ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 26 febbraio 2021

Rigoni di Asiago firma il restauro di sette lunette nel Chiostro Grande di Santa Maria Novella a Firenze

Era il 2015 quando la Rigoni di Asiago, azienda veneta leader nella produzione biologica di miele, confetture di qualità e crema di nocciola, sosteneva l’importante intervento di recupero dell’Atrio dei Gesuiti, l’entrata storica del prestigioso Palazzo di Brera a Milano. Due anni dopo, nel 2017, il percorso di valorizzazione dei beni culturali avviato dall’impresa fondata negli anni Venti, con lungimiranza e amore per la natura, da Elisa Rigoni si occupava della riqualificazione della statua di San Teodoro nel Palazzo Ducale di Venezia. L’anno successivo a ritrovare la sua antica bellezza, sempre grazie ai fondi messi a disposizione dalla prestigiosa azienda veneta, che dal 1992 si è convertita alla coltivazione biologica, intraprendendo contemporaneamente anche un cammino di sostenibilità ambientale, era la fontana «Venezia sposa il mare» nel cortile di Palazzo Venezia a Roma. Mentre nel 2019 era la volta del restauro della Chiesa rupestre di San Giovanni in Monterrone a Matera, nel cuore di quei sassi che hanno portato la città lucana a essere insignita del titolo di Capitale europea della cultura 2019.
Cinque anni dopo la Rigoni di Asiago, con il suo percorso «La natura nel cuore di…», scrive una nuova pagina nella sua storia di mecenate a favore dei beni culturali facendo tappa a nella città di Dante Alighieri.
L’attuale iniziativa rientra nel progetto «Florence I Care», promosso nel 2011 dal Comune di Firenze con lo scopo di valorizzare il proprio patrimonio storico-artistico grazie a partner privati.
L’attenzione è stata rivolta al complesso di Santa Maria Novella, uno dei gioielli più preziosi della città toscana, del quale sono stati restaurati i dipinti delle lunette sul lato est e all’angolo del lato sud del Chiostro Grande, grazie al lavoro di Fondaco Italia, società veneziana che opere nel settore della consulenza e della strategia di comunicazione associata al recupero di opere d’arte e di beni culturali pubblici.
L’intervento di restauro degli affreschi nel Chiostro Grande, composto da cinquantasei arcate a tutto sesto edificate fra il 1340 e il 1360 per volere dell’ordine dei Domenicani, è significativo non solo per il valore storico e artistico dell’opera, ma anche perché avviene in un momento così delicato per tutto il Paese. Per Firenze assume così anche il significato concreto di ripartenza grazie alla perfetta sinergia tra pubblico e privati, uniti nell’affermare che l’arte è parte fondamentale della nostra cultura, della nostra storia, di noi tutti.
L’iniziativa di decorare il Chiostro Grande si deve al granduca Cosimo I dei Medici, che nel 1565 aveva assunto il patronato di Santa Maria Novella. All’impresa concorsero molte famiglie fiorentine legate al convento e singoli membri della comunità domenicana. Una parte delle lunette fu commissionata da esponenti della colonia spagnola giunta a Firenze al seguito della duchessa Eleonora di Toledo, che già da tempo si riuniva nella Sala del Capitolo di Santa Maria Novella, in seguito nota come Cappellone degli Spagnoli.
Fu proprio grazie alla consorte di Cosimo I che il Chiostro Grande venne rimaneggiato su progetto dell’architetto e scenografo fiorentino Giulio Parigi. In quel periodo, e più precisamente tra il 1582 e il 1590, vennero anche realizzati gli affreschi. Per l’esecuzione di questo vasto ciclo, che fu terminato con altre pochissime scene tra il Seicento e il Settecento, vennero reclutati oltre quindici pittori dell’Accademia fiorentina noti per aver collaborato in analoghe imprese collettive, fra i quali Alessandro Allori, Santi di Tito, Bernardino Poccetti, Giovanni Maria Butteri, Cosimo Gamberucci, Ludovico Cardi detto il Cigoli e Alessandro Fei detto del Barbiere.
Il ciclo, che si dispiega su ben cinquantadue lunette, è considerato uno degli esempi più rappresentativi della pittura della Controriforma per l’ampiezza, il programma iconografico e la chiarezza didascalica delle storie.
I dipinti raffigurano la vita di san Domenico, alla quale sono dedicati due lati del chiostro, e quella di altri santi domenicani, che si susseguono sui restanti lati; sopra ogni scena un’iscrizione enuncia il contenuto dell’episodio rappresentato.
Sulle lunette delle quattro campate angolari sono, invece, raffigurate scene della vita di Cristo, che introducono e chiudono la sequenza narrativa di ciascun lato; altri episodi cristologici sono inclusi nella decorazione a grottesche delle corrispondenti volte, le uniche del chiostro a essere affrescate. Tutte le storie sono intervallate dai ritratti di illustri esponenti dell’Ordine domenicano legati al convento di Santa Maria Novella.
Le intemperie e le escursioni termiche stagionali, ma soprattutto l’alluvione del 1966, che vide l’acqua, intrisa di ogni impurità, coprire metà della superficie dipinta, hanno causato notevoli danni allo stato di conservazione delle pitture, causando una perdita di colore e stuccature incoerenti e malmesse diffuse.
Allora, in un’epoca agli albori del restauro, per cercare di salvare queste opere, le si sottopose al distacco dalla parete originaria, alla successiva riadesione a un nuovo supporto e alla ricollocazione in loco. I tagli per la rimozione sono ancora visibili e tutte le scene sono abbastanza impoverite di materia a causa dell'operazione di strappo anche se è probabile che senza questo tipo di intervento le lunette sarebbero pervenute a noi in condizioni peggiori.
Come spesso succede per gli affreschi staccati, si potevano, inoltre, notare delle macchie scure dovute alla colla animate non rimossa completamente sulla superficie pittorica, causando un attacco di microorganismi.
L’attuale intervento conservativo, realizzato dal
Consorzio edile restauratori, è consistito nel consolidamento della superficie pittorica, nella pulitura dai depositi di sporco e nella sostituzione delle vecchie stuccature in corrispondenza di fessurazioni e cadute di intonaco.
L’intervento è stato completato dal posizionamento di un nuovo impianto illuminotecnico realizzato da Enel X, società del gruppo Enel dedicata a servizi digitali e innovativi, mobilità elettrica, illuminazione pubblica e artistica.
Termina così la tappa toscana del Grand Tour che da cinque anni la Rigoni di Asiago intraprende a favore della bellezza italiana. I fiorentini possono, dunque, ritornare ad ammirare le sei lunette del lato est, quelle con le storie di San Tommaso d’Aquino e San Vincenzo Ferrer, oltre al dipinto «Cristo che appare alla Maddalena in veste di ortolano» di Giovanni Maria Butteri. Ritornano, inoltre, ricchi di nuovi colori i sei ritratti di monaci domenicani situati nella volta a crociera sotto i capitelli tra le lunette, raffiguranti fra Arcangiolo Baldini, vescovo di Gravina; fra Giovanni Dominicis, arcivescovo di Ragusa in Dalmazia; fra Sinibaldo Alighieri; fra Leonardo Dati, Maestro generale dell’Ordine domenicano; fra Ubertino degli Albizi, vescovo di Pistoia, e fra Alessio Strozzi. Il restauro ha anche interessato la prima lunetta d’angolo del lato sud, con «I ritratti di Ferdinando I e Francesco I de’ Medici nelle vesti dei profeti David e Isaia», anche questa a firma di Giovanni Maria Butteri.


Anche con i musei chiusi – la Toscana è in zona arancione – Firenze non cessa, dunque, di lavorare per la cura e la tutela del suo patrimonio culturale, in attesa di tornare ad accogliere di nuovo, quanto prima e in sicurezza, i visitatori.

