I due intagliatori toscani idearono per lo Studiolo urbinate - una stanza piccola con un’altezza inusuale e un perimetro irregolare (3,60x3,35 metri) che aveva, dunque, bisogno dell’inganno dell’arte per dilatare profondità e contorni - una decorazione a trompe-l’œil a fasce sovrapposte, costruita con minuscole tesserine di essenze diverse o della stessa essenza, ma con stagionature e tagli differenti.
Le raffigurazioni erano emblematiche degli ideali umanistici della vita attiva e della vita contemplativa, a ribadire la duplice natura di condottiero e di uomo di cultura di Federico da Moltefeltro. E presentavano un repertorio iconografico che spaziava da libri a strumenti musicali, da armature a clessidre e conchiglie, da apparecchi scientifici alle personificazioni delle Virtù teologali (Fede, Speranza e Carità) e cardinali (Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza), dai simboli delle Arti liberali del Trivio (Dialettica, Grammatica, Retorica) e del Quadrivio (Aritmetica, Astronomia, Geometria, Musica) a candele consunte dal fuoco e dal tempo.
Luogo di studio, meditazione e crescita personale e, al contempo, sala di rappresentanza, dove il duca urbinate conduceva i suoi ospiti più illustri, lo Studiolo mantenne la sua disposizione iniziale dal 1476, data di termine dei lavori (come conferma l’iscrizione che corre sotto il soffitto a lacunari), al 1632, anno in cui il cardinale Antonio Barberini, nipote di papa Urbano VIII e legato dello Stato pontificio, asportò le tavole della serie «Uomini illustri», progettata dal fiammingo Giusto di Gand e terminata dal castigliano Pedro Berruguete (detto «Pietro Spagnolo», del quale rimane significativa l’opera «Federico di Montefeltro con il figlio Guidubaldo» del 1475 circa), per portarle a Roma, nella residenza di famiglia.
Questi ventotto dipinti con personalità del mondo greco-romano e medioevale, ciascuno di 115x70 centimetri circa, rimasero nella dimora capitolina dei Barberini fino al 1812, quando quattordici di essi passarono, in eredità, alla famiglia Colonna di Sciarra e poi, dopo una vendita, al marchese Giampietro Campana per arrivare infine, nel 1863, nelle collezioni del Louvre di Parigi grazie a una felice intuizione di Napoleone III. Le altre quattordici opere fecero, invece, ritorno a Urbino nel 1934, acquistate dallo Stato italiano per la Galleria nazionale delle Marche, dove vennero, però, riallestite solo nel 1983.
Nel progetto globale di attualizzazione della Galleria nazionale delle Marche - che sta intraprendendo il direttore Luigi Gallo e che per l’occasione ha visto al lavoro l'architetto Francesco Primari, lo storico dell’arte Giovanni Russo e la restauratrice Giulia Papini - lo Studiolo federiciano è stato interessato da un ammodernamento degli impianti, che ha portato anche allo smontaggio e al rimontaggio di tarsie, porte e soffitto ligneo, alla pulitura del pavimento in cotto e alla realizzazione di un nuovo sistema di illuminazione.
Il nuovo allestimento riporta, inoltre, a Urbino, grazie a riproduzioni high tech, i quattordici ritratti di proprietà del Louvre, restituendo così l’aspetto originale dello Studiolo, al quale sono state tolte anche le superfetazioni ottocentesche per far respirare appieno il colto e raffinato clima rinascimentale di questa stanza, dove dominano armonia e bellezza.
La visita al Palazzo Ducale di Urbino diventa, questa estate, anche l’occasione per ammirare la mostra «Simone Cantarini (1612-1648). Un giovane maestro tra Pesaro, Bologna e Roma», curata da Luigi Gallo, Anna Maria Ambrosini Massari e Yuri Primarosa, in collaborazione con le Gallerie nazionali Barberini Corsini di Roma.
Una selezione di cinquantasei dipinti, allestita fino a domenica 12 ottobre, ricostruisce la breve, ma intensa carriera dell’artista pesarese, talento inquieto e innovativo del Barocco, morto in circostanze ancora misteriose ad appena trentasei anni, che, tra il 1630 e il 1639, fu allievo di Guido Reni a Bologna.
