ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 30 giugno 2020

È on-line l’Atlante delle xilografie italiane del Rinascimento

È on-line, sul sito della Fondazione Giorgio Cini di Venezia, il database dell’Atlante delle xilografie italiane del Rinascimento. Il progetto, che può essere consultato nella sezione dedicata agli «Atlanti fotografici», curati dall’Istituto di storia dell’arte, è il frutto di quattro anni di ricerche durante i quali sono state rintracciate, studiate e schedate le xilografie su fogli sciolti e le matrici a partire dai primi esemplari noti dall'inizio del Quattrocento e fino al 1550 circa.
Il progetto, consultabile attraverso diverse chiavi di ricerca, corredato da immagini e schede in costante aggiornamento e in collegamento con le maggiori istituzioni museali , è a cura di Laura Aldovini, David Landau e Silvia Urbini.
Le xilografie – e le matrici lignee da cui derivano-, sono fra i materiali meno studiati della grafica italiana del Rinascimento. Altre tecniche a stampa, come i bulini e le acqueforti, erano spesso destinate a riprodurre disegni e opere di artisti noti, ovvero sono «stampe di riproduzione»: ad esempio, grande fu la fortuna di stampe derivate da opere di Raffaello Sanzio, di cui ricorre il quinto centenario.
Le xilografie, invece, sono quasi sempre «stampe di invenzione», ovvero sono opere disegnate da un artista noto – come Tiziano Vecellio-, o anonimo, specificamente per quella stampa, senza riferimento ad un’altra opera esistente. In questo risiede sia il motivo della loro marginalizzazione e dispersione -sul fronte collezionistico e su quello degli studi-, sia l’esigenza di far riemergere un patrimonio figurativo, stilistico e iconografico italiano ancora in gran parte disperso e sconosciuto.
L’archivio digitale si propone di colmare questa lacuna, come una sorta di meta-museo destinato alla xilografia italiana del Rinascimento, dove sono raccolte, catalogate e mostrate le opere conservate nelle istituzioni nazionali e internazionali e nelle collezioni pubbliche e private che le conservano.
In questi anni di ricerche, oltre a censire il materiale noto, sono state reperite opere ritenute perdute, altre sconosciute ai repertori, e aggiunti esemplari nuovi al catalogo di artisti, sia nel ruolo di inventori che di incisori.
Non è solo un contributo alla storia dell’arte italiana del Rinascimento ma anche, più in generale, alla storia della cultura di quell’epoca. Infatti le xilografie accompagnavano la vita quotidiana dell’uomo rinascimentale. Erano le immagini della devozione, protettrici delle case e delle botteghe. Erano le decorazioni che ingentilivano gli arredi; erano protagoniste dei momenti ludici, pensiamo ad esempio alle carte da gioco e ai tarocchi. Erano strumenti di divulgazione e aggiornamento della conoscenza tecnica, storica e geografica sotto forma di fogli volanti e di mappe. Erano spesso articolati montaggi di testi e immagini.
Infine, l’Atlante vuole creare un network attivo e in continuo aggiornamento destinato alle istituzioni che possiedono i materiali censiti e agli studiosi, e porsi come punto di riferimento per la conoscenza e la divulgazione dei materiali utili allo studio delle xilografie e della grafica italiana del Rinascimento.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Cristo in Pietà con i simboli della Passione, Londra, Victoria and Albert Museum; [fig. 2] Asso di Denari, carta del cosiddetto mazzo Leber, Rouen, Bibliothèque municipale; [fig. 3] Matteo Pagano, Istruzioni per suonare il liuto, Stoccolma, The National Library of Sweden, KoB Tr. B_2017_B.2

Informazioni utili 
italianrenaissancewoodcuts.com

lunedì 29 giugno 2020

Ustica, scene di una «stragedia». Nino Migliori tra i relitti dell'aereo


C'era chi partiva per le vacanze, chi era andato «nel Continente» per una visita medica, chi tornava da un viaggio di lavoro e chi, all'atterraggio, avrebbe festeggiato il matrimonio di un amico. C'era un ingegnere nucleare, la prima donna a laurearsi in Italia in quella disciplina, che tornava da Urbino, insieme alla figlia e alla baby sitter, dopo aver assistito alla laurea del fratello. E c'era una ragazzina di undici anni che, soddisfatta, aveva messo nello zaino la pagella da mostrare al papà che l'attendeva a Palermo. C'erano ottantuno persone, con le loro storie straordinariamente normali, simili a quelle di tante altri, eppure uniche, sull’aeromobile Douglas DC-9 IH 870 della compagnia aerea Itavia che alle 20:59 del 27 giugno 1980 spariva dai radar nel tratto di mare compreso tra le isole di Ponza e Ustica, facendo perdere ogni traccia.
Era una sera d’estate come tante altre e chi, nell’affollata sala d’attesa dello scalo di Punta Raisi, riscontrava sul tabellone il ritardo del volo partito da Bologna, dall’aeroporto «Guglielmo Marconi» di Borgo Panigale, alle 20:08 (con due ore di ritardo a causa di un violento temporale), e atteso a Palermo alle 21:13, non si aspettava che, di lì a poco, la sua vita sarebbe cambiata per sempre.
Alle 22:00, dopo le operazioni di ricerca, l'aeromobile veniva dato ufficialmente per disperso e scattavano le misure d’emergenza. La noia e il nervosismo delle prime ore si trasformavano in angoscia.
All'alba del 28 giugno uno degli elicotteri impegnati nella missione di soccorso vedeva affiorare alcuni rottami; intorno alle 9 quei resti venivano identificati con quelli del Douglas DC-9 IH 870. L’angoscia diventava dolore, rabbia, silenzio stupito.
La notizia non voluta, ma temuta arrivava nella sala d’attesa di Punta Raisi. Rimbalzava nelle case di parenti e amici grazie ai vecchi telefoni a gettoni. Raggiungeva tutti gli italiani attraverso i giornali e le televisioni. L’aereo era caduto in mare e tutte le persone a bordo -64 passeggeri adulti, 11 ragazzi tra i due e i dodici anni, due bambini di età inferiore ai 24 mesi e 4 uomini dell’equipaggio- erano morte.
Per cinque giorni le navi fecero la spola con Palermo per portare a terra detriti e rottami. Si cercò anche di dare degna sepoltura a tutti i corpi, ma alla fine ne vennero recuperati solo trentanove su ottantuno.
Cos’è successo quella sera? Perché quell'aereo è caduto? Cosa lo ha distrutto in volo? A quarant’anni di distanza queste domande rimangono ancora senza risposta. La strage di Ustica è senza colpevoli. Silenzi, bugie, depistaggi, scontri di potere, tracciati radar cancellati, registrazioni manomesse, coperture politiche hanno nascosto una verità scomoda, una verità che ancora oggi sembra essere inconfessabile per chi sa.
Inizialmente si parlò di un «cedimento strutturale». Poi si avanzò l’ipotesi di un attentato terroristico con l’esplosione di una bomba a orologeria. Infine, nel 1996, un giudice, Rosario Priore, mise nero su bianco quello che era successo: c’era stata «una guerra in tempo di pace», aerei militari di diverse nazioni -Francia, Stati Uniti, Libia, Italia e altre ancora (a detta della Nato)- avevano sorvolato i nostri cieli e uno dei questi aveva abbattuto il volo civile dell’Itavia, nella cui scia si celava –fuori dai radar- il bersaglio mancato. Sembra un film e, invece, è una pagina di storia, una pagina ancora incompleta perché non si sa chi sia il responsabile materiale della strage e quale fosse l’obiettivo mancato.
Dal 2007 i resti dell’aereo sono raccolti in un museo a Bologna, all'interno degli ampi spazi dell'ex magazzino dell’azienda di trasporti cittadina Atc.
Attorno al relitto l’artista francese Christian Boltanski ha ideato un’installazione permanente, un invito alla memoria che fa venire i brividi.
Dal soffitto scendono ottantuno lampadine, una per ogni vittima, che si accendono e si spengono a intermittenza, al ritmo del respiro. Tutt’intorno ci sono ottantuno specchi neri che riflettono l’immagine di chi percorre il ballatoio posto attorno al relitto. Mentre, dietro ognuno di essi, ottantuno altoparlanti emettono parole e frasi sussurrate a sottolineare la casualità e l’ineluttabilità della tragedia. Infine, nove casse, coperte da un drappo nero, contengono, gli oggetti appartenuti alle vittime: scarpe, pinne, boccagli, occhiali e vestiti che documenterebbero la scomparsa di un corpo, rimangono così invisibili agli occhi dei visitatori.
Tredici anni fa, poco tempo dopo che il relitto del velivolo, recuperato al largo dell’isola di Ustica, ha compiuto lo straziante percorso a ritroso che dall’aeroporto di Pratica di Mare lo ha riportato a Bologna, Nino Migliori ottiene il permesso per entrare in quel capannone che sarebbe diventato un museo. Vi rimane quattro notti e, a lume di candela, fotografa i resti dell’aereo non ancora ricomposto nella sua forma originaria intorno allo scheletro della fusoliera. Il risultato sono ottantuno immagini, una per ogni vittima, che illuminano, con una tremula fiamma che ha il sapore di un cero votivo, i muti testimoni -rottami contorti, piegati, spezzati e rotti- di quella che il fotografo bolognese definisce una «stragedia», neologismo inventato per congiungere l’idea della tragedia a quella di una volontà stragista.
La severa cromia del bianco e nero che Nino Migliori sceglie per consegnare alla memoria, nostra e di chi verrà dopo di noi, i dettagli delle superfici metalliche disgregate dell’aereo dell’Itavia, posti con pietoso rispetto e delicata compostezza sul pavimento dell’hangar, amplifica la straordinaria forza emotiva delle immagini, a partire dallo scatto cover: l’oblò simile a una bocca, «che urla come nel quadro di Munch».
Tredici anni dopo quelle immagini diventano una videoinstallazione immersiva, per la curatela di Lorenzo Balbi, allestita negli spazi dell’ex chiesa di San Mattia a Bologna, edificio cinquecentesco dal fastoso impianto decorativo interno che, nel Settecento, vide al lavoro il «quadraturista» Pietro Scandellari e gli artisti Nicola Bertuzzi e Tertulliano Taroni.
Sette schermi di grandi dimensioni, posizionati ad altezze e angolature diverse, come a voler avvolgere lo spettatore, proiettano nel buio della chiesa bolognese, trasformata nel 2015 in spazio museale, una narrazione audio-visiva che rielabora le ottantuno immagini del reportage realizzato nel 2007.
Una voce dalla torre di controllo, il rumore dell’esplosione, lo sciabordio del mare, una nenia che sembra una liturgia funebre e poi quegli scatti che non hanno nulla di piacevole, che ti colpiscono come un pugno allo stomaco, con i rottami che sembrano riemergere dall’acqua e fluttuare nel vuoto vanno a comporre quattordici minuti sospesi nel tempo, una narrazione di grande intensità per la sceneggiatura e il montaggio video di Elide Blind e Simone Tacconelli, con la musica e il sound design di Aurelio Zarrelli e con l’allestimento tecnico di Paolo Barbieri.
Le forme sembrano anche sfaldarsi, fino a sconfinare nell’astratto, fino a generare un ulteriore effetto di spaesamento. Quello stesso spaesamento che, da quarant’anni, proviamo nell’ascoltare questa storia non risolta. Un ennesimo mistero italiano che ha ancora molto da dire e su cui c’è ancora molto da indagare. Una ferita profonda e mai rimarginata che si porta dietro il dolore e la richiesta di verità dei familiari delle vittime e di un intero Paese. Perché solo la verità può dare pace al ricordo, a quei corpi rimasti in fondo al mare con le loro speranze, i loro sogni, la loro vita.

