ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
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giovedì 31 ottobre 2024

Berthe Morisot, Tina Modotti, Mario Merz e...: le mostre da vedere a Torino nell'autunno 2024

Torino riaccende, per il ventisettesimo anno consecutivo, le sue «Luci d’artista», uno dei progetti più longevi e rappresentativi del ruolo dell’arte contemporanea per l’identità e la vita culturale della città. Ventotto sono le installazioni di grandi autori contemporanei che ogni notte, fino al 12 gennaio 2025, trasformeranno il capoluogo piemontese in un luminoso museo a cielo aperto da guardare con il naso all'insù. Tra questi lavori ce ne sono due nuovi: «VR Man» di Andreas Angelidakis (Atene, 1968), una grande silhouette umana stilizzata arricchita da un riferimento alla statuaria antica, in piazza Vittorio Veneto (angolo lungo Po Cadorna), e «Scia’Mano» di Luigi Ontani (1943), un omaggio alla tradizione magica torinese, visibile ai Giardini Sambuy. Tutto intorno ci sono opere luminose ormai conosciute al grande pubblico, dal coloratissimo «Tappeto volante» di Daniele Buren, in piazza Palazzo di Città, alla spettacolare installazione «Piccoli spiriti blu» di Rebecca Horn, con cerchi di luce capaci di donare un aspetto surreale e onirico, quasi da astronave in volo, alla chiesa di santa Maria al Monte dei Cappuccini, senza dimenticare «Il volo dei numeri» di Mario Merz sulla Mole Antonelliana, la sede del Museo del cinema. 

Sotto queste speciali luminarie natalizie c'è l'ampia offerta espositiva della città, una delle eredità più belle della trentunesima edizione di «Artissima», che nella sua tre giorni di inizio novembre ha visto musei, fondazione e gallerie private inaugurare la loro stagione autunnale, dando vita a una vera e propria festa della cultura e delle arti contemporanee, ma non solo. 

Dalla fotografia di Tina Modotti all'arte impressionista di Berthe Morisot, dai capolavori novecenteschi della Gnam di Roma alla mostra per il centenario della nascita di Mario Merz, dal bianco e nero di Mimmo Jodice al «Rabbit Inhabits the Moon» di Nam June Paik, dalla grande antologica su Salvo ai progetti espositivi sul colore di Mary Heilmann e Maria Morganti, dalle icone del cinema hollywodiano alla personale di Bekhbaatar Enkhtur (vincitore del Premio illy Present Future 2023), senza dimenticare gli interessanti progetti espositivi «Mutual Aid. Arte in collaborazione con la natura» al Castello di Rivoli e «Crossing. Attraversare una collezione» a Palazzo Madama, ma anche le mostre al Pav - Parco Arte Vivente, alle Officine grandi riparazioni  e ai musei dell'automobile e della montagna: un percorso - o meglio un diario di viaggio (le «Notizie in pillole» pubblicate sulla pagina Facebook dal 30 ottobre e al 3 novembre 2024) - tra le mostre che coloreranno l'autunno di Torino.

Ma all'ombra della Mole le sorprese non sono ancora finite. Già nei prossimi giorni apriranno due nuove esposizioni: al Museo Accorsi-Ometto i riflettori saranno puntati su Giorgio De Chirico (dall'8 novembre 2024 al 2 marzo 2025), in occasione del centenario del Surrealismo; all'Accademia Albertina si terrà la mostra personale «Reborn – Through India To My Soul» (dal 7 novembre all'8 dicembre 2024) della fotografa Ivana Sunjic, che è stata anche assistente del fotoreporter e ritrattista Steve McCurry. Mentre a metà novembre il Mauto - Museo dell'automobile inaugurerà «125 volte Fiat»: opere d’arte, bozzetti d’artista e manifesti pubblicitari, documenti d’archivio, materiali grafici, fotografici e audiovisivi d’eccezione, oltre a otto vetture, racconteranno la storia della celebre casa automobilistica, nata nel 1899 con il nome di Fabbrica Italiana Automobili Torino. 

Buona lettura! 

AI MUSEI REALI «LA GRANDE ARTE» DELLA GNAM DI ROMA
[2 novembre 2024] Il ventennio fra il 1950 e il 1970 rappresenta una stagione unica per l’arte italiana, un eccezionale laboratorio di rinnovamento stilistico e tematico che non può fare a meno di guardare al passato, ovvero alle ancora laceranti ferite della Seconda guerra mondiale, e di riflettere sul presente, dominato dal necessario entusiasmo per la «ricostruzione» del Paese. A questa straordinaria stagione guarda la mostra «1950-1970. La grande arte italiana», a cura di Renata Cristina Mazzantini e Luca Massimo Barbero, allestita fino al 2 marzo 2025 ai Musei Reali di Torino.

Nelle Sale Chiablese sfilano settantanove opere provenienti dalla Gnam - Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma, riunite insieme per la prima volta fuori dal museo di appartenenza, che evidenziano il trentennale rapporto dell’allora soprintendente Palma Bucarelli con gli artisti più significativi e innovativi di quegli anni, protagonisti, per usare le parole di Luca Massimo Barbero, di un vero e proprio «movimento tellurico». Si tratta di ventuno autori, che si muovono tra il linguaggio astratto e informale e il tema della materialità, di cui l’Arte povera, che nasce proprio a Torino, rappresenta l’apice.

Il percorso espositivo, articolato in dodici sale, inizia con Ettore Colla («Rilievo con bulloni», 1958/59) e Pino Pascali («L’arco di Ulisse», 1968), per proseguire con gli ideogrammi di Capogrossi, i raffinati «Concetti spaziali» di Lucio Fontana, le opere germinali (e ancora astratte) di Mimmo Rotella, i polimaterici di Bice Lazzari e lo straordinario «Gobbo» (1950) di Alberto Burri. Entrano, quindi, in scena Afro e Piero Dorazio, maestri che nel secondo Dopoguerra contribuirono al successo dell’arte italiana negli Stati Uniti. Si giunge così al cuore della mostra: un inedito dialogo tra Lucio Fontana e Alberto Burri, con undici opere, tra cui il «Concetto spaziale. Teatrino» (1965) del primo e il «Nero cretto G5» (1975) del secondo.

Roma, con il fermento creativo che la caratterizzò tra gli anni ’50 e ’60, è la protagonista del passo successivo. Ecco così le opere di Giosetta Fioroni, Sergio Lombardo, Tano Festa, Carla Accardi, Giulio Turcato, Gastone Novelli e Toti Scialoja.

La mostra ricorda, quindi, che la Gnam, prima di qualsiasi museo nazionale, fece entrare nelle sue sale i «Quadri specchianti» di Michelangelo Pistoletto, le corrosive critiche al potere costituito di Franco Angeli, le provocazioni di Piero Manzoni, le «Cancellature» di Emilio Isgrò e, a meno di un anno dal suo tragico incidente in motocicletta, l’opera di Pino Pascali, che, nella mostra torinese, è messa in dialogo con quella di Mario Schifano, per raccontare una stagione capace di smentire e invalidare il «culto reverenziale dell’oggetto d’arte fatto per l’eternità».


Per maggiori informazioni: https://museireali.beniculturali.it/

TINA MODOTTI A CAMERA – CENTRO ITALIANO PER LA FOTOGRAFIA
[2 novembre 2024] Libera, audace, determinata e con una biografia più avvincente di un romanzo, che la vide non solo fotografare, ma anche recitare nel cinema muto con Rodolfo Valentino, avere una storia d’amore (finita tragicamente) con l’attivista cubano Julio Antonio Mella, essere animatrice del Soccorso rosso internazionale e lottare strenuamente per i diritti delle donne e di chi vive ai margini della storia: Assunta Adelaide Luigia Saltarini Modotti, detta Tina (Udine, 17 agosto 1896 – Città del Messico, 5 gennaio 1942), fa parte di quella schiera di intellettuali del Novecento, da Tamara de Lempicka a Frida Kahlo, attorno alla cui figura si è creato un alone di leggenda, che spesso ha finito per oscurarne l’ampia produzione fotografica caratterizzata da oltre cinquecento scatti realizzati in soli 46 anni di vita.
Alla fotografa messicana, con natali friulani, è dedicata la mostra autunnale di Camera – Centro italiano per la fotografia di Torino con trecento immagini, selezionate da Riccardo Costantini, che provengono da ben trentadue archivi di tutto il mondo (da Honolulu a San Francisco, da Città del Messico a Mosca, da Udine a Canberra).

Dagli anni della formazione come assistente di Edward Weston fino agli ultimi scatti, dalle prime nature morte alle conosciute immagini di documentazione sociale e antropologica dai forti rimandi politici, l’esposizione offre un ritratto integrale e completo di Tina Modotti, che spazia dalla nascita a Udine fino all’esilio in Messico, passando per i viaggi in Austria, Stati Uniti, Germania, Russia, Francia e Spagna.
Sotto i riflettori ci sono le sue «fotografie oneste», libere da virtuosismi e caratterizzate da un’immediatezza che non rinuncia alla sperimentazione, nelle quali vengono raccontati il lavoro, l’attivismo politico, la povertà, le contraddizioni del progresso e del passaggio alla modernità, ma anche il folklore messicano e l’arte muralista di Rivera, Siquieros, Orozco, Guerrero, Pacheco.

La mostra «Tina Modotti. L’opera», aperta fino al 2 febbraio 2025, è importante anche dal punto di vista documentale, perché raccoglie materiali inediti, video, riviste, documenti, ritagli di quotidiani, ritratti dell’artista e fotografie che riscostruiscono la sua prima e unica esposizione, tenutasi dal 3 al 14 dicembre 1929 nell’atrio dell’Università nazionale del Messico. La rassegna include, inoltre, un percorso di opere visivo-tattili accompagnate da audiodescrizioni.

