve.it

Nelle foto: 1. Pietro Longhi (1701-1785), Colloquio tra baute, Venezia, Ca’ Rezzonico, Museo del Settecento veneziano; 2.Giandomenico Tiepolo (1727-1804), L’altalena dei Pulcinella.Venezia, Ca’ Rezzonico, Museo del Settecento veneziano

Verona, in mostra a Palazzo Maffei il primo Manifesto del futurismo

«Noi vogliamo cantare l'amore del pericolo, l'abitudine all'energia e alla temerità»: era il 20 febbraio del 1909 quando sulla prima pagina del quotidiano francese «Le Figaro» veniva pubblicato il Manifesto del Futurismo, l’unica Avanguardia artistica del XX secolo di matrice italiana che, in quegli anni, stava pervadendo tutte la arti con la sua voglia di futuro e la sua rinnovata modalità di linguaggio.
A più di cento anni di distanza, il 19 febbraio, una copia originale del famoso «Le Figaro» con il «Manifeste du Futurisme», elaborato del poeta Filippo Tommaso Marinetti, sarà esposto a Palazzo Maffei di Verona, nella sala che raccoglie alcune delle opere futuriste più significative della Collezione Carlon.
La casa-museo scaligera metterà in mostra anche il facsimile della prima pagina de «L’Arena» del 9 febbraio 1909, rinvenuta negli archivi storici del quotidiano, grazie alla collaborazione del Gruppo editoriale Athesis. Si dimostrerà così come la città di Verona abbia avuto un ruolo di primo piano nella divulgazione dei principi futuristi: «L'Arena» fu, infatti, uno dei sette giornali della penisola a pubblicare il Manifesto di Marinetti in anticipo di almeno una decina di giorni rispetto a «Le Figaro».
A Palazzo Maffei «le sale dedicate al Futurismo - spiega la direttrice Vanessa Carlon- si aprono con un'opera quasi programmatica di Mario Schifano (nella foto, ndr) che riprende e reinterpreta una fotografia famosa del 1912 - realizzata proprio per «Le Figaro» - con Russolo, Carrà, Marinetti, Boccioni e Severini, in occasione della loro prima mostra a Parigi».
Tutti questi artisti sono esposti lungo il percorso espositivo. Tra le tante eccellenze una menzione particolare spetta al nucleo di lavori firmati da Giacomo Balla, tra cui si segnalano «Mercurio che passa davanti al sole» (1914) e «Compenetrazioni iridiscenti 1» (1912), che vede l’artista futurista impegnato nella resa del dinamismo e delle rifrazioni luminose, evocando le sequenze delle onde elettromagnetiche attraverso moduli geometrici. «Linea di velocità e vortice» è, invece, una sorta di installazione in ottone cromato ideata da Giacomo Balla negli stessi anni, ma realizzata intorno al Trenta, quando l’artista si mostra vicino alle posizioni degli aeropittori e alle loro formulazioni su tela di strutture a vortice dinamico nello spazio. Significativo è anche «Linea-forza del pugno di Boccioni», probabile cartone preparatorio per un arazzo progettato per l’Exposition des arts decoratifs di Parigi del 1925. Colpito dalla morte improvvisa di Umberto Boccioni, avvenuta nel 1916, Giacomo Balla «disegna una sagoma grafica che sintetizza il pugno che l’amico, simbolicamente, aveva sferrato al passatismo e al ‘ventre molle’ della borghesia».
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito https://palazzomaffeiverona.com/.