Didascalie delle immagini
[Figg. 1 e 2] Chiostro Grande di Santa Maria Novella a Firenze di sera; [fig. 3] Chiostro Grande di Santa Maria Novella a Firenze, alla fine del restauro; [figg. 4 e 5] San Vincenzo Ferrer riceve l’abito di domenicano (nono decennio del sec. XVI) di Ludovico Cardi detto il Cigoli (1559 – 1613). Prima e dopo il restauro; [figg. 6 e 7] Sopra: Putti, nono decennio del sec. XVI. Opera di Alessandro Fei del Barbiere  (1537 – 1592). Sotto: Ferdinando I de’ Medici nelle vesti del profeta David e Francesco I de’ Medici nelle vesti del profeta Isaia, nono decennio del sec. XVI. Opera di Giovanni Maria Butteri (1540 – 1606) 

Per saperne di più

giovedì 25 febbraio 2021

«Baci dal mondo», le Terre Malatestiane festeggiano on-line l’anno dantesco con il «Francesca Day»

Dalle tragedie di Silvio Pellico e Gabriele D’Annunzio alla «Fantasia sinfonica» di Pëtr Il'ič Čajkovskij, senza dimenticare l’opera scultorea di Auguste Rodin, il ciclo incisorio di Gustave Dorè e la parodia teatrale di Antonio Petito. Ma anche i disegni e le pitture di Jean Auguste Dominique Ingres, Dante Gabriele Rossetti, Mosè Bianchi e Gaetano Previati. Sono innumerevoli gli artisti che, dal Settecento a oggi, hanno rivolto la propria attenzione all’appassionante storia d’amore e di morte tra Francesca da Polenta e Paolo Malatesta. Tanto è vero che si stima l’esistenza di 1078 componimenti letterari, 85 tragedie, 599 opere d’arte visiva, 435 eventi musicali, una decina di film e persino un fotoromanzo dedicati alla coppia adulterina che Dante Alighieri rese immortale nelle pagine del Canto V dell’«Inferno», quello incentrato sui «peccatori carnali che la ragion sommettono al talento», puniti da una «bufera infernal che mai non resta».
La storia dell’avvenente e sfortunata fanciulla ravennate, per la quale Gabriele D’Annunzio coniò l’espressione «un fiore in mezzo a tanto ferro», e del suo amante, il giovane uomo che Giovanni Boccaccio definì «piacevole» e «costumato», non poteva non tornare sotto i riflettori nell’anno in cui si celebra il settecentesimo anniversario dalla morte di Dante Alighieri.
Si aprirà, infatti, con il «Francesca Day», in programma l’8 marzo, il cartellone dei festeggiamenti danteschi promosso dai Comuni di Rimini e Gradara, con i territori malatestiani e le Regioni Emilia Romagna e Marche.
La scelta della data non è casuale. Si è, infatti, deciso di celebrare Francesca da Rimini nel giorno della festa della donna perché il suo «mito, che appare con Dante, -racconta Ferruccio Farina - esplode con l’Illuminismo e il Romanticismo per affermare una donna non più peccatrice, ma vittima innocente di inganni e di violenze, emblema di bellezza, libertà e coraggio». Francesca è, dunque, una donna a tutto tondo, «una donna guerriera», costretta a un matrimonio di interesse, per ragioni di guerra e potere, con il crudele e deforme signore di Rimini, ingannata anche dal padre che le fa credere che il suo futuro sposo sia «Paolo il bello», il cognato, e capace, con coraggio, di scegliere l’amore vero a costo della sua stessa vita.
«Baci dal mondo» è il titolo dell’iniziativa organizzata per l’occasione: un «flash mob ecumenico», nato da un’idea di Ferruccio Farina, che vedrà la regia del teatro Amintore Galli di Rimini e la partecipazione di ventuno università di tutto il mondo, «da Adelaide a Siena, da Parigi a San Paolo, da Quito a Ekaterinburg, da Friburgo a Buenos Aires, da Ravenna a Shanghai, da Santiniketan a New York, da Barcellona a Los Angeles, da Gottinga a Toronto, da Amsterdam a Johannesburg».
Insegnanti e universitari dai quattro angoli del pianeta reciteranno, animeranno e commenteranno, nella lingua del loro Paese, il canto V dell’«Inferno» con i versi più celebri al mondo dedicati alla passione e al bacio.
Le animazioni si susseguiranno on-line, in diretta streaming, a partire dalle ore 9.30 del mattino (UTC+1) e verranno diffuse attraverso il sito dedicato – www.bacidalmondo.com – e vari canali social. Dai filmati verrà ricavato un documentario e una pubblicazione a stampa da diffondere con finalità didattiche e divulgative.
Con «Baci dal mondo» si apre «Francesca 2021», un calendario di trenta appuntamenti all’insegna di Francesca da Rimini, uno dei personaggi più noti e amati della «Divina Commedia», che vedrà la straordinaria eroina d’amore e di passione invadere città e castelli delle vallate riminesi, con mostre, spettacoli teatrali, musicali e cinematografici, convegni, rievocazioni storiche e giornate di studio.
I vari appuntamenti, che verranno presentati entro il 28 febbraio, avranno per protagonista – si legge nella nota stampa - «Francesca non solo in veste di espressione poetica, di icona del bacio e della fedeltà, ma anche come simbolo di libertà e di affermazione di diritti, come, tra Otto e Novecento, l’hanno sentita, vissuta e descritta più di duemila artisti romantici d’ogni paese d’Europa e d’America». Emblematica, in tal senso, è la mostra «Rodin a Gradara», con «Il bacio», capolavoro dello scultore francese Auguste Rodin, in una fusione originale di proprietà della prestigiosa Fondazione Gianadda di Martigny, che avrà come sede la Rocca, scenario della passione infelice e contrastata tra Paolo e Francesca, di cui «galeotto fu ’l libro» sull’amore tra Ginevra e Lancillotto.
Multidisciplinarietà
, rigore scientifico, internazionalità, divulgazione e attenzione alla didattica sono le parole chiave che animeranno il programma, all’interno del quale ci saranno, tra l’altro, un convegno internazionale e numerose Lecturae Dantis con sessioni nei castelli della Valmarecchia, alle quali parteciperanno le più preparate autorità accademiche al mondo. Il tutto per raccontare il volto di una donna che è diventata, nei secoli, simbolo di valori positivi come l’amore, la passione, la fedeltà, il coraggio, la libertà, il rispetto della vita e dei diritti della persona, affascinando molti artisti, da Byron a Boccioni, da Keats a Guttuso, da Zandonai a Borges. (sam)

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Locandina per il progetto Francesca 2021. Sullo sfondo: Gustave Doré, Paolo e Francesca,  disegno preparatorio della tavola Poeta volentieri dell’Inferno, inchiostro a guazzo bianco su carta, 1861. Strasbourg, Musée d’Art Moderne et Contemporain; [fig. 2] Locandina per l'iniziativa Baci dal mondo. Sullo sfondo: Auguste Rodin, Le baiser, Il bacio, già Paolo e Francesca, 1886. Scultura, marmo, ht. 182,2 cm. Realizzata nel 1904 da Rodin per l’archeologo inglese Edward Perry Warren. Londra, Tate Gallery; [fig. 3] Amos Cassioli (1832-1891), Il bacio, olio su tela, 1870 ca.  Replica della prima versione del dipinto oggi disperso. È l’immagine più popolare del bacio di Paolo e Francesca ; [fig. 4] Ary Scheffer, Francesca da Rimini e Paolo Malatesta, 1855, olio su tela, cm 171 × 239. Parigi, Louvre. Provenienza: Legato del 1900 di Mme Marjolin-Scheffer, figlia dell’artista. E' una delle dieci repliche, almeno, della celebre tela del 1835; [fig. 5] Franz von Bayros, Francesca da Rimini, illustrazione per Dante Alighieri, Die Gottliche Komedie, Lipsia e Vienna, 1921

mercoledì 24 febbraio 2021

In mostra a Milano i tappeti di René Gruau, l’illustratore di moda che raccontò lo stile Dior