In contemporanea, la Project Room di Camera ospita l’esposizione «Mimmo Jodice. Oasi», curata da Walter Guadagnini con la collaborazione di Barbara Bergaglio, che allinea quaranta immagini, realizzate tra il 2007 e il 2008 per una committenza ricevuta da Fondazione Zegna, nelle quali è possibile ritrovare – si legge nella nota stampa - tutta la poetica del fotografo napoletano, «la sua capacità di trasformare la realtà naturale o artificiale in una visione metafisica, sospesa nel tempo e nello spazio».

[Didascalie delle immagini: 1. e 2. Vista della mostra «Tina Modotti. Opera», aperta fino al 2 febbraio 2025 a Camera - Centro italiano per la fotografia di Torino. Foto di Andrea Guermani; 3. Vista della mostra «Mimmo Jodice. Oasi», aperta fino al 2 febbraio 2025 a Camera - Centro italiano per la fotografia di Torino. Foto di Andrea Guermani]

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Per maggiori informazioni: www.camera.to

DAGLI IGLOO ALLA «LEGGEREZZA DELLE FAVOLE»: CENTO ANNI DI MARIO MERZ
[1° novembre 2024] Metafora dell’habitat ideale, nel suo rievocare un mondo in cui l’uomo vive in simbiosi con la natura, la forma dell’igloo segna il percorso creativo di Mario Merz (1925-2003), uno dei maestri dell’Arte povera, a partire dal 1968 fino alla sua morte. In occasione del centenario della nascita, la fondazione torinese che porta il nome dell’artista riunisce alcune di queste strutture iconiche, prodotte con vari materiali e in differenti dimensioni, nella mostra «Qualcosa che toglie il peso che mantiene l’assurdità e la leggerezza della favola».

Nello specifico, sono esposti tre igloo: uno in foglie d’oro («Senza titolo», 1997), che con i suoi riflessi luminosi irradia lo spazio circostante; uno del diametro di cinque metri, ricoperto di lastre di pietre rosa provenienti da una cava argentina («Senza titolo», 2002); e un altro («Senza titolo», 1989), realizzato per l’esposizione personale dell’artista al Solomon R. Guggenheim Museum di New York nel settembre 1989, sulla cui struttura in rete metallica si susseguono fittamente delle forme di pane.

La mostra, curata dalla figlia Marisa Merz, propone anche altri lavori: installazioni, tavoli, tele e opere su carta, tutti ispirati alle teorie dell'antropologo Claude Lévi-Strauss sui modelli culturali a fondamento del pensiero umano.
Il titolo dell’esposizione, tratto da uno scritto dello stesso Mario Merz, evoca il concetto di «leggerezza
» concettuale presente nell’intera produzione del maestro, in cui l'«assurdità» si mescola alla poesia della «favola».
A dialogare con i numeri di Fibonacci, antica presenza negli spazi della fondazione torinese, ci sono i vasi luminescenti del progetto «L’horizont de lumière traverse notre vertical du jour» (1995), l’imponente lavoro pittorico «Geco in casa» (1983), il grande tavolo in cera «Quattro tavoli in forma di foglie di magnolia» (1985), esposto per la prima volta in Europa, e grandi disegni di forme organiche che potrebbero essere radici, fiori o esseri invertebrati, le cui forme sono ritratte con rapidi e sicuri segni a carboncino, pastello, inchiostri o vernice.

Chiude idealmente il percorso espositivo il video-documentario «Che fare? / Mario Merz» di Roberto Cuzzillo, con una selezione di interviste d'epoca, accompagnate da immagini di mostre passate e recenti, che offrono una riflessione su cosa significasse essere artisti negli anni dell’Avanguardia poverista, quando materiali umili come prodotti industriali (cemento, eternit, ferro) ed elementi naturali (terra, acqua, legno) diventavano opere d’arte.

[Immagini:Veduta della mostra «Qualcosa che toglie il peso che mantiene l’assurdità e la leggerezza della favola» di Mario Merz, allestita fino al 2 febbraio 2025 alla Fondazione Mario Merz di Torino. Courtesy Fondazione Merz]

Galleria fotografica sulla pagina Facebook 

Per saperne di più: https://www.fondazionemerz.org.

«CROSSING. ATTRAVERSARE UNA COLLEZIONE»: QUATTRO ARTISTI CONTEMPORANEI A PALAZZO MADAMA
[1° novembre 2024] «Solo ciò che è trascorso o mutato o scomparso ci rivela il suo volto reale»: sono queste parole, tratte dal libro «Il mestiere di vivere» di
Cesare Pavese, a spiegare il senso del progetto espositivo «Crossing. Attraversare una collezione», a cura di Cristina Beltrami. Quattro artisti contemporanei differenti per età, formazione e provenienza si confrontano con la storia millenaria, la vasta collezione e i maestosi spazi di Palazzo Madama, il Museo civico d’arte antica di Torino.
Ad aprire il percorso espositivo, allestito fino all’8 dicembre, sono le «Panacée» di Frédérique Nalbandian (Mentone, Francia, 1967), tre figure monumentali che richiamano la statuaria antica, collocate in cima allo scalone juvarriano in omaggio alla fondazione romana dell’edificio. Il dialogo col passato si fa, qui, contemporaneo attraverso un gioco illusorio, che è anche un omaggio alle origini torinesi dell’Arte povera, grazie all’utilizzo di materiali inattesi. l’usuale marmo viene, infatti, sostituito con stoffe e sapone, quest’ultimo proveniente dal Saponificio «Fer à Cheval» di Marsiglia, fabbrica di antica tradizione con cui l’artista collabora da anni.


Nella stanza delle ceramiche, dove sono presenti anche dei manufatti a tema culinario,
RunoB (Zhang Xiaodong,1992) giovane artista cinese di nascita e veneziano d’elezione, presenta, invece, dieci vasi di grandi dimensioni realizzati durante una sua recentissima residenza a Nove (Vicenza). La tematica del cibo viene rivisitata in chiave pop, attraverso colori vivaci, chiamando in causa l’iconografia dei fast-food e della sempre più diffusa abitudine del take-away.

Il percorso espositivo prosegue con «Ritornello», un grande tondo di quasi due metri realizzato da Marta Sforni (Milano, 1966) come omaggio al monumentale lampadario, ideato nel 1928 dai fratelli Toso, al centro della sala dedicata ai vetri. Da tempo l’artista fa fatto del lampadario veneziano il soggetto prediletto della sua pittura, con una tecnica personale fatta di sottili velature che si concentrano, lambendo a tratti i confini dell’astratto, in particolare sui dettagli – le «bossette», in termine tecnico, e i «fiori» – di questi sontuosi manufatti antichi.

La mostra si chiude, nella veranda Juvarriana, con una grande installazione di
Giuseppe Lo Cascio (Baucina, Palermo, 1997), giovane artista particolarmente attento al tema della memoria, che presenta degli schedari monumentali, delle vere e proprie «torri di Babele in metallo e cartoncino o lamine plastiche», che ribadiscono la ragione stessa del museo, inteso come rifugio del sapere.

Con questi quattro «momenti di inciampo» rispetto al consueto percorso di visita, «Crossing» offre, dunque, un nuovo sguardo sulle collezioni di Palazzo Madama, scrigno d’arte antica che in questi giorni, e fino al 13 gennaio, ospita anche una riflessione sul cambiamento climatico con la mostra «Change. Ieri, oggi, domani, il Po». Mentre nel giardino medioevale è allestita, fino al 9 dicembre, la personale «In ascolto», con tredici sculture in bronzo di Sergio Unia (Roccaforte Mondovì, 10 marzo 1943) che trattano temi universali sviluppati quali il rapporto con la natura, l’antico, l’infanzia e i giochi dell’adolescenza. Il progetto nasce su iniziativa della Fondazione Crc, nell’ambito del progetto «Donare».

[Didascalie delle immagini: 1. Frédérique Nalbandian (Mentone, Francia, 1967), Panacée I,II,III, 2021. Sapone di Marsiglia, stoffa e cassaforma in legno. Vista della mostra «Crossing. Attraversare una collezione», a cura di Cristina Beltrami, allestita fino all'8 dicembre 2024 a Torino, nelle sale di Palazzo Madama. Foto: Giorgio Perrottino; 2. RunoB (Zhang Xiaodong,1992), Un'evoluzione di un delivery rider, 2024. Porcellana dipinta a mano. Vista della mostra «Crossing. Attraversare una collezione», a cura di Cristina Beltrami, allestita fino all'8 dicembre 2024 a Torino, nelle sale di Palazzo Madama. Foto: Giorgio Perrottino; 3. Marta Sforni (Milano, 1966), Ritornello, 2024. Tecnica mista su tavola. Vista della mostra «Crossing. Attraversare una collezione», a cura di Cristina Beltrami, allestita fino all'8 dicembre 2024 a Torino, nelle sale di Palazzo Madama. Foto: Giorgio Perrottino] 

Per maggiori informazioni: https://www.palazzomadamatorino.it.


«MUTUAL AID», ARTE E NATURA SI INCONTRANO AL CASTELLO DI RIVOLI 
[31 ottobre 2024] Sarà perché il cambiamento climatico e il riscaldamento globale sono diventati temi di stringente attualità. Sarà perché sono sempre più evidenti i danni, in molti casi irreversibili, che l’uomo ha fatto agli ecosistemi. Sarà perché da più parti giunge l’invito alla sostenibilità ambientale. Sta di fatto che, negli ultimi anni, è aumentato il numero di artisti che si interessano alla natura non tanto come soggetto delle proprie opere, quanto come parte vitale del proprio processo creativo. Tronchi d’albero, sterpaglie, ciottoli di fiume, piante velenose, ragni, farfalle, lombrichi sono diventati così materia d’arte al pari di un tubetto di colore o di un blocco di marmo. Tutto ha avuto negli anni Sessanta con la Land Art, corrente che in Italia ha avuto tra i suoi pionieri Giuseppe Penone (Garessio, 1947). Ed è proprio l’artista piemontese, insieme con Agnes Denes (Budapest, 1931), ad aprire idealmente il percorso espositivo della mostra «Mutual Aid. Arte in collaborazione con la natura», a cura di Francesco Manacorda e Marianna Vecellio, allestita fino a domenica 23 marzo 2025 al Castello di Rivoli.

