ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 29 maggio 2020

«Art Drive-in», a Brescia l’arte si ammira in garage, sulla propria automobile

È un lento ritorno alla «nuova normalità» quello dei musei italiani. L’utilizzo della segnaletica per far rispettare la distanza fisica di almeno un metro, le mascherine obbligatorie per i visitatori e per il personale museale, gli accessi scaglionati e contingentati per evitare file, la creazione di percorsi di visita a senso unico, la sanificazione giornaliera degli spazi e la presenza di dispenser per la pulizia delle mani in ogni sala, la limitazione dell’uso delle biglietterie (incentivando l’acquisto dei tagliandi di ingresso tramite App) -ovvero tutto il corollario di norme ideato dal Mibact per conciliare il piacere della visita a un luogo di cultura con la sicurezza imposta dalla fase emergenziale che stiamo vivendo a causa del Covid-19- hanno creato non pochi problemi organizzativi, anche visti i costi elevati che questa operazione di restyling comporta.
Apribili di fatto dallo scorso 18 maggio, il giorno dell’annuale festa internazionale dei musei promossa da Icom, gli spazi italiani sono ancora in fase di ripartenza. Mentre sono stati accessibili da subito al pubblico la Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma, la capitolina Galleria Borghese, Villa Pisani a Stra, il parco archeologico di Paestum e Castel Sant’Elmo a Napoli, sono ancora molti i luoghi prestigiosi del nostro Paese che mancano all’appello e che riapriranno tra fine maggio e inizio giugno: Palazzo Reale di Milano e Palazzo Madama di Torino da giovedì 28, i Musei vaticani da lunedì 1, il Ducale di Mantova da martedì 2, gli Uffizi di Firenze da mercoledì 3, il Vittoriano da martedì 9, la Pinacoteca di Brera da mercoledì 10, solo per fare qualche esempio.
Si sta così scrivendo una nuova pagina bianca nel grande libro che racconta la storia dei musei e le domande che pone questa nuova possibilità di fruire dell’arte sono tante. Gli italiani riusciranno ad affrontare la paura del contagio e a ritornare a frequentare i luoghi della cultura? I piccoli musei saranno in grado di uniformarsi alle direttive per la riapertura con le poche risorse a loro disposizione? Potrà essere ancora economicamente sostenibile la progettazione di grandi mostre con un pubblico ridotto a causa della chiusura delle scuole?
Affrontare la «Fase 2» significa trovare anche nuove modalità di fruizione dell’arte. «Il futuro bisogna inventarselo. Tutti dicono che ‘non sarà più come prima’, ma nessuno sa come sarà davvero. Allora tanto vale provare a girare la frittata…Fondare una nuova situazione…», dice Massimo Minini dell’omonima galleria bresciana.
Con l’associazione BelleArti, fondata alla fine del 2019 e organizzatrice nel dicembre dello stesso anno della mostra «Textilia» al Mo.Ca., è nata così l’idea di «Art Drive-In», percorso d’arte contemporanea nel grande spazio del garage dell’agenzia Generali Brescia Castello di via Pusterla 45.
Progetti artistici, installazioni, murales, disegni di grandi dimensioni animeranno i millecinquecento metri quadrati dello spazio al secondo piano interrato, caratterizzato da neon lattescenti e travi a vista, al quale si potrà accedere solo ed esclusivamente in automobile.
Ludovica Anversa, Stefano Arienti, Olivo Barbieri, Thomas Braida, Linda Carrara, Ambra Castagnetti, Enrico De Paris, Giovanni Gastel, Osamu Kobayashi, Davide Mancini Zanchi, Antonio Marras, Muna Mussie, Ozmo, Mimmo Paladino, Gabriele Picco, Antonio Riello e Leonardo Anker Vandal sono i primi artisti italiani e internazionali che hanno deciso di aderire al progetto, il cui debutto è previsto per il prossimo 21 giugno.
«Non è stato assegnato -raccontano dalla galleria Minini- un tema specifico agli artisti, ognuno di loro sarà libero di proporre la propria visione al pubblico che, percorrendo il garage in auto, potrà scegliere da quale racconto immaginifico farsi suggestionare in questa sorta di temporanea multisala underground».
La mostra non avrà una conclusione, ma un divenire con cambiamenti e aggiunte di opere di nuovi artisti, trasformando questa inedita pinacoteca in un luogo da vedere e rivedere più volte.
L’arte dimostra così ancora una volta di avere gli anticorpi per superare i limiti imposti dalla crisi, offrendosi come stimolo per una nuova visione con forme di fruizione alternative, distanziate e distopiche eppure – ironia della sorte – mutuate dal passato.
Il garage delle Generali di Brescia Castello diventa, infatti, un museo drive-in su modello di un esperimento degli anni Settanta firmato da Achille Bonito Oliva, che riempì l'enorme parcheggio progettato da Luigi Moretti negli spazi sotterranei di Villa Borghese con opere di Lichtenstein, Warhol, Jasper Johns, i minimalisti americani, i pionieri dell'anti-forma e con lavori di «innovatori privi di humour come Robert Barry e Joseph Kosuth, piacevolmente bilanciati da presenze intense e piene di spirito come quelle di Agnetti e Gilbert and George».
Allora l’esperimento piacque al critico americano Gregory Battock che ne parlò su «Domus» definendo quel garage un «luogo troppo orrendo perché si abbia a guardare alle opere» e ponendosi un interrogativo, allora rimasto irrisolto: «ma quanto sarebbe bello potervi girare all’interno con la macchina?» Oggi, mezzo secolo e una pandemia dopo, l’arte si può ammirare al sicuro, dentro il proprio veicolo, con il finestrino abbassato e la voglia di lasciarsi stupire. Basta solo aspettare l’inizio dell’estate.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Enrico T De Paris, Moltitudini, 2020; [fig. 2] Ozmo, Nessus and Dejanira plus Koko the Clown, 120x150, 2018; [fig. 3] Antonio Riello, Domestic Gallows n 1, 1995; [fig. 4] Mimmo Paladino, Il fischio della locomotiva (Le città invisibili), 2014 [Si ringrazia Alessandra Santerini per le immagini] 