È stato uno dei più celebri illustratori italiani che hanno segnato la storia della moda. René Gruau, al secolo Renato Zovagli Ricciardelli delle Caminate (Rimini, 4 febbraio 1909 – Roma, 31 marzo 2004), ha collaborato con i più grandi stilisti del Novecento, da Dior a Yves Saint-Laurent, da Chanel a Balenciaga.
Il suo talento viene riconosciuto quasi subito, quando da Rimini si trasferisce prima a Milano, dove lavora per il mensile «Lidel», diretto da Vera Rossi Lodomez, e disegna figurini in stile Déco per varie case di moda, e, poi, a Parigi, dove il suo inconfondibile tratto conquista le pagine della rivista «Fémina», antagonista dell’edizione francese di «Vogue». È il 1937 e il nome di René Gruau con la sua inconfondibile firma – una G con sopra una macchiolina a forma di stella - inizia ad accompagnarsi a quello di altri già celebri illustratori del tempo: Pierre Mourgue, Bernard Blossac e Claude Simon.
In quegli stessi anni arriva la collaborazione con «Marie Claire», dove l’artista riminese rimane per tutto il periodo della Seconda guerra mondiale. Con la Liberazione sono «Vogue», «L’Officiel de la Couture», «Harper’s Bazaar», «Flair», «Très Chic» e ancora «Fémina» a richiedere il suo segno grafico, curvilineo e marcato, dai colori forti e contrastanti, con una predominanza di rosso, nero e bianco.
Sempre in quegli anni, «L’Album de la Mode du Figaro» pubblica per il suo sesto numero, uscito a cavallo tra il 1945 e il 1946, trentatrè disegni di René Gruau – che occupano più di un quarto della rivista da soli – illustrando le collezioni di trenta diversi stilisti tra cui Marcel Rochas, Nina Ricci, Jean Patou e Lucien Lelong.
Il passo verso le grandi maison di moda è breve. Arrivano, infatti, le collaborazioni con i più grandi couturier del tempo, da Pierre Balmain a Cristóbal Balenciaga, da Hubert de Givenchy a Yves Saint-Laurent, da Christian LacroixChanel, senza dimenticare l’italiana Laura Biagiotti, per cui l’illustratore riminese studia il logo e l’immagine coordinata.
Fin dalla sfilata d'esordio nell'immediato Dopoguerra, quella del 12 febbraio 1947, René Gruau è accanto a Christian Dior, l’artefice della rinascita della moda francese, con il quale condivide la stessa visione stilistica sulla femminilità, dando così vita al leggendario New Look, che dimentica la cupezza e le restrizioni degli anni appena trascorsi, quelli del conflitto bellico, con abiti dalle spalle arrotondate e dalla vita stretta, con gonne ampie e lunghe simili a corolle, con orli svolazzanti in un turbinio di sete e chiffon.
È con lo stilista francese che René Gruau inizia a occuparsi di un nuovo settore: la pubblicità. Tutto ha inizio con il profumo «Miss Dior», per cui l’illustratore riminese disegna anche la boccetta. Arrivano, poi, le affiches per la Martini, per le case produttrici di cosmetici Pajor ed Elizabeth Arden, per i tessuti di Dormeuil e Rodier, per la biancheria di Scandale e Léjaby, per gli ombrelli e gli impermeabili del marchio Ortalion. Non manca, poi, nel curriculum la cartellonistica per le fodere Bemberg, per le camicie Pancaldi, per i guanti Perrin, per i cappelli Montezin, per le auto della Maserati, per le scarpe dei Fratelli Rossetti, per il profumo «Schu-Schu» di Schuberth e per il centocinquantesimo anniversario dei Bagni di Rimini.
René Gruau dedica il suo tratto anche al mondo dello spettacolo, collaborando con famosi locali di Parigi quali Moulin Rouge e il Lido, disegnando l’affiche per il film «La dolce vita» di Federico Fellini, realizzando le scenografie per l’Opéra Comique e per il Theâtre du Palais Royal.
Dalla sua matita esce un mondo elegante, sensuale, gioioso e pieno di humor, che crea atmosfere più che ritrarre la realtà. Le figure femminili vaporose e danzanti, emblemi delle eleganti viveuses dell’epoca, strizzano l'occhio a Giovanni Boldini ed Henri de Toulouse-Lautrec: sono donne consapevoli del proprio fascino e della loro capacità di seduzione. La cartellonistica, essenziale e raffinata, non può, poi, fare a meno di riferimenti importanti come Leonetto Cappiello, Jules Chéret e Marcello Dudovich, maestri di un’epoca d’oro per il settore dell’affiche come la Belle Époque.
Da vent’anni, dal 2000, René Gruau è protagonista di una mostra permanente al Museo della Città di Rimini. Litografie, schizzi, disegni, bozzetti, dipinti, riviste di moda, pagine e affiche pubblicitarie, oggetti in tessuto, cartoline, opuscoli, piatti in ceramica e libri documentano la parabola creativa dell’illustratore, a partire dagli anni Venti per giungere agli anni Novanta del XX secolo. Il museo romagnolo, che conserva in archivio oltre quattrocento opere dell’artista, è, dunque, un ottimo punto di partenza per conoscere la storia di un uomo «nato con la matita in mano», per usare un’espressione cara allo stesso René Gruau, che con il suo stile inconfondibile ci ha lasciato un mondo lussuoso e sognante, dal fascino intramontabile.
L’illustratore riminese è protagonista, in questi giorni, anche di una mostra a Milano, negli spazi dello showroom Amini, dove sono esposti, fino al 13 marzo, i tappeti nati dai suoi disegni tratti dall’archivio storico di Fede Cheti. Già presentati a Parigi nel 2020, in occasione della Paris Déco Home, questi manufatti consegnano al visitatore uno stile dalle suggestioni orientaliste, dal tratto grafico e dal gusto tipico dei primi anni del Novecento.
«À la mode de Gruau» - così si intitola l'esposizione milanese - allinea una selezione di disegni, scritti e fotografie accanto a tre tappeti figurativi, realizzati in un blend pregiato di lana e seta annodati a mano: «Cap», «Man» e «Woman». «Come in un frame cinematografico, - raccontano allo spazio di via Borgogna - le tre figure sembrano dialogare attraverso un passaggio veloce di sguardi, divertiti, educati».
Questi tappeti rappresentano, dunque, bene la strategia comunicativa dell’epoca: «i primissimi piani dei soggetti, le inquadrature e lo sviluppo del disegno su linee diagonali – raccontano ancora dallo showroom di Amini - sono espedienti per catturare l’attenzione dell’osservatore e guidarne lo sguardo, per animare così la rappresentazione».
Nello specifico, «Cap» raffigura un corpo colto nel gesto scanzonato e divertito di coprirsi con un cappello; una realtà gioiosa, libera da imposizioni e stereotipi, racconta un’immagine che evoca con forza il gusto di un’epoca. «Man» è, invece, la rappresentazione di un uomo e allo stesso tempo di un’atmosfera; il segno incisivo di René Gruau illustra meglio di una fotografa una figura maschile, emblema di un immaginario di vizi e virtù tipico delle località balneari del XX secolo. Con «Woman», infine, emerge tutta la dedizione e l’attenzione dell’illustratore nella raffigurazione della figura femminile. La donna è, infatti, rappresentata con l’obiettivo di coglierne i tratti più sensuali e maliziosi; la sua posa è ammiccante. René Gruau ci rimanda così tutta l’allure degli anni del Dopoguerra, con le sue donne di classe, i grandi cappelli, la bocca sinuosa, i guanti lunghi, le schiene nude allusive, la vita che sembra un’opera d’arte.

Vedi anche 

Informazioni utili 
# Spazio Gruau - Museo della Città di Rimini, via Tonini, 1 - Rimini. Informazioni: tel. 0541.793851, musei@comune.rimini.it. Sito internet: www.museicomunalirimini.it
# À la mode de Gruau. Amini, via Borgogna, 7 - Milano- Informazioni: tel. 02.45391455, info@amini.it. Sito web: www.amini.it. Fino al 13 marzo 2021