Straordinario disegnatore, fine incisore e pittore capace di coniugare gli insegnamenti reniani con la lezione del massimo artista italiano del tardo Cinquecento, Federico Barocci, e di due ottimi maestri appartenenti alla tendenza caravaggesca, Orazio Gentileschi e Giovanni Francesco Fossombrone, guardando anche al colorismo veneto del Sassoferrato, Simone Cantarini, «petit-maître di rara sensibilità stilistica» (per usare un’espressione di Andrea Emiliani), dà vita a un linguaggio proprio e personalissimo, delicato e intimista, caratterizzato da un dialogo costante tra classicismo e naturalismo, dove emergono il tratto morbido della composizione, l’uso atmosferico del colore, la resa luministica di taglio teatrale e un’impareggiabile finezza psicologica nel dare voce ai sentimenti dei personaggi raffigurati.
Sono proprio i ritratti, per i quali secondo il biografo Carlo Cesare Malvasia l'artista era «provisto di una particolar dote», uno dei nuclei tematici della mostra urbinate, che allinea anche pitture sacre, quadri di devozione e composizioni filosofiche e profane, in un percorso che permette di vedere, tra l’altro, una raffinata «Allegoria della pittura» (dalla Collezione Cassa di Risparmio della Repubblica di San Marino), una delicata «Madonna della Rosa» (da una raccolta privata), il «Ritratto di Guido Reni» (dalla Pinacoteca nazionale di Bologna), l’«Autoritratto», risalente gli anni Trenta del XVII secolo (dalle Gallerie nazionali di arte antica di Roma), e, per finire, l’inedito dipinto «Ercole e Iole» (da una raccolta privata), quadro che si meritò anche le lodi di Carlo Cesare Malvasia. Ci sono, poi, in mostra lavori come i «Santi Barbara e Terenzio» e la «Visione di Sant’Antonio», provenienti dai depositi della Pinacoteca di Brera, nell’ambito del progetto «100 opere tornano a casa», voluto dal Ministero della Cultura.
Di opera in opera, la mostra di Urbino ci parla, dunque, di «un’arte fatta di sguardi e silenzi, momenti intimi e quotidiani». Emerge in toto la vena delicata, poetica, malinconica ed elegante della pittura di Simone Cantarini. E sembra quasi impossibile far combaciare questo estro creativo, che ha contribuito alla grandezza della scuola bolognese, con la biografia dell’artista pesarese, con il suo essere pungente, polemico, iroso o – come scrisse Carlo Cesare Malvasia – «troppo fiero per essere discepolo, troppo giovane per essere maestro».
Didascalie delle immagini
1. e 2. e 3. Allestimento dello Studiolo del Duca. Urbino, Palazzo Ducale; 4. Simone Cantarini, Autoritratto, anni Trenta del XVII secolo. Roma, Gallerie nazionali d'arte antica; 5.6. e 7. Allestimento della mostra Simone Cantarini (1612-1648). Un giovane maestro tra Pesaro, Bologna e Roma,
Informazioni utili
Simone Cantarini (1612-1648). Un giovane maestro tra Pesaro, Bologna e Roma, a cura di Luigi Gallo, Anna Maria Ambrosini Massari e Yuri Primarosa. Galleria Nazionale delle Marche - Palazzo Ducale di Urbino, Piazza Rinascimento 13, 61029 Urbino (PU).Orari: da martedì a domenica: dalle ore 8:30 alle ore 19:15 (chiusura biglietteria ore 18:15); Lunedì chiuso. Ingresso: € 12 intero; € 2 ridotto. Catalogo edito da Officina Libraria. Informazioni: https://www.gallerianazionalemarche.it. Fino al 12 ottobre 2025
Nota apertura estive: fino al 15 settembre 2025 il Palazzo Ducale di Urbino sarà visitabile in via straordinaria anche il lunedì pomeriggio dalle ore 15 alle ore 19 (ultimo ingresso alle ore 18); l'ingresso è consentito con biglietto ordinario, o abbonamento annuale, e include anche la visita alla mostra di Simone Cantarini. Per venire incontro alle richieste dei visitatori, anche durante il mese di agosto lo staff della Galleria nazionale delle Marche offre la visita guidata gratuita all'esposizione (già inclusa nel biglietto di ingresso) ogni mercoledì alle ore 17
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