Informazioni utili 
 «Stragedia - Nino Migliori».  Ex Chiesa di San Mattia, via Sant’Isaia, 14/a - Bologna. Orari: venerdì e sabato, ore 20.00 – 22.00; domenica, ore 18.00 – 20.00.  Ingresso libero, con prenotazione  al numero 051.6496611 o su https://ticket.midaticket.it/museicivicibologna/Event/36/Dates. Catalogo: Edizioni MAMbo, Bologna. Informazioni  MAMbo – Museo d'Arte Moderna di Bologna, tel 051.6496611 - info@mambo-bologna.org. Sito web: www.mambo-bologna.org. Fino al 7 febbraio 2021.  

venerdì 26 giugno 2020

Dalla petizione al palco: «L’arte è vita» diventa uno spettacolo. Debutta ad Arte Sella e a ForlìMusica «Bach, Queneau, Esercizi e Variazioni»

È la fine di marzo. L’Italia è in quarantena fermata da un virus sconosciuto, il Covid-19, arrivato in sordina dalla Cina. Le vittime aumentano di giorno in giorno, soprattutto tra gli anziani, la memoria del nostro Paese. Le strade delle città sono deserte. Si fanno le code davanti ai supermercati con mascherina e guanti. Si canta sui balconi. Si attende il bollettino giornaliero della Protezione civile. Si guardano le dirette streaming che portano in casa un po’ di cultura grazie a quanti hanno arricchito i propri profili social con sonate, letture, monologhi e interpretazioni. Si spera di ritornare presto a pianificare il proprio futuro, riempiendo l’agenda di appuntamenti e incontri, mentre in molti, tra le mura delle proprie cucine, impastano e panificano.
In questo tempo sospeso c’è chi si incontra sul web o in videochiamata, condividendo passioni e suggestioni. È il caso dell’attore bergamasco Alessio Boni, del violinista rock Alessandro Quarta, del violoncellista di fama mondiale Mario Brunello e di Danilo Rossi, prima viola del Teatro alla Scala di Milano.
Non si sono mai incontrati prima d’ora, ma hanno un obiettivo comune: tutelare lo spettacolo dal vivo, «una realtà, un patrimonio, una esigenza di tutti che non può essere sostituita dal digitale». Vogliono difendere i diritti di chi lavora in questo settore, proteggendo l’intera macchina organizzativa che si cela dietro a un concerto, a uno spettacolo teatrale, a un balletto, dal regista all’elettricista, dal drammaturgo alla maschera, dal direttore artistico al bigliettaio, dal costumista all’addetto stampa, dal macchinista a chi si occupa del «trucco e parrucco». Nessuno escluso.
Nasce così, sulla piattaforma Change.org, la petizione «L’arte è vita», che in pochi giorni viene firmata da più di ventisettemila persone, raccogliendo l’adesione anche di nomi noti come, per esempio, Ascanio Celestini, Vinicio Capossela, Sergio Rubini, Amii Stewart, Andrea Mingardi, Pino Insegno, Luca Barbarossa e Paolo Fresu.
La ripartenza del settore sembra lontana, più lontana di quanto poi non è realmente accaduto. L’incontro tra musicisti, attori e pubblico sembra quasi impossibile in un mondo caratterizzato dalla distanza sociale; eppure è quell’incontro a creare le emozioni sempre nuove, diverse di sera in sera, dello spettacolo dal vivo.
Con la ripresa delle attività per il settore culturale, avvenuta il 18 maggio per i musei e il 15 giugno per i teatri, «L’arte è vita» diventa uno spettacolo. Mario Brunello lancia la proposta, subito accettata dagli altri tre: combinare le «Variazioni Goldberg» di Bach con gli «Esercizi di stile» di Queneau. Un'opera concepita come un'architettura modulare di trenta variazioni di un’aria e un testo composto da novantanove modi diversi di raccontare una vicenda apparentemente banale, mettendo alla prova tutte le figure retoriche (dall’epico al drammatico, dal racconto gotico alla lirica giapponese) e giocando con sostituzioni lessicali e sintattiche, convivono così sul palco in una produzione firmata da Arte Sella e ForlìMusica.
Nasce, dunque, on-line uno spettacolo inedito, nella forma e nei contenuti, pronto a vivere davanti al pubblico per raccontagli, dopo i giorni grigi della quarantena, le tante e varie sfumature di colore dell’arte e del nostro rapporto con essa.
L’abbinamento non è casuale, come spiega Alessio Boni: «Umberto Eco, nella famosa prefazione al libro di Raymond Queneau, racconta di aver letto da qualche parte che l’autore ha concepito l’idea degli Esercizi ascoltando delle variazioni sinfoniche. E persino Stefano Bartezzaghi, nella postfazione, sottolinea come, per Queneau il ‘nume tutelare’ del suo progetto fosse nientemeno che Johann Sebastian Bach».
«Facendo eco alla lettera aperta in cui Gabriele Vacis invitava a cogliere le sfide imposte dall’emergenza sanitaria, immaginando una trasformazione generativa delle modalità di fruizione degli spettacoli dal vivo, il recital nato dalla petizione «L’arte è vita», intitolato «Bach, Queneau, Esercizi e Variazioni», «dilaterà -raccontano gli organizzatori- lo spazio teatro, utilizzando prima lo streaming in una chiave capace di potenziare le peculiarità dell’esecuzione dal vivo, senza sostituirla per poi arrivare al momento magico del contatto con il suono dal vivo, come una riscoperta dell’emozione di essere a tu per tu con gli artisti».
La prima nazionale si svolgerà nella splendida cornice di Arte Sella, in Trentino, nei giorni dal 27 al 29 giugno, alle ore 18 (prenotazione al numero 0461.751251 o artesella@yahoo.it | ingresso € 40,00). L’evento si terrà nella cornice unica dell’area espositiva di Malga Costa. Qui gli spettatori, dotati di cuffie wireless, potranno ascoltare in diretta il prologo del concerto veicolato in streaming, camminando immersi nella natura, scoprendo le opere d’arte disseminate nel bosco, attraversando di fatto uno sconfinato teatro naturale accompagnati dalle note della musica. Infine, in un’atmosfera di grande intimità, al cospetto di un’opera d’arte, potranno assistere allo spettacolo dal vivo.
«Bach, Queneau, Esercizi e Variazioni» verrà, quindi, proposto a Forlì nella serata di mercoledì 1° luglio, alle ore 21.30, in apertura del programma di «ForlìMusica Estate 2020», ribattezzato per l’occasione «L’arte è vita».
Nella splendida cornice del secondo chiostro dei Musei di San Domenico sono in programma sette appuntamenti. Dopo il recital con Alessio Boni, Alessandro Quarta, Mario Brunello e Danilo Rossi (direttore del cartellone), a salire sul palco sarà l’Orchestra Maderna, che venerdì 10 luglio proporrà «Ouverture» (intesa qui con il senso di ripartenza), un programma con l’ensemble di fiati e le musiche di Donizetti, Gounod e Mozart. Mentre venerdì 17 luglio si esibirà, con la sola formazione d’archi, accanto alla giovanissima Lucilla Mariotti, solista al violino, nell’esecuzione delle «Quattro stagioni» di Vivaldi.
Sabato 25 luglio salirà, invece, sul palco Cesare Picco, alla sua prima volta a Forlì, con un concerto di sue musiche dal titolo «Un piano per le stelle».
Venerdì 7 agosto sarà, quindi, la volta di un’altra prima nazionale con lo spettacolo «Il sogno di Giacomo Giuseppe», una parodia lirica ideata e scritta dal tenore e attore Diego Bragonzi Bignami, che per l’occasione sarà accompagnato al pianoforte da Maria Silvestrini.
Giovedì 20 agosto, invece, Stefano Benni e Danilo Rossi, moderati da Oreste Bossini di Rai Radio 3, animeranno la serata «Incontro scontro tra parole e musica».
Il programma si concluderà il 23 agosto con le note travolgenti del Gipsy Quartet, composto da Mariam Serban al cimbalon, Mihai Florian alla fisarmonica, Nicolae Petre al contrabbasso, Vasile Stingaciu al violino.
Il sogno di tornare a vivere lo spettacolo, la musica, il teatro dal vivo, insieme al pubblico – quel sogno che a marzo sembra quasi impossibile- diventa, ora, realtà in Emilia Romagna, a Forlì, pur con tutte le limitazioni del caso. E, nei chiostri forlivesi di San Domenico, dove è in corso anche una bella mostra sul mito di Ulisse nell’arte, non possono non ritornare alla mente le parole che Dante Alighieri mise in bocca all’eroe greco: «considerate la vostra semenza / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Alessio Boni; [fig. 2] Alessio Boni con il violinista rock Alessandro Quarta, il violoncellista di fama mondiale Mario Brunello e Danilo Rossi, prima viola del Teatro alla Scala di Milano; [figg.3,4,5] Arte Sella, in Trentino; [fig. 6] Chiostri dei Musei di San Domenico a Forlì; [fig. 7] La nave di Gela esposta nella mostra su Ulisse a Forlì

