lunedì 1 novembre 2021

Da Chiara Dyns a Daan Roosegaarde: «Nuove visioni» a Palazzo Maffei, la casa veronese della collezione Carlon

Era il febbraio del 2020 quando Verona si arricchiva di un nuovo luogo d’arte e di cultura: Palazzo Maffei, importante edificio seicentesco della città, affacciato su piazza delle Erbe, che, dopo un qualificato restauro, diventava la casa della collezione Carlon.
Un anno e mezzo dopo l’edificio amplia i suoi spazi espositivi con l’apertura al pubblico, dallo scorso 23 ottobre, del secondo piano, dove sono stati riqualificati anche gli stucchi, i pavimenti e le pitture murali, opera dell’accademico veronese Pio Piatti.
Grazie al coinvolgimento dell’architetto Daan Roosegaarde, tra gli young global leaders del World Economic Forum, in questi spazi sono state ricavate ulteriori otto sale e una project room, con nuove opere e installazioni artistiche, oltre a un teatrino di più di cento posti e a una biblioteca specialistica.
Il nuovo percorso espositivo, che si avvale del progetto museografico di Gabriella Belli, è un invito alla riflessione, ricco di suggestioni e stimoli. Non segue un fluire cronologico, ma racconta tematiche eterne o di stringente attualità come il rapporto tra l’uomo e il cosmo, la natura e l’infinito o la sostenibilità ambientale.
Nella prima sala e nella connessa vetrina, l’Antiquarium, si trova un omaggio alla Verona romana, il cui cuore era l’attuale piazza delle Erbe: un piccolo busto in basalto di Serapide, dio di origine orientale, è esposto accanto a sculture, fregi architettonici e manufatti ascrivibili tra il I e il III secolo d. C., provenienti da diverse parti dell’Impero. Sempre in questi spazi spicca, una testa virile di marmo bianco dalle dimensioni superiori al vero, probabilmente raffigurante Marco Aurelio, l’imperatore filosofo autore di «A me stesso», dodici libri di meditazioni intorno alla vita e al cosmo. 
Anche l’arte contemporanea racconta l’antico con «Testimone» (1991) di Mimmo Paladino, figura pietrificata ed enigmatica tra arcaismo e bizantinismo, che porta sul petto tre volti, forse le tre età dell’uomo, invitando a una riflessione sullo scorrere del tempo e sul valore della vita. Data al Novecento, e per la precisione al biennio 1928–1929, pure «I gladiatori nella stanza» di Giorgio de Chirico, che ricordano i protagonisti dei combattimenti che animavano le arene, mostrando le sfide di ieri e di oggi per tornare padroni del proprio destino.
La seconda sala, intitolata «Sulla metamorfosi del paesaggio e la bella natura», presenta un poetico intervento site specific di Chiara Dynys: «Over Nature». L’eclettica artista contemporanea ha dato nuova veste alle antiche vedute settecentesche che ornano le pareti del palazzo, scenario dell’incontro avvenuto nel 1786 tra lo scrittore tedesco Johann Wolfgang von Goethe, del quale l’intervento artistico propone due aforismi sulla natura, e Antonio Canova, scultore neoclassico cui si deve l’«Amorino» al centro della sala, un gesso di nobile semplicità e composta bellezza.
Il tema del paesaggio torna anche nella terza sala, «Vedute», dove è protagonista la città di Verona, ritratta, interpretata, analizzata da diverse angolature e prospettive. Tra i vari artisti, le cui opere scorrono davanti agli occhi dei visitatori, ci sono Carlo Ferrari detto il Ferrarina, i cui dipinti erano amati anche da «turisti» stranieri come il maresciallo Radetzky e il principe russo Anatolij Demiov, Carlo Canella, di cui si possono ammirare un’inconsueta veduta di «Piazza Bra con il Palazzo della Gran Guardia» e «I mulini sull’Adige a sant’Anastasia», e il veronese Renato Di Bosso che ci consegna il ritratto di una città dal sapore futurista.
