ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

giovedì 7 agosto 2014

«Arte al centro», un viaggio nella cultura contemporanea tra i borghi e le città di Marche e Abruzzo

Nove mostre, venti eventi collaterali tra spettacoli e concerti, cento artisti internazionali, tredici curatori, più di dieci sedi espositive, due regioni, tre provincie, sette comuni, sei enti culturali e ottantasette giorni consecutivi di appuntamenti: sono questi i numeri di «Arte al centro – cultura contemporanea nei borghi e nelle città», in programma fino al prossimo 28 settembre nei territori di Abruzzo e Marche, in un contesto geografico che spazia dai Monti Sibillini alle cime del Gran Sasso fino alle spiagge dell'Adriatico.
Promosso, tra gli altri, dalle fondazioni «Malvina Menegaz» e «Fortezza Abruzzo», dall'associazione culturale «Naca Arte» e dai Musei civici di Loreto Aprutino, il nuovo network d'arte contemporanea, un vero e proprio must per gli art addicted alla ricerca di una meta tutta italiana per le vacanze estive, «risponde all’esigenza -spiegano gli organizzatori- di unire forze e idee per dare vita a un sistema culturale integrato, in un territorio ricco di specificità paesaggistiche, ambientali, urbane, ma anche eno-gastronomiche, che ha individuato nella propria unione un motore di innovazione e allo stesso tempo di valorizzazione delle singole identità».
Ascoli Piceno, Teramo, Civitella del Tronto, Atri, Castelbasso, Loreto Aprutino e Pescara sono i punti di riferimento geografici di un percorso espositivo lungo cento chilometri, un museo diffuso che per tre mesi offrirà un cartellone variegato di eventi tra concerti, spettacoli di teatro e danza, workshop, seminari e, soprattutto, mostre d'arte di vario genere, che spazieranno dalla fotografia alla pittura, dall’installazione alla scultura e alla performance.
Il viaggio dei globetrotter dell'arte può partire dalla mostra «Amalassunta Collaudi. Dieci artisti e Licini», concepita e curata da Christian Caliandro per la Galleria d’arte contemporanea «Osvaldo Licini» di Ascoli Piceno. Il progetto espositivo, visibile al pubblico fino al prossimo 28 settembre, è orientato a mettere in dialogo la figura dell'artista marchigiano, nel cui museo sono conservate oltre settanta opere tra dipinti e disegni, con i lavori di dieci artisti italiani e internazionali, giovani o mid-career, quali Paola Angelini, Michael Bevilacqua, Carl D’Alvia, Patte Loper, Christian Schwarzwald, Marco Strappato, Cristiano Tassinari, Giuseppe Teofilo, Eugenio Tibaldi e Gian Maria Tosatti.
Il turista potrà, poi, proseguire il proprio viaggio verso Civitella del Tronto, uno dei più bei borghi italiani con il suo straordinario panorama che abbraccia insieme il Gran Sasso e il mar Adriatico. In questa cittadina, le cui origini risalgono all'XI secolo, «Arte in centro» prevede un cartellone di «Incontri sotto le stelle» con artisti, curatori, critici, letterati, musicisti e giornalisti, oltre a una serie di iniziative culinarie soprannominate «Show finger & food», che ogni venerdì vedranno esibirsi alcuni tra i migliori chef della provincia di Teramo.
Ad arricchire l'offerta turistica di Civitella del Tronto, dove è in programma anche l'esibizione del «Beppe Servillo Trio» (5 agosto, ore 22), saranno, poi, due mostre. Per tutta estate alla Fortezza borbonica rimarrà, infatti, allestita la rassegna «Interferences», a cura di Umberto Palestini, nella quale Gianluigi Colin, art director del «Corriere della Sera», presenta un progetto site-specific sviluppato attraverso l'interazione tra diversi linguaggi, quali la fotografia, l'installazione, il video e i multimedia. Le opere esposte intendono, nello specifico, descrivere il caos che si respira nel mondo della comunicazione, continuamente bombardato da immagini provenienti, in tempo reale, da tutto il mondo.