Il titolo della rassegna, ideata appositamente per lo spazio della Manica Lunga, si ispira alle teorie che Piotr Kropotkin (1842–1921) presentò nel suo libro «Il mutuo appoggio – Un fattore dell’evoluzione», pubblicato all’inizio del secolo scorso. Ribaltando la visione evoluzionista di Charles Darwin, il filosofo e zoologo russo ipotizzò che, in uno scenario instabile e con risorse limitate, la migliore opzione di sopravvivenza fosse la collaborazione tra specie. Ed è proprio una sinergia tra uomo e mondo naturale quella che anima la mostra del Castello di Rivoli, dove espongono venti artisti internazionali con i loro differenti linguaggi creativi - dal video alla pittura, dal suono all'installazione, dalla scultura alla fotografia –, dando vita a un vero e proprio «organismo vivente» che muta, si decompone e si ricompone sotto gli occhi del visitatore.


Le ragnatele cosparse di polvere di grafite di Tomás Saraceno (San Miguel de Tucumán, Argentina, 1973), le imponenti tele di Vivian Suter (Buenos Aires, 1949) sulla foresta pluviale guatemalteca, le sculture con il fungo Trametes versicolor di Nour Mobarak (Cairo, 1985), l’installazione «Le lâcher d’escargots» («Il rilascio delle lumache» 2009), di Michel Blazy (Monaco, 1966), l’ambiente naturale ricreato da Natsuko Uchino (Kumamoto, Giappone, 1983), dove assaporare un kefir, sono solo alcune delle opere in mostra. Il percorso culmina con l’installazione immersiva «The sun eats her children» (2023) di Precious Okoyomon (Londra, 1993), in cui una serra tropicale accoglie farfalle e piante velenose in un paesaggio surreale; l’ambiente naturale è qui un potente simbolo di forza e rigenerazione. Si chiude così questo affascinante viaggio, dagli anni Sessanta a oggi, che è anche e soprattutto un invito a salvare il pianeta.

[Immagini: 1.Hubert Duprat, Larva di tricottero con il suo astuccio (veduta della mostra), 1980-1994. Oro, opale, perle. Lunghezza 2,5 cm. Photo: H. Del Olmo. © Hubert Duprat, ADAGP, 2024. Courtesy l’artista e / the artist and Art : Concept, Paris; 2. Michel Blazy, Le lâcher d'escargots (Il rilascio delle lumache / The snail release), 2009 (dettaglio).Lumache, moquette marrone, dimensioni variabili. Veduta dell’installazione- Room II, Maison Hermès, Tokyo, Japan, 2016- © Michel Blazy. Courtesy l’artista e Concept, Paris; 3. Nour Mobarak, Apollo Copy (Copia di Apollo), 2023. Micelio di Trametes versicolor, legno intonacato. 30 x 25 x 30 cm, dimensioni totali  100 x 120 x 50 cm. Courtesy l’artista e d Sylvia Kouvali, London / Piraeus] 

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Per maggiori informazioni: https://www.castellodirivoli.org/.

ALLA GAM DI TORINO IL COLORE DI MARY HEILMANN, MARIA MORGANTI E BERTHE MORISOT   
[1° novembre 2024] Colore, luce, tempo quotidiano ed essenzialità del gesto pittorico: sono questi temi a fare da filo rosso tra le mostre di Mary Heilmann (San Francisco, 1940) e Maria Morganti (Milano, 1965), in programma fino al 16 marzo 2025 negli spazi della Gam - Galleria d’arte moderna di Torino, che ha da poco riaperto i battenti con un nuovo allestimento della propria collezione, all’interno del quale Stefano Arienti (Asola, 1961) è «L’intruso», ovvero l’artista ospite invitato a creare degli «inciampi creativi» che interrompono la narrazione espositiva per destare stupore nell’osservatore.

Quella di Mary Heilmann, figura di spicco nell’astrazione contemporanea, è la sua prima grande mostra antologica in Italia. Attraverso sessanta opere, selezionate da Chiara Bertola (con la collaborazione dello Studio Heilmann di New York), vengono ripercorsi sessant’anni di carriera dell’artista americana, dai primi dipinti geometrici degli anni Settanta fino alle recenti tele sagomate in colori fluorescenti.
 
In un percorso ipnotico e gioioso che spazia da «Chinatown» (1976) a «Tube at Dusk» (2022), passando per tele come «French Screen» (1978) o «Driving at Night» (2016), rossi accesi, blu profondi, gialli intensi, verdi vivaci e rosa vibranti, tonalità miscelate a larghe campiture e spesso messe in contrasto tra di loro, si presentano come un «marcatore autobiografico», per usare le parole della stessa pittrice, la cui arte dalle geometrie minimaliste «è influenzata – si legge nella presentazione - dalla controcultura degli anni ‘70, dal movimento per la libertà di parola e dallo spirito surfistico della sua nativa California, che seppe anticipare persino la cultura beat e i successivi movimenti di contestazione del sistema».

Il colore è protagonista anche nell’antologica dedicata a Maria Morganti, con una selezione di lavori realizzati tra il 1988 e il 2024. La rassegna, a cura di Elena Volpato, porta nelle sale della Gam di Torino il cuore dello studio dell’artista milanese di nascita e veneziana d’adozione, «luogo fisico e mentale, dove – si legge nella presentazione - dare forma al tempo attraverso la semplicità di atti quotidiani che compongono, per lento accumulo, il complesso diario cromatico di un’esistenza».
 
Tra «Confronti» con i maestri del passato, «Diari», «Sedimentazioni» e un «Quadro infinito», realizzato ogni giorno dal 2006, c’è in mostra anche la ciotola in cui l’artista crea ogni giorno un nuovo colore, una «melma cromatica» mescolata e rimescolata da anni, erede di una gestualità che guarda alla grande tradizione pittorica lagunare.

Alla Gam di Torino è, inoltre, visibile l’esposizione «Grasso» dedicata ai primi sette numeri della rivista ideata nel 2016 da Giuseppe Gabellone e Diego Perrone. Il nome risponde alla inusuale grandezza del progetto editoriale, un vero fuori formato, che per essere letto deve potersi dispiegare nei suoi due metri di base per tre metri di altezza.

Non manca, poi, nelle sale del museo un omaggio all’arte del passato con la mostra su Berthe Morisot, l’unica pittrice del movimento impressionista francese, della quale sono esposte una cinquantina di opere, tra celebri dipinti, disegni e incisioni, provenienti dalle istituzioni più importanti d’Europa (tra cui il Musée d'Orsay di Parigi e il Museo Nacional Thyssen-Bornemisza di Madrid) e da preziose collezioni private. «Sfera familiare», «Ritratti femminili», «Paesaggi e giardini» e «Figure nel verde» sono le quattro sezioni in cui si articola il percorso espositivo, tutte accomunate dalla luce, quella con cui la pittrice francese smaterializzava l’apparenza condensandola in un istante irripetibile. A queste sezioni si affianca una sala dedicata a un’importante raccolta di opere su carta, provenienti dal Musée Marmottan Monet di Parigi. 

Tra le opere in mostra, per la curatela di Maria Teresa Benedetti e Giulia Perin, ci sono «Eugène Manet all’isola di Wight» (1875), «Eugène Manet e sua figlia nel giardino di Bougival» (1884), «Donna con ventaglio o Al ballo» (1875), «Il Ciliegio» (1891), «Pasie che cuce nel giardino» (1881-82) e «La ciotola del latte» (1890), dipinto, quest'ultimo, esposto per la prima volta in Italia e venduto in un’asta Sotheby’s a maggio 2022 per più di un milione di euro, a dimostrazione della costante valorizzazione che l’opera della pittrice acquista nel tempo. L’allestimento della mostra, che sarà visibile fino al 23 febbraio 2025, accoglie, poi, anche un display realizzato da Stefano Arienti. L'artista utilizza materiali differenti come ritratti di Berthe Morisot rivisitati, elementi olfattivi, nastri di stoffa in raso e organza, carte da parati, oggetti dell’epoca, per fare da sfondo ai meravigliosi e ariosi dipinti della pittrice impressionista, la cui massima espressione si ha nelle scene en plein air, sempre caratterizzate da atmosfere vibranti e cromaticamente intense. 

[Didascalie delle immagini: 1. e 3. Maria Morganti. Vista della mostra in corso fino al 16 marzo 2025 alla Gam - Galleria d'arte moderna di Torino. Foto: Luca Vianello e Silvia Mangosio; 2. Mary Heilmann. Vista della mostra in corso fino al 16 marzo 2025 alla Gam - Galleria d'arte moderna di Torino. Foto: Nicola Morittu; 4. Installazione della mostra di Berthe Morisot alla Gam di Torino. Foto: Perrottino]

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Per saperne di più: https://www.gamtorino.it/.


SALVO ALLA PINACOTECA AGNELLI 
[30 ottobre 2024] Il 1973 è convenzionalmente un anno importante per Salvo Mangione (Leonforte, 1947-Torino, 2015). L'artista incomincia a dedicarsi esclusivamente alla pittura (rimanendovi fedele per i successivi quarant’anni), sebbene sia ancora legato al linguaggio concettuale e all'Arte povera. Risalgono a quell'anno due mostre importanti che documentano la svolta, una alla John Weber Gallery di New York - con fotomontaggi di immagini tratte dalla stampa periodica sul tema dell'autorappresentazione -, l’altra alla Galleria Toselli di Milano - con due tele di grandi dimensioni come «San Giorgio e il drago» e «San Michele sconfigge Satana», dove i volti dei santi diventano autoritratti. È questo il primo capitolo della grande antologica «Arrivare in tempo», a cura di Sarah Cosulich e Lucrezia Calabrò Visconti, aperta dal 1° novembre 2024 al 25 maggio 2025 alla Pinacoteca Agnelli di Torino.