martedì 23 febbraio 2021

A Brera «Le fantasie» di Mario Mafai, ventidue dipinti contro la guerra

Era il 2018 quando l’ingegnere Aldo Bassetti donava alla Pinacoteca di Brera «Le fantasie», ventidue dipinti di Mario Mafai (Roma, 12 febbraio 1902 – Roma, 31 marzo 1965), uno degli esponenti della cosiddetta «Scuola di via Cavour», insieme con Scipione e Antonietta Raphaël. Quelle opere - destinate a far parte della collezione di arte moderna che sarà ospitata a Palazzo Citterio, il futuro Brera Modern – sono esposte dallo scorso 17 febbraio nella sala diciotto del museo milanese, in un progetto espositivo a cura di Alessandra Quarto e Marco Carminati
Visti i nostri tempi incerti, caratterizzati dal Coronavirus e nei quali la continuità dell’offerta di ogni singolo museo è legata al mantenimento dell’indice RT sotto l’uno nella regione di appartenenza, la Pinacoteca di Brera ha pensato di trasformare la mostra in un documentario, visibile dal 29 marzo sulla piattaforma BreraPlus+.
Di piccolo formato, ma di enorme importanza per la storia dell’arte del Novecento, «Le fantasie» sono un atto di denuncia dei massacri della guerra e del nazifascismo. Dipinte con pennellate veloci e colori allucinati di derivazione espressionista, queste tavole raffigurano scene di atrocità, violenza, stupri, esecuzioni di massa, orrori.
Mario Mafai iniziò a dipingerle nel periodo del suo soggiorno a Genova, dove si era trasferito da Roma con la famiglia, nel 1939, per timore delle discriminazioni nei confronti della moglie Antonietta Raphaël, ebrea, all’indomani dell’approvazione delle leggi razziali del 1938. Ci lavorò, poi, fino al 1944.
L’intero ciclo, nella sua integrità, si è visto molto di rado in ottant’anni dalla sua realizzazione. Ancora più preziosa si rivela, dunque, l’occasione offerta dalla Pinacoteca di Brera, che -racconta il direttore James Bradburne - nel 2021 celebrerà con una serie di appuntamenti «la generosità e la sensibilità dei donatori che hanno contribuito ad arricchire le collezioni del museo».
Aldo Bassetti acquistò il ciclo pittorico da Giovanni Pirelli, figlio primogenito dell’industriale, che però scelse di rinunciare a un destino nell’impresa di famiglia per diventare comandante partigiano prima, scrittore poi.
Giovanni Pirelli aveva comprato queste tavole direttamente dal pittore, nel 1957.
Il mio acquisto e il mio regalo — ha spiegato Aldo Bassetti, che dal 2007 al 2020 è stato presidente degli «Amici di Brera» — hanno un significato strettamente politico. Questi lavori rappresentano un uomo, Mario Mafai, che come artista aveva avuto la priorità di descrivere le tristezze e le infamie dei campi di concentramento. Qui c'è il mio pensiero, un pensiero antifascista. Io desidero che si conosca quanto è accaduto nella storia, affinché sia ricordato per sempre».
La vicenda di queste opere è, infatti, parte integrante dell’esistenza di Aldo Bassetti e ha inizio da lontano, da quando il collezionista aveva appena 14 anni e un episodio tragico segnò profondamente la sua vita: la strage dell’Hotel Meina sul Lago Maggiore nel 1943. 
Vittime di una retata tedesca, compiuta su tutta la costa novarese del Lago Maggiore, sedici ebrei ospiti dell’Albergo Meina di Meina vennero prima identificati e trattenuti per alcuni giorni in una stanza e poi, in due notti successive (quelle del 22 e del 23 settembre 1943), furono uccisi e gettati con zavorre nel lago. Tra le vittime figurava Lotte Froehlich Mazzucchelli, di anni 38, la zia di Aldo Bassetti. Il giovane fu chiamato a riconoscerne il cadavere. Quell’esperienza - ricorda il collezionista - «ha cambiato completamente la mia sensibilità morale, politica e sociale. Ecco allora che Mafai diventa un simbolo della mia vita».
Quella di Aldo Bassetti è una donazione importante, «testimonianza - raccontano alla Pinacoteca di Brera - di argomenti sempre attuali». Un donazione «che riafferma il ruolo di un grande museo, che è davvero tale non solo se ha una grande collezione, ma se riesce ad agire nel proprio tempo, nel presente, riflettendo sul passato e provando a costruire il futuro, continuando a informare e a formare coscienze».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Mario Mafai, Vinti e vincitori (Fantasia n. 8), olio su tavola, cm 36,5 × 61,5. Pinacoteca di Brera, Sala 18; [fig. 2] Mario Mafai, Fucilazione (Fantasia n. 1), olio su tavola, cm 38,5 × 52,5. Pinacoteca di Brera, Sala 18; [fig. 3] Mario Mafai, Interrogatorio (Fantasia n. 7), olio su tavola, cm 36,5 × 47. Pinacoteca di Brera, Sala 18; [fig. 4] Mario Mafai, Massacro (Fantasia n. 14), olio su tavola, cm 35 × 78. Pinacoteca di Brera, Sala 18; [fig. 5] Mario Mafai, Corteo (la guerra è fnita) (Fantasia n. 22), olio su tela, cm 34,5 × 54,7. Pinacoteca di Brera, Sala 18 

Informazioni utili 

lunedì 22 febbraio 2021

Milano, «I dormienti» di Mimmo Paladino incontrano la musica di Brian Eno

È il 1998 quando Mimmo Paladino (Paduli, 18 dicembre 1948), uno tra i principali esponenti della Transavanguardia, espone per la prima volta in Toscana, a Poggibonsi, nell’ambito della mostra «Arte all’Arte», promossa annualmente dalla Galleria Continua, i suoi «Dormienti». All’interno della Fonte delle Fate trovano posto coccodrilli e uomini in posizione fetale; le figure, in terracotta, sono collocate su lastre di ferro scuro e sembrano immerse in un sonno che richiama la profondità dell'inconscio e l'immagine stessa dei sogni. Due anni dopo, nel 2000, le opere vengono fuse in bronzo e vanno a comporre l’installazione permanente che ancora oggi è visibile a Poggibonsi, in quella che è l’unica fonte medievale superstite del castello di Poggiobonizzo, raso al suolo dai fiorentini nel 1270. Le opere sono parzialmente immerse nelle acque, che variando di livello (a causa delle piogge) le sommergono o le rivelano. La vegetazione sulle pareti e il picchiettare delle gocce d’acqua creano un’atmosfera suggestiva e sospesa.
Quegli imperturbabili uomini eterni realizzati in terracotta accostando frammenti provenienti dalla stessa matrice, ma combinati diversamente, ognuno con il colore unico dell'argilla utilizzata, vengono esposti anche, nel 1999, in una grande mostra negli spazi sotterranei della Roundhouse di Londra, in dialogo con un impianto sonoro appositamente ideato dal musicista, compositore e produttore britannico Brian Eno.
A vent’anni di distanza, i «Dormienti» arrivano per la prima volta a Milano, dove rimarranno esposti fino al prossimo 8 maggio alla Cardi Gallery, in un nuovo allestimento inedito, un unicum irripetibile pensato per l’occasione dallo stesso artista.
La scelta non è casuale: «desideriamo inaugurare questo nuovo anno con una mostra importante e ambiziosa – spiega, infatti, Nicolò Cardi –. In un momento particolare come quello di oggi continuiamo a produrre concretamente contenuti di altissima qualità, così da stimolare una nuova progettualità per il sistema dell'arte e dare un segno di fiducia al mondo della cultura».
Nella penombra del grande open space della galleria milanese, l’artista dispone trentadue sculture secondo una nuova costruzione concettuale, rimodulando il tono dell’installazione con solennità. Le composizioni musicali di Brian Eno anche questa volta liberano i «Dormienti» dalla pesantezza del sonno o dall’evanescenza del sogno, restituendo loro un soffio vitale e una serena concretezza.
Per l’occasione verrà pubblicato un catalogo, con un testo di Demetrio Paparoni, che così racconta la ricerca dell’artista campano: «ricorre in Paladino l’idea di assemblare delle forme come se fossero moduli. Non va dimenticato che l'artista ha in più occasioni manifestato l’attitudine a realizzare opere concepite come un insieme di frammenti archiviati nel suo immaginario visivo. È questa attitudine che lo ha portato a realizzare dei lavori insieme a Sol Le Witt, Alighiero Boetti e non ultimo Brian Eno, artisti che hanno sempre lavorato con un concetto di modulo e di ripetizione differente».
La mostra può essere vista anche on-line, sul sito www.cardigallery.com. Elemento innovativo alla base del progetto, realizzato in collaborazione con la start up milanese Wide Vr, è la tecnologia Real-time 3D Streaming, derivata dal gaming. La galleria utilizza questa nuova modalità digitale, che integra le più avanzate ricerche tecnologiche sulla realtà virtuale, per offrire al suo pubblico un risultato di altissima qualità. Le trentadue sculture in terracotta che compongono l'installazione sono state scansionate con un procedimento di fotogrammetria che restituisce l'immagine tridimensionale nel minimo dettaglio. Il visitatore può muoversi tra le opere e osservare a 360 gradi i particolari che le compongono, proprio come farebbe nello spazio reale, con la possibilità di usufruire anche di approfondimenti e contenuti inediti.
I corpi dei «Dormienti» – in cui molti hanno visto un’ispirazione ai resti degli abitanti di Pompei e Ercolano, ma che in realtà fanno riferimento ai disegni di Henry Moore dei ricoveri di guerra inglesi durante la Seconda guerra mondiale – sono accompagnati al primo piano della Cardi Gallery dalla grande opera inedita «Sunday Mornin' Comin' Down», composta da cento disegni realizzati nel corso del 2020. Anche quest’opera, così come «I Dormienti», è emblematica del modo in cui l'artista concepisce il lavoro, un puzzle nel quale i frammenti convergono in un unicum monumentale, una «finestra panoramica» sulle immagini che popolano il mondo dell'artista alla ricerca di un equilibrio naturale tra intimismo e memoria collettiva.

