mercoledì 17 maggio 2023

Quarantacinque anni dopo, il «caso Moro» e il cinema

Sono passati quarantacinque anni dal sequestro e dall’omicidio di Aldo Moro (Maglie - Lecce, 23 settembre 1916 – Roma, 9 maggio 1978), giurista e politico italiano tra i fondatori della Democrazia cristiana e suo rappresentante alla Costituente, più volte ministro della Repubblica e presidente del Consiglio, passato alla storia quale fautore, nei suoi anni da segretario e presidente della Dc, di una «strategia dell’attenzione» nei confronti del Partito comunista - le cosiddette «convergenze parallele» -, per la quale è stato definito «l’uomo del compromesso storico».

L’«Affaire Moro» in breve

Ricostruzione dell'attentato di via Fani in
un frame del film «Piazza delle Cinque Lune»
di Renzo Martinell
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È il 16 marzo 1978 - giorno di presentazione di un nuovo Governo, il quarto guidato da Giulio Andreotti – quando, intorno alle 9 del mattino, all’angolo fra via Stresa e via Fani, nel quartiere romano della Camilluccia, un commando delle Brigate rosse intercetta le due automobili, una Fiat 130 berlina blu e un’Alfetta bianca, che stanno portando Aldo Moro e i cinque uomini della sua scorta alla Camera dei deputati per il voto di fiducia al nuovo esecutivo.

Una 128 bianca, con targa diplomatica, frena davanti all'auto del presidente democristiano; un’altra blocca il veicolo della scorta. Aldo Moro e le sue guardie del corpo sono in trappola quando, da dietro le siepi, sbucano quattro uomini vestiti con uniformi dell'Alitalia. Il commando brigatista, composto da un numero ancora oggi imprecisato di persone, spara più di novanta colpi in poco meno di tre minuti. Quattro uomini della scorta - Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Raffaele Iozzino – muoiono all’istante; il quinto, Francesco Zizzi, arriverà ferito all’ospedale e spirerà in tarda mattinata.
 
Un frame del film «Il caso Moro» di Giuseppe Ferrara, 
con Gian Maria Volonté. Scena sul sequestro di via Fani 



Il presidente della Dc viene prelevato e sistemato su una Fiat 132 blu; la vettura parte verso via Trionfale, preceduta e seguita da altre due automobili con uomini del commando brigatista a bordo. Il politico pugliese viene rinchiuso in quella che le Br chiamano la «prigione del popolo» per essere processato.

Nove comunicati delle Br, due fotografie del prigioniero e una serie di lettere indirizzate da Aldo Moro ai familiari e ai colleghi di partito scandiscono i cinquantacinque giorni più bui della storia della Repubblica. Mentre in Parlamento il partito della fermezza e quello della trattativa si interrogano: pietas o polis? Ragione di Stato o salvataggio di un’esistenza umana?

Il 9 maggio 1978 il corpo senza vita del politico democristiano viene fatto trovare nel bagagliaio di una Renault 4 rossa, parcheggiata in via Caetani, dietro Botteghe Oscure, sede del Partito comunista, e poco distante da piazza del Gesù, dove c'è il «quartier generale» della Democrazia cristiana.

Luigi Lo Cascio è il brigatista Mariano nel film 
«Buongiorno, notte» di Marco Bellocchio

Dopo decenni di indagini, cinque processi e varie commissioni di inchiesta, quello che Leonardo Sciascia definì l'«affaire Moro» è ancora oggi uno dei casi più controversi della nostra storia recente. «Sulla vicenda – scrive l’attore Fabrizio Gifuni nel libretto «Con il vostro irridente silenzio» (Feltrinelli, Milano 2022) - è stato scritto un numero sterminato di pagine che continuano ad andare in stampa – impossibile per chiunque riassumerle -, cui si sommano infinite proliferazioni documentali: atti di processi, commissioni parlamentari, documenti riservati desecretati, in differenti momenti, nel corso degli ultimi decenni. (…) Un poderoso archivio storico, in continuo aggiornamento, oggi reperibile con maggior facilità rispetto al passato grazie alle nuove tecnologie e soprattutto alla rete».