Articolata sui tre piani dello spazio espositivo, la mostra allinea più di centosettanta opere e affronta alcuni dei motivi fondamentali nella ricerca dell’artista: «il concetto di ripetizione nell’esplorazione di motivi ricorrenti, inteso sia come tecnica pittorica sia come urgenza concettuale; la riflessione sulla pittura come linguaggio e sul linguaggio come arte; il rapporto tra storia dell’arte e sguardo sulla quotidianità».

Il percorso è immaginato come una passeggiata che parte dallo studio di Salvo per uscire, poi, alla scoperta del mondo, raccontato attraverso motivi ricorrenti quali i bar con i giocatori di flipper o di biliardo, le strade illuminate dai lampioni, le fabbriche, i porti, i tetti innevati dei paesi di montagna, le rovine dell’antichità in paesaggi di un’arcadia immaginata, il mare.

Non mancano lungo il percorso espositivo i cieli incendiati dal tramonto, un tema caro all’artista. Ed è proprio a un aneddoto legato a questo soggetto che è ispirato il titolo dell’esposizione torinese: in una lettera a Giuseppe Pontiggia, presente in mostra, Salvo racconta, infatti, che, dopo un piccolo tamponamento da lui causato, si scusò con il malcapitato dicendo che cercava di arrivare in tempo per vedere il tramonto.

In occasione di «Artissima» (in programma dal 1° al 3 novembre), la Pinacoteca Agnelli inaugura anche, sulla Pista 500, due nuove opere site-specific: l’installazione neon ambientale «Come Run With Me» di Monica Bonvicini (1965) e l’immagine sul billboard «My Mother Was My First Country» di Chalisée Naamani (1995), una riflessione, quest’ultima, sulla funzione propagandistica del cartellone pubblicitario.

[Image Courtesy Pinacoteca Agnelli, Torino - Ph. Credit Sebastiano Pellion di Persano]

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Maggiori informazioni sul sito https://www.pinacoteca-agnelli.it/.


NAM JUNE PAIK AL MAO – MUSEO ARTE ORIENTALE 
[31 ottobre 2024] È il 1996 quando l’artista sudcoreano Nam June Paik (Seul, 1932 – Miami, 2006), uno dei pionieri della video arte e tra le voci più significative di Fluxus, posiziona un coniglietto di legno davanti a uno schermo televisivo sul quale compare la luna: nasce così «Rabbit Inhabits the Moon», un’opera iconica che vuole invitare l’osservatore a riflettere sul potere dei mass media e sui riti della società capitalistica occidentale.

Quasi trent’anni dopo quell’installazione, che si rifà a un topos letterario caro a diverse culture asiatiche, dà il titolo alla mostra, per la curatela di Davide Quadrio e Joanne Kim, con Anna Musini e Francesca Filisetti, che il Mao – Museo d’arte orientale di Torino dedica fino al prossimo 23 marzo all’artista, in occasione del 140° anniversario delle relazioni diplomatiche tra Corea e Italia.

In un allestimento che fa dialogare realtà e immaginazione, tradizione e tecnologia, e dove è centrale l’elemento sonoro e performativo, diciassette lavori di Nam June Paik – perlopiù in prestito dalla Fondazione Bonotto – sono messi a confronto con nuove produzioni degli artisti coreani Kyuchul Ahn, Jesse Chun, Shiu Jin, Young-chul Kim, Dae-sup Kwon, Chan-Ho Park, Sunmin Park ed eobchae × Sungsil Ryu.
Completa il percorso espositivo una selezione di preziosi manufatti tradizionali che forniscono il contesto storico per i riferimenti spirituali e tradizionali a cui le opere attingono. Questi lavori, tra cui spiccano uno specchio in bronzo a otto lobi di epoca Goryeo e una bottiglia piriforme in gres del XV secolo, sono stati dati in prestito da prestigiose istituzioni, tra le quali il Musée Guimet - Musée national des Arts asiatiques, il Museo d’arte orientale «E. Chiossone» di Genova e il Museo delle Civiltà di Roma.

In occasione della Notte del contemporaneo, in programma a Torino sabato 2 novembre, il Mao – Museo d’arte orientale presenta anche la seconda edizione di «Declinazioni contemporanee», il programma di residenze d’artista e commissioni site-specific che interpreta, rilegge e valorizza il patrimonio museale attraverso il linguaggio della creatività contemporanea.
Durante la serata verranno presentati l’installazione «Ancient Desires - Memories of Water & Earth» di Qiu Zhijie, con cento vasi votivi decorati a mano dall’artista con iscrizioni di preghiere, il progetto «Mappamundi» di Charwei Tsai e «Ultraworld» di Patrick Tuttofuoco, opera luminosa realizzata per la facciata del museo, nell’ambito del progetto «Costellazioni» di «Luci d’artista».


Per maggiori informazioni: https://www.fondazionetorinomusei.it.


DA CHRISTIAN CHIRONI ALLE «MOVIE ICONS», LE MOSTRE AI MUSEI DELL’AUTOMOBILE, DEL CINEMA E DELLA MONTAGNA
[2 novembre 2024] Torino non è solo un punto di riferimento per l'arte contemporanea grazie alle «Luci d'artista», a musei come il Castello di Rivoli e la Gam - Galleria d'arte moderna, al circuito delle sue gallerie private e ai tanti festival dedicati ai linguaggi dell'oggi - da «Artissima» a «The Others», da «Paratissima» a «Flashback Habitat» -, ma è anche storicamente la città del cinema, dell'automobile e della montagna. Qui, dove le Alpi sono poco distanti, il 7 novembre 1896 i fratelli Lumière allestirono, per iniziativa del fotografo Vittorio Calcina, la loro prima proiezione italiana; mentre l'11 luglio 1889 nasceva la Fiat, fondata all'epoca come «Società Anonima Fabbrica Italiana di Automobili – Torino». A queste tre eccellenze cittadine sono dedicati altrettanti musei, che, in occasione della Art Week torinese, hanno aperto le proprie porte all’arte contemporanea.

Nella Project room del Mauto, il museo nazionale dell’automobile che il 15 novembre inaugurerà la mostra storica «125 volte Fiat», Christian Chironi presenta, fino al 12 gennaio 2025, l’esposizione «Torino Stop», della quale è protagonista una Fiat 127 Special del 1971. La vettura, ribattezzata «Camaleonte» per la sua capacità di cambiare colore in base al contesto in cui sosta, è stata al centro di una performance itinerante, che ha toccato varie città del mondo - da Parigi a Marsiglia, da La Plata a Bologna, per giungere a Torino nei giorni di «Artissima 2024». Il drive tour ha seguito il filo rosso delle abitazioni ideate dal celebre architetto e urbanista svizzero Le Corbusier (pseudonimo di Charles-Édouard Jeanneret-Gris, 1887-1965), dando così vita – si legge nella nota stampa - a «una tastiera architettonica, dove i colori si accostano come suoni», secondo l’idea che «una casa è una macchina da vivere».
Nella Project Room del Mauto, accanto all’automobile, sono esposte opere che attingono a svariati linguaggi e discipline - dalla fotografia al collage, dalla scultura alla videoinstallazione – insieme a elementi provenienti dalle precedenti tappe del progetto itinerante. Per l’occasione, Christian Chironi firma «Supercar», un’installazione luminosa per la facciata dell’edificio di corso Unità d’Italia.

Una «Luce d’artista», ovvero «Il volo dei numeri» di Mario Merz, illumina anche la Mole Antonelliana, sede del Museo del cinema, dove è allestita, fino al 13 gennaio 2025, la mostra «Movie Icons», a cura di Domenico De Gaetano e Luca Cabler, con centoventi oggetti di scena, costumi e memorabilia provenienti dai set di Hollywood, in un percorso che spazia dalla piuma di «Forrest Gump» alla bacchetta magica di «Harry Potter», dal casco degli Stormtrooper di «Guerre stellari» fino alla pallottola di «Matrix».

Infine, al Museo della montagna è possibile vedere, fino al 29 giugno 2025, la mostra d’arte contemporanea «Walking Mountains», curata da Andrea Lerda e con Hamish Fulton e Michael Höpfner come mentori, che interpreta il cammino non solo come attività fisica rigenerante, ma anche come gesto culturale e politico attraverso il lavoro di una ventina di artisti, tra cui compaiono figure storiche come Richard Long e Joseph Beuys.

Nella stessa sede è allestita anche l’esposizione «Era come andare sulla Luna. K2 1954», con attrezzature, fotografie, pubblicità, giornali e registrazioni che raccontano l’impresa del 31 luglio 1954 sul K2. Chiude il percorso un’installazione artistica del collettivo D20 Art Lab.

[Didascalie delle immagini: 1. e 2. Vista dell'esposizione «Torino Stop» di Christian Chironi, allestita fino al 12 gennaio 2025 al Mauto - Museo dell'automobile di Torino. Photo Credits Cosimo Maffione - Courtesy: Museo dell'automobile di Torino; 3. Vista della mostra «Movie Icons», a cura di Domenico De Gaetano e Luca Cabler, allestita fino al 13 gennaio 2025 al Museo del cinema di Torino. Foto: Marco Carossio. Courtesy: Museo nazionale del cinema, Torino]

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PAV, ORG E FONDAZIONE SANDRETTO RE REBAUDENGO: SCRIGNI D’ARTE E DI ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE

[3 novembre 2024] Torino non è solo la città dell’automobile e del cinema, ma è anche un centro nevralgico di archeologia industriale, che ha visto riconvertire, grazie a sapienti progetti di rigenerazione urbana, alcuni delle sue vecchie fabbriche storiche in spazi museali. È il caso delle Officine grandi riparazioni – Org, dove un tempo ci si occupava della manutenzione dei treni e che ora è un centro di innovazione e creatività.