(aggiornato il 4 maggio 2021, alle ore 15:00)
 

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Mimmo Paladino, Ritratto. Foto di Lorenzo_Palmieri; [figg. 2 e 3] Mimmo Paladino, I dormienti, 1998-2020. Foto di Carlo Vannini. Courtesy Cardi Gallery, Milano; [fig. 4] Mimmo Paladino, Sunday Mornin' Comin' Down», 2020. Foto di Carlo Vannini. Courtesy Cardi Gallery, Milano

Informazioni utili 
Cardi Gallery | Milano, corso di Porta Nuova, 38 - Milano. Orari: da lunedì a venerdì dalle 10.00 alle 18.30, sabato dalle 11.00 alle 18.00. Ingresso libero. Informazioni: tel. (+39)02.45478189; mail@cardigallery.com. Sito internet: www.cardigallery.com. Social Network: @cardigallery. Fino all'8 maggio 2021

venerdì 19 febbraio 2021

Tra Informale e Ultimo Naturalismo, un nuovo allestimento parziale per le collezioni del Mambo di Bologna

La temporanea chiusura degli spazi espositivi per l’emergenza Covid-19 non ha fermato le attività di studio e riordino delle collezioni permanenti e l’allestimento di focus espositivi nelle sedi dell’Istituzione Bologna Musei
Il Mambo – Museo d’arte moderna di Bologna si presenta al pubblico con un importante intervento di rivisitazione dei suoi spazi, che ha portato anche alla riapertura delle finestre della Manica Lunga in un cambio osmotico tra dentro e fuori.
Le sezioni che appaiono rinnovate dal nuovo ordinamento, curato da Uliana Zanetti e Barbara Secci, con la supervisione del direttore artistico Lorenzo Balbi, sono quelle dedicate all'Informale e all'Ultimo Naturalismo, mentre è stata costruita ex-novo un'area tematica sull'arte verbo-visuale.
«Le curatrici – raccontano dal museo bolognese - hanno lavorato al riallestimento con l'obiettivo di individuare, utilizzando alcuni nuclei collezionistici significativi delle raccolte del museo, circostanze di tempo e di luogo da cui sono scaturite opportunità di sperimentazione e connessioni con il territorio bolognese, nazionale e internazionale».
La sezione dedicata all’Informale è anche un omaggio a Francesco Arcangeli, direttore della Galleria d'arte moderna di Bologna, antesignana del Mambo, dal 1959 al 1968, e tra i primi critici in Italia a interessarsi ai fermenti di un’arte non figurativa sviluppatisi in Europa tra gli anni Cinquanta e Sessanta. 
 Nel corso del suo mandato lo studioso arricchì le collezioni con opere di varie correnti, prestando particolare attenzione alla scena locale, ma anche a quella italiana ed estera. A lui si deve l'acquisto di significative opere come «Bianco plastica» (1966) di Alberto Burri e «Pintura» (1955) di Antoni Tàpies, entrambe esposte nel nuovo allestimento, in cui una manipolazione controllata della materia suscita inedite manifestazioni formali. 
Su un tracciato parallelo si collocano le delicate composizioni di Germano Sartelli (Imola, Bologna, 1925 - 2014), poetiche ricombinazioni di elementi naturali e di scarto, mentre, quasi all'opposto, si colloca la lunga tela di Pinot Gallizio (Alba, Cuneo, 1902 - 1964) presente nel nuovo allestimento, «Il teorema di Pitagora» (1960/61), testimonianza di un approccio alla pittura esuberante ed energico. 
Anche la sezione «Ultimo Naturalismo e scultura» guarda alla lezione di Francesco Arcangeli, partendo dall’articolo «Gli ultimi Naturalisti», pubblicato sulla rivista «Paragone» nel 1954. Sotto questa definizione, lo studioso raccoglie alcuni artisti del Nord Italia di cui da tempo segue il lavoro, come Pompilio Mandelli, Ennio Morlotti, Sergio Romiti, Mattia Moreni, Vasco Bendini, Sergio Vacchi. Secondo il critico, ad accomunare questi pittori è la capacità di riversare quasi istintivamente sulla tela l'introiezione di un sentimento del naturale che fin dal Medioevo è cifra autenticamente peculiare della tradizione artistica radicata in area padana. Per Francesco Arcangeli – si legge nell’articolo -, «natura è la cosa immensa che non vi dà tregua, perché la sentite vivere tremando fuori, entro di voi: strato profondo di passione e di sensi, felicità, tormento. In un tale rapporto si include tutto ciò che si sta svelando, di pauroso, per chi ancora ama il tempo lento ed umano del vecchio mondo naturale, nell'universo. […] Si ritenta la natura; ma la sua proporzione sfugge, ora, alla misura intellettuale». 
Oltre alle opere dei pittori cari ad Arcangeli, la sala accoglie alcune sculture di Agenore Fabbri, Quinto Ghermandi, Jean Ipoustéguy, Leoncillo (Leoncillo Leonardi), Luciano Minguzzi e Andrea Raccagni acquisite dal museo negli anni della sua direzione.
Novità assoluta del nuovo allestimento è la sezione dedicata all'Arte verbo-visuale, una corrente nata agli inizi degli anni Sessanta, quando sempre più artisti avvertono l’importanza dell’impatto delle nuove tecnologie e dei mass media non solo sulla cultura popolare, ma anche sulle sfide estetiche e sulla ricerca artistica. In quegli anni «si percepisce – raccontano dal Mambo di Bologna - che il mondo con il quale la letteratura e le arti visive sono chiamate a confrontarsi non è tanto quello naturale, quanto quello prodotto attraverso i vari mezzi di comunicazione. Molti artisti adottano metodologie che sfruttano le potenzialità dei mass media per veicolarne una critica consapevole, sondando e ricombinando parole, immagini, suoni per creare significati in competizione con un apparato comunicativo finalizzato al rapido consumo».
Intrecciandosi a una diffusa sensibilità per temi politici e sociali, l’arte verbo-visuale che ne scaturisce conosce fino alla fine degli anni Settanta un sensibile sviluppo, con ricerche di carattere interdisciplinare che danno luogo a un dinamico intreccio di raggruppamenti, eventi, sodalizi, mostre, incontri. Fra i gruppi che si impegnano in queste sperimentazioni un ruolo di rilievo è svolto dal Gruppo 70, fondato nel 1963 a Firenze da Giuseppe Chiari, Ketty La Rocca, Lucia Marcucci, Eugenio Miccini, Luciano Ori, Lamberto Pignotti, ma moltissimi sono gli artisti che, anche singolarmente, conducono ricerche affini, spesso trovandosi coinvolti nelle stesse manifestazioni espositive o performative. Fra questi compaiono Vincenzo Accame, Gianfranco Baruchello, Tomaso Binga, Adriano Spatola e Franco Vaccari.
Oltre a documentare alcuni esiti significativi dell’arte verbo-visuale, le opere esposte in questa sezione sono testimonianza di una intensa campagna di acquisizioni per la Galleria d’arte moderna di Bologna promossa nel 1984 da Concetto Pozzati (Vò Vecchio, Padova, 1935 – Bologna, 2017), presente con un’opera grafica: l’acquaforte «1 e 3 guanti» (1974).
Questa sezione prelude a una più ampia e articolata narrazione, che sarà sviluppata nei prossimi mesi, sulle sperimentazioni bolognesi ed emiliane degli anni Settanta e in particolare sulla Performance.
In occasione della riapertura, il Mambo si arricchisce anche di un nuovo comodato: grazie alla generosità della Banca di Pisa e Fornacette credito cooperativo, la sezione Officina d'arte italiana accoglie un dipinto («s.t.», 2009) di Luca Bertolo, che sarà presto ufficialmente presentato al pubblico alla presenza dell'artista.
Il tutto potrà essere visitato anche grazie all’app MuseOn, disponibile in versione Ios e Android, che dal 2 febbraio si è arricchita di contenuti relativi alla collezione permanente Mambo. Uno strumento in più, questo, per accompagnare i visitatori con speciali percorsi-audio studiati dal Dipartimento educativo del Mambo per tipologie differenziate di pubblico (singoli, coppie, gruppi e famiglie) e approfondimenti sulle opere iconiche della collezione.