Informazioni utili 
«Art Drive-in Generali. Percorso sotterraneo d’arte contemporanea». Garage dell’Agenzia Generali Brescia Castello, via Pusterla, 45 – Brescia. Orari: da lunedí a domenica, dalle ore 14 alle 18. Ingresso libero. Dal 21 gennaio 2020.

giovedì 28 maggio 2020

Beni culturali e digitale: il Covid-19 e le nuove modalità di fruizione del museo

Come il Covid-19 ha cambiato e cambierà il nostro modo di approcciarci al mondo dell’arte? Risponde anche a questa domanda la ricerca promossa dall'Osservatorio innovazione digitale nei beni e attività culturali della School of Management del Politecnico di Milano, presentata mercoledì 27 maggio, nell’ambito del convegno on-line «Dall’emergenza nuovi paradigmi digitali per la cultura».
In base allo studio, durante i lunghi mesi del lockdown, il livello di interesse degli italiani per le attività culturali in streaming o sul Web è aumentato. Lo testimonia l’aumento degli utenti che seguono le pagine social dei musei: la crescita maggiore si è registrata nel mese di marzo su Instagram (+7,2%), seguito da Facebook (+5,1%) e Twitter (+2,8%); un ulteriore incremento c’è stato in aprile, rispettivamente dell’8,4%, 3,6% e 2,4%. A parte pochi casi, il livello di interazione è, però, rimasto stabile.
Va, inoltre, segnalato che secondo il monitoraggio effettuato dalla School of Management del Politecnico di Milano, durante la «Fase 1» dell’emergenza, il livello di attività on-line da parte dei musei è significativamente aumentato e, in particolar modo, il numero di post sui canali social media è quasi o più che raddoppiato su tutti i canali nelle mese di marzo 2020, mantenendosi su valori elevati anche nel mese di aprile.
«Prima dell’emergenza sanitaria si potevano distinguere in modo relativamente nitido due percorsi: da un lato l’esperienza di visita on-site (talvolta supportata da strumenti digitali); dall’altro l’utilizzo degli strumenti on-line per attrarre e preparare il pubblico alla visita in loco, oppure ex-post per proseguire il rapporto con l’istituzione visitata, soprattutto tramite i social media, su cui è attivo il 76% dei musei» -ha dichiarato Michela Arnaboldi, responsabile scientifico dell’Osservatorio innovazione digitale nei beni e attività culturali-. «Se con i musei aperti il digitale ha rappresentato un complemento all’esperienza di visita (nelle sue molteplici sfaccettature), con la chiusura delle istituzioni culturali il digitale si è rivelato lo strumento necessario per poter offrire contenuti culturali. Questo ha portato inevitabilmente ad un uso diverso del canale on-line, social media in primis ma anche siti web, che sono divenuti da strumenti di comunicazione e di preparazione alla visita, quali erano fino ad ora, strumenti di vera e propria erogazione di contenuto».
A questo proposito va ricordato che l’85% dei musei ha un sito web, relativo alla singola istituzione o all’interno di altri siti, come quello del Comune. Qui si trovano informazioni su orari, biglietti, attività e percorsi di visita, ma durante il lockdown l’attività è aumentata (si pensi all’esperienza della collezione Peggy Guggenheim con le sue lezioni di storia on-line o a quella dei Musei civici veneziani, per rimanere sempre in Laguna, con le curiosità sulle opere delle proprie collezioni).
Per quanto riguarda l’esperienza di visita on-site, dall’indagine svolta su un campione di quattrocentotrenta musei, monumenti e aree archeologiche italiani, si osserva come le audioguide (32%), QR-code (31%) e installazioni interattive (28%) siano gli strumenti di supporto alla visita più diffusi. È importante anche contestualizzare questi dati rispetto alle infrastrutture disponibili: sempre dall’indagine emerge come ancora il 51% dei musei non sia dotato di wi-fi.