Fino al 2 febbraio 2025, la suggestiva cornice del Binario 1 appare trasformata in un ambiente immersivo psichedelico grazie a «Retinal Rivalry », progetto dell’artista francese Cyprien Gaillardon (Parigi, 1980), per la curatela di Simone Piazza, presentato in anteprima alla Fondazione Beyeler di Basilea, nell’ambito della collettiva «Summer Exhibition».
Attraverso un gioco di immagini stereoscopiche in movimento, il mezzo filmico perde la sua bidimensionalità e si trasforma in scultura. Il flusso visivo mescola visioni differenti, rievocando alcune architetture tipiche della Germania, dall’Oktoberfest alle rovine romane ritrovate in un parcheggio sotto la cattedrale di Colonia, da un Burger King di Norimberga a un paesaggio romantico di Bastei, formazione rocciosa più volte dipinta dal pittore Caspar David Friedrich. La colonna sonora arricchisce la visione grazie al mixaggio di melodie e suoni diversi, che mettono insieme ritmi sudanesi con le note di un organo incontrato per le strade di Weimar.

Altro spazio di archeologia industriale è il Pav – Parco arte vivente, centro sperimentale concepito dall’artista Piero Gilardi su un ex sito industriale della Framtek, azienda produttrice di molle, affiliata al Gruppo Fiat. In questa sede è allestita, fino al 15 febbraio 2025, «Cambio de Fuerza», la prima mostra personale in Italia dell’artista ecuadoregno Adrián Balseca (Quito, 1989), curata da Marco Scotini, il cui titolo fa riferimento allo slogan «La fuerza del cambio» («La forza del cambiamento») utilizzato alla fine degli anni '70 durante la campagna elettorale di Jaime Roldós Aguilera, primo presidente democraticamente eletto, nel 1979, dopo il periodo della dittatura.

Attraverso una serie di progetti realizzati negli ultimi dieci anni che combinano fatti reali, archivi storici, etno-fiction e memoria, la rassegna indaga il ruolo dell’essere umano come attore consapevole nell’eco-sistema, sottolineando le interconnessioni tra economia, ecologia e memoria, e analizzando le dinamiche di potere legate all’estrazione delle risorse naturali.
Tra le opere esposte è possibile vedere «Plantasia Oil Co.» (2021-ongoing), un'installazione composta da barili e lattine che un tempo contenevano olio per motori e lubrificanti industriali prodotti da aziende italiane e transnazionali, e «The Unbalanced Land» (2019), un lavoro sulle trasformazioni dei sistemi capitalistici e coloniali in America Latina, nel quale suoni, fotografie e oggetti scultorei danno vita al resoconto di viaggio «Travels Amongst the Great Andes of the Equator» (1892) dello scienziato ed esploratore britannico Edward Whymper. Vale la pena ricordare che l’attenzione all’ambiente anima anche la mostra di «Mitch Epstein. American Nature», allestita fino al 2 marzo 2025 alle Gallerie d’Italia di Intesa San Paolo.

In Borgo San Paolo, nell'area dell'ex Fergat che produceva cerchioni per automobili, c’è l’ultima tappa del nostro percorso tra le mostre che hanno aperto nei giorni di «Artissima» e che coloreranno l’autunno di Torino: la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, il cui programma espositivo guarda alla scena internazionale, con tre promettenti nomi dell’arte contemporanea.
Si inizia con lo scultore olandese Mark Manders (Volkel, Paesi Bassi, 1968), noto per le sue innovazioni concettuali e materiche nel campo della scultura, che presenta fino al 15 marzo 2025 «Silent Studio», la sua prima mostra antologica in un’istituzione italiana, con più di venti opere, tra sculture e installazioni, in bronzo, acciaio, ferro, ma anche carta e pittura, realizzate nel corso di oltre trent’anni, sull'idea dell’autoritratto concepito come edificio.
Mentre in «Your Mouth Come Second», Stefanie Heinze (Berlino, 1987), alla «prima mostra personale istituzionale», racconta la sua ricerca pittorica con disegni a matita, inchiostro, penna a sfera e collage, nel quale è centrale l’esplorazione di tematiche quali la tenerezza e la vulnerabilità.
A concludere il cartellone c’è il vincitore del Premio illy Present Future 2023: Bekhbaatar Enkhtur. L’artista, classe 1994, presenta, fino al 5 gennaio 2025, la mostra «Hearsay», un’indagine sul potenziale simbolico degli animali e degli esseri umani, realizzata attraverso figure a bassorilievo metallico, dove la mitologia della sua terra natale, la Mongolia, prende vita anche tramite materiali organici come argilla, cera e paglia.

[Didascalie delle immagini: 1. Vista di Retinal Rivalry », progetto dell’artista francese Cyprien Gaillardon (Parigi, 1980) esposto alle Officine grandi riparazioni - Org di Torino fino al 2 febbraio 2025; 2. Adrián Balseca, Recolector (Estela negra), 2019. 35mm photograph, 51 cm x 43 cm; 3. Bekhbaatar Enkhtur, vincitore dell'Illy Present Future Prize 2023. Vista dell'installazione: Perottino-Piva-Peirone / Artissima]  

Per maggiori informazioni: https://ogrtorino.it/ | http://parcoartevivente.it  | https://fsrr.org.



a cura di Annamaria Micaela Sigalotti


[ultimo aggiornamento domenica 3 novembre 2024, alle ore 18:10

domenica 12 giugno 2022

#notizieinpillole, cronache d'arte della settimana dal 6 al 12 giugno 2022

Al Mao di Torino «La stagione delle gru», il nuovo allestimento della galleria giapponese
La gru è un uccello dalla forte valenza simbolica in Asia orientale e, per la sua bellezza e le sue movenze aggraziate, è considerato un generico emblema di buon augurio. Per la sua capacità di compiere lunghe migrazioni, che creano l’illusione di un perpetuo ritorno da luoghi lontani, in Cina le gru sono anche state associate agli immortali taoisti, per i quali, secondo l’iconografia tradizionale, costituiscono spesso il mezzo di trasporto prediletto. Queste messaggere delle divinità sono quindi, prima di tutto, una metafora di longevità.
In occasione di una delle periodiche rotazioni a scopo conservativo che interessano la galleria giapponese, il Mao di Torino espone, a partire da martedì 7 giugno, la raffinata coppia di paraventi «Gru (tsuru)» del XVII secolo: quindici gru di varie specie sono raffigurate in un ambiente palustre, avvolto in una nebbia dorata. Il baluginio e la luminosità dei paraventi, che quasi rischiarano la sala, sono dovuti al prezioso sfondo in foglia d’oro (kinpaku), riportato al suo antico splendore grazie a un restauro finanziato nel 2011 dall’associazione Amici della Fondazione Torino Musei. Lo stile naturalistico è caratterizzato dalla pienezza dei colori, da un'attenta ricerca di pose differenziate ed eleganti e dall’armonia dell’insieme.
Nella stessa sala sarà collocata un’altra coppia di paraventi a sei ante risalenti al XVII secolo che raffigurano una ricca composizione di crisantemi in fiore. Il soggetto è di origine cinese; richiama la stagione autunnale ed è simbolo della vita appartata del letterato lontano dagli incarichi ufficiali. In Giappone conobbe un grandissimo successo, tanto da essere adottato anche come stemma dalla famiglia imperiale: una corolla di crisantemo dorata a 16 petali, che evoca lo splendore del sole.
La rotazione conservativa prosegue al secondo piano della galleria giapponese con l’esposizione di otto kakemono, i delicati dipinti su rotolo verticale, e una selezione di lacche, tra cui emerge una scatola per la cerimonia del tè (chabako) con fondo rosso e fini tralci vegetali decorati con foglie e fiori in rilievo in ceramiche di vari colori, metalli dorati e madreperla. Lo stile evocato è chiamato «Haritsu», dal nome del poliedrico artista Ogawa Haritsu (1663-1747), apprezzato decoratore di lacche polimateriche, pittore e poeta di haiku.
Per maggiori informazioni: www.maotorino.it

Didascalie delle immagini: 1. Titolo: inro con uccello e ciliegio in fiore Oggetto: scatolina a cinque compartimenti Soggetto: decorazione di uccello su posatoio e ciliegio in fiore Cronologia specifica: 1750 ca. Dinastie: Edo (Tokugawa) Materia e Tecnica: Legno laccato; decorazione in oro, argento e pigmenti; 2. Titolo: chabako con rilievi vegetali Oggetto: scatola per cerimonia del tè Soggetto: decorazione vegetale in rilievo Cronologia specifica: 1800 ca. Dinastie: Edo (Tokugawa) Materia e Tecnica: Legno con laccatura rossastra superficiale; decorazione in oro e ceramica, madreperla, metalli, pigmenti