Alla Fortezza borbonica sarà, invece, visibile la  collettiva «Visione territoriale», a cura di Giacinto Di Pietrantonio, che rivisita una delle più antiche tradizioni del territorio abruzzese, quella della ceramica di Castelli, attraverso i lavori di un gruppo di artisti contemporanei quali Gabriele Di Matteo, Anna Galtarossa, Daniel Gonzàlez, Mark Kostabi, Ugo La Pietra, Alfredo Pirri, Luca Rossi, Matteo Rubbi, Giuseppe Stampone e Vedovamazzei.
Teramo punta, invece, su Enzo Cucchi, esponente di spicco della Transavanguardia, per conquistare l'interesse dei turisti. La sua esposizione, allestita al laboratorio L'Arca, presenta un progetto inedito, concepito appositamente per gli spazi teramani e costruito su linguaggi plurimi che delineano un iter narrativo-espositivo di grande suggestione e di estrema novità. Trionfi di teschi dalle superfici lucide e colorate, forme bronzee sospese nell'aria e panorami stropicciati che accolgono volti e collane all'interno di nicchie cavernicole abitano lo spazio museale e si fanno portavoce di una una poetica in cui l’opera d’arte vive, stando a quando afferma Achille Bonito Oliva, «senza gerarchie di presente e di passato».
Nel vicino borgo di Castelbasso, a Palazzo De Sanctis, Laura Cherubini ed Eugenio Viola firmano, invece, la mostra «C'era una volta a Roma – Gli anni Sessanta», con una selezione di opere, tra le più rappresentative, degli artisti protagonisti di quell'irripetibile temperie culturale passata alla storia come la Scuola di piazza del Popolo, espressione artistica di un decennio per certi versi considerato oggi mitico, segnato dalla Dolce vita, dal boom economico e da una teoria e una pratica destinate a esercitare una duratura influenza sul presente dell’arte. Dopo aver azzerato tutto attraverso il monocromo, un gruppo di giovani, tra i quali Mario Ceroli, Tano Festa, Giosetta Fioroni, Fabio Mauri e Pino Pascali, diede vita, in quegli anni, a una cultura dell'immagine che intrecciava icone del consumo di massa con citazioni dai movimenti italiani protagonisti del primo Novecento europeo, su tutti il Futurismo e la Metafisica.
A Palazzo Clemente si tiene, invece, la mostra «Paesaggi dell'anima», che raccoglie una selezione di opere realizzate dall'abruzzese Alberto Di Fabio tra gli anni Novanta e oggi. I lavori esposti si ispirano a paesaggi montani e sono ottenuti con sgocciolature di colore che assumono le sembianze di neuroni e sinapsi, disegnati attraverso forme astratte emergenti da velature cromatiche e sottili equilibri geometrici, resi su tela o carta di riso con brillanti e puri acrilici.
Sempre nell'ambito del network «Arte in centro», Castelbasso propone il progetto gastronomico «Abruzzo is good», a cura di Roberto De Viti, con due cooking show che vedranno all'opera Gabriella ed Enzo Barnabei, titolari dell’«Osteria degli ulivi» di Montorio al Vomano (domenica 10 agosto, ore 20.30), e Gabriele Marrangoni, chef e patron di «Borgo Spoltino» di Mosciano Sant’Angelo (domenica 17 agosto, ore 20.30); ricco di proposte si rivela anche il cartellone di eventi all'aperto, che vedrà tra gli ospiti Francesco Piccolo, vincitore dell'ultima edizione del Premio Strega.