La ricerca, alla sua terza edizione, ha dimostrato, inoltre, che, prima del lockdown, circa l’86% dei ricavi dei musei derivava ancora dalla vendita di biglietti d’ingresso in loco e che l’investimento in sistemi di ticketing (presente solo nel 23% dei casi), di gestione delle prenotazioni e di controllo degli accessi era indicato come priorità per il futuro solo dal 6% delle istituzioni. Inoltre, tra i musei che hanno un sistema di controllo accessi (93%) prevaleva lo stacco del biglietto d’ingresso (71%), rispetto a sistemi automatizzati come lettori di codici a barre (11% su carta e 6% su display) e tornelli o varchi contapersone (7%). Questi dati sono inevitabilmente destinati a variare con l’emergenza sanitaria per il Covid-19, tenuto conto delle indicazioni fornite dal Comitato tecnico-scientifico per la riapertura dei musei e dei luoghi di cultura in Italia, che prevedono, tra l’altro, il contingentamento degli ingressi, la prenotazione via Web della propria visita e sistemi di controllo di quanto avviene all’interno dell’istituzione culturale.
Il periodo di lockdown ha portato, inoltre, a una rivalutazione dell’esperienza digitale. A inizio 2020 solo il 24% delle istituzioni culturali aveva redatto un piano strategico dell’innovazione digitale (il 6% come documento dedicato e il 18% all’interno di un più generale piano strategico).
Anche se va precisato che negli ultimi due anni l’83% dei musei, monumenti e aree archeologiche italiane aveva investito in innovazione digitale, concentrandosi prevalentemente su servizi di supporto alla visita in loco (48%) e catalogazione e digitalizzazione della collezione (46%).
Dalla ricerca emerge un altro dato interessante, che riguarda le persone e le attività di comunicazione del museo: attualmente il 51% dei musei non si avvale di nessun professionista, interno o esterno, con competenze legate al digitale. Il restante 39% dispone di competenze interne e ricorre a consulenti esterni per la gestione del digitale, ma solo il 12% ha un team dedicato composto da più persone.
Il convegno ha anche dato l’opportunità di riflettere sul futuro dei musei, su cui la crisi generata dall’emergenza sanitario avrà un impatto negativo sia sul numero dei biglietti staccati sia sulla possibilità di ottenere finanziamenti pubblici. Eleonora Lorenzini, direttore dell’Osservatorio innovazione digitale nei beni e attività culturali, ha spiegato che sarà importante per il futuro concentrarsi su fonti di ricavo alternativo. In particolare, è interessante soffermare l’attenzione su servizi come la vendita di immagini per finalità di ricerca, riproduzione e commerciali (già offerti dal 32% dei musei) e sui servizi di abbonamento per l’accesso a servizi tramite sito web e applicazione (2%). Questi ultimi, in particolare, sono tra i modelli che ultimamente sono stati proposti per ottenere introiti legati all’attività online dei musei. Diversi esponenti dell’ecosistema culturale, infatti, hanno sostenuto la necessità di studiare forme di abbonamento o biglietto più ricche di quelle attualmente a disposizione, che contemplino l’accesso a itinerari e percorsi tematici, in cui l’integrazione on-line-on-site permetterà di tornare più volte al museo e accedere a contenuti sul web on demand.
«Il contesto attuale si presenta particolarmente favorevole per sperimentazioni sia da parte delle istituzioni culturali che da parte del pubblico che manifesta interesse verso nuovi approcci, con preferenza verso quelli a maggior grado di interazione.» -ha concluso Eleonora Lorenzini- «Sebbene non possiamo ancora sapere con certezza quanto e in che modo questo contesto muterà vista la mancanza di paradigmi di riferimento, possiamo affermare che la flessibilità, la capacità di reinventarsi e di sfruttare le potenzialità delle nuove tecnologie rispondendo alle esigenze del pubblico saranno essenziali in un futuro più prossimo di quanto ci aspettavamo».

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mercoledì 27 maggio 2020

Parma, al Museo d’arte cinese sono di scena le «Mode nel mondo»