Forte dei Marmi: «un incontro inaspettato» a Villa Bertelli tra Catarsini e Treccani
L’arte rende possibile ciò che, forse, non è mai accaduto. A Forte dei Marmi, sul mare toscano, la pittura di Alfredo Catarsini incontra quella di Ernesto Treccani. Avviene a Villa Bertelli, dove fino al 31 luglio va in scena la mostra «Un incontro inaspettato. Catarsini e Treccani allo specchio», per la curatela di Rodolfo Bona.
Ventuno anni di differenza d’età e una generazione separavano i due artisti, la cui pittura è stata caratterizzata dal comune amore per uomini e cose in una concreta adesione ai fatti dell’esistenza. Il milanese era spesso lontano dal suo studio, intento in abituali soggiorni creativi che, negli anni Novanta, lo portarono a Macugnaga, Gropparello, Nizza e Forte dei Marmi, cittadina della Versilia tanto vicino a Viareggio, luogo dal quale Alfredo Catarsini esitava a staccarsi e al quale era quasi visceralmente legato.
Malgrado questa vicinanza tra le due località toscane, fino a oggi non è documentato un incontro tra i due artisti, accomunati, però, dall’amore per la Versilia e da alcune frequentazioni come quelle con Carlo Carrà, Raffaele De Grada e altri.
L’incontro virtuale tra Alfredo Catarsini e il maestro di Corrente avviene, questa estate, in Sala Treccani, dove sono custodite permanentemente sette opere dell’artista milanese, realizzate fra gli anni Settanta e Ottanta, che rappresentano soggetti dal naturalismo liricamente trasfigurato, caratterizzati da «forme espanse, – scrisse Raffaele De Grada - senza controllo lineare e tantomeno geometrico, che tuttavia creano contrasti e dissonanze che non suggeriscono piacevolezza informale ma sono il sintomo di un dramma che si sfoga nel colore». Qui, fino a fine luglio, saranno visibili anche otto lavori di Alfredo Catarsini che si riflettono, da una parete all’altra della sala, come in uno specchio, con quelli di Ernesto Treccani in un confronto ideale sulla forma e la sua strutturazione o destrutturazione, dove i protagonisti sono l’uomo, la natura e il colore.
In questo ultimo scorcio di primavera, l’artista viareggino è al centro anche di una mostra a Massa Carrara, a cura di Marilena Cheli Tomei, che, dal 10 al 18 giugno, presenta alla Biblioteca civica di piazza Mercurio diciassette opere (dipinti, disegni a china, bozzetti di affreschi) di epoche differenti, riunite sotto il titolo «I paesaggi dell’anima».
Per maggiori informazioni: www.fondazionecatarsini.com | www.villabertelli.it.

Alla Galleria Nuages «La Milano di Luciano Francesconi»
Rimarrà aperta fino al prossimo 25 giugno a Milano, negli spazi della Galleria Nuages, la mostra «La Milano di Luciano Francesconi (1934-2011)» (orari: 14-19, sabato 10-13 e 14-19; chiuso festivi e lunedì | ingresso libero), curata da Cristina Taverna e Margherita Zanoletti. L’esposizione presenta per la prima volta una selezione esclusiva di opere grafiche su carta, con cui il maestro vignettista spezzino, storica firma del «Corriere della Sera» e amico di Dino Buzzati, ritrae episodi, luoghi e personaggi della città di Milano, raccontando uno spaccato della storia recente della città.
Dopo la rassegna allestita alla Triennale di Milano nel 2014 e la retrospettiva del 2016 ai Musei civici di La Spezia, la mostra in via del Lauro segue un importante fil rouge del lavoro di Luciano Francesconi: Milano. La viabilità, il commercio, le aree verdi, episodi di cronaca e politica, la gestione amministrativa, l’ambiente sono solo alcuni dei temi che, con levità e arguzia, il vignettista ritrasse nei suoi disegni.
I materiali in mostra alla Galleria Nuages risalgono agli ultimi anni della carriera dell’artista. Si tratta di disegni a china su carta Fabriano: vignette in bianco e nero su semplici fogli A4. «Ciascun disegno – raccontano i curatori - è l’istantanea di un momento storico: un flashback essenziale che fa rituffare l’osservatore nel passato recente di Milano. È lo specchio di una visione delle cose e del mondo, è il racconto pulito e divertito di un occhio sensibile, capace di sintetizzare la complessità in pochi tratti grafici di immediato impatto comunicativo. Con leggerezza, umorismo e talvolta cinismo».
Per maggiori informazioni: tel. 02.72004482 | nuages@nuages.net | www.nuages.net.

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sabato 11 giugno 2022

#notizieinpillole, Milano Design Week 2022: le mostre da vedere nel week-end del Salone del mobile

La città di Milano torna protagonista della scena internazionale grazie al design. Fino al 12 giugno, in concomitanza con il Salone del Mobile, che quest’anno celebra il traguardo delle sessanta edizioni, progettisti, aziende e università presentano mostre, idee e installazioni per provare a immaginare il futuro che verrà. «Tra spazio e tempo» è, infatti, il tema conduttore della Milano Design Week, promossa da Fuorisalone.it, che quest’anno invita a riflettere sui cambiamenti in atto nel mondo di oggi: dalle trasformazioni urbane al ruolo dell’economia circolare, dalla diffusione delle energie rinnovabili ai nuovi materiali e all’ottimizzazione dei processi produttivi, passando per le opportunità date dalle nuove frontiere del web3.

Fuorisalone Award, un premio per celebrare il meglio del design
C’è un sito per scoprire tutto quello che bolle in pentola nei giorni della Milano Design Week 2022. È Fuorisalone.it, che per questa edizione propone due novità: l’area riservata per organizzare la propria agenda di visita e la sezione «Inspire» (un viaggio per immagini alla scoperta dei progetti più interessanti e innovativi). 
Si può così organizzare il proprio percorso tra le proposte dei distretti cittadini del design: Brera, Tortona, Isola, Milano Durini e 5Vie, ovvero il blocco di vicoletti e stradine del centro storico, tra via Torino e via Meravigli. 
La Milano Design Week offre al pubblico, in questi giorni, anche tanti progetti imperdibili come, per esempio, la seconda edizione di «We Will Design» a Base, il «Superdesign Show» a Superstudio, la ricca offerta espositiva della Triennale e il «Baranzate Ateliers», che propone all’interno dell’ex fabbrica Necchi, icona del patrimonio industriale italiano, un percorso espositivo dedicato al design da collezione e all'arte sperimentale.
Tra le novità del 2002 c’è il Fuorisalone Award, riconoscimento che premierà i contenuti e gli allestimenti più memorabili presentati nel corso della settimana. 
Da un lato, il premio del pubblico celebrerà le installazioni più distintive in mostra a Milano coinvolgendo attivamente i visitatori, che potranno votare on-line sulla piattaforma digitale di Fuorisalone.it.
Dall’altro, un lavoro congiunto da parte di un comitato tecnico porrà l’attenzione su contenuti di rilevanza per il mondo del progetto e del design, qualitativamente innovativi e ricchi di significato. 
I progetti selezionati concorreranno ad aggiudicarsi le quattro menzioni speciali per le categorie: interazione, sostenibilità, tecnologia, comunicazione.
Al vincitore del Fuorisalone Award verrà consegnato sia il premio fisico, realizzato dalla stampa 3D del modello tridimensionale sviluppato, che il relativo NFT, attraverso cui potrà visualizzare nel dettaglio l’elaborazione dei dati del Fuorisalone degli ultimi due anni. 
La rappresentazione tridimensionale dei dati complessi sarà affidata a Mauro Martino, artista digitale e Principal Research Scientist al MIT-IBM Watson AI Lab, dove ha fondato e dirige il «Visual Artificial Intelligence Lab». La produzione dell’NFT e la gestione del contenuto digitale del premio verrà realizzata da Unframed721.
Per maggiori informazioni: www.fuorisalone.it.

Didascalie delle immagini: Tre parole chiave del Fuorisalone. Campagna di comunicazione di Fuorisalone.it

Dal gruppo Memphis a Mathieu Lehanneur: le mostre della Triennale per la Milano Design Week
La Triennale di Milano rinnova il proprio ruolo di istituzione di riferimento per il design internazionale e, in occasione della sessantesima edizione del Salone internazionale del mobile e della Milano Design Week, presenta un ricco cartellone di mostre, progetti ed eventi collaterali.
Cuore pulsante del programma è la mostra «Memphis Again», curata da Christoph Radl, che riunisce oltre duecento tra mobili e oggetti progettati dal gruppo Memphis tra il 1981 e il 1986, molti dei quali sono diventati delle icone del design. Nello spazio della Curva di Triennale, lunga oltre cento metri, gli oggetti sono esposti, fino al prossimo 12 giugno, in ordine cronologico, come una sfilata, nella quale sarà lo spettatore a muoversi lungo la passerella in un’atmosfera da night club suggerita dall’allestimento e dalla colonna sonora di «Seth Troxler». Alle pareti sono proiettate frasi di protagonisti, critici, architetti e designer.
Le altre mostre presentate negli spazi del Palazzo dell’Arte per la Milano Design Week offrono un approfondimento di alcuni dei temi centrali del dibattito contemporaneo, come la sostenibilità ambientale e lo sviluppo consapevole in relazione alla scarsità di materiali. È il caso di «Forest Tales», curata e progettata dallo Studio Swine: un manifesto contro lo spreco nel design, un appello per una scelta più ponderata dei materiali e una sfida allo status quo, che vede esporre, tra gli altri, Thomas Heatherwick, Jaime Hayon, Maria Jeglinska-Adamczewska, Maria Bruun e Mac Collins. 
Su questa scia si muovono anche «Gilco 100 road bike», che presenta una bicicletta da strada nata per festeggiare il centenario di Gilberto Colombo, «The Twist: Cultural and Emotional», che espone cinque nuove sedute progettate dal brand giapponese Koyori, e il progetto installativo «The Tokyo Toilet / Milano», realizzato dal collettivo di artisti giapponese Skwat.
Mentre le mostre
«In a Box», dedicata alla produzione del designer austriaco Arthur Arbesser, «Driade On Stage», che si avvale della direzione artistica di Fabio Novembre, e «Cactusrama» restituiscono un'idea di abitare che interpreta le tendenze del costume con una messa in scena spettacolare. «The Inventory of Life» del designer francese Mathieu Lehanneur propone, invece, una rappresentazione di fenomeni sociali attraverso dati e installazioni che documentano lo stato della popolazione mondiale e le conseguenze dei suoi comportamenti sulla terra.
Completa l’offerta un Public Program dedicato ai protagonisti del mondo della progettazione con incontri, lecture e proiezioni. Il 9 giugno si terrà, per esempio, il Side Event del festival New European Bauhaus, promosso dalla Commissione europea a Bruxelles; l’incontro sarà intitolato «Le Tesi di Milano» e vedrà coinvolte diverse realtà cittadine e nazionali su temi della bellezza, della sostenibilità e dell’inclusione.
Al di fuori del Palazzo dell’Arte, sempre in occasione della Milano Design Week, Triennale inaugura «Il padiglione del vetro», terza mostra di design all’interno dell’Aerostazione di Milano Linate, che presenta una selezione di oggetti della collezione permanente.
Per maggiori informazioni: www.triennale.it