Informazioni utili 
www.artesella.it 
forlimusica.it

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giovedì 25 giugno 2020

«Made Of Sound», arte e suono si incontrano al Pac di Milano

È il mese di novembre del 2003 quando la musicista e artista newyorkese Laurie Anderson, icona dell'arte multimediale, arriva a Milano per la sua prima retrospettiva in Italia. «The Record Of The Time» è il titolo del progetto espositivo, per la curatela di Jean Hubert Martin e Thierry Raspail, che viene ospitato dal Pac – Padiglione d’arte moderna. Qui sculture, oggetti, disegni, fotografie e installazioni raccontano lo speciale cocktail di teatro, musica pop e immagini che, miscelati elettronicamente con l’uso del computer, danno vita a performance e installazioni basate su episodi della vita personale, sogni, poemi, miti e leggende.
Quasi vent’anni dopo Laurie Anderson torna idealmente nel museo milanese. È, infatti, lei la madrina della terza edizione di «Performing Pac», la rassegna annuale dedicata a un tema attuale nell’ambito degli studi delle arti visive contemporanee.
Il tema scelto per il 2020 è il rapporto tra arte e musica, sviluppato attraverso opere video, materiali d’archivio, interventi di artisti, critici e curatori che esplorano l’interazione tra suono e immagine nella pratica e nella ricerca artistica contemporanea.
«Made Of Sound» è il titolo scelto per il programma, in agenda dal 2 luglio al 13 settembre. Di Laurie Anderson verrà proiettato per la prima volta il video realizzato in occasione della mostra milanese, accompagnato da documenti, fotografie e materiali d’archivio.
L’artista sarà protagonista anche di un appuntamento in cartellone a luglio, in una data ancora da stabilire, quando nel cortile del Pac verrà proiettato il suo lungometraggio «Heart of a dog», la storia che ha incantato e commosso la stampa alla Mostra del cinema di Venezia. Realizzato nel 2015, il documentario è un viaggio intimo e delicato in compagnia dell’amata cagnetta Lolabelle, scomparsa nel 2011, che diventa occasione per una riflessione multimediale sul significato della memoria, della perdita e dell’amore. Con un linguaggio visivo ai confini dell’onirico, l’artista rompe gli schemi del documentario classico, mischiando filmini di famiglia in 8 millimetri a opere d’arte, musica a frammenti di memorie legati ai suoi affetti d’infanzia, senza dimenticare citazione di scrittori e musicisti che l’hanno ispirata fino al compianto marito Lou Reed.
Il percorso espositivo di «Art of The Sound» si sviluppa attraverso i lavori di cinque artisti che utilizzano suono e musica nella loro ricerca.
Il duo Barbara and Ale (Barbara Ceriani Basilico e Alessandro Mancassola) porta al Pac il film «The sky is falling» (2017), dove il vibrafono di Elio Marchesini, percussionista della Teatro alla Scala, viene suonato su un lago ghiacciato tra montagne innevate. Il vibrare del metallo dialoga, scompare e resiste alle folate continue, mentre il musicista si ostina a non perdere il controllo, smarrito nel paesaggio.
Jeremy Deller e Nicholas Abrahams propongono, invece, «Our Hobby Is Depeche Mode» (2006), film che fotografa la fanbase dei Depeche Mode, muovendosi in poche settimane tra Messico, Stati Uniti, Germania, Romania, Brasile, Canada e Russia. Il lavoro documenta come il comportamento disordinato, caotico e spesso imprevedibile con il quale i fan si appropriano della band entri in collisione con l’immagine commerciale accuratamente elaborata del gruppo.
Pamela Diamante presenta «Generare corpi celesti - Esercizi di stile» (2020), installazione inedita che esplora il rapporto tra visione antropocentrica e infinito. In collaborazione con il composer Malasomma, l’artista scompone e trasla in musica le parole di Paolo, ipovedente, che narra l’emozione del ricordo di poter osservare le stelle; Antonio invece, non vedente dalla nascita, ha raffigurato su due grandi tele un cielo stellato che non ha mai potuto osservare.
Mentre il duo artistico italiano Invernomuto (Simone Bertuzzi e Simone Trabucchi) porta al Pac l’installazione audiovisiva «Vers l'Europa deserta, Terra Incognita» (2017), che - muovendosi in una periferia allargata tra Italia e Francia - lavora sui modelli di auto-rappresentazione condivisi dalle culture giovanili suburbane di tutta Europa attraverso mezzi come videoclip, storie di Instagram e flussi di Snapchat.
Nell’opera dell’artista portoghese João Onofre, invece, un'adolescente canta «La Nuit n'en Finit Plus» di Petula Clark in downtempo a capella, all'interno di una buca sul terreno di una prateria. L'opera «Untitled (N'en Finit Plus)», del 2010-11, indaga così il tema dell'appropriazione, declinato sia nella pratica artistica che nella musica pop, e la possibilità che questi due mondi paralleli si sovrappongano.
Il progetto espositivo è arricchito, poi, da due ulteriori interventi. Nella project room una selezione di videoclip musicali diretti da sette tra i più importanti e visionari registi contemporanei - Anton Corbijn, Chris Cunningham, Jonathan Glazer, Michel Gondry, Spike Jonze, Mark Romanek e Stephane Sednaoui– raccontano le incursioni dell’arte nell’universo musicale pop e rock.
Mentre nel parterre è visibile l’installazione di Marie Cérisier, giovane artista di Roquebrune-Cap-Martin, che con «Pile à Cd (Pila di Cd/ Pila da cedere)» costruisce la sua memoria personale e immaginaria in un bilico «sonoro» regalandone un frammento al pubblico, tra «équilibre» e «déséquilibre».
Ad arricchire la rassegna sono stati pensati anche degli appuntamenti da godere on-line. Per tutta la durata dell’esposizione la musica accompagnerà il pubblico sul canale Spotify Performing PAC – High Fidelity, con una playlist collaborativa nella quale curatori e artisti condivideranno la loro personale classifica di cinque brani. Sono, poi, in programma due eventi in streming su You Tube. Venerdì 11 settembre, alle ore 21, si terrà una performance live del duo Invernomuto, che sperimenta l’interazione tra immagine in movimento e suono con il quarto capitolo di Black Med, un dj set supportato da proiezioni che intercetta le traiettorie tracciate dai suoni che attraversano il Mediterraneo.
Sabato 12 settembre, alle 18, Andrea Lissoni, senior curator international art (Film) alla Tate Modern (2014-2020), recentemente nominato direttore del Haus der Kunst di Monaco, sarà in dialogo con il duo Invernomuto e con Iolanda Ratti, conservatore del Museo del Novecento.
Un programma, dunque, articolato quello studiato dal Pac – Padiglione arte contemporanea di Milano per questa estate, nel quale eventi on-line e fruizione dal vivo, nel rispetto di tutte le normative anti-Covid, si fondono per raggiungere il maggior numero di persone possibile.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Pamela Diamante, GENERARE CORPI CELESTI - ESERCIZI DI STILE (2020) Video still. Courtesy Galleria Gilda Lavia; [fig. 2] Heart of a dog di Laurie Anderson, 2015 still da video; [fig. 3] Invernomuto, Portrait, 2018, Photo Jim C. Neddù; [fig. 4] Jeremy Deller con Nicholas Abrahams, Our Hobby Is Depeche Mode, 2006. Courtesy the Artist and The Modern Institute/Toby Webster Ltd, Glasgow. Photo Jeremy Deller; [fig. 5] Barbara and Ale, The sky is falling, 2017. Courtesy the artists