Il viaggio del turista curioso può, quindi, proseguire alla volta di Atri, dove nei suggestivi ambienti della cripta del Museo capitolare della cattedrale è allestita la mostra «Still of peace», con opere di artisti contemporanei italiani e pakistani che attraverso i linguaggi della fotografia, della video-arte e dell’installazione, si confrontano su temi relazionali, sociali ed esistenziali profondi. L'esposizione -a cura di Antonio Zimarino, Franco Speroni, Lavinia Filippi e Raffaella Cascella- è arricchita da laboratori didattici, incontri ed eventi, come il concerto del cantautore sardo Piero Marras proposto nell’ambito del festival «Etnorock» dedicato al confronto fra le culture e alle musiche migranti (martedì 5 agosto, ore 21.30).
Anche Loreto Aprutino accende i riflettori sulla fotografia. La cittadina dell'entroterra pescarese ospita, infatti, per tutta l'estate la seconda edizione del festival «Loretoview», al quale fanno da scenario numerosi spazi cittadini, dal Castello Chiola ad alcune dimore signorili, passando per il museo Acerbo e il Museo dell’olio, senza dimenticare i ristoranti locali che proporranno menù a tema nell'ambito dell'iniziativa «SaperiSapori».
Cinque le sezioni ideate dai curatori Vincenzo de Pompeis, Gaetano Carboni e Giorgio D’Orazio. In «Guest» frammento espositivo ospitato nell’ex convento di San Giuseppe e nel castelletto Baldini Palladini Amorotti, è possibile vedere da un lato i paesaggi afghani di Franco Pagetti, immagini evocative di scenari da cronaca estera mitigati dall’ingombrante bellezza della natura, dall'altro i ritratti onirici della fotografa svizzera Irene Kung, con architetture di Parigi, Roma e New York. In «Storica», allestita nel seicentesco palazzo Guanciali, sono, invece, esposte tre antologie di immagini realizzate da altrettanti personaggi della cultura italiana novecentesca: il celebre scrittore Giorgio Manganelli, il grande architetto Giovanni Michelucci e il noto graphic designer Heinz Waibl. Mentre «Site specific» focalizza l'attenzione sulle fotografie naturalistiche di Bruno D’Amicis, straordinario fotografo, vincitore del primo posto assoluto nella categoria «Nature» del prestigioso World Press Photo 2014 e di quattro menzioni all’European photographer of the year, nonché collaboratore di testate come «National Geographic Magazine World Edition», «Geo» e «Bbc Wildlife». Nella sezione «Young», ospitata negli spazi dell’imponente castello Chiola, sono, invece, presentati i lavori di dodici fotografi (Marco Antonecchia, Sabrina Caramanico, Francesca De Rubeis, Patricia Dinu, Pierluigi Fabrizio, Alessandra Giansante, Enrico Libutti, Francesca Loprieno, Miss TumiStufi, Ciro Meggiolaro, Giuliano Mozzillo e Roberto Zazzara), ciascuno con il proprio dittico, che compongono un caleidoscopio unico sul tema del paesaggio, tra visioni e ispirazioni differenti, quasi a fermare una sintesi della realtà tra impulso individuale e anelito universale.Chiude la proposta espositiva del   festival la sezione «Unconventional», con un'installazione di forte impatto cromatico firmata dal fotografo bolognese Andrea Basili.
Il viaggio di «Arte in centro» può terminare a Pescara, dove la Fondazione Aria ha allestito, a palazzetto Albanese, la mostra «Vita Activa. Figure del lavoro nell’arte contemporanea», a cura di Simone Ciglia, alla quale saranno affiancati laboratori didattici e conversazioni con artisti. Si tratta di una riflessione sul tema del lavoro, che abbraccia l’intero arco delle arti visive, dalla pittura alla scultura, dalla fotografia al video, dall’installazione al design, e che coinvolge vari protagonisti della scena creativa italiana e internazionale, tra i quali Joseph Beuys, Armin Linke, Bruno Munari e Santiago Sierra.