Consultando l’elenco dei libri e saggi dedicati alla figura del presidente della Dc che lo storico Francesco M. Biscione ha recentemente aggiornato per l’Archivio Flamigni di Oriolo Romano, nel Viterbese, si contano, infatti, oltre duemila volumi sulla vicenda e si nota come siano principalmente due i filoni di trattazione dell’«affaire Moro». Da una parte ci sono i testi che accreditano la versione - mai totalmente accertata - dei brigatisti, usando come fonti informative le circa trecento pagine del corposo Memoriale di Valerio Morucci, consegnato nel marzo 1990 all’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga da suor Teresilla Barillà, e il libro «Il prigioniero» (Feltrinelli, Milano 2003), pubblicato da Anna Laura Braghetti, con la giornalista Paola Tavella. Dall’altro c’è la cosiddetta «saggistica del complotto», che focalizza la propria attenzione su ciò che ancora oggi, dopo cinque processi e varie Commissioni parlamentari d’inchiesta, non torna nelle ricostruzioni ufficiali, a partire dagli errori nelle indagini durante i cinquantacinque giorni del sequestro Scolpite nella memoria collettiva sono, per esempio, la farsa del Lago della Duchessa e il giallo di «Gradoli», con la misteriosa seduta spiritica di Romano Prodi. Ma molti sono anche i coni d’ombra dell’inchiesta giudiziaria, in gran parte nutriti dai colpevoli silenzi e dalle falsità dei testimoni diretti o indiretti. 

Gian Maria Volontè interprete di Aldo Moro
Un frame del film «Il caso Moro» di Giuseppe Ferrara, 
con Gian Maria Volonté

La storia del crudele «attacco al cuore dello Stato» e dei cinquantacinque giorni che ne seguirono, l’atto più violento degli «anni di piombo» (quella stagione tra il 1969 e il 1982 caratterizzata dall’eversione armata e dal terrorismo di matrice sia rossa che nera), ha animato non solo la saggistica e la narrativa, ma anche il grande schermo e le sale teatrali. Il racconto cinematografico del sequestro e dell’uccisione del leader democristiano prende avvio nel 1986 con «Il caso Moro» di Giuseppe Ferrara, un film-cronaca ispirato al libro «I giorni dell’ira» di Robert Katz (Adnkronos, Roma 1982), che ripercorre cronologicamente, quasi minuto per minuto, l’intera vicenda del rapimento del politico democristiano. Il registra tratteggia la figura di un uomo solo, quasi un alter ego dello Stato, vittima di due schieramenti accecati dai loro miopi obiettivi: da un lato ci sono la Br con i loro ideali rivoluzionari; dall’altro i vertici Dc con una gestione spregiudicata del potere, che le fa anteporre le ragioni di Stato, o meglio la convenienza politica del momento, al diritto alla vita.

A vestire i panni dello statista democristiano nel film - accolto positivamente dalla critica, ma aspramente attaccato dalla politica – è Gian Maria Volonté, che per questa sua interpretazione, capace di rendere potentemente plastica la sofferenza di Aldo Moro dentro il «carcere del popolo», viene premiato con l’Orso d’argento al Festival di Berlino come migliore attore protagonista maschile.

Locandina del film «Todo Modo» di Elio Petri

L’interprete milanese si era già confrontato con la figura di Aldo Moro nel 1976 con «Todo modo» di Elio Petri, un film dal taglio profetico, liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia (1974): una parodia, amara e realistica, della classe politico-dirigenziale che deteneva il potere in Italia dal secondo Dopoguerra, la Democrazia cristiana, colpevole di aver sacrificato l’adesione di facciata ai valori cattolici sull’altare della conquista e conservazione del potere con ogni mezzo necessario. Ne scaturisce il ritratto di un ceto politico immorale che, mentre il paese precipita in una misteriosa epidemia, si rifugia nell’eremo fortilizio di Zafer per un percorso di esercizi spirituali sul modello della pratica religiosa ideata da Sant'Ignazio di Loyola. Le meditazioni si alternano a incontri segreti di partito; tra continui litigi e violente accuse reciproche si sviluppa una catena di misteriosi delitti. Della carneficina è vittima anche il personaggio del presidente, denominato semplicemente M., figura apertamente ispirata al politico pugliese nella mimica facciale e corporale, nell’inflessione della voce, nella vena conciliatrice.