Nelle foto:Allestimento della mostra «Memphis Again», allestita fino al 12 giugno 2022 alla Triennale di Milano. IMG © Delfino Sisto Legnani e Alessandro Saletta - DSL Studio

Debutto italiano per le creazioni in ceramica del lighting designer americano Jonathan Entler
Pezzi unici, fatti a mano, dalle forme sinuose ed eclettiche. Eleganti creazioni declinate in un’ampia varietà di colori che uniscono l’alta artigianalità alla sofisticata tecnologia della stampante 3D. La ceramica del lighting designer e artista americano Jonathan Entler, con base a Los Angeles, approda per la prima volta a Milano in occasione della Design Week. Nei suggestivi ambienti Liberty de La Villa, nel cuore di NoLo (tra Centrale e Pasteur), è esposta una collezione di chandelier, lampade da terra, applique da muro e lampade da tavolo, che documentano la perfetta applicazione dell’elemento luminoso alle forme scultoree in argilla, materiale che il ceramista statunitense ha sperimentato sin da piccolo conoscendone così in maniera approfondita le varie condizioni e metamorfosi che esso attraversa prima di giungere alla sua forma finale nel forno.
Sviluppata sui primi due livelli dell’edificio, la mostra presenta al piano terra un grande chandelier a otto braccia in ceramica nera lucida dalle imponenti dimensioni, che scandisce il passaggio attraverso la veranda vetrata che porta al giardino; mentre al piano superiore accolgono il visitatore un grande lampadario nel corridoio e due ambienti allestiti con lampade da tavolo, da terra, da parete, di dimensioni e colori diversi.
Ne scaturisce un dialogo inedito fra il design contemporaneo della collezione e le atmosfere liberty che caratterizzano la dimora, con i suoi pavimenti in parquet e seminato veneziano, i serramenti in legno e ferro dipinto, accostati ad arredi vintage capaci di creare un ambiente ricercato e accogliente.
Caratterizzate da forme gentili e sinuose, che richiamano il design anni Sessanta, elegante e dal mood psichedelico, le lampade di Entler si presentano con una struttura modulare che intervalla elementi in ceramica a inserti in ottone. Ispirate al mondo organico, si compongono di una base curvilinea da cui dipartono una o più braccia tubolari alle cui estremità si trova un globo luminoso. Il punto di forza di queste lampade è la molteplicità di configurazioni che possono assumere: rifinite con smalti opachi o lucidi dall’ampia gamma cromatica possono variare nelle altezze e lunghezza delle braccia.
Per maggiori informazioni: https://entler.co.

Nelle immagini: installation views a La Villa della mostra del lighting designer e artista americano Jonathan Entler per la Milano Design Week 2022. Photo credit Silvia Galliani

«What About Me?»: alla Casa Museo Boschi Di Stefano di Milano va in scena il gioiello «scomposto»
C’è anche un omaggio al mondo dei monili nel ricco programma della Milano Design Week 2022. Alla Casa Museo Boschi Di Stefano l’associazione DcomeDesign presenta la mostra «What About Me? Il gioiello scomposto», a cura di Anty Pansera.
Su una consolle, un tavolo, e alcuni tavolini in marmo di Rudy Faissal e Lit Studio, creati dalla fiorentina Pietre di Rapolano, sono esposti dieci particolarissimi gioielli, realizzati undici designer, che lavorano a quattro mani o singolarmente, con materiali eterogenei, anche di riciclo, e accomunati dalla facoltà di trasformarsi da bellissimi ornamenti per il corpo a «complementi d’arredo» di ogni sorta.
Cristina Busnelli presenta «Caliset»: una collana formata da tre piccoli arazzi di diverse forme con segni colorati in rilievo, da portare al collo o da riporre in un piccolo contenitore come elemento di decoro. Al mondo della tessitura guarda anche Michela Cavagna con «Ap-peso», un orecchino, ma anche una spilla, ispirato al mondo dei tarocchi che si trasforma in appendiabiti e decoro murale.
Il team Fresa Venezia design presenta, invece, «forcella», un pendente trasformabile in porta bacchette/posate e fermacarte, che omaggia la città di Napoli prendendo nome dal famoso quartiere Forcella e forma dalla pitagorica «y» che lo caratterizza. Mentre Chiara Frigerio, con il suo «Fiore all’occhiello», propone una maxi-spilla floreale in cartonato che si trasforma in un particolare vaso pensile o da parete.
Marlisa Marasco, poi, mette in mostra «Mo’», esortazione calabrese «al fare ora» che dà nome e significato conviviale a una collana doppio verso trasformabile in set da picnic per due. Tiziana Redavid gioca, invece, sul doppio nome «Metamorfosi (Épi - Taraxacum)», presentando un braccialetto che si scompone nelle innumerevoli palline di cui è composto, trasformandosi in un vassoio dai tanti utilizzi.
La designer Sabrina Sguanci e la tessitrice Laura De Cesare presentano in tandem «Solare», gioiello tessile che si trasforma in luce, dove la tessitura a nido d’ape a quella dell’oreficeria applicata su metalli poveri accolgono una cella fotovoltaica miniata con led. Mentre «E-clips» di Eliana Valenti è un collier rigido - ma anche un bracciale a cerchio e anello - che si scompone trasformandosi in un attaccapanni a muro: un nome che gioca sulla forma dell’eclissi e sulla clip dell’aggancio. «Bosco di lucciole» dell’architetta Antonella Venezia è, invece, un bracciale in acciaio e pelle, che appoggiandosi su una piccola base si trasforma in una lampada da comodino, utile e versatile. Infine, il bracciale «Zen» di Monica Pilenghi è anche un dissuasore sonoro da 130Db, azionabile in caso di necessità con un semplice movimento di chi lo indossa, che prevede l’inserimento di un localizzatore GPS tramite App, e un’eventuale chiamata ai centri di soccorso.
Per maggiori informazioni: https://www.casamuseoboschidistefano.it/.

Didascalie delle immagini:  1. Opera di Chiara Frigerio; 2. Opera di Cristina Busnelli 


«Voyage en Intérieur», all’Institut français di Milano l’arte di vivere la casa in Francia

Design e arte contemporanea si incontrano all’Institut français di Milano In occasione della sessantesima edizione del Salone del Mobile. Le French Design – piattaforma che promuove l'innovazione nell'arredamento e nell'interior design - presenta la prima tappa della mostra «Voyage en Intérieur, Le French Art de Vivre [Viaggio in un interno, L'arte di vivere alla francese]», che verrà, poi, esposta a Parigi, nella galleria le French Design Gallery, dal 22 giugno al 20 luglio.
L’esposizione, al Palazzo delle Stelline di corso Magenta e nell’ambito di 5VIE Design Week 2022, presenta una selezione delle più interessanti creazioni di design autoprodotte dagli interior designer vincitori della seconda edizione del premio «Le French Design 100»: mobili e oggetti che testimoniano il rinnovato dinamismo del contesto francese, la sua eccezionale creatività e l'influenza che ha in tutto il mondo, grazie alla diversità dei suoi fruitori ed estimatori. Le creazioni in mostra evidenziano la ricchezza del design d’Oltralpe nella sua realizzazione, nella novità degli usi, la sostenibilità, le numerose competenze artigianali e industriali coinvolte, affiancate da proposte personalizzate o uniche per i settori hospitality, retail e residenziali.
Il concorso, che ha fatto il suo debutto nel 2019, viene organizzato ogni due anni ed è l'unico premio di design in Francia che valorizza la portata internazionale di designer e interior designer, con l’obiettivo di selezionare ogni edizione i cento oggetti e spazi che meglio rappresentano il design francese nel mondo. Il concorso restituisce, dunque, una fotografia della creatività francese, includendo sia i nomi principali nel contesto nazionale, sia i profili più interessanti di quelle che saranno le star di domani, tutti accomunati dalla capacità di esprimere attraverso i loro progetti i valori essenziali del design francese.
L’allestimento negli spazi dell’Institut français Milano mette in dialogo gli oggetti di design con alcune opere d’arte contemporanea scelte da tre importanti gallerie milanesi – Monica De Cardenas, Antonia Jannone e Viasaterna – su proposta di Isabelle Valembras-Dahirel. I quattro artisti scelti sono Gianluca Di Pasquale, Velasco Vitali, Elena Ricci e Alessandro Calabrese.
Per maggiori informazioni: https://www.lefrenchdesign.org/.