È tra i vincitori della open call «Cultura per tutti, cultura di tutti», lanciato da Parma - Capitale italiana della cultura, con l’intento di aprire le porte dei musei regionali, in un’ottica digitale e multiculturale, a particolari categorie di pubblico come giovani, famiglie, anziani, persone con disabilità fisica o cognitiva, stranieri e residenti. Insieme al Museo diocesano di Parma e grazie alla professionalità di Pshychè e dell’associazione italiana malati di Alzheimer, si è aggiudicato il secondo posto con il progetto «Insieme al museo», rivolto alle persone malate e ai loro caregiver, ovvero ai familiari assistenti, attestandosi dietro «Museo in Blu», l’iniziativa dell’associazione socioculturale Villa sistemi reggiana per gli individui affetti da autismo e per le loro famiglie. Stiamo parlando del Museo d’arte cinese ed etnografico di Parma, tra i primi spazi culturali italiani a riaprire le porte dopo il lockdown per il Covid-19, testimoniando così la grande voglia di rilancio della città emiliana, che si è vista rinnovare anche per il 2021, insieme con Piacenza e Reggio Emilia, il titolo di Capitale italiana della cultura. Il tema del «Tempo», oggi sospeso, recluso, iper-connesso, era e rimane il filo rosso del programma ideato, che sarà in grado di parlare anche al passaggio storico che stiamo vivendo.
Voluto nel 1901 da san Guido Maria Conforti, fondatore dei missionari saveriani, il museo rappresenta un contenitore artistico e documentario di eccezionale importanza per la città e non solo, frutto di un lungo percorso storico che vide padre Giovanni Bonardi ed altri saveriani in missione sul territorio cinese portare o spedire a Parma oggetti significativi di arte e vita locali.
Dagli anni Sessanta la sede di viale San Martino si è arricchita di materiale di natura etnografica proveniente da altri paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina, divenendo così testimonianza della vita e cultura di ben tre continenti.
Accanto alla collezione fatta di terrecotte, porcellane, paramenti, statue, dipinti, fotografie, oggettistica varia e monete rare provenienti dall’Estremo Oriente, nelle sale espositive parmensi sono, infatti, in mostra anche, e per esempio, oggetti del popolo Kayapò, un piccolo gruppo indio dell'Amazzonia che rappresenta le tante minoranze depositarie di un immenso bagaglio di valori, o maschere usate per i riti funebri dell’area Kivu, nel Congo.
Ristrutturato nel 2012, il museo ha riaperto i battenti martedì 19 maggio, osservando tutte le linee guida predisposte dal Mibact per la «Fase 2» (mascherina obbligatoria, dispenser per la sanificazione delle mani in ogni sala e almeno due metri di distanza tra i visitatori), con la mostra temporanea «Mode nel mondo: i vestiti raccontano la vita dei popoli», un vero e proprio atlante dell’abbigliamento che si dispiega lungo il percorso museale. Per quanto riguarda la Cina, abiti liturgici della tradizione taoista come il Qipao e il Fengguo, nati per difendersi dal vento delle steppe, “dialogano” metaforicamente con ricchi vestiti di corte e calzature femminili tipiche del Grande Impero, come le scarpette con tacco a zoccolo, e un inedito ornamento nuziale, un collare in tubolare a sezione rettangolare la cui faccia superiore rappresenta due draghi (simbolo di fertilità maschile). Dall’Indonesia arrivano, invece, scialli della cultura Batak dell’isola di Sumatra e abiti maschili tradizionali; dal Giappone, giacche Haori rigorosamente di seta, con gli stemmi di famiglia mon, un parasole di bambù e carta giapponese dipinta, oltre a kimono femminili e Obi per donne sposate.
Il Sudan è rappresentato con zucchetti, scarpe e babbucce tribali; il Ghana con tessuti cerimoniali in seta della tribù Ashant.
Dal Burkina Faso arriva un abito tradizionale composto di tunica e pantaloni; dal Bangladesh il burqa delle donne musulmane bengalesi e parure di gioielli; dal Camerun le collane Kweyma KJella e le cavigliere di alluminio decorate a testa di uccello.
Vasto è anche il repertorio proveniente dalla Repubblica democratica del Congo: la mostra ospita gli elementi di abbigliamento tradizionale che costituiscono il corredo classico, l’emblema di appartenenza,della misteriosa società segreta iniziatica Bwami. Ci sono i copricapo maschili nkumbu e sawamazembe, i muzombolo femminili, decorati con piume e bottoni, fasce decorate con le conchiglie-moneta conosciute come cauri, gonnellini in fibra vegetale, bandoliere mukoma, fasce pettorali e diademi. Sorprendente, infine, è l’angolo dedicato alle popolazioni amazzoniche, dove non manca nulla del corredo decorativo del popolo Kayapò.
Grazie all’abbigliamento e agli ornamenti è facile intuire, in qualsiasi popolo, l’appartenenza a una tribù, uno stato sociale, un’etnia. L’abbigliamento è una vera e propria forma di comunicazione codificata e facilmente interpretabile a livello sociale e al Museo d’arte cinese di Parma sarà possibile leggere tante storie impreziosite dai busti sartoriali in lino e manichini bimbo realizzati da Bonaveri, leader mondiale nella creazione di manichini d’eccellenza.
In questa fase il museo si arricchisce, inoltre, di un nuovo strumento per la trasmissione del sapere: ai visitatori viene offerta la possibilità di intraprendere un viaggio tra le collezioni, mediante l’impiego dell’app MuseOn. Facilmente scaricabile sul proprio dispositivo (smartphone o tablet) una volta arrivati in sede, l’applicazione funziona comodamente senza l’utilizzo del wi-fi, e permette di vivere una visita guidata personalizzata, tra schede didattiche, audio e video, per favorire l’incontro tra il visitatore e le molteplici culture del mondo che il museo ospita, permettendo inoltre di rimanere aggiornati sulle iniziative future. Uno strumento in più, questo, per rendere il museo parmense sempre più motore di ricerca, didattica, relazioni, creatività.