Spunto per questo percorso artistico è una riflessione di Hannah Arendt nel libro «The Human Condition» (1958), nel quale si tratta di due accezioni del lavoro: quella legata allo sviluppo biologico dell’essere umano -icasticamente riassunta nell’espressione animal laborans- e quella propria dell’homo faber, creatore del mondo artificiale dei manufatti. Un cartellone, dunque, ricco di colori quello proposto per questa estate dalle principali realtà espositive di arte contemporanea attive nelle Marche e in Abruzzo, con l'interno di «caratterizzare il territorio dell'Italia centrale -spiegano gli organizzatori- come un unico polo culturale internazionale. Per un’Arte che sia finalmente al Centro».(sam)

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Sachin Bibi, «Bamboret, Kalash», 2013 . Photo: Mobeen Ansari [fig. 2] Osvaldo Licini, «Amalassunta su fondo blu», 1955, Olio su tela, cm 73 x 91,5. Galleria Civica d’Arte Contemporanea Osvaldo Licini, Ascoli Piceno; [Fig. 3] Enzo Cucchi, «Senza titolo», 2013. Olio e acrilico su tela, cm 200x300. Courtesy dell'artista; [fig. 4] Enzo Cucchi, «Senza titolo», 2014. Ceramica, cm 53x35. Courtesy dell'artista; [fig. 5] Emanuela Barbi, «Acquaia», 2014. Un progetto per Atri, installazione; [fig. 6] Aroosa Naz, «Crossing Over Series # 2 (Super Man)», 2012-2013. Stampa duratrans su lightbox, 1/5, (68 x 46 cm); [fig. 7] Armin Linke, «Carlo Scarpa, Negozio Olivetti - Piazza San Marco Venezia», 2013. Stampa fotografica su alluminio con cornice in legno, cm. 50X60; [fig. 8] Alberto Di Fabio, «Sinapsi in oro», 2007. Acrilico su tela, 107x97cm. Courtesy dell’artista; [fig. 9] Alberto Di Fabio, Senza Titolo, 2013. Acrilico e lacche su tela, cm  100X100; [Fig. 10] Cesare Tacchi, «Sul divano a fiori», 1965. Inchiostro e smalto su stoffa imbottita su legno, 159 x 200x7 cm; [fig. 11] Mimmo Rotella, «La Strada II». Collage di carte su tela, 136,5 x 96,8 x 2,7cm

Informazioni utili
«Arte in centro – Cultura contemporanea nei borghi e nelle città». Sedi varie - Ascoli Piceno, Atri, Castelbasso, Civitella del Tronto, Loreto Aprutino, Pescara e Teramo (Marche ed Abruzzo).
Calendario delle mostre:
- «LoretoView- Festival di fotografia del paesaggio». Orari: martedì – domenica, ore 18.00 – 23.00. Ingresso (valido per tutte le mostre + il museo Acerbo di antiche ceramiche e il Museo dell'olio): intero € 7,00, ridotto € 5,00. Fino al 7 settembre 2014;
- «Visioni. Enzo Cucchi». L’ARCA-Laboratorio per le arti contemporanee, largo San Matteo – Teramo. Orari: martedì – domenica, ore 17.00 – 20.00. Ingresso libero. Fino al 31 agosto 2014; - «Visioni. Gianluigi Colin». Fortezza e museo delle armi - Civitella del Tronto. Orari: luglio e agosto, ore 10.00–20.00; settembre, ore 10.00–19.00. Fino al 28 settembre 2014; - Visione territoriale. Fortezza e museo delle armi - Civitella del Tronto. Orari: luglio e agosto, ore 10.00–20.00; settembre, ore 10.00–19.00. Ingresso: intero € 6,00, ridotto (over 65 e universitari) € 4,00, ridotto (ragazzi 6 -17) € 1,00. Fino al 28 settembre 2014; - «Amallasunta collaudi. Dieci artisti e Licini». Galleria d’arte contemporanea Osvaldo Licini - Ascoli Piceno. Orari: martedì-domenica, ore 10.00-19.00. Ingresso: intero € 8,00, ridotto € 5,00. Fino al 28 settembre 2014;