Informazioni utili 
Made of  Sound. Pac - Padiglione d'arte contemporanea, via Palestro, 14 - Milano. Orari: da giovedì a domenica, ore 11 - 20; ultimo ingresso un’ora prima della chiusura. Ingresso: gratuito previa prenotazione (prenotazioni dal 25 giugno). Informazioni: info@pacmilano.it o 02.88446359. Sito internet: pacmilano.it. Dal 2 luglio al 13 settembre 2020. 

mercoledì 24 giugno 2020

Torino, la Mole Antonelliana diventa un grande schermo con il video-mapping di Donato Sansone

È uno dei monumenti simbolo di Torino (ma anche dell’Italia) con i suoi centosessantasette metri e mezzo d’altezza che ne fanno l’edificio in muratura più alto d’Europa e con il suo ascensore panoramico, che permette di ammirare la città dall’alto, spingendo lo sguardo fino all’arco alpino. Ma è anche la sede di uno dei musei più belli d’Italia, quello del cinema, che si sviluppa a spirale verso l’alto, su progetto dello scenografo francese François Confino, presentando fotografie, manifesti, spezzoni di film, bozzetti e oggetti scenici.
La Mole Antonelliana e il Museo nazionale del cinema, sogno reso realtà dalla tenacia di Maria Adriana Prolo, incrociano i propri destini nel 2000.
Da allora sono passati vent’anni e per festeggiare l’anniversario il gioiello architettonico progettato da Alessandro Antonelli, una sorta di archistar ante litteram che ha firmato anche la cupola di San Gaudenzio a Novara e Casa Scarabozzi (più conosciuta come Fetta di polenta) a Torino, si trasforma, grazie al contributo del Gruppo Iren, in uno schermo multimediale per proiettare immagini in movimento.
Il videomapping, che trasformerà la Mole in una sorta di cinema all’aperto e in un inusuale faro che illuminerà la notte della città, si avvale della regia e del genio creativo di Donato Sansone.
Le proiezioni, in programma dalla sera del 24 giugno, festa patronale della città, alternano diversi elementi e vari materiali, molti dei quali appartenenti alle ricche e prestigiose collezioni del Museo nazionale del cinema: foto, manifesti e oggetti si avvicendano a sequenze ed elementi di computer grafica, in un crescendo emozionale che coinvolge fino all’ultimo frame.
Si parte dall’omaggio al cinema torinese e italiano per, poi, arrivare alle grandi star.
Le fotografie animate dei volti di attrici e attori noti al grande pubblico -da Sophia Loren a Marcello Mastroianni, da Claudia Cardinale a Vittorio Gassman, da Massimo Troisi a Ornella Muti, da Ugo Tognazzi a Monica Bellucci- si incontrano con i manifesti che hanno scandito la storia del cinema italiano, ma anche con un tributo al nostro regista più visionario, Federico Fellini, nell’anno del centenario della sua nascita.
A questi contributi si aggiungono memorabili sequenze di film girati a Torino, da «Cabiria» a «The Italian Job», fino alla sezione dedicata alle icone cinematografiche internazionali: da King Kong a Spiderman, dall’agente 007 a Indiana Jones, da Vito Corleone al perfido Darth Vader.
Un altro omaggio alla città sabauda viene raccontato dagli elementi chiave che la connotano. L’acqua che riempie la Mole trasformandola in acquario è un omaggio al fiume Po, in cui nuotano personaggi ironici e legati all’immaginario infantile. Le automobili che si inseguono in maniera rocambolesca attorno alla Mole ricordano lo sviluppo della Fiat. Infine, c'è un omaggio al volo con le sequenze più vertiginose che contraddistinguono i film d’avventura.
Non potevano, poi, mancare l’amore romantico, con i più bei baci della storia del cinema, e i momenti di festa, in omaggio al compleanno del museo (ma anche a quello della Film Commission Torino Piemonte), con proiezione di fuochi d’artificio.
Per rendere il tutto il più coinvolgente possibile -raccontano dal Museo nazionale del cinema- «sono stati installati quattro media player Dataton, ossia quattro server in grado di fornire multi-uscite video per permettere la riproduzione sincronizzata dei contenuti multimediali e una regia workstation posizionata all’interno della Mole. Infine, la sincronizzazione effettiva avverrà tramite l’utilizzo di quattro router LTE che, mediante una connessione a bassa latenza che permette una velocità di comunicazione superiore allo standard e un controllo in diretta dei quattro proiettori, farà comunicare tutte le macchine all’interno dello stesso network, per poter lavorare in modo sincronizzato».
Lo spettacolo, che al debutto sarà trasmesso anche in televisione su Rai Premium (canale 25 del digitale terrestre) e in streaming su Rai Play, sarà visibile tutte le sere, fino al 20 luglio, dalle 21.00 alle 23.30, quando i quattro lati della Mole si animeranno contemporaneamente con un lavoro della durata di circa venti minuti, dal montaggio serrato e visionario, che restituirà al pubblico tutta la magia della settima arte.
Ma mercoledì 24 giugno la Mole Antonelliana regalerà ai suoi cittadini, ma anche a chi si collegherà con Rai Premium e Rai Play, un altro appuntamento da non perdere: il tradizionale show dei droni di San Giovanni, che quest’anno avrà come tematica le fragilità di un essere tecnologico costruito da un altro essere fragile, l’uomo, e che vedrà anche la partecipazione degli artisti di Zebra, compagnia diretta da Silvia Gribaudi. L’esibizione sarà -e non poteva essere diversamente- un autentico omaggio al mondo del cinema, dai grandi classici ai musical, con la celebrazione dei centenari di Federico Fellini e Alberto Sordi.
I due eventi torinesi fanno parte di «San Giovanni x 3», un palinsesto di appuntamenti che unirà Torino ad altre due grandi città che festeggiano la festa patronale nel giorno di San Giovanni, Firenze e Genova. Sulla piattaforma dedicata alla kermesse sono previsti vari collegamenti streaming, che permetteranno  agli utenti di lasciarsi incantare da una partita di calcio storico nella scenografica piazza Santa Croce o da un breve concerto di un’eccellenza italiana quale è l’orchestra del teatro Carlo Felice, ma non solo. In tempi di distanziamento sociale, come abbiamo imparato in questi ultimi mesi, si può, dunque, essere uniti, anche se distanti, perché tutti siamo -come recita lo slogan della serata- «sotto lo stesso cielo».