Informazioni utili 
Museo d’Arte cinese ed etnografico, viale San Martino, 8 – 43123 Parma. Orari: da martedì a sabato, dalle ore 9 alle ore 13 e dalle ore 15 alle ore 19; domenica, dalle ore 11 alle ore 13 e dalle ore 15 alle ore 19. Informazioni: tel. 0521.257337 o info@museocineseparma.org. Sito web: www.museocineseparma.org

martedì 26 maggio 2020

Murano e «l’arte che resiste»: Marco Toso Borella realizza una favola in vetro per il Giappone

È un momento difficile per Murano, l’isola veneziana famosa in tutto il mondo per la sua tradizione millenaria del vetro soffiato, simbolo del made in Italy nel mondo.
L’emergenza sanitaria per il Covid-19 ha messo in ginocchio le oltre cento imprese vetraie presenti sul territorio e i loro negozi. Gli ordini nuovi sono molto pochi e il lavoro di questo ultimo scorcio di maggio è legato principalmente a commesse dei primi di marzo, quando il lungo lockdown di questi mesi sembrava un’ipotesi impossibile.
Ma Murano può raccontare anche una storia di resistenza e di speranza, quella di Marco Toso Borella, artista poliedrico la cui attività spazia dalla pittura alla scrittura di saggi e romanzi, senza dimenticare la passione per la musica, che lo vede vestire i panni di direttore, arrangiatore e coreografo del coro Vocal Skyline e dell’orchestra più numerosa d’Italia, la Big Vocal Orchestra, composta da oltre trecento voci.
In queste lunghe settimane di lockdown, l’artista muranese, che recentemente ha firmato anche la Via Crucis di vetro per la Basilica dei Santi Maria e Donato di Murano (quindici icone di vetro decorate a graffito su foglia d’oro e smalti raffiguranti le quattordici stazioni tradizionali più una quindicesima raffigurante la Resurrezione), ha lavorato su una commissione imponente da parte di un magnate giapponese, Yamanishi Hiromichi, per conto della vetreria artistica artigianale Mazzega.
Una volta terminata, l’opera sarà esposta all’interno del Kansai Nursing School, una struttura situata nella regione del Kansai, in Giappone, destinata a diventare una scuola per infermiere.
Il lavoro consta di venti piastre di vetro di Murano, della misura di 75 x 50 centimetri, decorate secondo l’antica tecnica del graffito su foglia d'oro, tradizione che appartiene alla famiglia di Marco Toso Borella da secoli.
Le incisioni riproducono in modo assolutamente fedele un’antica opera giapponese del X secolo, ossia la «Taketori Monogatari», ispirata alla leggendaria «Storia del tagliatore di bambù», considerata la più antica fiaba giapponese. Il racconto, noto anche come «La storia della Principessa Kaguya», narra di una bambina misteriosa scoperta all’interno di una canna di bambù splendente nella notte.
«L'estrema, elegante stilizzazione giapponese -racconta l’artista- è qui al suo massimo. Un piccolo segno leggermente obliquo diventa occhio, un tratto espressione.
Le immagini da cui ho tratto i miei pezzi sono antichissime e il tempo ha sbiadito le cromie originali. Per questo ho voluto usare degli smalti dai colori molto vivaci, lucenti come la «Principessa splendente», la storia animata del 2013 di Isao Takahata candidata all'Oscar.
Il supporto, ossia il vetro, diventa una base lucida che, colorata a smalti, richiama le antiche lacche giapponesi. Questo contesto ha quasi ‘obbligato’ i colori all'estrema sintesi e alla mancanza di ogni sfumatura. Il cromatismo, quindi, è stato portato alla radice, alla 'primarietà' elementare un po' come succede agli smalti araldici, chiaramente definiti, senza mezze misure. I colori diventano e delimitano gli spazi della fiaba e del sogno».
L’opera di Marco Toso Borella rappresenta così un piccolo fuoco di fornace acceso per Murano, un barlume di speranza per la storia unica dell’isola e il talento dei suoi tanti artigiani.

Per saperne di più 
www.marcotosoborella.it

lunedì 25 maggio 2020

Covid-19, dalle Gallerie dell’Accademia alla Guggenheim: a Venezia riaprono i musei