- «Stills of peace and Everyday life - Italia e Pakistan: una ricerca del senso del contemporaneo». Museo capitolare - Cripta della Cattedrale, Atri. Orari: tutti i giorni, ore 10.00–12.00; ore 15.30–19.00 e ore 20.30–22.30. Ingresso: intero € 5,00, ridotto € 4,00 (la sera, dalle ore 20.30 alle ore 22.30, l'ingresso costa un euro in meno). Fino al 10 settembre 2014;
- «Vita activa - Figure del lavoro nell’arte contemporanea». Palazzetto Albanese - Pescara . Orari: martedì–domenica, ore 17.00–22.00. Ingresso: intero € 5,00, ridotto € 4,00. Fino al 12 settembre 2014;
- «C’era una volta a Roma - Gli anni Sessanta intorno a piazza del Popolo». Palazzo De Sanctis – Castelbasso. Orari: martedì – domenica, ore 19.00 – 24.00 . Ingresso: singola mostra € 6,00, due mostre (comprensivo dell'ingresso alla personale di Alberto Di Fabio) € 10,00; ridotto e 4,00, gratuito per bambini fino ai 6 anni. Fino al 31 agosto 2014;
- «Alberto Di Fabio. Paesaggi della mente». Palazzo Clemente – Castelbasso. Ingresso: singola mostra € 6,00, due mostre (comprensivo dell'ingresso alla rassegna C'era una volta a Roma) € 10,00; ridotto e 4,00, gratuito per bambini fino ai 6 anni. Fino al 31 agosto 2014.
Informazioni: tel. 0861.508000, fax 0861.507649 , e-mail info@arteincentro.com. Sito web: www.arteincentro.com. Social media: Facebook, facebook.com/arteincentro1; Twitter, @arteincentro; Instagram, arteincentro; Google+, ARTE in CENTRO; Pinterest, arteincentro; Youtube, ARTE in CENTRO; Flickr, arte_incentro. Sito web: www.arteincentro.com. Social media: Facebook, facebook.com/arteincentro1; Twitter, @arteincentro; Instagram, arteincentro; Pinterest, arteincentro; Youtube, Arte in Centro; Flickr, arte_incentro. Fino al 28 settembre 2014.

martedì 5 agosto 2014

«Re Lear»: lotta per il potere e conflitto generazionale in William Shakespeare

La bramosia del potere, il conflitto fra generazioni, l’opportunismo adulatorio celato da amore, i tormenti della gelosia e della lussuria, l’incapacità di leggere l’alfabeto del cuore e di comprendere i silenzi, la precarietà della vita, l’inettitudine dell’uomo a discernere gli inganni del mondo, la discrepanza tra realtà e apparenza: sono molti, e attuali, i temi che tessono la trama di «Re Lear», tragedia in versi e prosa scritta da William Shakespeare intorno al 1605 e rappresentata per la prima volta il 26 dicembre 1606 nel palazzo di Whitehall, alla presenza di re Guglielmo I.
La storia che fornisce l’intreccio principale affonda le radici nell’antica mitologia britannica, in un racconto leggendario risalente all’VIII secolo a.C., ovvero al periodo antecedente alla fondazione di Roma, narrato nel XII secolo da Geoffrey of Monmouth nella sua «Historia anglicana» e, in seguito, trattato da Raphael Holinshed nel libro «The Second Booke of the Historie of England» (1577), da Edmund Spencer nel secondo volume del poema cavalleresco «The Faerie Queene» (1596) e nella raccolta di narrazioni «The Mirror for Magistrates» (1559), una vera e propria miniera di soggetti per i tragediografi elisabettiani.