Per saperne di più
www.museocinema.it 

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martedì 23 giugno 2020

Dalla app alla piattaforma: svolta digitale per la ripartenza di Parma 2020+21

Duecentomila fiori festeggiano la ripresa delle attività di Parma Capitale italiana della cultura 2020 + 2021. Sono quelli che l’artista britannica Rebecca Luise Law ha messo in mostra all’Oratorio di San Tiburzio per il suo «Florilegium». L’esposizione è una delle prime ad aver riaperto nella città emiliana dopo la quarantena per contrastare la pandemia da Coronavirus, insieme con quella che il Complesso monumentale della Pilotta dedica al design contemporaneo di Piero Fornasetti e con il progetto espositivo «I quadri di Pietro», sulla collezione Barilla, alla Pinacoteca Stuard, dove è attualmente esposta l'opera «Fruits et orange» di Alberto Savinio.
La cultura torna, quindi, a battere il tempo, come recita lo slogan scelto quale filo rosso tra le varie proposte, riappropriandosi dei suoi spazi e riprendendo a scandire, con rinnovato vigore, la vita della «piccola Parigi».
Il clou delle manifestazioni si avrà in settembre con l’inaugurazione dell’installazione «Hospitale – Il futuro della memoria», una video-narrazione ideata da Studio Azzurro per l’iconica Crociera dell’Ospedale vecchio, uno dei complessi monumentali di Parma, cuore pulsante del quartiere Oltretorrente, in fase di ristrutturazione.
Nello stesso mese la città farà da scenario all’inaugurazione del Festival Verdi con la rassegna «Scintille d’Opera» e con gli appuntamenti one to one per le strade e nei cortili del ciclo di incontri «Verdi sotto casa», ma anche alla tre giorni di «Spiegamelo!», kermesse sulla divulgazione come primo passo per la diffusione della cultura.
Tante sono, poi, le mostre messe in cantiere per l’autunno, tra le quali si segnalano gli omaggi a Luigi Magnani, uno dei massimi collezionisti di opere d’arte al mondo, e a Giuseppe Niccoli, valorizzatore di talenti con la sua galleria negli anni Settanta, oltre alla rassegna che Palazzo Bossi Bocchi dedica a Carlo Mattioli e alle sue opere sulla figura di Stendhal, che dedicò il suo più celebre romanzo, «La Certosa di Parma», alla città emiliana.
Il palinsesto per l’anno da Capitale italiana della cultura della «piccola Parigi» è stato, quindi, rimodulato e arricchito di nuove riflessioni scaturite dal recente vissuto, che ha così profondamente mutato il nostro modo di vivere, cambiato nei ritmi e nelle priorità.
La ripartenza è anche e soprattutto sotto il segno dell’innovazione digitale grazie al lancio di una nuova piattaforma, una app, una card e un nuovo sito di networking per il volontariato, strumenti per coniugare cultura e tradizione con uno sguardo rivolto al futuro.
Per quanto riguarda la piattaforma e la app si è pensato ad un approccio human-centric con l’intento di semplificare l’esperienza di ciascun visitatore e, contemporaneamente, di amplificarne l’effetto di immersività di luoghi, opere ed eventi. Sia la piattaforma –della quale Parma 2020+21 si è dotata per meglio supportare i visitatori e gli utenti– sia la app –scaricabile gratuitamente da Play Store e Apple Store– permetteranno di conoscere ogni angolo e ogni sfaccettatura della città, di scoprire il territorio circostante con tutte le sue ricchezze, di pianificare un turismo eno-gastronomico di qualità.
Gli utenti potranno usare la app per visite virtuali e immersive a 360 gradi già da casa, pianificando una visita personalizzata che coinvolga luoghi di interesse, eventi e itinerari enogastronomici ad hoc o usufrendo di audioguide e di un sistema di prenotazione del posto in coda, evitando il sovraffollamento.
Entrambi i sistemi possono offrire informazioni specifiche anche per programmare itinerari e visite per persone con disabilità.
Parma Card sarà, invece, disponibile dal 1° settembre sulla piattaforma, sulla app e nei luoghi convenzionati; permetterà a cittadini e turisti di accedere, con prezzi competitivi e molti benefici, al sistema turistico-culturale del territorio e ai suoi trasporti.
Tutte le strutture aderenti sono parte del programma «Parma Città Sicura», che garantisce il rispetto delle prescrizioni igienico-sanitarie post-Covid.
La card per i cittadini di Parma e provincia ha validità annuale, quella per i turisti è valida per tre giorni (settantadue ore) e consente l’accesso al bike sharing e ai trasporti senza limitazioni per una persona.
Altra novità disponibile on-line è il sito di networking per il volontariato della città (www.miimpegnoaparma.it), creato dal Comune di Parma con CSV Emilia – Forum solidarietà e il coordinamento scientifico di Promo PA Fondazione, per promuovere l’impegno civico e la cittadinanza attiva.
Il sito integra tutti i diversi settori in cui si può svolgere un’attività di volontariato: dalla cultura al sociale, dalla salute allo sport, dall’ambiente all’enogastronomia, per creare un sistema di ricerca e gestione del volontariato uniforme ed efficace. Sul portale sarà possibile non solo pubblicare e consultare offerte, ma anche trovare video formativi.
Il progetto non è collaterale a quello della Capitale della Cultura, ma ne è parte integrante e complementare: la crescita di una cittadinanza attiva nella cultura è, infatti, un obiettivo di Parma 2020+21, che intende la cultura stessa come elemento cardine per il raggiungimento della sostenibilità sociale. La collaborazione tra il mondo del volontariato e quello degli organizzatori di eventi è stata pensata per creare un prodotto che resti alla città e rappresenti un lascito concreto e permanente di Parma 2020+21.

Per saperne di più
www.parma2020.it

lunedì 22 giugno 2020

I nudi di Re Hang per la riapertura del Pecci di Prato

Non si è fermato nemmeno durante i giorni più duri dell'emergenza sanitaria per il Covid-19. Ha dato vita, con la sua web-tv, a un ricco palinsesto di contenuti giornalieri e, contemporaneamente, ha lanciato un progetto per i suoi spazi esterni: «Extra-Flags», una serie di bandiere d’artista commissionate, una a settimana, per essere issate sul pennone davanti al museo, come segnale fisico di vitalità e resistenza.
Le dieci opere nate durante i giorni del lockdown sono state il biglietto da visita con cui il Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci di Prato ha mostrato alla città la sua voglia di ripartire, superando il momento drammatico e straordinario che stavamo vivendo.
Marinella Senatore, Nico Vascellari, Marzia Migliora, Eva Marisaldi, Flavio Favelli, Marcello Maloberti, Massimo Bartolini, Elena Mazzi e Andreco sono gli artisti che hanno risposto all'appello. Le loro bandiere sono ora esposte all'interno del museo toscano, tra i primi sul territorio italiano a riaprire lo scorso maggio, dopo circa dieci settimane di chiusura.
Per l'occasione, gli spazi sono stati sanificati e riorganizzati secondo le indicazioni delle autorità, con tutti i presidi di protezione personale necessari, mentre le caratteristiche dell’edificio, con più di ottomila metri quadrati di spazi e grandi sale, rendono semplice il distanziamento fisico e la gestione contingentata del flusso di visitatori, che, comunque, non potranno essere più di sessanta contemporaneamente.
«Nei prossimi mesi –racconta la direttrice Cristina Perrella- il rapporto fisico con i nostri spazi sarà riservato principalmente a un pubblico di prossimità e questa sarà un’occasione importante per aumentare la familiarità dei cittadini con il museo e rafforzare una dimensione territoriale. Altrettanto importante sarà rimanere connessi al mondo. Da questo punto di vista l’uso dello spazio digitale sarà uno dei contesti in cui alimentare il pensiero critico e il confronto con la scena culturale globale, oggi che la condivisione di pensieri, contenuti, esperienze è più essenziale che mai e può generare nuovi scenari per l’arte nazionale e internazionale».
Globale e locale si incontreranno, dunque, questa estate al Pecci, che continuerà a produrre contenuti multimediali e, nello stesso tempo, punterà i riflettori sui suoi concittadini, a partire dai più piccoli. Pensa, infatti, a loro il laboratorio didattico su «Extra Flags» e la call pubblica, lanciata in occasione della riapertura, per co-progettare uno strumento digitale per la visita autonoma del museo dedicata alle famiglie con bambini dai 6 ai 12 anni.
L'attività di progettazione partecipata, in linea con i protocolli di sicurezza, si svolgerà all'aperto, nel giardino antistante il museo, e consentirà di creare una guida multimediale da scaricare sul proprio smartphone per visitare in autonomia il centro pratese, alla scoperta della sua architettura, del suo giardino delle sculture e delle sue collezioni.
Per quanto riguarda la programmazione espositiva il museo toscano apre, questa estate, le porte alla prima mostra italiana dedicata all’acclamato fotografo e poeta cinese Ren Hang (1987-2017), tragicamente scomparso a neppure trent’anni.
L’artista, le cui opere sono ritenute in Cina pornografiche e sovversive, è noto soprattutto per la sua ricerca su corpo, identità, sessualità e rapporto uomo-natura, che ha per protagonista una gioventù cinese nuova, libera e ribelle.
I suoi nudi appaiono su un tetto tra i grattacieli di Pechino, in una foresta di alberi ad alto fusto, in uno stagno con fiori di loto, in una vasca da bagno tra pesci rossi che nuotano oppure in una stanza spoglia; i loro volti sono impassibili, le loro membra piegate in pose innaturali. Cigni, pavoni, serpenti, ciliegie, mele, fiori e piante sono utilizzati come oggetti di scena assurdi, ma dal grande potere evocativo.
L'esposizione, visitabile fino al prossimo 23 agosto, allinea novanta scatti, accompagnati da un portfolio che documenta il backstage di uno shooting di Ren Hang nel Wienerwald nel 2015 e un’ampia sezione di libri rari sul suo lavoro.
Nello stesso periodo sarà possibile vedere «The Missing Planet, visioni e revisioni dei “tempi sovietici” dalla collezione del Centro Pecci e da altre raccolte», a cura di Marco Scotini e Stefano Pezzato, con progetto di allestimento di Can Altay.
L'esposizione propone un’immersione nelle ricerche artistiche sviluppate dagli anni Settanta a oggi nelle ex repubbliche sovietiche, dalla Russia alle province baltiche, caucasiche e centro-asiatiche, che parte dalla rilettura del ricco nucleo di opere dedicate a quest’area geografica presenti nella collezione del Centro Pecci, già esposte nelle mostre «Artisti russi contemporanei» (1990) e «Progressive nostalgia» (2007).
«L’intento della nuova rassegna -raccontano dal Pecci, nelle note di presentazione- è pertanto quello di agire sul tempo, ma anche “contro il tempo”, in favore di un tempo che deve ancora accadere. Per questo, tra metafora e realtà, lavora sull’immaginario cosmico e utopistico che ha accompagnato l’epopea dell’Unione Sovietica, trasformando lo spazio espositivo del museo in uno «Space Shuttle», dentro al quale «Solaris» di Andrei Tarkovskij incontra «Once in the XX Century» di Deimantas Narkevicius come pure «Kunst camera» di Sergei Volkov e «Perestroika» di Erik Bulatov».
In occasione della mostra viene presentata «Interregnum», video installazione di Adrian Paci (Scutari 1969), composta da un montaggio di sequenze di funerali di dittatori comunisti di diverse nazionalità ed epoche, recuperate dagli archivi di stato o dalle trasmissioni televisive nazionali albanesi.
L'opera mostra uomini, donne, bambini ripresi in primo piano, in lacrime, oppure da lontano, in code chilometriche: la morte di un leader libera il dolore dei singoli che, dice l’artista albanese, «non era contemplato nella società comunista».
Una programmazione, dunque, varia quella del Centro Pecci di Prato per questa Fase 3 dell'emergenza sanitaria per il Covid-19, con l'intento di regalare un po' di cultura in un periodo difficile come quello che stiamo vivendo. D'altronde - lo diceva anche Fëdor Dostoevskij- «la bellezza salverà il mondo».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1]Elisabetta Benassi, Bumblebee needs protection for humankind’s sake, 2017-2020. Bandiera in tessuto nautico, 210 x 300 cm. Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, courtesy dell’artista; [fig. 2] he Missig Planet. Visioni e revisioni dei "tempi sovietici" dalle collezioni del Centro Pecci ed altre raccolte, 2019. Vista dell'allestimento al Centro Pecci. Ph. Ela Bialkowska, OKNOstudio; [fig. 3] Ren Hang, Girl with Ants, 2014. Courtesy Stieglitz19 and Ren Hang Estate; [fig. 4] Ren Hang, Kissing Roof, 2012. Courtesy Stieglitz19 and Ren Hang Estate; [fig. 5] Ren Hang, Peacock, 2016. Courtesy Stieglitz19 and Ren Hang Estate; [fig. 6]Ren Hang, Muur, 2016. Courtesy Stieglitz19 and Ren Hang Estate 