Un frame del film «Todo Modo» di Elio Petri

Il film, che presenta una caricatura eccessiva del politico democristiano, visto come una figura «evanescente» ed elusiva, simbolica maschera dello sfascio politico italiano, viene bandito dalle sale dopo nemmeno un mese dall’uscita e per lungo tempo non è più visibile. Ritorna fruibile dal pubblico nel 2015 in una versione restaurata in Dvd dalla Cineteca di Bologna, edita da Mustang e distribuita da CG Entertainment, grazie alla quale è anche possibile rivedere le splendide scenografie realizzate da Dante Ferretti e riascoltare le inquietanti e psicologiche musiche composte per l’occasione da Ennio Morricone.



Il cinema nel Memoriale di Aldo Moro

Locandina di «Forza Italia» di Roberto Faenza

La stessa sorte tocca a «Forza Italia» di Roberto Faenza, un film documentario sulla politica italiana del secondo Dopoguerra, uscito nelle sale nel gennaio del 1978, che offre un ritratto irriverente e spietato della Democrazia cristiana, dal viaggio di Alcide De Gasperi in America, nel 1947, fino al Congresso di Roma del 1976, chiusosi con la promessa, non mantenuta, di rinnovare il partito. Curiosamente, la pellicola, fatta ritirare dalle sale da Francesco Cossiga e ritornata fruibile nel 2016 grazie a Rizzoli, è citata dal politico pugliese, che ne fu anche involontario attore, nel suo Memoriale: «Kissinger, come dicevo innanzi, - scrive Aldo Moro - lo faceva con estremo semplicismo ed una certa dose di rozzezza. Ma la direttiva è quella, mettere fuori uomini vecchi e inutili, anche se possono avere delle benemerenze, e mandare avanti uomini nuovi. (..) Non è detto che tutti siano migliori: sono però nuovi e diversi e portano più modernità, più spregiudicatezza, più laicismo. Infatti il legame con la Chiesa è afflosciato. E per chi abbia visto «Forza Italia», fa impressione il linguaggio, a dir poco, estremamente spregiudicato, che i democristiani usano al Congresso tra un applauso e l'altro all'On. Zaccagnini. Sono modi di dire e di fare che un tempo sarebbero apparsi inconcepibili».

2003: l’«Affaire Moro» diventa una spy story


Nel 2003, nel venticinquennale della morte dello statista pugliese, arrivano nelle sale cinematografiche addirittura due film dedicati al rapimento e alla morte di Aldo Moro. Si inizia con «Piazza delle Cinque Lune» di Renzo Martinelli, un giallo che sposa le teorie complottistiche per affrontare i tanti misteri che ancora circondano la vicenda. Protagonista della pellicola – interpretata da Donald Sutherland, Stefania Rocca e Giancarlo Giannini - è il giudice Rosario Saracini, che, nel suo ultimo giorno di lavoro prima della pensione, riceve un film in super 8 girato, in via Fani, la mattina del rapimento del politico democristiano. Le immagini sono state mandate da un colonnello del Sismi, che faceva parte dell’operazione Gladio, promossa dalla Cia, e che si proclama essere il passeggero della fantomatica Honda vista in via Fani appena prima del rapimento di Aldo Moro. La scoperta di questo dettaglio fa partire un'indagine ad alto rischio che arriva a mettere in luce le mille volte sospettate ingerenze dei servizi segreti e della P2 nella morte dello statista democristiano, pedina sacrificabile sulla scacchiera internazionale, intimorita dalla sua apertura nei confronti del Partito comunista.

Ricostruzione dell'attentato di via Fani in
un frame del film «Piazza delle Cinque Lune»
di Renzo Martinell
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«La giustizia è come una tela di ragno: trattiene gli insetti piccoli, mentre i grandi trafiggono la tela e restano liberi»: un famoso aforisma di Solone chiude il film; mentre, sui titoli di coda, Luca Moro, il nipote di Aldo, suona alla chitarra la canzone «Maledetti voi (signori del potere)».

Marco Bellocchio e il «caso Moro»


Nello stesso anno sul grande schermo si proietta «Buongiorno, notte» di Marco Bellocchio, con Luigi Lo Cascio, Maya Sansa, Giulio Bosetti e Roberto Herlitzka (nei panni di Aldo Moro). Il film è presentato in concorso alla 60° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e, successivamente, vince numerosi David di Donatello e Nastri d’argento. La trama è liberamente ispirata al libro «Il prigioniero» (Feltrinelli, Milano 2003), scritto dalla brigatista Anna Laura Braghetti (intestataria dell’appartamento di via Montalcini, dove fu probabilmente detenuto il presidente della Dc), con la giornalista Paola Tavella.