William Shakespeare attinse a queste fonti e al coevo dramma anonimo «The True Chronicle Historie of King Lear» (1605), che si chiudeva però con il lieto fine, per organizzare la trama della sua tragedia, una vicenda ricca di situazioni e di sentimenti riconducibili alla contemporaneità tanto è vero che, negli anni Sessanta, il polacco Jan Kott ha azzardato un parallelismo con Samuel Beckett e il suo Teatro dell’assurdo.
A scatenare il dramma è la decisione del sovrano britannico di abdicare in favore delle tre figlie sulla base di un love test, ovvero di una gara d’amore verbale. Con calcolo macchiavellico e malcelata ipocrisia, le sorelle Regan e Gonerill ricorrono alla finzione retorica richiesta dal padre per ottenere il potere; Cordelia, personaggio sentimentale più che politico (come ebbe a dire Giorgio Strehler), non si sottomette a questo rito, si sente incapace di esprimere a parole il proprio profondo sentimento filiale e, temendo di immiserire e rendere volgare ciò che prova, si limita a dire: «O mio sfortuna: non riesco a sollevare il peso del mio amore fino alle labbra; amo vostra Maestà secondo il nostro vincolo, né più né meno».
Irritato, il re non riconosce l’affetto senza riserva della giovane figlia, la «migliore» e la «più cara», e la ripudia, revocando la dote già promessa e permettendole di lasciare per sempre l’Inghilterra a fianco del re di Francia, che l’ha chiesta in sposa. È l’inizio di un dramma a tinte fosche, nel quale dominano violenza, tradimento e morte. Re Lear ha, infatti, ben presto modo di scoprire l’ingratitudine e la meschinità di Regan e Gonerill, che lo privano di ogni traccia di antico potere fino a lasciarlo, alla fine del secondo atto, solo, all’addiaccio, senza miglior rifugio di una capanna contadina e in balia della tempesta. Rendendosi conto di essere stato vittima di un errore di valutazione nei confronti di Cordelia, il sovrano impazzisce per il dolore e trova solo nella «pazienza» e nella «pena» della figlia minore, ritornata in Inghilterra con l’esercito francese per riportare l’ordine nel suo Paese natale, il balsamo per curare le ferite del suo cuore e il senso di vuoto che si è impadronito della sua anima. Ma il destino avverso avrà la meglio.
Alla vicenda principale (main plot) si intreccia, come era pratica corrente per molti drammaturghi dell’epoca, una trama secondaria (sub-plot), che incide fortemente sulla prima e che contribuisce a far risaltare i vari momenti della narrazione. La storia di re Lear si riflette, infatti, specularmente in quella del conte di Gloucester e dei suoi due discendenti, il diabolico Edmund e il virtuoso Edgar, che William Shakespeare trasse dal romanzo «Arcadia» di Philip Sidney (1590) e che fece propria raccontando la vicenda di un vecchio cieco tradito dal figlio illegittimo, disposto a tutto pur di impadronirsi del casato, e salvato da quello buono, vittima di una menzogna ed eroe positivo della tragedia, la cui dirittura morale si esplica nella battuta conclusiva, monito alla coscienza dell’uomo di ieri e di oggi: «Noi dobbiamo accettare il peso di questo triste tempo. Dire ciò che sentiamo e non ciò che conviene dire».
Poche sono le rappresentazioni che «Re Lear» può contare nella storia dello spettacolo, tanto è vero che Jan Kott, nel suo illuminante saggio «Shakespeare nostro contemporaneo» (1961), ha scritto che la tragedia del Bardo fa l’effetto di «un’immensa montagna che tutti ammiriamo, ma che nessuno ha voglia di scalare troppo spesso». A ciò ha senz’altro contribuito il giudizio romantico e post-romantico sull’«irrappresentabilità» dell’opera, espresso da Charles Lamb, Henry James e molti altri. In realtà, -stando a quanto afferma Agostino Lombardo nell’introduzione all’edizione Garzanti del 2002- «Re Lear» può dirsi «l’opera più teatrale di William Shakespeare, e ciò nel senso che in essa il linguaggio del drammaturgo raggiunge la sua più alta, e specifica, intensità ed espressività». La parola è, infatti, qui fortemente legata all’azione scenica, come ben comprese Giorgio Strehler nel suo allestimento del 1972, quando definì il testo del Bardo una tragedia che si «inteatra».