Informazioni utili 
Centro Pecci per l'arte contemporanea, Viale della Repubblica, 277 – Prato. Orari: dal giovedì alla domenica, dalle ore 12 alle ore 20. Ingresso: Ingresso gratuito per tutti, fino al 31 luglio, alle mostre The Missing Planet. Visioni e revisioni dei ‘tempi sovietici’, Mohamed Keita: KENE/Spazio, Adrian Paci. Interregnum, Extra Flags | Ingresso alla mostra Ren Hang. Nudi intero 7,00 €, ridotto 5,00 €. Informazioni: +39 0574 5317, info@centropecci.it. Sito internet: www.centropecci.it

venerdì 19 giugno 2020

«Cinque minuti con Monet», a Genova un inusuale «tu per tu» con le ninfee

È il 1883 quando Claude Monet, al seguito della seconda moglie, Alice Hoschedé, e degli otto figli, si trasferisce in una casa colonica a Giverny, piccolo e tranquillo paese immerso nella campagna della Normandia, a poca distanza da Parigi.
Di quel suo buen retiro, dove visse oltre quarant’anni, l’artista francese ama la luce «unica», vibrante: «non si trova uguale in nessun’altra parte del mondo», diceva.
Qualche anno dopo, quella casa diventa di proprietà dello stesso Monet che, nell’estate del 1893, decide di trasformare il modesto orto che la circonda in un affascinante giardino alla francese, il clos Normand.
L’artista ottiene, in quello stesso periodo, anche l’autorizzazione a deviare il corso dell’Epte che costeggiava allora il villaggio di Giverny.
Alla fine dell’anno, i lavori sono conclusi e Monet, che da giardiniere e botanico esperto cura i dettagli del suo giardino, fa piantare quattro salici piangenti della varietà cosiddetta «di Babilonia» sul perimetro dello stagno delle ninfee; uno in prossimità del ponte giapponese, due sul lato lungo del laghetto parallelamente alla strada e un ultimo sulla riva opposta al ponte.
La piantagione di essenze esotiche accentua ancora di più l'orientalismo di questo gioiello acquatico.
In questo bucolico mondo costruito su misura -cavalletto, colori e pennello alla mano- Monet si mette a dipingere en plein air; nel 1897 le ninfee colpiscono la sua attenzione e l’artista le dipinge più e più volte.
Lo stesso soggetto viene rappresentato da angolazioni leggermente diverse, in varie ore del giorno, in differenti stagioni e con una luce sempre differente. «E, naturalmente, -raccontava lo stesso artista- l’effetto cambia costantemente, non soltanto da una stagione all’altra, ma anche da un minuto all’altro, poiché i fiori acquatici sono ben lungi da essere l’intero spettacolo, in realtà sono solo il suo accompagnamento. L’elemento base è lo specchio d’acqua il cui aspetto muta ogni istante per come brandelli di cielo vi si riflettono conferendogli vita e movimento».
Alla fine il ciclo dedicato alle ninfee costa di oltre duecentocinquanta tele, che documentano l’evoluzione del pittore, capostipite della corrente impressionista, verso uno sfilacciamento delle forme e una fluidità della pennellata che lo avvicinano al linguaggio astrattista.
Una di queste opere, quella di proprietà del Musée Marmottan Monet di Parigi, è attualmente in mostra a Genova, negli spazi di Palazzo Ducale, grazie alla collaborazione con Arthemisia e con il progetto Generali Valore Cultura, il programma della compagnia assicurativa italiana per promuove l’arte e la cultura su tutto il territorio italiano e avvicinare un pubblico vasto e trasversale - famiglie, giovani, clienti e dipendenti - al mondo dell’arte.
L’opera di Monet è al centro di un inusuale progetto espositivo, attento a tutti i protocolli anti-Covid diffusi dal Mibact: misurazione della temperatura all’ingresso, utilizzo della mascherina all’interno della mostra, rispetto della distanza di sicurezza tra le persone seguendo il percorso segnalato all’interno delle sale espositive.
Il distanziamento sociale che stiamo vivendo in questi mesi per l’emergenza sanitaria da Coronavirus diventa l’occasione per un’esperienza estetica immersiva ed emozionante: cinque minuti esclusivi da soli, o con qualche familiare, a tu per tu con uno dei quadri più famosi del grande pittore impressionista.
La mostra, in programma fino al prossimo 23 agosto, si trasforma così in una sfida alla riscoperta della contemplazione, del contatto e della forza espressiva di un’opera. «In un tempo che ci costringe a costruire barriere per proteggerci, -raccontano da Arthemisia- l’invito è quello a un incontro diretto con un capolavoro, per metterci in ascolto di quanto l’arte con grande capacità narrativa riesce a dire di sé, ma anche di noi».
La mostra si impreziosisce di un’altra piccola chicca, invito a scoprire - con sempre maggiore profondità - il patrimonio culturale genovese, soprattutto in questi mesi dove molti trascorreranno le vacanze in Italia, a poca distanza dalle proprie case.
Nel 1894 fu Giovanni Boldini, pittore italiano e uno dei massimi rappresentanti della Belle Époque, a sollecitare la conoscenza di Monet in Italia. E qui, oggi come allora, è ancora l’artista ferrarese a introdurre l’incontro con l’opera del maestro francese. E lo fa con un altro capolavoro, appunto uno dei tesori artistici della città di Genova: il dipinto «La contessa Beatrice Susanne Henriette van Bylandt», proveniente dalle Civiche raccolte Frugone di Nervi.
A corredo della mostra ci sono, poi, alcune fotografie di Monet, un video introduttivo che ne racconta la vita e un altro, d’epoca (1915 ca.), che riprende l’artista mentre dipinge nel suo giardino a Giverny.
Nelle Ninfee esposte al Ducale, il maestro francese offre la visione di un «mondo fluttuante», spazio piano dove si fa fatica a distinguere l’immagine dal suo riflesso, dove due cascate di salici, vicino ai bordi laterali, incorniciano un tappeto di ninfee su cui poggiano i riflessi delle nuvole. L’orizzonte è aperto. Non vi è né terra, né cielo. Solo l’onda e il fogliame ricoprono la tela luminosa e sovrastata da corolle di fiori eterei. Il risultato è «un incantesimo di acqua e luce», un’arte non tanto da capire, quanto – lo diceva il suo stesso autore- da amare.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Monet (1840-1926), Nymphéas, vers 1916-1919. Huile sur toile, 150x197 cm. Paris, musée Marmottan Monet, legs Michel Monet, 1966. © Musée Marmottan Monet, Paris / Bridgeman Images; [fig. 2] Giovanni Boldini, «La contessa Beatrice Susanne Henriette van Bylandt», 1901. Genova, Civiche raccolte Frugone di Nervi; [fig. 3] Ingresso di Palazzo Ducale a Genova; [fig. 4] Casa di Monet a Giverny