«Progettare il presente, scegliere il futuro»: gli eventi più interessanti del Brera Design District
Partire dall’oggi per dare forma a un’idea di domani che possa creare un nuovo equilibrio tra uomo e natura: è questo il filo conduttore di «Progettare il presente, scegliere il futuro», cartellone di proposte che Brera ha ideato in occasione della Milano Design Week, partendo dal tema «Tra spazio e tempo», nato dalla creatività di Fuorisalone.it.
168 eventi, 314 aziende e designer, 108 showroom permanenti sono i numeri della proposta che «il quartiere milanese degli artisti» ha messo in cantiere per l’edizione 2022, il cui progetto generale è firmato dall’agenzia Studiolabo.
Main sponsor di quest’anno è Porsche, che presenta a Palazzo Clerici una delle proposte più interessanti e poetiche della Milano Design Week: «The Art of Dreams», un’installazione immersiva dell'artista floreale Ruby Barber, nella quale la fragilità dei fiori si combina con la moderna ingegneria del volo. L’opera «Everywhereness» è, infatti, un labirinto di rose, dove i visitatori sono liberi di perdersi e che viene animato anche da performance realizzate con una dozzina di droni.
A Brera è possibile vedere anche la mostra «In Between. Tra arte e design», un progetto firmato dallo studio d’architettura Spagnulo & Partners che apre il cantiere di Casa Baglioni, il nuovo hotel milanese della Collezione Baglioni, la cui inaugurazione è prevista per la fine dell’anno. L’esposizione, che si avvale della curatela di Iole Pellion di Persano, presenta i lavori di quattro artisti internazionali - Enrico Castellani, Agostino Bonalumi, Anne Imohof e Giulio Paolini -, conservati all’interno della Stefano Cecchi Trust Collection.
Nel «quartiere degli artisti» merita una tappa anche l’Acquario civico di parco Sempione, cornice dell’installazione visuale ed esperienziale «Momentum» di Stark, che racconta due visioni del tempo: quello oggettivo, scientifico, che avanza inesorabilmente, e quello soggettivo, percepito, sul quale è possibile agire. A uno scenario caotico, dove percepire la conseguenza di ogni azione, dove i movimenti vengono amplificati ed esasperati, si contrappone uno scenario regolare e costante, in cui gocce di luce si ripetono un numero indefinito di volte e ogni istante è separato dall’altro. Le gocce, sommandosi, formano il tempo della scienza.
All’Orto botanico, invece, è visibile l’installazione «Feeling the Energy» di Cra - Carlo Ratti associati e Italo Rota per Plenitude, proposta nell’ambito della mostra-evento «Design Re-Generation» di «Interni». Il percorso, realizzato con 500 metri di tubo di rame antibatterico, invita il pubblico a scoprire le molteplici forme dell’energia sostenibile e a giocare con i vari fenomeni dell’energia solare, eolica e del raffreddamento evaporativo.
Tra i progetti da non perdere a Brera c’è anche «Design Variations 2022», curata da MoscaPartners. Olimpia Zagnoli firma l’installazione site-specific «Cariatidi Contemporanee», che interpreta la facciata del Circolo Filologico Milanese con la collaborazione di 3M per le pellicole delle superfici. Mentre l’architetto Maria Laura Rossiello/Studio Irvine interviene all’interno del palazzo con un progetto di riqualificazione del bar esistente creando uno spazio contemporaneo che rispetta la storia del luogo.
Per scoprire tutti gli eventi della Brera Design Week è possibile consultare il sito www.breradesignweek.it.

Milano Design Week 2022, La Manufacture colora d’arancione il Museo Poldi Pezzoli
871 è il numero di giorni passati dalla presentazione al pubblico de La Manufacture, punto d’incontro fra le culture artigianali e lo stile di abitare di Italia e Francia. In occasione della Milano Design Week, il brand si presenta al pubblico, all’interno del palazzo ottocentesco che ospita il Museo Poldi Pezzoli, con la mostra «871 days, 50 products, 17 designers and 1 single color», a cura di Luca Nichetto. Cinquanta oggetti prodotti da diciassette designer intrattengono così una conversazione con lo spazio circostante all’interno dei due piani del museo, producendo al contempo dissonanze accattivanti ed armonia estetica.
Immaginando La Manufacture come un cantiere in trasformazione e hub creativo dinamico, Luca Nichetto ripercorre l’evoluzione del design dell’azienda selezionando una singola nota di colore arancione, ispirata alle pettorine indossate dagli uomini sui cantieri, che diventa protagonista di nuove edizioni degli iconici oggetti di design in mostra. Tutti i materiali, dal legno al metallo, dal vetro alla ceramica sono riproposti nella tonalità pensata per la mostra. La nuance ricorrente costituisce un fil rouge visivo e concettuale che guida lo spettatore alla scoperta dei tratti distintivi del brand, caratterizzati da funzionalità, minimalismo, accenti giocosi e barocchi, e rappresentativi della singolare interpretazione dell’allure francese e della maestria artigianale italiana.
i visitatori sono accolti dal tavolino «Set» di Marc Thorpe, mentre la seduta «Wired» di Michael Young, che evoca le venature delle foglie, è protagonista della Sala d’armi. Il Salone dell’Affresco, con la maestosa opera di Carlo Innocenzo Carloni, costituisce lo sfondo per il divano «Luizet» e lo sgabello «Allié» di Luca Nichetto, affiancati dallo sgabello minimalista «Gardian» disegnato Patrick Norguet. Le pareti del salone sono adorne di cornici contenenti capi d’abbigliamento della collezione moda de La Manufacture disegnata da Luca Nichetto, a ulteriore testimonianza della visione multidisciplinare dell’azienda nel produrre un’alchemica collisione tra moda e design.
L’ariosa e luminosa Orangerie, aperta per la prima volta al pubblico, raccoglie una giustapposizione di oggetti pensati per interno ed esterno, fra i quali la sedia «Val» e il divano «Saint-Rémy» di Luca Nichetto, oltre a poltrone di Sebastian Herkner, Patrick Norguet e Noé Duchaufour-Lawrance.
Lo scalone monumentale costellato di elementi decorativi barocchi contrasta con le sedie «Intersection» di Neri&Hu ispirate al design monastico, mentre al primo piano i visitatori sono accolti da una selezione di sedute in tessuto disegnate da Atelier Oï, Marco Dessi.
«Champignon», un pouf a forma fungina che sembra emergere dalla pavimentazione creato dallo studio di design svedese Front, e lo specchio «Soufflé» di Luca Nichetto si impongono nella Galleria dei ritratti, invitando gli spettatori a specchiarsi e lasciare idealmente il segno del proprio passaggio, come già fecero cavalieri, dame e notabili raffigurati nei ritratti alle pareti del pittore Vittore Ghislandi.
Per l’occasione, La Manufacture presenta anche alcuni nuovi pezzi: lo sgabello in ceramica «Willo» di Constance Guisset, la chaise longue «Oaze» di Ana Moussinet, la seduta «Wind» di Patrick Norguet e la poltrona «Luizet» di Luca Nichetto.
La mostra 871 days, 50 products, 17 designers and 1 single color»non solo sottolinea l’attitudine perfezionista de La Manufacture ma ne tratteggia la rilevanza culturale nel panorama del design contemporaneo, celebrando l’alchimia tra imprenditorialità, design, arte e artigianato, valori fondanti dell’azienda che, per la Milano Design Week 2022, regala al pubblico «un sogno arancione» da vivere con calma, dimenticando per un istante la frenesia dei giorni caotici del Fuorisalone.
Per maggiori informazioni: www.lamanufacture-paris.fr; www.museopoldipezzoli.org.

Foto: De Pasquale - Maffini 

Milano, la Design week arriva nel distretto di Certosa
Il distretto di Certosa fa il suo debutto alla Milano Design Week. Il progetto si inserisce nell’ambito del più ampio programma di rigenerazione e riqualificazione dell’area nord-ovest del capoluogo lombardo attraverso le arti e la cultura. Tutto ha avuto inizio nei mesi scorsi con la realizzazione di un grande murale di CamuffoLab, in via Varesina 162, all’esterno de La Forgiatura. Mentre a fine maggio sono stati presentati due nuovi interventi di grafica urbana: «Istruzioni», progetto di poster art realizzato da Davide Benatti in via Varesina 184, e «Piante Meccaniche», un grande murale di Anita Giacomin che si sviluppa per 77 mq lungo il muro che collega via Varesina e via Antonio Raimondi.
Gli interventi, sviluppati e prodotti in collaborazione con h+, nascono nell’ambito del contest Generazione YZ, laboratorio progettuale a cura di Francesco Dondina che durante il «Milano Graphic Festival» (25-27 marzo 2022) ha visto dieci giovani progettisti under 30 lavorare live negli spazi dell’hub Certosa Graphic Village a un progetto di urban design pensato appositamente per il quartiere Certosa District. Coordinati da studio FM, i giovani grafici hanno elaborato diverse proposte progettuali lavorando su due media: poster da affissione e murales. Durante la Milano Design Week i lavori realizzati nell’ambito del contest saranno in mostra a La Forgiatura.
Il Fuorisalone porta nel quartiere anche «Certosa Initiative», progetto ideato da Beyond Space e Organisation in Design, che presenta talenti emergenti e importanti realtà internazionali del design, installazioni d’arte, performance e una ricca programmazione serale, in uno spazio post-industriale di 10.000 mq in via Barnaba Oriani 27. La visita richiede tempo: le opere in mostra sono molte e riflettono su temi differenti, dal cibo del futuro al profumo artigianale, dall’arte tessile alla robotica. Tra le esposizioni, Lambert Kamps presenta «Tube Display»: un'opera di luce cinetica che utilizza l'aria compressa per presentare i testi in modo dinamico. In un flusso le parole nascono e vengono spazzate via da quelle successive.
Continua così l’intervento di sviluppo del Certosa District che include nuovi uffici, attività commerciali e spazi verdi con l’intento di stimolare nuove opportunità economiche e posti di lavoro, sul modello della «Milano-Città dei 15 minuti». In questo modo Certosa District offre una nuova prospettiva sulla vecchia Milano, fondendo la sua storia industriale con un futuro innovativo per diventare un importante distretto multifunzionale, capace di interagire con il tessuto urbano e sociale, ricoprendo una posizione strategica di collegamento fra Porta Nuova e il Mind, grazie alla Stazione di Certosa e alla futura Circle Line milanese.
Per maggiori informazioni: https://www.certosainitiative.com/.