È un segnale importante per la città di Venezia quello di domani, martedì 26 maggio, quando le Gallerie dell’Accademia riapriranno le porte ai visitatori dopo la fase calda dell’emergenza Covid-19, che ha decretato la chiusura di tutti i musei italiani per oltre due mesi. Mentre giunge la notizia dello slittamento al 2021 (con apertura al pubblico da sabato 22 maggio a domenica 21 novembre) della diciassettesima edizione della Biennale di architettura -il progetto espositivo «How will we live together?» di Hashim Sarkis- e il conseguente posticipo della cinquantanovesima edizione della Mostra internazionale d’arte, curata da Cecilia Alemani, alla primavera del 2022, i musei veneziani si preparano alla riapertura nel rispetto delle norme generali di sicurezza studiate dal Mibact per la cosiddetta «Fase 2» dei luoghi di cultura.
Le undici realtà afferenti al Muve – Fondazione Musei civici di Venezia -del quale fanno parte due gioielli marciani come il Correr e il Ducale, la cui riapertura dovrebbe avvenire ai primi di giugno- proseguono in questi giorni di fine maggio la loro attività on-line con tour virtuali alle sedi espositive sul canale Google Arts & Culture e il progetto #IoRestoACasa, con attività social, proposte per i più piccoli e la newsletter «Oggi vi raccontiamo che…», ottima occasione per scoprire curiosità e segreti delle raccolte veneziane.
Molto social, in questi mesi di emergenza, è stata anche la collezione Peggy Guggenheim, con le sue belle lezioni di storia dell’arte on-line. Il museo ha da poco annunciato la riapertura dei suoi spazi, dopo ottantasei giorni di chiusura, per il 2 giugno, la festa della Repubblica italiana, con accesso contingentato e su prenotazione durante i fine settimana (il sabato e la domenica, dalle ore 10 alle ore 18).
«Sarà una nuova fruizione della collezione -assicurano dall’ufficio stampa di Palazzo Venier dei Leoni-, senz’altro più intima e raccolta, all’insegna di una visita riflessiva, in un luogo accogliente e forse più silenzioso rispetto al passato, che permetterà ai visitatori di porsi in ascolto dell’arte, in contatto diretto con la magia surreale de «L’impero della luce» di René Magritte o il mistero assoluto di «Alchimia» di Jackson Pollock o, perché no, di immergersi nella quiete del giardino delle sculture, seduti accanto alla «Donna in piedi (Donna 'Leoni’)» di Alberto Giacometti.
Non a caso la Peggy Guggenheim ha scelto una frase del museologo Georges-Henri Rivière per presentare questa sua «Fase 2»: «Il successo di un museo non si valuta in base al numero dei visitatori che vi affluiscono, ma al numero dei visitatori ai quali ha insegnato qualcosa».
Pronta a un «bell'esercizio di resistenza e resilienza culturale» - per usare le parole di Karole P. B. Vail, direttrice della collezione di Palazzo Venier dei Leoni- sono anche le Gallerie dell’Accademia, che da domani, 26 maggio, saranno regolarmente aperte, nel rispetto di tutte le norme di sicurezza, dal martedì alla domenica dalle ore 8.15 alle ore 19.15, con chiusura settimanale il lunedì (unica variazione rispetto al consueto orario, che prevedeva l’apertura il lunedì dalle ore 8.15 alle ore 14.15).
Per l’occasione è stato messa a punto un'importante iniziativa all'interno del più ampio progetto di valorizzazione dell'arte veneta, vocazione di questa antica istituzione museale fin dalle sue origini: l’esposizione al pubblico della straordinaria «Sant'Anna in trono con la Vergine bambina e i santi Girolamo e Francesco», conosciuta come Pala di Sant'Anna, realizzata da Jacopo da Ponte, detto Jacopo Bassano, nel 1541.
L'opera, dipinta per i Riformati di Asolo e facente parte della collezione delle Gallerie dal 1812, è stata ceduta in deposito alla fine dell’Ottocento alla chiesa parrocchiale di Sossano e successivamente, dal 1956, al Museo civico di Bassano del Grappa.
La decisione di riportare a casa il dipinto, dopo oltre un secolo di assenza, è stata motivata dal riallestimento, in una fase ormai avanzata di elaborazione progettuale, della sezione dedicata alla pittura veneta del Cinquecento, nelle sale attualmente in corso di restauro e adeguamento impiantistico.
La pala, giunta in città lo scorso marzo, verrà esposta temporaneamente nella sala XXIII, ovvero nell’ex chiesa di Santa Maria della Carità, per poi essere trasferita, dopo un intervento di manutenzione, in una sala interamente dedicata alla produzione di Jacopo Bassano, che verrà inaugurata nel prossimo autunno insieme ad altri ambienti espositivi dell’ala palladiana.
La presenza di questo dipinto risulta fondamentale per documentare la fase giovanile del pittore, caratterizzata da un linguaggio composito in cui l’influenza della pittura di Pordenone, da poco uscito dalla scena veneziana, si mescola alle prime sperimentazioni manieriste, che caratterizzeranno la produzione degli anni Quaranta, e alle suggestioni del naturalismo della scuola lombarda. Si tratta, quindi, del recupero di un tassello importante della produzione di Jacopo Bassano, che non era per nulla rappresentato nella pur ricca collezione di opere del pittore in possesso delle Gallerie, tutte appartenenti a una stagione diversa e più avanzata del suo percorso artistico.
Un bel messaggio di speranza, questo, per Venezia, «una città che - dichiara Giulio Manieri Elia, direttore delle Gallerie dell’Accademia- ha nell'arte e nella cultura la sua vocazione e il suo destino, un legame indissolubile che parte dalla comunità locale che si riconosce nel suo patrimonio, e raggiunge il resto del mondo».