Vedi anche

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] MAMbo – Museo d'Arte Moderna di Bologna, collezione permanente | Veduta d’allestimento della sezione Ultimo Naturalismo e Scultura | Foto Roberto Serra; [fig. 2] MAMbo – Museo d'Arte Moderna di Bologna, collezione permanente | Veduta d’allestimento della sezione Informale | Foto Roberto Serra; [fig. 3] MAMbo – Museo d'Arte Moderna di Bologna, collezione permanente | Veduta d’allestimento della sezione Officina d’Arte Italiana | Foto Roberto Serra; [fig. 4] MAMbo – Museo d'Arte Moderna di Bologna, collezione permanente | Veduta d’allestimento della sezione Verbo-Visuale | Foto Roberto Serra; [fig. 5] MAMbo – Museo d'Arte Moderna di Bologna, collezione permanente | Veduta d’allestimento della sezione Verbo-Visuale | Foto Roberto Serra; [fig.6] MAMbo – Museo d'Arte Moderna di Bologna, collezione permanente | Veduta d’allestimento della sezione Ultimo Naturalismo e Scultura | Foto Roberto Serra; [fig. 7] AMbo – Museo d'Arte Moderna di Bologna, collezione permanente | Veduta d’allestimento della sezione Verbo-Visuale | Foto Roberto Serra

Informazioni utili 
 MAMbo – Museo d'Arte Moderna di Bologna, via Don Minzoni, 14 – Bologna.  Orari di apertura: martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, h 14.00 - 19.00; chiuso sabato, domenica, lunedì e festivi. Ingresso: intero € 6,00, ridotto € 4,00. Informazioni: tel. +39.051.6496611, info@mambo-bologna.org. Sito internet: www.mambo-bologna.org. Facebook: MAMboMuseoArteModernaBologna. Instagram: @mambobologna. Twitter: @MAMboBologna. YouTube: MAMbo channel. 

giovedì 18 febbraio 2021

«Ritratti d’oro e d’argento», in mostra a Torino gli antichi busti reliquari dell’area alpina

Aiutano a ricostruire un tassello della storia dell’oreficeria medievale in Piemonte e nel ducato di Savoia i diciotto busti reliquario che vanno a comporre il percorso espositivo della mostra dossier «Ritratti d’oro e d’argento», la prima inaugurata negli spazi di Palazzo Madama, a Torino, dopo il passaggio del Piemonte in zona gialla.
Curata di Simonetta Castronovo, l’esposizione ha portato, in Sala Atelier, nelle belle vetrine di legno realizzate da Fontana Arte negli anni Trenta, una selezione di opere in oreficeria o in legno scolpito, datate tra il Trecento e il primo Cinquecento e provenienti da tutte le diocesi del Piemonte, che raffigurano santi legati alle devozioni del territorio o alle titolazioni di alcune chiese locali. Accanto a questi lavori sono esposti anche esemplari provenienti dalla Svizzera, dai cantoni di Vaud e del Vallese, e dall'Alta Savoia.
Sotto gli occhi dei visitatori scorrono così raffigurazioni di san Teobaldo di Albasan Giovenale di Fossanosant'Evasio di Casalesan Secondo di Asti e san Venanzio di Sarezzano, simboli strettamente identitari di alcune zone della regione, accanto a effigi «più internazionali» di santi legati alla storia della dinastia sabauda come san Giorgio e san Maurizio. C’è anche un’immagine di sant’Orsola, venerata soprattutto in ambito germanico anche in relazione al culto delle undicimila vergini, di cui viene presentato in mostra un busto ligneo intagliato e dipinto, realizzato a Colonia e arrivato in Piemonte come dono di Manfredi di Montafia, uno dei tanti mercanti «lombardi» attivi nel nord Europa nel Medioevo.
Documentati già dall’XI secolo per contenere i resti mortali dei santi o anche oggetti a loro collegati come gli strumenti del martirio o le vesti, e per questo dotati di vetri e feritoie, i busti sono a tutti gli effetti dei ritratti in oreficeria, solitamente in rame o in argento dorato, spesso arricchiti da pietre preziose, vetri colorati e smalti.
Questi manufatti non sono, però, solo opere d’arte, ma anche oggetti devozionali ancora «vivi» nelle proprie comunità di riferimento, spesso utilizzati in occasione di cerimonie religiose: «lo dimostra il fatto - racconta la curatrice Simonetta Castronovo - che il busto di Giovenale tornerà temporaneamente nella sua città, a Fossano, a maggio, proprio in occasione della festa dedicata al patrono». Questo è un pezzo importante per la storia del museo torinese, perché commissionato all’orafo Severino Dorerio dal principe Ludovico d’Acaia che, all’inizio del 400, viveva proprio nel castello che oggi conosciamo come Palazzo Madama.
I diciotto busti e teste di reliquiario esposti a Torino sono presentati in ordine cronologico, dal più antico, la santa Felicola dell’abbazia di Sainte-Marie d’Aulps (Haute-Savoie) – una santa gotica e sorridente, che guarda alla scultura delle cattedrali, tra Parigi e la Francia settentrionale, negli anni di regno di Filippo il Bello -, fino alla santa Margherita del Musée d’art et d’histoire di Ginevra, un busto ligneo del 1500 circa, improntato al nuovo realismo di radice fiamminga. Tra questi due estremi, scorre una galleria di volti, opera di artisti di estrazioni culturali diverse, che mostrano le tante sfaccettature di questa tipologia di arredi sacri, dal gotico al tardogotico, senza dimenticare il naturalismo pieno della seconda metà del Quattrocento.
Nella vetrina centrale, il busto in argento di Giove (II-III sec- d. C.), capolavoro del Museo archeologico Regionale di Aosta e ritrovato nel 1914 in uno scavo archeologico al Piccolo san Bernardo, introduce il tema dei modelli: furono, infatti, anche i busti in metallo di età romana, raffiguranti divinità olimpiche o imperatori, i primi modelli cui guardarono gli orafi medievali per realizzare i ritratti dei santi. Questa tipologia di riproduzione, che di solito sottolineava un carattere ieratico e solenne, ben si adattava alla raffigurazione dei santi, modelli di fede, virtù e carità, cui l’uomo medievale guardava con reverenza.
L’esposizione a Palazzo Madama, organizzata in partnership con il Museo del tesoro della cattedrale di Aosta e con la Soprintendenza per i beni e le attività culturali della Valle d'Aosta, in collaborazione con la Consulta regionale per i Beni culturali ecclesiastici di Piemonte e Valle d’Aosta, nasce da un’iniziativa condivisa con i musei della rete internazionale «Art Médiéval dans les Alpes», fondata nel 2001 con l’intento di lavorare su progetti riguardanti il patrimonio artistico alpino, tanto sul fronte piemontese e valdostano che su quello francese e svizzero, con riferimento, quindi, ai confini storici del ducato di Savoia.
La mostra si lega, quindi, a una serie di esposizioni che apriranno nello stesso periodo sui due versanti delle Alpi, sotto il titolo comprensivo di «Artistes et artisans dans les États de Savoie au Moyen Âge. De l’or au bout des doigts». In Italia sono previste altre due esposizioni: una ad Aosta, dove dal 27 marzo al 6 giugno sarà allestita un’esposizione dei busti reliquario di area valdostana realizzati nel Medioevo; l'altra a Susa, dove dal 5 febbraio al 5 aprile, verranno presentati gli oggetti rinvenuti all’interno della preziosa Cassa di Sant’Eldrado, capolavoro dell’arte romanica custodito nella Parrocchiale della Novalesa, con una ricostruzione dell’urna.
Palazzo Madama continua così anche il suo sostegno al territorio regionale, in un’ottica di promozione turistica, per creare un’offerta di qualità, estesa e diffusa. Un’offerta quanto mai interessante in questo momento storico caratterizzato da un turismo di prossimità.