Informazioni utili

Cinque minuti con Monet. A tu per tu con le Ninfee. Palazzo Ducale, piazza Matteotti, 9 – Genova. Orari: lunedì, ore 14 – 19; dal martedì alla domenica, ore 10 – 19 (la biglietteria chiude un’ora prima dell’orario di chiusura). Ingresso: intero 7,00 €, bambini dai 6 ai 14 anni 3 €. Biglietti online: www.vivaticket.it. Fino al 23 agosto 2020

giovedì 18 giugno 2020

Da Helmut Newton alle «Storie del Marocco»: un'estate di grandi mostre per la Fondazione Torino Musei

«La moda è stato il mio primo desiderio, sin da ragazzo. E, ovviamente, volevo diventare un fotografo di Vogue»: così, semplicemente, Helmut Newton (Berlino, 1920 ‒ Los Angeles, 2004) raccontava il suo sogno di bambino diventato realtà. Su quella rivista prestigiosa, capace di dettare lo stile di più di un’epoca, il fotografo tedesco naturalizzato australiano, uno dei maestri indiscussi del Novecento, pubblicò, a partire dagli anni Sessanta, i suoi scatti, facendosi conoscere nel mondo per quel suo stile provocante e provocatorio, di certo rivoluzionario per il tempo, nel quale convivevano voyerismo, eleganza, seduzione, gioco e ironia.
Davanti al suo obiettivo sfilavano donne semi-vestite o nude, dai corpi scultorei e dall'evidente tensione erotica, immortalate in eleganti suite d’albergo o per le strade di una città, in luoghi banali come un garage, un bagno o un bar, trasformati per l’occasione in palcoscenici teatrali per storie che strizzavano, velatamente, l’occhio alle pratiche sadomaso e all’amore omossessuale.
Ci fu, allora, chi gridò allo scandalo; ed Helmut Newton, caustico e tranchant, provò a zittirli: «Non m’interessa il buon gusto. (...) Mi piace essere l'enfant terrible» e, ancora, «bisogna essere sempre all’altezza della propria cattiva reputazione».
Oggi tutto è cambiato. Quella fotografia non appare più così trasgressiva e in parte lo si deve proprio alla costanza del fotografo berlinese, classe 1920, nel continuare incessantemente una ricerca fotografica che ha sdoganato un genere, oggi conosciuto come porno-chic, che in tanti cercano di copiare ed emulare.
A cento anni dalla nascita, la Fondazione Torino Musei, con la collaborazione di Civita, ha voluto rendere omaggio ad Helmut Newton con una grande retrospettiva, a cura di Matthias Harder, direttore della fondazione berlinese dedicata all’artista, di cui rimarrà documentazione in un bel catalogo edito da Taschen.
Negli spazi della Gam – Galleria d’arte moderna, che ha riaperto i battenti il 12 giugno dopo la serrata per l’emergenza sanitaria da Covid-19, sfilano sessantotto fotografie che presentano una panoramica, la più ampia possibile, del lavoro del fotografo, dagli anni Settanta, con le numerose copertine per «Vogue», sino all’opera più tarda con il bellissimo ritratto di Leni Riefenstahl, datato 2000.
Delle importanti campagne fotografiche di moda sono esposti, tra l’altro, alcuni servizi realizzati per Mario Valentino e per Thierry Mugler nel 1998. Interessante è, poi, la galleria di ritratti a personaggi famosi del Novecento, tra i quali spiccano Andy Warhol (1974), Gianni Agnelli (1997), Paloma Picasso (1983), Catherine Deneuve (1976), Anita Ekberg (1988), Claudia Schiffer (1992) e Gianfranco Ferré (1996). In questa serie di lavori, che ha raggiunto milioni di persone grazie alle pagine di giornali e riviste, ma anche nei suoi celebri nudi, molti ritratti nell'elegante bianco e nero, si ritrovano quelli che per Helmut Newton erano i tre concetti della fotografia: «il desiderio di scoprire, la voglia di emozionare, il gusto di catturare».
In occasione della riapertura, la Gam permette al suo pubblico di ammirare ancora, per tutta estate, anche la maestosa «Fiera di Saluzzo» di Carlo Pittara, presentata nel 1880 alla IV Esposizione nazionale di Belle arti di Torino e nelle sue collezioni dal 1917, a seguito della donazione del barone Ignazio Weil-Weiss.
La tela, di 4,08 metri di altezza per 8,11 metri di larghezza, raffigura, con un’abile resa realistica, una grande parata di cavalieri, personaggi in costume e moltissimi animali: dalle capre ai bovini, dai cavalli di razza a quelli da tiro, dagli animali da cortile ai cani, fino alla scimmietta ritratta sulla spalla di un giovane con lo scopo di attrarre l’attenzione sulla merce di un pittoresco venditore di chincaglieria.
Alla Gam riprende, inoltre, l’attività della videoteca con un progetto dedicato a Giuseppe Chiari (Firenze, 1926–2007), compositore e artista concettuale del quale vengono presentati, in collaborazione con l’Archivio storico della Biennale di Venezia, due video -«Kunst ist einfach» (1973) e «Spoleto Concert»- e i fogli disegnati per il progetto «La musica è facile» (1972).
L’offerta espositiva si arricchirà, dal 24 giugno, della mostra «Forma /Informe», dedicata alla nascita della fotografia non-oggettiva e informale in Italia, con cinquanta stampe vintage e originali in gran parte inedite di sette grandi fotografi, da Giuseppe Cavalli (1904-1961) a Luigi Veronesi (1908- 1998), da Franco Grignani (1908-1999) a Pasquale De Antonis (1908-2001), da Piergiorgio Branzi (1928) a Paolo Monti (1908-1982), per finire con Nino Migliori (1926).
Dopo l’apertura dello scorso 28 maggio di Palazzo Madama, dove è in corso una mostra su Andrea Mantegna, oltre alla Gam è ritornato di nuovo accessibile, nella giornata di venerdì 12 giugno, anche il Mao – Museo d’arte orientale, che per l’occasione propone al pubblico una nuova rotazione di stampe e dipinti giapponesi su rotolo verticale, dal titolo «La poesia del paesaggio», e il progetto «Storie dal Marocco. Oggetti testimoni di identità e memoria».
Sono, dunque, ritornati tutti fruibili gli spazi civici gestiti dalla Fondazione Torino Musei che, per la sua riapertura, si è avvalsa della consulenza del Politecnico di Torino e della società Onleco Srl, il cui aiuto ha portato alla revisione delle procedure di sicurezza imposte dall’emergenza sanitaria per il Covid-19.
Al fine di garantire un’offerta culturale più ampia, i tre musei del circuito saranno aperti quattro giorni a settimana in modo scaglionato, escluso il mercoledì, che sarà l’unico giorno di chiusura comune a tutti. La Gam sarà accessibile dal venerdì al lunedì; il Mao dal sabato al martedì; Palazzo Madama dal giovedì alla domenica. Nei giorni infrasettimanali l’orario per tutti i musei sarà dalle 13 alle 20; il sabato e la domenica dalle 10 alle 19. Mercoledì 24 giugno, festa patronale di San Giovanni, i tre musei civici di Torino saranno straordinariamente aperti dalle 10 alle 20.
Ovviamente in tutte e tre le strutture verranno rispettate le norme predisposte dal Mibact per la Fase 2 della cultura: dalla mascherina al distanziamento sociale, dalla creazione di percorsi di visita a senso unico all'agevolazione dell'acquisto dei biglietti on-line . Il tutto con l'intento di garantire ai visitatori un appuntamento con la bellezza, all'insegna della sicurezza.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Helmut Newton, Claudia Schiffer, Vanity Fair, Menton, 1992 ©Helmut Newton Estate; Helmut Newton, Stern, Monte Carlo, 1997 ©Helmut Newton Estate; [fig. 3] Helmut Newton, Andy Warhol, Vogue Uomo. Parigi, 1974 ©Helmut Newton Estate; [fig. 4] Carlo Pittara, Fiera di Saluzzo (secolo XVII), 1880. Olio su tela. Esposto alla IVª Esposizione Nazionale di Belle Arti, Torino, 1880 · Dono di Giuseppe Weil-Weiss, Lainate (Milano), 1917; [fig. 5] Andrea Mantegna, Pala Trivulzio, 1497. Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco

Informazioni utili
www.fondazionetorinomusei.it 

mercoledì 17 giugno 2020

«Pestifera», quando il cinema racconta il virus. Al via l’arena estiva del Castello di Rivoli