Milano, una statua per Margherita Hack. a realizzarla sarà l’artista bolognese Sissi
Sarà l’artista e accademica bolognese Sissi, nome d’arte di Daniela Olivieri (Bologna, 1977), docente all’Accademia di Firenze e vincitrice di premi internazionali come il Gotham Prize e il New York Prize, a realizzare la scultura per Margherita Hack che verrà inaugurata nel mese di giugno a Milano, in largo Richini, di fronte all’ingresso dell’università degli studi, in un luogo di grande passaggio di cittadini e studenti.
L’opera - commissionata dalla Fondazione Deloitte, in collaborazione con la Casa degli artisti e con il supporto del Comune di Milano - Ufficio Arte negli spazi pubblici - è la prima scultura su suolo pubblico, a Milano e in Italia, dedicata a una donna scienziata.
«Sguardo fisico», questo il titolo del lavoro in bronzo, rappresenterà Margherita Hack, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita, intenta a osservare le stelle mentre emerge da un vortice raffigurante una galassia. L’astrofisica è raffigurata mentre alza le braccia verso l’alto, simulando un telescopio: un gesto emblematico e un vero e proprio invito alla scoperta e all’immaginazione, che dichiara quella determinazione e tenacia che le permisero di affrontare la sfida con il mondo scientifico, al tempo dominato da figure maschili.
Il progetto di Fondazione Deloitte si inserisce in un percorso iniziato due anni fa con l’istituzione dell’Osservatorio sulle materie Stem, nato con l’obiettivo di contribuire ad alimentare il dibattito nazionale tra università, governo, istituzioni e aziende sulla necessità di stimolare i giovani a seguire un percorso di studi in un ambito come quello Stem (Science, Technology, Engineering e Mathematics), sempre più strategico per il nostro Paese e non solo.
L’opera di Sissi ha vinto un concorso di idee, la cui giuria era presieduta dall’accademico e critico d’arte Vincenzo Trione, a cui hanno partecipato in totale otto artiste italiane e internazionali: oltre a Sissi, infatti figurano Chiara Camoni, Giulia Cenci, Zhanna Kadyrova, Paola Margherita, Marzia Migliora, Liliana Moro e Silvia Vendramel. Fino al 20 febbraio, alla Casa degli artisti, sarà possibile visitare la mostra che presenta al pubblico i testi, i disegni, i rendering e le maquette di tutti gli otto progetti che hanno aderito al concorso.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito: www.casadegliartisti.net

Nelle immagini: 1.Sissi, «Sguardo fisico» : una scultura a Margherita Hack. Schizzo preparatorio, tecnica mista, acquarello, china, 44x37cm; 2. Sissi, «Sguardo fisico» : una scultura a Margherita Hack. Rendering, Largo Fresco Richini, Milano Credits Riccardo Orsini 

«L'uomo dal fiore in bocca», Lucrezia Lante della Rovere ‘rivisita’ Pirandello
È una lettura inedita dell’atto unico «L’uomo dal fiore in bocca» di Luigi Pirandello, dramma borghese che fece il suo debutto al Manzoni di Milano il 24 febbraio 1922, quella che va in scena dal 22 al 27 febbraio al teatro Menotti. A cento anni dalla prima rappresentazione, lo spettacolo pirandelliano ritorna nel capoluogo lombardo con una rilettura che fa uscire dall’oscurità la «Donna vestita di nero», il personaggio femminile che osserva il dialogo, o meglio il semi-monologo, tra un uomo ammalato di epitelioma, prossimo alla morte, e il «pacifico avventore» di un bar, ubicato all’interno di una stazione ferroviaria.
L’uomo ammalato ha deciso di allontanarsi dalla vita e anche dalla moglie che rappresenta il passato, i ricordi, la vita stessa. La sua non è una scelta facile; è una decisione coraggiosa che porta con sé la struggente consapevolezza di quanto tutto sia precario e di come il caso, a volte, si faccia beffa dei nostri piani. Nel testo pirandelliano, ogni elemento della quotidianità passa al vaglio dell’uomo malato, dai braccioli delle sedie ai gesti che i commessi dei negozi compiono per fare un nodo a un pacco, dall’arredamento delle sale d’attesa dei medici all’imprevedibilità dei terremoti in un estremo e unico punto di contatto con la vita che sfugge, della quale egli vuole goderne fino allo stremo delle sue possibilità esistenziali, «come un rampicante alle sbarre d’una cancellata».
Nello spettacolo in scena al Menotti di Milano, per l’adattamento e la regia Francesco Zecca, Lucrezia Lante della Rovere dà voce alla donna muta che Luigi Pirandello ha solo fatto intravedere, una figura femminile a cui l’unica cosa rimasta è quella di «attaccarsi con l’immaginazione alla vita» cercando di non lasciar andare il marito.
L’allestimento, che si avvale delle musiche originali di Diego Buongiorno e del disegno luci di Alberto Tizzone, riprende le indicazioni pirandelliane: la donna è «vestita di nero, con un vecchio cappellino dalle piume piangenti». Nuove, invece, sono le parole di quella donna dolorante che Luigi Pirandello ci ha fatto solo intravedere dietro un cantone.
«Basta scambiarsi un bacio per sentire lo stesso gusto della vita? – si legge nelle note allo spettacolo -. Basta avvicinare le labbra al proprio amore per sentirne il sapore? Basta sciacquarsi la bocca con il presente per non sentire più il sapore persistente del passato? […] Quante domande ci vogliono per sollevare un peso dal cuore? Quante risposte non dobbiamo trovare per amare un dettaglio?». Che cosa può dire e chiedersi una donna che sta per rimanere sola? Lucrezia Lante della Rovere lo racconta, dando nuova vita a un grande classico pirandelliano, a cento anni dalla prima messa in scena.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.teatromenotti.org