Per saperne di più 

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Veduta della mostra «Ritratti d’oro e d’argento», a Palazzo Madama di Torino. Foto: Perottino. Nell'immagine: Orafo lombardo (?), Busto reliquiario di san Venanzio, metà XV secolo. Lega di stagno e piombo in fusione, poi sbalzata, cesellata e dorata. Sarezzano (AL), Oratorio della Madonna Addolorata; [fig. 2] Veduta della mostra «Ritratti d’oro e d’argento», a Palazzo Madama di Torino. Foto: Perottino. Nell'immagine:Arte romana, Busto di Giove Dolicheno, fine del II-inizio del III secolo d.C. Lamina d’argento sbalzata e cesellata. Aosta, Museo Archeologico Regionale; [fig. 3] Veduta della mostra «Ritratti d’oro e d’argento», a Palazzo Madama di Torino. Foto: Perottino; [fig. 4] Veduta della mostra «Ritratti d’oro e d’argento», a Palazzo Madama di Torino. Foto: Perottino; [fig. 5] Bertramino de Zuttis (documentato a Milano dal 1404 al 1434) Busto reliquiario di san Bernardo di Aosta, 1424. Argento sbalzato e cesellato, rame traforato, inciso e dorato, smalti en ronde bosse, vetri colorati (busto); ottone dorato e rame (statuette d i reimpiego); legno argentato (base). Novara, Duomo; [fig. 6] Colonia, Busto reliquario di santa Giustina, compagna di sant’Orsola, 1348-1360. Legno intagliato, dipinto e dorato. Vicoforte (CN), Monastero di Santa Chiara; [fig. 7] Bottega del Valais, Busto reliquiario di san Maurizio, metà XV secolo. Legno di tiglio intagliato, dipinto dorato e argentato. Bagnes, chiesa parrocchiale di Saint-Maurice 

Informazioni utili 
 Ritratti d’oro e d’argento. Reliquiari medievali in Piemonte, Valle d’Aosta, Svizzera e Savoia. Palazzo Madama - Museo civico d’arte antica, piazza Castello – Torino. Orari:mercoledì giovedì e venerdì, dalle ore 13 alle ore 20; sabato e domenica, dalle ore 10 alle ore 19 (ingressi garantiti con prenotazione o prevendita on-line); chiuso il lunedì e martedì | le biglietterie chiudono un’ora prima. Prenotazioni: Theatrum Sabaudiae via e-mail all'indirizzo ftm@arteintorino.com o al numero +39.011.5211788. Prevendita TicketOne: www.ticketone.it. Ingresso: intero € 10.00, ridotto € 8.00. Sito internet: www.palazzomadamatorino.it. Dal 5 febbraio fino al 30 AGOSTO 2021 (mostra prorogata).

mercoledì 17 febbraio 2021

A Bologna un focus su Giorgio Morandi e le sue nature morte

Riparte con un nuovo appuntamento del progetto espositivo «Re-Collecting», nato da un’idea del direttore Lorenzo Balbi con l’intento di offrire approcci originali, e quando possibile anche inusuali, per conoscere il cospicuo patrimonio delle collezioni felsinee, il Museo Morandi di Bologna.
Dopo la mostra sul «fascino segreto dei suoi fiori», è la volta di un focus su uno dei temi più amati da Giorgio Morandi: la natura morta, declinata nei suoi aspetti tonali e compositivi. 
I dieci lavori in mostra, selezionati da Giusi Vecchi, appartengono tutti all’ultima stagione della ricerca artistica morandiana, quella che va dal secondo dopoguerra agli anni Sessanta, caratterizzata da una cospicua produzione e da una ricchezza creativa, che fa registrare un numero altissimo di nature morte (quasi settecento) rispetto all’esiguo numero di paesaggi (poco più di cento).
La ragione è da ricercarsi nella lunga assenza dell’artista dalla residenza di villeggiatura di Grizzana (dopo il 1944, vi ritornerà solo nel 1959) e nella sua tendenza ad approfondire e indagare con maggiore rigore stilistico il tema delle variazioni.
Come scrive Francesco Arcangeli, «mai, forse, come in questi anni fra il '45 e il '50, Morandi è stato ‘pittore per la pittura’».
Questa fase matura della vicenda artistica morandiana vede affermarsi l’idea di serie e di variante
Gli oggetti protagonisti dei dipinti di questo periodo, pur essendo sempre gli stessi ai quali il maestro ricorre durante la sua vita (bottiglie, scatole, vasi), risultano, però, investiti da un’atmosfera carica di una più limpida tensione psicologica, rappresentati talora nella loro suggestiva monumentalità oppure costretti in un'architettura in cui le forme si compenetrano e si rincalzano, serrandosi in blocchi compatti al centro della tela. In altri casi i suoi modelli vengono allineati o sfalsati di poco tra loro, quasi a scomparire l’uno dietro l’altro, colpiti da una luce che si fa sempre più chiara e impalpabile. La materia pittorica si alleggerisce, tanto quanto basta per vibrare di nuovi accordi tonali, che sfumano nelle diverse gradazioni di bianchi e di grigi, giungendo, specie nei lavori più tardi, a una dissoluzione dei contorni degli oggetti che, pur nella loro labile presenza, continuano ad affermare il valore dell’esistenza.
Guardando all’opera dell’artista bolognese, è fondamentale soffermarsi sulla componente luministica delle sue creazioni. Tutti gli interpreti e i critici più attenti hanno sottolineato come anche il colore in Morandi sia espressione di luce. Perfino quando le immagini sulla tela ci appaiono severe e melanconiche, la luce penetra e trasforma la materia, divenendone elemento essenziale, sostanza della sua pittura. Morandi lavora sulla percezione del nostro occhio e attraverso il colore sfrutta queste sensazioni, definendo le forme dei suoi oggetti nelle infinite tonalità e sfumature di vibrazioni di cui è capace e abile esecutore. Perciò la sua viene detta «pittura tonale» ed è impresa impossibile definire quante gradazioni di grigi e di bruni esistano nei fondi e nelle superfici dei suoi quadri o quante sfumature di verde nei suoi paesaggi.
Il percorso espositivo della mostra, che si intitola «Morandi racconta. Tono e composizione nelle sue ultime nature morte», dà pienamente ragione della profonda maturità artistica raggiunta dall'artista, ben espressa anche negli acquerelli, realizzati con maggiore assiduità soprattutto a partire dal 1956. È proprio in questa tecnica che Morandi arriva all’estrema semplificazione delle forme che, per la mancanza del piano d’appoggio, sembrano fluttuare nello spazio, come fossero anime, presenze fantasmagoriche, impalpabili simulacri che si rivelano nell’alternanza di pieni e vuoti.
Sono, inoltre, visibili in mostra materiali e documenti che accompagnano il visitatore nel cuore dell’approccio compositivo morandiano, come la ricostruzione di una composizione con gli oggetti e modelli originali, vasi di vetro con colore in polvere, la tavolozza con pennelli e colori provenienti dall’atelier dell’artista, oltre a lettere, cartoline, riviste e fotografie normalmente conservate nell’archivio del Museo Morandi.
Completa l’esposizione, di cui rimarrà documentazione in un agile pubblicazione a cura dell’Istituzione Bologna Musei in distribuzione gratuita, un video, realizzato grazie alla collaborazione di Lucia Luna Gallina, in cui la curatrice Giusi Vecchi racconta la stagione creativa di Morandi oggetto del focus espositivo.
Non appena le condizioni dell’emergenza sanitaria in corso lo consentiranno, inoltre, il museo organizzerà un incontro con Mariella Gnani, restauratrice che da anni indaga l’opera morandiana, così da offrire al pubblico l’opportunità di osservare da vicino, tramite uno stereomicroscopio, particolari delle tele del maestro e svelare così alcuni segreti della sua tecnica e dei suoi unici impasti cromatici. Un’occasione in più, questa, per approfondire l’arte di un pittore molto amato del Novecento, il maestro delle silenziose quotidianità, che ci ha lasciato un mondo fatto di forme elegantemente geometriche e di poetica atmosfera contemplativa.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Vasi di colore in polvere. Istituzione Bologna Musei |Casa Morandi; [Fig. 2] Tavolozza di Morandi. Istituzione Bologna Musei | Casa Morandi; [fig. 3] Giorgio Morandi, Natura morta, 1955 (V.971). Olio su tela. Collezione Cristina e Giuliana Pavarotti. Provenienza Deposito in comodato gratuito da luglio 2011;: [figg. 4,5 e 6] Vedute della mostra «Morandi racconta. Tono e composizione nelle sue ultime nature morte». Museo Morandi, Bologna. Foto: Roberto Serra

Informazioni utili 
Morandi racconta. Tono e composizione nelle sue ultime nature morte, a cura di Giusi Vecchi. Museo Morandi, via Don Minzoni, 14 – Bologna. Orari di apertura: martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, ore 16-20; sabato, domenica e festivi su prenotazione obbligatoria effettuata entro le 24 ore precedenti la visita, ore 10-20; chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 6,00, ridotto € 4,00. Note: dal lunedì al venerdì sarà possibile accedere ai musei sia su prenotazione sul sito Mida Ticket (https://www.midaticket.it/eventi/musei-civici-di-bologna) sia direttamente alle casse (solo con carte e bancomat) in base alla disponibilità nei diversi slot orari, come da capienza massima secondo le norme di sicurezza legate all’emergenza Covid-19.
Il sabato, la domenica e nei festivi infrasettimanali la prenotazione sarà sempre obbligatoria e dovrà essere effettuata entro le 24 ore precedenti la visita, sempre sul sito Mida Ticket (https://www.midaticket.it/eventi/musei-civici-di-bologna). Nel week-end e nei festivi non sarà dunque possibile accedere presentandosi nei musei senza biglietti pre-acquistati on line. Informazioni: tel. +39.051.6496611, info@mambo-bologna.org. Sito internet: www.mambo-bologna.org. Facebook: MAMboMuseoArteModernaBologna. Instagram: @mambobologna. Twitter: @MAMboBologna. YouTube: MAMbo channel.  Fino al 23 maggio 2021

martedì 16 febbraio 2021

«Progetto Pop-App»: Torino celebra il libro animato con un centro studi, un museo, quattro mostre, un convegno e una rivista