È inutile nasconderlo. Il mondo dell’arte è stato profondamente colpito dalle misure emergenziali per combattere il Coronavirus, prima con la chiusura forzata e ora con gli accessi contingentati, che stanno riducendo drasticamente il numero dei visitatori di un museo e quello degli spettatori di un teatro o di una sala cinematografica. Ma è lo stesso mondo dell’arte che può offrirci l’occasione per riflettere su questo momento storico incerto, offrendoci -per usare le parole del poeta Davide Mencarelli sul quotidiano «L’Avvenire» dello scorso 6 giugno- «la voce di chi sa tradurre il dolore in bellezza, di chi con le proprie mani trasforma la sofferenza presente in memoria condivisa, nei secoli».
A questa considerazione è giunto anche il Castello di Rivoli, tra i primi musei del Piemonte (e d’Italia) a riaprire i battenti, lo scorso 19 maggio, subito dopo il lockdown, nel rispetto delle norme studiate dal Mibact per il contrasto e il contenimento della diffusione del Covid-19, anzi con qualche tutela in più, visto che la distanza di sicurezza tra le persone, fatta eccezione per i nuclei familiari, è stata fissata in due metri, consentendo così l’accesso a non più di trentadue persone per piano per un totale di novantasei visitatori contemporaneamente.
In questi mesi estivi il pubblico potrà ammirare, nello specifico, una piccola selezione di lavori di Giorgio Morandi provenienti dalla collezione di Francesco Federico Cerruti e la raccolta dello svizzero Uli Sigg dedicata all’arte cinese contemporanea, oltre a un’installazione dell’inglese James Richards per le sale storiche del Castello («Alms for the Bird», 2020) e al progetto espositivo di Renato Leotta, che illumina con fari d’automobile i fasti del passato settecentesco del museo («Sole», 2020).
In occasione dell’estate il Castello di Rivoli ha, poi, voluto guardare a questo nostro tempo incerto e, nel suo giardino esterno, proporrà la rassegna serale «Pestifera», a cura di Carolyn Christov-Bakargiev, Irene Dionisio e Fulvio Paganin, con il coordinamento di Roberta Aghemo e Giulia Colletti.
L’iniziativa consta di sei appuntamenti (oltre a uno on-line) che indagano la rappresentazione delle pandemie attraverso l’arte cinematografica. Ogni incontro, riservato a non più di cinquantacinque persone, sarà preceduto da quindici minuti di letture filosofiche e sonorizzazioni.
Ad aprire il cartellone sarà, venerdì 26 giugno (alle ore 21.30, come tutti gli altri incontri), «Die Pest im Florenz» (1919), film di Otto Rippert, scritto da Fritz Lang e ispirato al racconto «The Mask of the Red Death (La maschera della morte rossa)» di Edgar Allan Poe, che trasporta lo spettatore nel clima mistico e torbido del Medioevo, all’epoca della peste nera del Trecento, che decimò la popolazione fiorentina ed europea.
Realizzata tra il 1918 e il 1919, la pellicola, che venne presentata per la prima volta al Marmorhaus di Berlino, parla indirettamente del proprio tempo, ovvero dell’Europa del primo Dopoguerra attraversata dalla pandemia della febbre spagnola.
L’appuntamento al Castello di Rivoli sarà preceduto dall’introduzione dello storico medievista Giuseppe Sergi; mentre il film muto verrà appositamente sonorizzato dal compositore e artista multimediale Riccardo Mazza.
La rassegna proseguirà, quindi, nella serata di venerdì 3 luglio con «Nosferatu: Phantom der Nacht / Nosferatu, il principe della notte» (1978), per la regia di Werner Herzog.
Con questa pellicola, il regista tedesco crea un affresco onirico, surreale e allegorico che costituisce un omaggio e allo stesso tempo una rivisitazione in chiave contemporanea di un capolavoro assoluto dell’Espressionismo tedesco, il «Nosferatu» di Murnau (1922), nel quale si indaga la natura inestirpabile del male.
La parte del protagonista è stata affidata a Klaus Kinski, che interpreta un Dracula dall’animo lacerato, sospeso tra l’impossibilità di sottrarsi alla sua natura di demone immortale, personificazione della peste, e la volontà di morire per porre fine al suo eterno tormento.
L'incontro sarà preceduto dalla lettura del libro «Nel contagio» (2020) di Paolo Giordano, a cura di Marianna Vecellio.
Venerdì 10 luglio sarà, invece, la volta di «Epidemic» (1987), storia di una pandemia che sta distruggendo il mondo, per la regia di Lars von, con Allan De Waal, Ole Ernst e Michael Gelting.
La proiezione sarà preceduta dalla lettura dal vivo del libro «Per un dopo che era un prima» (2020), diffuso in una forma ridotta sul web da minima & moralia e pubblicato da nottetempo nel marzo 2020. Si tratta di una sorta di manifesto Post-Covid scritto dal filosofo Leonardo Caffo.
Mentre venerdì 17 luglio verrà proiettato «28 Days Later / 28 giorni dopo» (2002), film liberamente ispirato al romanzo «Il giorno dei trifidi» (1951) di John Wyndham, per la regia di Danny Boyle, con Cillian Murphy, Christopher Eccleston e Naomie Harris.
Si tratta di un horror post apocalittico che omaggia gli zombie movies. Protagonista è un giovane di nome Jim, che si risveglia dal coma in cui era finito dopo un incidente automobilistico. Uscito dall’ospedale, si ritrova a vagare per le strade di una Londra devastata da un virus che ne ha trasformato gli abitanti in creature affamate di carne umana.
Prima della proiezione, Carolyn Christov-Bakargiev leggerà il testo «Riflessioni sulla peste» (27 Marzo 2020) di Giorgio Agamben.
Il mese si chiuderà, venerdì 24 luglio, con la proiezione di «Buio » (2019), per la regia di Emanuela Rossi, con Valerio Binasco, Denise Tantucci e Gaia Bocci.
Confinamento obbligato dentro casa (anche se causato dalle bugie di un padre padrone), paura del mondo esterno, voglia di libertà e di rinascita sono i temi al centro di questo thriller psicologico, che ha vinto il Premio Raffaella Fioretta per il cinema italiano ad Alice nella città - Panorama Italia.
Protagonista della storia sono tre sorelle -Stella, Luce e Aria-, che trascorrono le giornate in lockdown, segregate in casa. Ogni sera, quando rientra, il padre racconta quanto sia pericoloso il mondo fuori. Un giorno l’uomo sparisce e Stella, la figlia più grande, è costretta a uscire per fare provviste, reagendo così a una vita di molestie e di volenze fisiche e psichiche.
Il film sarà preceduto dall’introduzione della regista Emanuela Rossi nonché dalla lettura dal vivo dell’artista e regista Irene Dionisio del testo «Coronavirus Capitalism» di Naomi Klein.
Il programma si concluderà a fine settembre, in una data ancora da definire, con l’artista e regista iraniano-canadese Mostafa Keshvari che presenterà in anteprima il film «Corona »(2020), attualmente in fase di realizzazione. Si tratta di un’indagine sui temi della paura e del razzismo attraverso la storia di un gruppo di persone bloccate in un ascensore durante la pandemia Covid.
Il Castello di Rivoli pensa anche al pubblico che nei mesi della quarantena lo ha seguito da casa tramite il progetto «Cosmo digitale / Digital Cosmos»: nella sala virtuale sarà visibile «The Last Man on Earth» (1964), per la regia di Ubaldo Ragona e Sidney Salkow, con Vincent Price, Franca Bettoja ed Emma Danieli. La pellicola è tratta dal romanzo «I Am Legend» (1954) di Richard Matheson e racconta di un morbo che si diffonde trasformando le vittime in vampiri.
Al Castello di Rivoli, grazie a «Pestifera», si capirà così che termini come pandemia, virus, contagio, quarantena non ci erano conosciuti: il cinema li aveva già pronunciati. Strade desolate, supermercati saccheggiati e psicosi da presunti fluidi letali costruiti in laboratorio facevano già parte del nostro immaginario. Quelli cambiati siamo noi, che ci siamo ritrovati a vivere nella realtà storie ed emozioni raccontate da fotogrammi in rapida successione.

Informazioni utili

«Pestifera». Dove: Castello di Rivoli, piazza Mafalda di Savoia – Rivoli (Torino). Quando: tutti i venerdì, dal 26 giugno al 24 luglio 2020. Come: Visita al museo dalle ore 10 alle 21 | Aperitivo dalle ore 19 alle 21 | Intervallo con letture filosofiche dalle ore 21.15 alle 21.30 | Proiezione: ore 21.30. Ingresso: € 8,50 interno, € 6,50 ridotto. Note: Il numero massimo di posti disponibili è 55 e l’ingresso alle proiezioni è consentito fino a esaurimento posti. Si consiglia di acquistare online il biglietto https://www.castellodirivoli.org/tickets/. Per informazioni: tel. 011.9565246.