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Da Ponte Jacopo Detto Bassano, Sant'Anna in trono con la Vergine bambina e i santi Girolamo e Francesco , olio su tela, cm 147 x 103, cat 1041. Credit © Musei civici Bassano del Grappa, Su gentile concessione dei Musei Civici di Bassano del Grappa. Fotografo: Luigi Baldin Fotografo d’arte – Treviso, Anno: 2011; [fig. 2] Peggy Guggenheim Collection, Venezia; [fig. 3] Gallerie dell'Accademia, Venezia; [fig. 4] Il Muve on-line su Google Arts & Culture

Per saperne di più 
www.gallerieaccademia.it
www.guggenheim-venice.it
www.visitmuve.it

giovedì 14 maggio 2020

«Sguardi di Novecento»: Mario Giacomelli e il suo tempo

Senigallia omaggia uno dei suoi figli più illustri. In occasione dei venti anni dalla scomparsa di Mario Giacomelli, la città marchigiana ospita per tutta l'estate, a partire dal 20 maggio e fino al 27 settembre, due mostre sul fotografo. A Palazzo del Duca l'associazione ONO arte contemporanea propone un dialogo tra l'opera dell'artista e quella di tanti altri protagonisti della cultura fotografica novecentesca come Robert Doisneau, Gianni Berengo Gardin, Brassaï, Henri Cartier-Bresson, Kikuji Kawada, Jacques Henri Lartigue, Herbert List, Nino Migliori, Paolo Monti, Leo Matiz e Ara Güler.
Palazzetto Baviera mette, invece, in mostra una selezione di opere fotografiche dei membri del Gruppo Misa, nel quale Mario Giacomelli mosse i suoi primi passi.
Il progetto espositivo prende spunto e si ispira a «The Photographer’s Eye», la grande mostra del 1964 curata da John Szarkowski -direttore del Dipartimento di fotografia del MoMA di New York dal 1962 al 1991.
Quello fu il primo vero riconoscimento internazionale per Mario Giacomelli che fu esposto insieme ad autori internazionali.
A proposito di quella rassegna il curatore scriveva in catalogo: «[...] le fotografie qui riprodotte sono state eseguite nel corso di centoventicinque anni circa. Sono state scattate per ragioni disparate, da uomini mossi da intenzioni diverse e con diversi gradi di talento. In effetti hanno ben poco in comune, se non il successo che hanno in comune e un lessico condiviso: queste immagini sono inequivocabilmente fotografie. La visione che hanno in comune non appartiene a una scuola o a una teoria estetica, ma alla fotografia stessa». Da questa considerazione è partito il viaggio di «Sguardi di Novecento» (questo il titolo del progetto fotografico che Senigallia dedica a Mario Giacomelli, del quale rimarrà documentazione in un catalogo di Silvana editoriale).
Va ricordato, a tal proposito, che la metà del Novecento è stato un periodo molto denso per la fotografia a livello internazionale e soprattutto per il riconoscimento della figura del fotografo.
La mostra «Sguardi di Novecento», dunque, non vuole essere una ricognizione onnicomprensiva ed esaustiva dei tanti fotografi che attivamente hanno partecipato a quel periodo, ma una selezione di quelli che possono essere messi in dialogo, ideale o reale che sia, con il lavoro di Giacomelli.
Tra gli artisti in mostra ci sono Nino Migliori, nel Gruppo Misa nei primi anni di carriera, e Paolo Monti, fondatore del gruppo «La Gondola» (contraltare de «La Bussola», fondata da Giuseppe Cavalli), che nel 1955 a Castelfranco Veneto premiò Giacomelli denominandolo l’«Uomo nuovo della fotografia».
Lungo il percorso espositivo si trovano anche gli scatti di Gianni Berengo Gardin, spesso accostato per il lirismo dei suoi scatti a Henri Cartier-Bresson, altro autore presente in mostra, pioniere del fotogiornalista e fondatore tra gli altri della celebre agenzia Magnum. Per rimanere sempre in Francia l’esposizione presenta Jacques Henri Lartigue, Robert Doisneau, antesignano della street photography contemporanea, e Brassaï, soprannominato l’«occhio di Parigi» per il suo amore nei confronti della capitale francese e di tutti i personaggi e gli intellettuali che la animavano. Tra gli artisti in mostra ci sono anche il tedesco Herbert List, celebre per le sue foto di moda e di nudi maschili, Ara Güler, storico e documentarista che per sessant’anni ha ritratto le metamorfosi di Istanbul, Kikuji Kawada, uno dei principali fotografi giapponesi fondatore del gruppo Vivo, che ha sempre indagato la connessione tra immagine astratta, realtà e sentimenti, e il colombiano Leo Matiz, artista eclettico, non solo fotografo ma anche caricaturista, pittore, gallerista, editore e attore, celebre per aver documentato con i suoi scatti il rapporto tra Frida Kahlo e Diego Rivera.
Mario Giacomelli è sempre stato un fotografo fortemente radicato alla sua terra, e malvolentieri si spostava da essa, ma riuscì sin da subito attraverso la sua arte a superare i confini geografici, conquistando i grandi critici internazionali come Szarkowski che nel ’64 lo inserì nella collezione del MoMA, colpito dal  suo lavoro caratterizzato da un forte spirito di sperimentazione e da una vorace volontà di ricerca.
Proprio il legame dell'artista con la sua terra è al centro della mostra dedicata al Gruppo Misa, che espone anche le opere di Giuseppe Cavalli e Ferruccio Ferroni. Nonostante la compagine fosse uno straordinario laboratorio di idee, ebbe breve ma intensa vita e si sciolse per una naturale trasformazione ingenerata dalla tenace riflessione sulla fotografia e la necessità di trovare un proprio linguaggio dei giovani fotografi di quegli anni ’50, primi fra tutti Giacomelli, Branzi e Camisa.
Un progetto, dunque, di ampio respiro quello promosso da Senigallia che racconta il forte spirito di innovazione del maestro marchigiano, senza dimenticare le influenze che i fotografi a lui coevi ebbero sul suo lavoro.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Mario Giacomelli, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, 1964/68; [fig. 2] Mario Giacomelli, Io non ho mani che mi accarezzino il volto, 1961/63; [fig. 3] Mario Giacomelli, Scanno, 1957 e 1959