Fabrizio Gifuni è Aldo Moro in «Esterno notte» di Marco Bellocchio

Attraverso un resoconto che mescola i fatti raccontati nel volume con documenti televisivi originali dell'epoca, viene rievocato il dramma umano del politico democristiano, ma viene anche narrato il dubbio di una delle brigatiste sulla rigidità ideologica dei suoi compagni (Germano Maccari, Prospero Gallinari e Mario Moretti, nel film rispettivamente Primo, Ernesto e Mariano). Si tratta di Chiara, una giovane donna chiamata a prendere parte al sequestro dello statista che, nel contempo, cerca di vivere un’esistenza «normale» fatta di lavoro, amici, quotidianità.

Fabrizio Gifuni è Aldo Moro in «Esterno notte» di Marco Bellocchio

Il regista piacentino, che adotta la prospettiva dei brigatisti per raccontare i cinquantacinque giorni del «caso Moro», restituisce le sfumature più emozionali che storiche della vicenda e mette lo spettatore di fronte a una suggestione poetica, un sogno che è una non verità dal punto di vista storico: alle fine della pellicola Aldo Moro appare libero, mentre, alle prime luci di una mattinata piovosa, cammina per le strade di una Roma indifferente. Ma, come sa bene Chiara, «l'immaginazione non ha mai salvato nessuno» e, nella realtà, Aldo Moro è morto. Sulle note dei Pink Floyd, prima dei titoli di coda, partono le immagini di repertorio dei funerali pubblici, quelli senza il feretro dello statista democristiano e con l’intera classe politica italiana che si inginocchia davanti al vuoto.

MArgherita Buj è la moglie di Aldo Moro
in «Esterno notte» 
di Marco Bellocchio

Marco Bellocchio ritorna sul «caso Moro» con il recente «Esterno notte», presentato con successo al festival di Cannes nel 2022 e, recentemente, premiato con quattro David di Donatello per la regia, l’attore protagonista, il montaggio e il trucco. Una croce di rose e uno scudo di spine, moderna rivisitazione del simbolo della Democrazia cristiana, campeggiano sulla locandina di questa mini-serie in sei episodi, che è stato proiettata al cinema nel maggio 2022 e che la Rai ha trasmesso per la prima volta sul piccolo schermo nel novembre dello stesso anno.

Il rapimento e il sequestro di Aldo Moro vengono raccontati da più punti di vista: quello sin troppo consapevole dello statista pugliese (Fabrizio Gifuni), quello pieno di dubbi di papa Paolo VI (Toni Servillo), quello tragicamente lacerato di Francesco Cossiga (Fausto Russo Alesi), quello fanatico di due brigatisti (Valerio Morucci e Adriana Faranda, interpretati da Gabriel Montesi e Daniela Marra) e quello riluttante di Eleonora Chiavarelli (Margherita Buy), una donna coraggiosa che, quasi da sola e inascoltata, prova a lottare per riavere il marito.


Il risultato è «un dramma shakespeariano», come ha scritto «Le Monde», che è un atto di accusa nei confronti di un certo tipo di potere, quello ipocrita e opportunista, ma che è anche il racconto di una parabola cristologica. In una delle scene più potenti del film, Aldo Moro è, infatti, visto come un uomo costretto a portare la croce sulle proprie spalle, mentre tutti i notabili della Dc, in preghiera, lo osservano sulle note del «Dies irae» di Giuseppe Verdi.


In un intreccio di verità e finzione, Marco Bellocchio non rinuncia, anche in questo suo progetto, al sogno di un finale diverso per i cinquantacinque giorni che colpirono il cuore dello Stato. L’inizio del film è, infatti, visionario. Aldo Moro è stato liberato dai brigatisti e si trova in un letto d’ospedale: al suo capezzale accorrono Francesco Cossiga, Giulio Andreotti e Benigno Zaccagnini. Una voce fuori campo, quella di Fabrizio Gifuni (che ha interpretato lo statista pugliese anche in «Romanzo di una strage» di Marco Tullio Giordana, sull’attentato di piazza Fontana a Milano), recita un passo delle sue lettere: «Alla luce dei recenti fatti, ogni mia futura carica, ogni mio incarico nel partito non sarà più possibile… Mi dimetto dalla Dc». La realtà, purtroppo, è un’altra: il corpo ritrovato il 9 maggio 1978 dentro il bagagliaio di una Renault 4 parcheggiata in via Caetani, a Roma, è senza vita.