Fotografie di Manuela Giusto 

#unmuseoalminuto: all’Adi Design Museum un’installazione permanente per celebrare la creatività e il saper fare delle imprese italiane
Ci sono luoghi che raccontano la storia del nostro saper fare, mettendo sotto i riflettori le idee e le opere che hanno reso celebre nel mondo il «made in Italy». Si tratta dei musei e degli archivi di impresa, protagonisti dell’installazione permanente appena inaugurata all’ingresso dell’Adi Design Museum di Milano: #unmuseoalminuto.
Un grande orologio digitale, con lo scandire del tempo che passa, svela al pubblico oltre centodieci luoghi che conservano oggetti e documenti per raccontare storie straordinarie, di donne e uomini che, consapevoli della dignità del fare impresa, hanno inventato, sperimentato, prodotto, costruito benessere, lavoro, bellezza e inclusione sociale.
Ogni museo è rappresentato da un’immagine identitaria che si alterna, ogni minuto, a quelle degli altri musei e archivi sul quadrante di un grande orologio, metafora della stratificazione nel tempo della cultura di impresa. Il movimento della lancetta dei secondi compone ogni volta un quadrante diverso. Il pendolo, con la sua scansione ritmica, è la rappresentazione simbolica di passato, presente, futuro, e racconta della capacità delle aziende di guardare alla propria storia, di operare nell’oggi e di volgere lo sguardo al futuro in un processo di continua innovazione.
Con questa installazione si sottolinea l’attualità di musei e archivi d’impresa, istituzioni di riferimento, nel tempo e nello spazio, per le comunità e i territori, per la custodia dei saperi locali e della cultura materiale, nei centri urbani così come nei territori in cui si radicano le tante manifatture italiane.
L’opera, progettata da Neo [Narrative Environments Operas], avrà anche una vetrina sui social grazie a un’iniziativa di Assolombarda e Museimpresa, l’associazione Italiana archivi e musei d’Impresa, fondata nel 2001, che rispecchia la grande varietà del tessuto industriale e imprenditoriale nostrano, riunendo realtà rappresentative di vari settori, dal design alla chimica e alle assicurazioni, dalla produzione di macchine per caffè alle società sportive, dai giganti della gomma e della plastica all’industria tessile. Ogni settimana, il lunedì, il mercoledì e il venerdì, fino al prossimo ottobre, sul profilo Instagram di Museimpresa verranno raccontate le storie degli archivi e musei che partecipano all’iniziativa, pubblicando l’immagine del loro quadrante. L’obiettivo è quello di avvicinare anche i più giovani alla cultura d’impresa, uno strumento utile per insegnarci come affrontare le sfide del presente e come progettare il futuro, tanto più in un contesto come quello che stiamo vivendo di profonda trasformazione economica e sociale.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.assolombardia.it.