Straniante e nel contempo di grande impatto appare la sala intitolata «Sul perimetro del mondo e i suoi limiti» che attraverso l’esposizione di pregiate cornici d’epoca - incredibile florilegio di forme e manifatture preziose - ci induce a riflettere sul senso del vuoto creativo che esse, pur nella loro bellezza, non riescono a colmare.
Propone, invece, una riflessione sulla natura la stanza successiva, «Sul sapere universale e la caducità delle cose», dove si trovano nature morte seicentesche in dialogo con l’edizione integrale dell’«Encyclopedie» di Diderot e d’Alambert, summa del sapere universale del XVIII secolo e manifesto della fede progressista, e l’opera «Untitled» di Mario Schifano, «che – si legge nella presentazione - deflagra il paesaggio, rendendolo in una versione quasi pop falsato e surreale, con immagini seriali affiancate a sagome bianche di probabili schermi televisivi, in un inevitabile contrasto tra tecnologia e natura, tra immagine reale e immagine riflessa».
Si trova, poi, il salotto del collezionista, quasi un intermezzo d’autore, in cui antico e moderno s’incontrano secondo le passioni e il gusto eclettico che hanno animato e continuano ad alimentare la ricerca collezionistica di Luigi Carlon. Tra arredi preziosi, come le magnifiche lacche veneziane del XVIII secolo e i commode sei-settecenteschi di manifatture fiorentine e veneziane, si possono ammirare due bellissimi dipinti a soggetto biblico e mitologico di Pietro Rotari - parte di una serie di quattro tele provenienti dalla casa veronese dello stesso artista - o ancora pittura dei Paesi Bassi, con un paesaggio boscoso di grande qualità databile tra il secondo e il terzo decennio del Seicento, accanto a una scultura di Gino De Domincis e all’iconica «Hope» di Robert Indiana.
La sala «Sulla natura dello spazio e della materia» mette a confronto uno straordinario «Contrappunto semplice» (1971) di Fausto Melotti, equilibrio perfetto di pieni e di vuoti, accanto ai tagli di Lucio Fontana, agli «Achrome» di Pietro Manzoni, alle plastiche combuste di Alberto Burri, a lavori di Fausto Melotti e Carla Accardi, artisti che agiscono con prepotenza attraverso i segni.
Trascinati oltre la terra e la natura che lo abita, oltre il finito, oltre il contingente, gli spettatori entrano nella sala «Sul cosmo e i suoi satelliti». «L’illusionistico movimento circolare creato da Alberto Biasi in «Dinamica ’62», con la sovrapposizione di strutture lamellari dalle cromie contrastanti, - si legge nella presentazione - sembra volerci inghiottire in un vortice, mentre il «Teatrino» di Fontana ci porta in una nuova dimensione onirica. Ma è l’opera di Eliseo Mattiacci «Tempo globale» del 1991 a ricondurci al dialogo /confronto tra l’individuo e il mondo che lo circonda, tra l’io e il cosmo», evocando «l’entità incommensurabile dell’universo, che si espande ininterrottamente spinto da forze magnetiche in equilibrio tra loro, mentre da un nucleo sospeso emergono frammenti brulicanti di vita».
Il percorso si chiude con Daan Roosegaarde e con uno dei suoi spettacolari progetti che fondono tecnologia della luce interattiva, arte e sostenibilità ambientale: «Lotus Maffei», un fiore intelligente, sensibile alla luce e al calore che muove le sue forme in base al contatto con gli esseri umani. Una magia tra le magie.

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Apre a Verona Palazzo Maffei
 
Didascalie delle immagini
Le foto sono di Luca Rotondo

Informazioni utili 
Palazzo Maffei, piazza delle Erbe, 38 - Verona. Orari: dal lunedì al venerdì, ore 10.00 – 18.00; sabato, domenica e festivi, ore 11.00 – 19.00; 1° gennaio, ore 13.00- 19.00; chiuso il martedì e il 25 dicembre. Ingresso: intro € 10,00, rido o € 8,00; tu e le convenzioni e riduzioni sono consultabili sul sito. Informazioni: tel. 045.5118529 o info@palazzomaffeiverona.com. Sito internet: palazzomaffeiverona.com





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