Maya Sansa è la brigatista Chiara in «Buongiorno, notte» 
di Marco Bellocchio

Sul piccolo schermo l’Aldo Moro di Michele Placido e Sergio Castellitto

Sul piccolo schermo lo statista democristiano è stato impersonato anche da Michele Placido e Sergio Castellitto. Il primo ha interpretato la fiction «Aldo Moro il presidente» di Salvatore Marcarelli e Francesco Piccolo, per la regia di Gianluca Maria Tavarelli, prodotta da Tao Due Film e andata in onda per la prima volta su Canale 5 nel maggio 2008, in occasione del trentennale della scomparsa del politico democristiano. La narrazione si apre con un excursus sull'escalation del terrorismo negli anni Settanta, partendo dai primi attentati delle Brigate rosse a Genova, Milano e Torino per arrivare al rapimento dell’armatore Pietro Costa, per il quale i brigatisti chiedono ben dieci miliardi di lire, cifra assai considerevole per quegli anni. Quei soldi serviranno per la «grande impresa»: il sequestro di un esponente di spicco della Dc. Quel bersaglio sarà Aldo Moro.

Michele Placido è Aldo Moro in «Aldo Moro, il presidente»

La lotta dello Stato contro il terrorismo e le battaglie sul «compromesso storico» fanno da filo conduttore alle due puntate, che si concludono con il dibattito, ancora aperto, sulla possibilità o meno di salvare il politico democristiano.

Dieci anni dopo, nel 2018, la Rai trasmette la pregevole fiction «Aldo Moro il professore», per la regia di Francesco Miccichè, con Sergio Castellitto nella parte del protagonista. Il docu-film, tratto dall’omonimo libro del giornalista Giorgio Balzoni (che fu allievo del politico pugliese), offre un inedito punto di vista sulla vicenda, quello di quattro studenti di Procedura penale alla facoltà di Scienze politiche dell’Università «La Sapienza» di Roma, tenuto proprio dallo statista democristiano.

Sergio Castellitto è Aldo Moro in«Aldo Moro, il professore»

Grazie a immagini di repertorio e interviste ai protagonisti di quella stagione politica, intrecciate alla voce degli studenti di Aldo Moro (Saverio Fortuna, Valter Mainetti, Fiammetta Rossi e Giuliana Duchini) e alla ricostruzione cinematografica del rapimento e della morte dello statista vista attraverso i loro occhi, si dà forma alla storia di un uomo pacato e di un qualificato interprete del diritto e soprattutto della Costituzione italiana, che egli stesso contribuì a scrivere, capace di instaurare un rapporto intimo e privato, fatto di dialogo e confronto, con i suoi allievi.

Il «caso Moro» ritornerà protagonista sul piccolo schermo, nel 2023, con il film «Tina Anselmi - Una vita per la democrazia», diretto da Luciano Manuzzi e con Sarah Felberbaum nel ruolo della politica di Castelfranco Veneto, partigiana a sedici anni, sindacalista in difesa delle operaie, prima donna ad aver ricoperto la carica di Ministro in Italia nel 1976 e presidente della Commissione di inchiesta sulla loggia massonica P2. Aldo Moro (interpretato da Gaetano Aronica) è il primo, nella Democrazia cristiana, a credere nel valore della coraggiosa e leale Tina Anselmi. La donna vivrà con angoscia i tragici giorni del rapimento del suo mentore e il suo successivo assassinio per mano delle Brigate rosse.