Un centro studi, un convegno internazionale, una rivista on-line, un nuovo spazio espositivo e quattro mostre temporanee da visitare in modalità digitale: è ricco il programma dell’edizione 2021 del progetto «Pop-App», lanciato nel 2019 dalla Fondazione Tancredi di Barolo e dall’università «La Sapienza» di Roma non solo per evidenziare le potenzialità artistiche, creative ed educative dei libri animati, ma anche per sottolinearne i legami con le tecnologie e le applicazioni digitali, sempre più presenti nel nostro quotidiano. 
Dopo la sospensione dello scorso febbraio, a causa della pandemia, il progetto riprende il suo cammino e trova anche una sede permanente nella città di Torino, all’interno della Fondazione Tancredi di Barolo, che conserva al suo interno il Musli – Museo della scuola e del libro d’infanzia, la più importante collezione di libri animati a disposizione del pubblico presente in Italia, con oltre mille esemplari tra Otto e Novecento.
Il nuovo centro studi, che vedrà alla direzione Gianfranco Crupi e Pompeo Vagliani, verrà presentato nell’ambito del convegno «Pop-App. International conference on description, conservation and use of movable books» in programma dal 16 al 19 febbraio (tutti i giorni, dalle 15.30 alle 18.30) in modalità on-line dal Salone d’onore di Palazzo Barolo. L’evento - riservato a cinquecento partecipanti registrati sulla piattaforma Zoom (il link di riferimento è https://zoom.us/webinar/register/WN_k_XYLLrnQ7KkisGHsdpseg), ma aperto a tutti tramite il canale YouTube (dove rimarranno visibili le registrazioni degli interventi in programma) - vedrà la presenza di trenta relatori italiani e stranieri, fra cui le statunitensi Suzanne Karr Schmidt, della Newberry Library di Chicago, e Jacqueline Reid-Walsh, della Pennsylvania State University, considerate tra le massime esperte mondiali per quanto riguarda rispettivamente il libro animato antico e quello moderno.
«È la prima conferenza internazionale di questo genere realizzata in Europa – assicurano Pompeo Vagliani e Gianfranco Crupi –; si parlerà di antico e moderno del libro animato e dell’apertura verso le nuove frontiere dell’interattività multimediale e del pop-up design contemporaneo, grazie anche all’apporto di Massimo Missiroli. Vi saranno focus su descrizione, catalogazione, restauro e valorizzazione di questi beni. Vogliamo coinvolgere non solo studiosi, ma anche studenti e appassionati di libri e libri animati».
Il nuovo centro studi permanente nasce a Torino per coordinare a livello nazionale e internazionale le ricerche scientifiche, le attività di conservazione e valorizzazione del libro animato e avrà come oggetto sia i volumi di interesse storico che la multimedialità e il libro d’artista. Nello specifico l’istituzione vuole, inoltre, contribuire a definire gli standard di catalogazione e le modalità di conservazione e restauro, favorendo la fruibilità anche on-line del patrimonio di libri animati, sviluppando una rete di collegamento e di confronto con i fondi conservati nelle istituzioni pubbliche, private, collezionisti ed esperti, coinvolgendo il mondo della scuola, favorendo l’utilizzo del libro animato come mezzo per lo sviluppo della creatività.
«In occasione del convegno internazionale – sottolinea Pompeo Vagliani – il Musli presenterà un allestimento inedito, con l’inaugurazione di una nuova sala espositiva messa a disposizione dall’Opera Barolo e realizzata anche con il contributo degli eredi di Emilio Clara, grande bibliofilo torinese. Verranno esposte nuove acquisizioni relative a preziosi libri animati antichi e a materiali del pre-cinema, fruibili anche attraverso postazioni e applicativi multimediali realizzati ad hoc».
Dal 18 febbraio il Pop-App Musli sarà visibile in presenza così come le quattro mostre ideato in occasione di questo importante appuntamento inaugurale, durante il quale verrà presentata anche la rivista on-line «Journal of Interactive Books», diretta da Gianfranco Crupi, con cui il centro studi piemontese racconterà ai lettori, a partire dal prossimo autunno, i libri animati. In febbraio il museo sarà aperto: giovedì 18 e venerdì 19 febbraio, dalle 15.00 alle 17.30, e da lunedì 22 a giovedì 25 febbraio, dalle 15.00 alle 17.30. In base alla situazione epidemiologica verranno, in seguito, indicate nuove date di apertura. 
Le mostre in cartellone, visitabili virtualmente a partire dal 17 febbraio, si aprono con la rassegna «Made in China. New trends in new environment», a cura degli studiosi Massimo Missiroli e Pompeo Vagliani, che si sono avvalsi per l'occasione della collaborazione di Guan Zhongping della Chongqing University of Education. Diciannove libri pop up contemporanei, destinati all’infanzia, pubblicati in Cina e visibili per la prima volta in Italia, consentono di avvicinarsi al mondo, in parte sconosciuto, degli artisti, paper-engineer ed editori cinesi. Questi volumi, molto avanzati dal punto di vista cartotecnico, trattano tematiche specifiche quali la natura, il fantasy e i festeggiamenti per ricorrenze tipiche come il Capodanno. Il 2020, anno del Topo, ha visto, per esempio, la pubblicazione del primo pop up cinese raffigurante Topolino, prodotto dalla Disney.
La mostra «Italian Style. 10 opere di 10 artisti del libro animato italiano contemporaneo», a cura di Massimo Missiroli e Pompeo Vagliani, presenta, invece, una selezione di lavori editi e inediti di autori che hanno in comune l’utilizzo creativo di soluzioni cartotecniche originali, esempio significativo dello stato dell’arte del libro animato in Italia.
Mentre «Pop up for creativity» è un’esposizione di dieci libri animati realizzati dagli studenti del liceo artistico Passoni di Torino. Infine, la mostra «Tante teste tanti cervelli. Lanterna magica delle facce umane», realizzata in collaborazione con il Museo nazionale del cinema, allinea circa settanta libri animati, illustrati, abbecedari e giochi dell’Ottocento e del primo Novecento provenienti dall’archivio e dalla biblioteca della Fondazione Tancredi di Barolo. L’esposizione, per la curatela di Pompeo Vagliani, esplora i rapporti tra libri animati e pre-cinema, con un focus specifico sul tema delle metamorfosi del volto. 
Un programma, dunque, ricco e completo quello del «Progetto Pop-App», che permette al pubblico di ammirare la magia del libro animato, piccolo gioiello d’arte tutto da sfogliare. 

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Coverdi «Progetto Pop-App»; [fig. 2] Esempi delle opere esposte nella mostra «Made in China. New trends in new environment»; [fig. 3] Sebastianus Theodoricus, Nouae quaestiones sphaerae, hoc est, de circulis coelestibus & primo mobili, in gratiam studiosae iuuentutis scriptae, VVitebergae, 1578; [fig. 4] The History and Adventure of Little Henry, exemplified in a series of figures, 4a ed., London, S. & J. Fuller, 1810 ; [fig. 5] Allestimento della sala del MUSLI con diorami teatrali e libri teatro. Roberto Cortese © ASCT 2020 ; [fig. 6] Globo meccanico di carta da costruire, produzione tedesca di inizio Ottocento

Informazioni utili
Per assistere al convegno di «Progetto Pop-App» è necessario registrarsi (gratuitamente), utilizzando il seguente link: https://zoom.us/webinar/register/WN_k_XYLLrnQ7KkisGHsdpseg. A registrazione avvenuta, gli iscritti riceveranno il link zoom per accedere alle quattro sessioni del convegno come attendees, che permetterà loro di interagire tramite chat durante le fasi di dibattito. Per tutti i partecipanti sarà disponibile in formato pdf, prima del convegno, l’insieme degli abstract e dei curricula dei relatori. Le mostre saranno visitabili virtualmente, a partire dal 17 febbraio sul sito www.pop-app.org. Altre informazioni su: www.fondazionetancredidibarolo.com