martedì 10 maggio 2011

«Noi credevamo», il Risorgimento secondo Mario Martone

A fine giugno sarà premiato, nello splendido scenario del Teatro antico di Taormina, con il «Nastro d’argento dell’anno». Nei giorni scorsi si è aggiudicato ben sette delle tredici statuette alle quali era candidato ai «David di Donatello», portando a casa premi per il miglior film e la miglior sceneggiatura, ma anche per la fotografia, la scenografia, i costumi, il trucco e il parrucco. Stiamo parlando di «Noi credevamo», la pellicola diretta dal regista napoletano Mario Martone, presentata in anteprima alla 67° Mostra del cinema di Venezia, dove ha conquistato la critica che non ha esitato a parlarne come di un progetto «poderoso, emozionante, bellissimo» («Il Messaggero), «magnifico» («La Repubblica»), «corale e potente» («Il Giornale»).
Il film, liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Anna Banti e sceneggiato dallo stesso Mario Martone con Giancarlo De Cataldo, sarà in programmazione al cinema teatro Sociale di Busto Arsizio nella giornata di giovedì 12 maggio, alle ore 14.30, a chiusura della rassegna «Per i centocinquanta anni dell’unità d’Italia: il cinema racconta», ideata da Agiscuola e dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e in programma anche in un’altra ventina di città italiane.
Dopo le proiezioni delle pellicole «Le cinque giornate» di Dario Argento, «Correva l’anno di grazia 1870» di Alfredo Giannetti e «Uomini contro» di Francesco Rosi, tenutesi tra febbraio e aprile, la sala di piazza Plebiscito continua, dunque, il suo viaggio tra le pieghe della storia del Risorgimento, tra i fatti e le persone che hanno «fatto» l’Italia, focalizzando l’attenzione su alcune pagine poco note del tormentato processo unitario, come i moti savoiardi del 1834 o l’attentato di Felice Orsini a Napoleone III.
«Noi credevamo» è stato definito dalla critica come una sorta di «meglio gioventù» dell’Ottocento. Protagonisti sono tre ragazzi del Cilento, due nobili e un «figlio del popolo», che nel 1928, davanti alle teste mozzate dei leggendari banditi Capozzoli, promotori di una rivolta repressa nel sangue dall’esercito borbonico, giurano di consacrare la propria vita alla causa della libertà e dell’indipendenza dell’Italia. Attraverso i loro occhi, Mario Martone racconta poco più di tre decenni di storia, arrivando fino al 1862, l’anno della sfortunata impresa garibaldina in Aspromonte, e concludendo il suo racconto tra i seggi del primo Parlamento italiano, quello al palazzo Carignano di Torino.
Abbandonato il natio Sud, Domenico, Salvatore e Angelo -questi i nomi dei tre giovani protagonisti- si affilieranno alla Giovine Italia di Giuseppe Mazzini, viaggeranno per l’Europa in nome di un sogno che vale la vita, quello di un Paese unito sotto una sola bandiera, pronti ad armarsi per uccidere i tiranni, a ordine congiure, a sventare traditori, a patire il carcere. A Parigi i tre ragazzi incontreranno l’affascinante principessa Cristina Trivulzio di Belgiojoso, fervente patriota, ma anche paladina dei diritti delle donne e dell’istruzione del popolo. Una figura, questa, che sembra disegnata da Mario Martone a partire dal ritratto di Francesco Hayez, il pittore de «Il bacio» che, negli anni Trenta dell’Ottocento, immortalò a futura memoria questa donna affascinante e coraggiosa, ingiustamente dimenticata dalla storiografica, dipingendola in tutta la sua aristocratica bellezza, sensuale e insieme algida: abito nero, mani lunghe e affusolate, spalle nude dall’abbagliante candore, sguardo fiero e seducente.
Domenico, Salvatore e Angelo parteciperanno, quindi, ai moti savoiardi del 1834, ma anche al tentativo di assassinare re Carlo Alberto. Il fallimento di entrambe le missioni marcherà una profonda crisi nei tre giovani patrioti, acuendo le differenze di classe. Il popolano Salvatore, accusato di tradimento, sarà ucciso da Angelo, approdato a una visione demoniaca della rivoluzione come teatro di pura violenza (una visione che lo porterà alla morte sul patibolo, con Felice Orsini). Domenico continuerà, invece, la sua attività cospiratoria e, negli anni immediatamente successivi alla caduta della Repubblica romana, finirà in carcere, dove si confronterà con le acute frizioni ideologiche tra monarchici e repubblicani. Nemmeno la conseguita Unità riuscirà a placare il suo animo: ritornato nel Cilento, parteciperà al tentativo di conquistare militarmente Roma, in contrasto con le decisioni del neonato Parlamento italiano, e vedrà morire, per mano dell’esercito piemontese, il figlio dell’amico Salvatore: il giovane Saverio.
«Noi credevamo» è, dunque, un potente affresco in costume sui sentimenti e sugli avvenimenti che portarono alla nascita della nostra nazione. Un affresco frutto di una lunga ricerca storica e del lavoro, accurato, di un cast di ottima qualità: i tre giovani protagonisti sono portati in scena da Luigi Lo Cascio, Valerio Binasco e Luigi Pisani. Toni Servillo veste i panni di Giuseppe Mazzini; Luca Zingaretti è Francesco Crispi. Luca Barbareschi e Guido Caprino interpretano rispettivamente Antonio Gallenga e Felice Orsini. Cristina Trivulzio di Belgiojoso, la regina dei salotti aristocratici e la musa ispiratrice dei carbonari, ha il doppio volto di Francesca Inaudi, in gioventù, e di Anna Bonaiuto, in età matura.
Interessante è anche la scelta musicale, che propone brani d’opera di Rossini, Verdi e Bellini, eseguiti dall’Orchestra sinfonica della Rai di Torino, diretta da Roberto Abbado.
La proiezione bustese, rivolta al triennio delle scuole secondarie di secondo grado, vedrà la partecipazione di quattro scuole cittadine: l’Itc «Enrico Tosi», che ha firmato una convenzione con Agiscuola nell’ambito del progetto nazionale «Carta Io Studio», e l’Ipc «Pietro Verri», l’Itis «Cipriano Facchinetti» e il liceo scientifico «Arturo Tosi». La presentazione della pellicola è a cura di Delia Cajelli, direttore artistico del teatro Sociale di Busto Arsizio.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Una scena del film «Noi credevamo» di Mario Martone. Nell'immagine: Guido Caprino (Felice Orsini); [fig. 2]Una scena del film «Noi credevamo» di Mario Martone. Al centro Francesca Inaudi (Cristina di Belgiojoso giovane) tra Andrea Bosca (Angelo giovane, a sinistra) ed Edoardo Natoli (Domenico giovane, a destra); [fig. 3] Una scena del film «Noi credevamo» di Mario Martone. Lo sbarco garibaldino sulle coste calabre; [fig. 4] Una scena del film «Noi credevamo» di Mario Martone. Nell'immagine:Francesca Inaudi (Cristina di Belgiojoso giovane).

Informazioni utili
«Noi credevamo» di Mario Martone. Cinema teatro Sociale, piazza Plebiscito, 8 - Busto Arsizio (Varese). Quando: giovedì 12 maggio 2011, ore 14.30. Ingresso libero, previa prenotazione del posto. Informazioni e prenotazioni: tel. 0331.679000.

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