Il «caso Moro» e le teorie complottistiche al cinema

Un frame di «Se sarà luce, sarà bellissimo» di Aurelio Grimaldi

Porta, invece, la data del 2003, l’anno del venticinquesimo anniversario della morte dello statista pugliese, la lavorazione del film «Se sarà luce, sarà bellissimo» di Aurelio Grimaldi, un corposo progetto, mai totalmente realizzato per problemi produttivi, uscito nel 2008 in Dvd. Il film, che si propone di raccontare «un’altra storia» e che sui titoli di coda vede la presenza di alcuni attivisti di sinistra, è politicamente scorretto, provocatoriamente fuori linea, aspro, disturbante e anti-statalista. «Nel realizzarlo - racconta l’autore - avevo due obiettivi: mostrare come la 'santificazione' di Aldo Moro abbia messo in ombra le responsabilità politiche sue e del suo partito, cosa che ho sempre vissuto come un'ingiustizia storica, e una forma di riverenza che ho sempre avuto verso chi è capace di morire per delle idee, chiarendo che a farlo davvero sono i magistrati, i poliziotti e i giornalisti che combattono contro la mafia, ma non una persona come Moro, che non è un martire perché non voleva morire».


Nel 2012 esce, invece, nelle sale «A risentirci più tardi», un documentario di Alex Infascelli che mette l’una di fronte all’altra le due fazioni che nel 1978 si contesero la vita di Aldo Moro: da un lato, l’ex brigatista Adriana Faranda, che abbandonò la lotta armata dopo l’uccisione del leader Dc, dall’altro, Francesco Cossiga, bersaglio di forti contestazioni negli anni Settanta per le misure particolarmente repressive da lui promosse in qualità di ministro dell’Interno.


Il «caso Moro» compare, inoltre, nel film L’anno del terrore» di John Frankenheimer (1991), storia di un giornalista americano che nella primavera del 1978 è a Roma per scrivere un libro sugli «anni di piombo», e ne «Il divo (La spettacolare vita di Giulio Andreotti)» di Paolo Sorrentino (2008). Il regista trasforma Aldo Moro in uno spettro vendicativo, sciolto pirandellianamente dalla maschera del potere. Il fantasma, interpretato da Paolo Graziosi, tormenta, perseguita e non lascia dormire il compagno di partito, che nella primavera del 1978 era presidente del Consiglio. Le sferzanti lettere uscite dal «carcere del popolo», quelle che gli «amici» democristiani consideravano scritte sotto dettatura, sono un macigno difficile da sopportare. Giulio Andreotti è perseguitato dalle parole a lui rivolte, così riassunte da Paolo Sorrentino: «Che cosa ricordare di lei? Non è mia intenzione rievocare la sua grigia carriera, non è questa una colpa. Che cosa ricordare di lei? Un regista freddo, impenetrabile, senza dubbi, senza palpiti. Senza un momento di pietà umana. Che cosa ricordare di lei?».

Un frame del film «Il caso Moro» di Giuseppe Ferrara, 
con Gian Maria Volonté. Scena sul sequestro di via Fani

Completa la carrellata dei film dedicati al sequestro e all’uccisione del politico democristiano il docu-film «Non è un caso, Moro» di Tommaso Minniti, uscito on-line nel 2021 e in cartellone per la serata del 23 maggio al teatro Caboto di Milano. Il progetto cinematografico trae ispirazione dai libri inchiesta di Paolo Cucchiarelli e si avvale delle musiche originali di Johannes Bickler. Lo statista pugliese viene visto come «una pietra d’inciampo di un tempo che doveva cambiare passo» (Aldo Moro stava cercando un dialogo con il Partito comunista negli anni della «guerra fredda», il periodo di tensione tra gli Usa e l'Unione sovietica intercorso tra il 1947 e il 1991).

«O tu cessi la tua linea politica oppure pagherai a caro prezzo per questo» è la non molto velata minaccia che Henry Kissinger, ex segretario di Stato americano, avrebbe fatto al politico democristiano, ai tempi ministro degli Esteri, il 25 settembre 1974, durante un viaggio negli Stati Uniti. Da questa informazione – riportata in una testimonianza giurata di Corrado Guerzoni in uno dei processi sul «caso Moro» - parte una ricostruzione inedita di ciò che avvenne in Italia nella primavera del 1978: «in via Fani – racconta Tommaso Minniti - c'era l'intelligence americana, lo Stato italiano seppe fin da subito il luogo della prigione e l'uccisione fu decisa proprio mentre il presidente stava per essere liberato».