Il linguaggio è, dunque, in questo lavoro l’oggetto stesso della rappresentazione. Si pensi alla figura del Fool -personaggio non presente nelle fonti, ma tutt’altro che raro nel teatro del tempo- che è parola personificata, metafora incarnata della follia di re Lear, coscienza del proprio errore di giudizio e addirittura alter ego di un altro personaggio. Non a caso Giorgio Melchiori, nell’introduzione del 1976 all’edizione pubblicata nella collana «I Meridiani» di Mondadori, scrive: «il Fool è la dimostrazione della straordinaria maturità di Shakespeare come uomo di teatro: in una vicenda che comporta necessariamente l’assenza della figura femminile per tutta la parte centrale del dramma […], il Fool compensa e sostituisce l’assenza dell’eroina […]. Sulla scena del Globe Theatre (il teatro di Londra, dove recitò la compagnia del noto drammaturgo elisabettiano, ndr) lo stesso ragazzo poteva assumere i due ruoli […] e l’identificazione fra i due si manifesta nelle parole di Lear stesso quando alla fine rientra in scena portando in braccio il corpo del ragazzo-Cordelia, giovane corpo asessuato dalla morte».
Con questa tragedia il teatro è, dunque, non solo cronaca del tempo o specchio della natura, ma strumento per capire e conoscere l’individuo, microcosmo di inaudita complessità, le cui azioni si intrecciano con le forze del bene e del male presenti nella realtà. Ecco così che in  «Re Lear» trova un senso ancora più intenso e ricco un’espressione nota del Bardo: «Tutto il mondo è un palcoscenico».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Johann Heinrich Füssli , «Re Lear caccia Cordelia» («Re Lear», Atto I, Scena I), 1784-1790. Toronto, Art Gallery of Ontario; [fig. 2] William Dyce, «Re Lear e il Matto nella tempesta» («Re Lear», III, 2), c. 1851. Edimburgo, National Gallery of Scotland; [fig. 3] James Barry, «Re Lear piange la morte di Cordelia» («Re Lear», V, 3), 1786-88.  Londra, Tate; [fig. 4] James Barry, «Re Lear piange la morte di Cordelia» («Re Lear», V, 3), 1774. Dublino, The John Jefferson Smurfit Foundation. 

domenica 3 agosto 2014

«Smens», una rivista di parole in legno e xilografie originali

È il 1997 quando l’associazione artistico-culturale «Nuova Xilografia» edita a Torino il primo numero di «Smens», una pregevole rivista semestrale, a tiratura limitata, stampata su carta di cotone e con torchio a braccia, i cui testi sono composti a caratteri di piombo e le cui illustrazioni sono xilografie originali incise su tavolette di legno.
Nell’epoca della prepotente affermazione dei supporti digitali, una pubblicazione interamente realizzata a mano come questa, che ripropone una fabbricazione editoriale dal sapore antico e che fa dell’appassionata cura per i dettagli la propria cifra stilistica, è di per sé speciale. Ma il valore aumenta notevolmente quando si scorrono i nomi di poeti, studiosi, filosofi, scrittori e artisti che, negli anni, hanno collaborato alla realizzazione di queste pagine dalla tecnologia artigianale e raffinatissima, nate dall’idea bizzarra, ma vincente di due talentuosi incisori piemontesi definiti da Bruno Quaranta «radicali e siderei»: Gianfranco Schialvino e Gianni Verna.