Un frame del film «Todo Modo» di Elio Petri

La storia è completamente differente da quella che ci è stata raccontata dai protagonisti della vicenda e da svariati processi a dimostrazione di come il «caso Moro» sia ancora oggi – raccontava Marco Baliani in occasione del suo spettacolo «Corpo di Stato» del 1998 - «una materia pulsante e non dipanata dalla lontananza» temporale. I cinquantacinque giorni tra il 16 marzo e il 9 maggio 1978, con i coni d’ombra delle varie inchieste giudiziarie, hanno, infatti, finito per far romanzare la figura di Aldo Moro, ridotto a «un santino della Repubblica» e quasi privato del suo lascito umano e politico, di quel pensiero - complesso e attuale – che l’Università di Bologna sta cercando di far riscoprire grazie alla digitalizzazione di tutti gli scritti morotei sulla piattaforma https://aldomorodigitale.unibo.it. Un’occasione, questa, per confrontarsi con il Moro dalla fede granitica che riflette sull’impegno dei laici nella Chiesa, il Moro giurista contrario all’ergastolo punitivo, il Moro che, da ministro degli Esteri, anticipò, con la firma degli accordi di Helsinki (1975), la caduta del muro di Berlino, il Moro pacato politico della parola.


I principali interpreti di Aldo Moro al cinema e in televisione: Paolo Graziosi ne «Il divo (La spettacolare vita di Giulio Andreotti)» di Paolo Sorrentino; Fabrizio Gifuni in «Romanzo di una strage» di Marco Tullio Giordana; Gian Maria Volonté in «Il caso Moro» di Giuseppe Ferrara, Roberto Herlitzka in «Buongiorno, notte» di Marco Bellocchio; Sergio Castellitto in «Aldo Moro il professore», con la regia di Francesco Miccichè; Michele Placido in «Aldo Moro il presidente» di Salvatore Marcarelli e Francesco Piccolo, Fabrizio Gifuni in «Esterno notte» di Marco Bellocchio  

Nell'immagine di copertinaDaniela Marra in un frame del film «Esterno notte» di Marco Bellocchio. Foto di Anna Camerlingo

Bibliografia e sitografia essenziale
Corrado Guerzoni, «Aldo Moro», Sellerio, Palermo 2008
Francesco Ventura, «Il cinema e il caso Moro» (prefazione di Maria Fida Moro), Le Mani, Recco (Genova) 2008
Armenia Balducci, Giuseppe Ferrara e Robert Katz, «Il Caso Moro» (intervista con Gian Maria Volonté e note di Eleonora Moro al trattamento cinematografico) Pironti, Napoli 1987
Marco Bellocchio, «Buongiorno, notte», Marsilio, Venezia Mestre 2003
Giancarlo Lombardi, «La passione secondo Marco Bellocchio. Gli ultimi giorni di Aldo Moro» in «Annali d’italianistica», 2007, n. 25, pp. 397-408 (anche su https://www.academia.edu/4843000)
Rosario Giovanni Scalia, «Il caso Moro e il cinema: l’elaborazione collettiva di una tragedia nazionale?» in «Luci e ombre» (rivista trimestrale), 2019, a. VII, n. 2, pp. 44-98 (anche su https://www.academia.edu/41387188)
Maurizio Zinni, «’Cattivo, peggiore, pessimo: democristiano!’. Aldo Moro e la Dc in ‘Todo modo’ di Elio Petri», in «Una vita, un Paese. Aldo Moro nell’Italia del Novecento», a cura di Renato Moro e Daniele Mezzana, Soveria Mannelli, Rubbettino, Catanzaro 2014, pp. 801-827 (anche su https://www.academia.edu/22436984)
Renzo Martinelli, «Piazza delle cinque lune. Il thriller del caso Moro», (sceneggiatura di Renzo Martinelli e Fabio Campus), Gremese, Roma 2003
Fabrizio Cilento, «Il caso Moro nei film di Gian Maria Volonté» in «Il caso Moro: memorie e narrazioni», a cura di Leonardo Casalino, Andrea Cedola, Ugo Perolino, Transeuropa, Massa 2016, pp. 163-180 (anche su https://www.academia.edu/14472028)
Fabrizio Gifuni, «Con il vostro irridente silenzio. Le lettere e il Memoriale: voci dalla prigionia di Aldo Moro», Milano, Feltrinelli, Milano 2022
Marco Baliani, «Corpo di stato. Il delitto Moro», Rizzoli, Milano 2003
Il sito del film «Non è un caso, Moro» (https://www.noneuncasomoro.com)


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