Per undici numeri e sette anni, dal 1997 al 2004, le parole di Gianfranco Ravasi, Nico Orengo, Mario Rigoni Stern, Federico Zeri, Roberto Sanesi, Elena Loewenthal, Vittorio Sgarbi, Mario Luzi e molti altri hanno così incontrato il segno grafico di alcuni tra i più bravi xilografi del mondo come Barry Mosere, Leonard Baskin, Evgenij Bortnikov, Jean Marcel Bertrand, Ugo Nespolo, Emanuele Luzzati e Salvo, dando vita ad un’avventura editoriale fuori dal tempo, «superbamente inutile», come si disse in occasione dell’uscita del primo numero presentato al Musée d’art modern ed d’art contemporain di Liegi.
Questa storia rivive, da venerdì 8 agosto a domenica 7 settembre, nelle Sale monumentali della Biblioteca nazionale Marciana di Venezia nella mostra «La xilografia in rivista», ideata e curata da Gianfranco Schialvino e Gianni Verna.
Conservati in vetrinette nel vestibolo della cinquecentesca Libreria Sansoviniana (nome, questo, derivato dall’ideatore del progetto, Jacopo Sansovino), i volumi di «Smens» raccontano una storia giocata fra la contrapposizione tra due tesi, due concetti opposti: bene e male, bianco e nero, sacro e profano, verità e menzogna, sogno e realtà, alfa e omega. Tra le splendide illustrazioni riprodotte, si ritrovano anche ristampe di pregevoli lavori di Fortunato Depero, Felice Casorati e Lorenzo Viani, a dimostrazione di quanto un'arte apparentemente facile, dove tutto è fatto con elementi semplici come un coltello, un pezzo di legno, un po’ di inchiostro e carta, abbia bisogno di grandi artisti per parlare il linguaggio della poesia e del bello, per lasciare un segno nel cuore del lettore.
Una rivista speciale, dunque, «Smens», nel cui primo numero vedeva volare fuori dalle sue pagine una gazza ladra: «monogama, ciarliera, seriamente curiosa, bianca e nera con un’insondabile pennellata di blu, elettrico come un fondo marino, una parete di ghiaccio», ricorda Gianfranco Schialvino nel catalogo della mostra veneziana stampato in seicento copie dalle officine della Grafica Santhiatese. Si racconta, nella tradizione orientale, che il richiamo di questo uccello annunci sempre una visita, un giro di carte e di destino, una novità. E sicuramente inedito è stato l’ingresso di «Smens» nel panorama editoriale italiano, una rivista che –ricordano dalla Marciana- «fa da monito e memoria della conoscenza della fabbrica del libro, un oggetto che ha segnato la storia dell’uomo e ne è stato uno degli elementi più importanti per la sua evoluzione ed emancipazione».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Copertina della rivista «Smens» n. VII, dedicata al tema «Sogno e realtà»; [fig. 2] Copertina della rivista «Smens» n. II, dedicata al tema «Il bene e il male»; [fig. 3] Gianni Verna, «Cabana», xilografia per la rivista «Smens»

Informazioni utili
«La xilografia in rivista». Biblioteca nazionale Marciana – Sale monumentali, piazzetta San Marco – Venezia. Orari: lunedì-venerdì, ore 8.00-19.00; sabato, ore 8.00-13.30. Ingresso(biglietto Musei di piazza San Marco): intero € 16,00, ridotto € 10,00 (ragazzi da 6 a 14 anni, studenti dai 15 ai 25 anni, accompagnatori di gruppi di ragazzi o studenti, cittadini over 65 anni, personale del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, titolari di Carta Rolling Venice, soci Fai), gratuito per residenti e nati nel Comune di Venezia, bambini da 0 a 5 anni, portatori di handicap con accompagnatore, guide autorizzate e interpreti turistici che accompagnino gruppi o visitatori individuali, per ogni gruppo di almeno 15 persone. Informazioni: tel. 041.2407211 o biblioteca@marciana.venezia.sbn.it. Sito internet: http://marciana.venezia.sbn.it. Da venerdì 8 agosto a domenica 7 settembre 2014.