Informazioni utili 
Sguardi di Novecento. Palazzo del Duca e Palazzetto Baviera - Senigallia (Ancona). Orari: fino al 7 giugno 2020 - da mercoledì a venerdì, ore 15-20; sabato e domenica, festivi e prefestivi, ore 10-13 e ore 15-20 | dal 9 giugno al 23 agosto 2020 - da martedì a domenica, festivi e prefestivi, ore17-23 | dal 25 agosto al 27 settembre 2020, da mercoledì a venerdì, ore 15-20; sabato e domenica, festivi e prefestivi, ore 10-13 e ore 15-20. Ingresso: intero € 8,00-cittadini di età superiore ai 25 anni; ingresso agevolato € 4,00-cittadini dell’Unione europea di età compresa tra i 18 e i 25 anni e ai docenti delle scuole statali con incarico a tempo indeterminato, visitatori in possesso del coupon realizzato dalla CNA; ingresso ridotto € 6,00-soci FAI, Touring Club, Coop Alleanza 3.0, Archeoclub d’Italia, Pro Loco e Albanostra-Cassa MutuaG. Leopardi; ingresso agevolato €. 4,00-per i gruppi di visitatori formati da oltre venti paganti);gratuitoper tutti i cittadini appartenenti all'Unione Europea, di età inferiore a 18 anni e per gli iscritti alla LiberaUniversità per Adulti di Senigallia. Informazioni: circuitomuseale@comune.senigallia.an.it. Dal 20 maggio al 27 settembre 2020

Bologna, al Mambo nasce il Nuovo Forno del Pane

La cultura? Pane per la mente. Potrebbe essere questo lo slogan del progetto ideato dal Mambo - Museo d'arte moderna di Bologna per la sua riapertura dopo la pandemia mondiale che ha stravolto le nostre modalità consolidate di vita e di lavoro nonché la stessa possibilità di fruire l'arte. L'indispensabile riflessione sulla natura dell'istituzione museale pubblica, sulla sua funzione, sul suo ruolo per le città e le comunità di riferimento ha portato a ridefinire l'immagine identitaria e strategica dell'importante realtà museale felsinea, dando vita al Nuovo Forno del Pane.
Il nome dell'edificio che dal 2007 - dopo la riqualificazione architettonica realizzata su progetto di Aldo Rossi - ospita il museo perde così la preposizione “ex” e recupera il senso profondo della destinazione d'uso originaria: la sua costruzione venne, infatti, intrapresa nel 1915 dal sindaco di Bologna Francesco Zanardi con la funzione di panificio comunale per far fronte alle difficoltà di approvvigionamento durante la prima guerra mondiale.
Recuperando questa sua storia, il Mambo diventerà così un centro di produzione interdisciplinare che trasformerà gli spazi e la funzione della Sala delle ciminiere: non più spazio espositivo, ma spazio di produzione, comunità creativa, in cui l'arte diventa pane per la mente e il museo si trasforma in forno, incubatore della creatività, spazio che Bologna offre ai suoi artisti per ripartire, per rinascere dopo questa emergenza planetaria.
La cultura come motore della città per rispondere ed affrancarsi dalla crisi, a partire da esempi europei virtuosi quali l'esperienza di Berlino dei primi anni '90 che, attraverso la rinascita di edifici abbandonati e aree dismesse come officine di produzione e sperimentazione artistica, divenne epicentro di una scena culturale tra le più vivaci al mondo. Nel caso del Mambo sarà un edificio storico oggi sede museale, con la sua facciata lunga oltre cento metri prospiciente al portico compreso tra i tratti candidati a diventare Patrimonio dell'umanità dell'Unesco, ad aprirsi come laboratorio di sperimentazione, fucina di nuove opere, luogo di progettualità.
Con il progetto del Nuovo Forno del Pane il Comune di Bologna, l'Istituzione Bologna Musei e il MAMbo si mobilitano assumendo un ruolo di maggiore responsabilità sociale a sostegno di categorie particolarmente colpite dalla crisi legata alla pandemia: artisti, fotografi, designer, registi e creativi in genere, che nel museo hanno sempre visto un punto di riferimento con il quale confrontarsi nell'ambito delle loro pratiche, vi troveranno uno spazio di lavoro formando una vera e propria comunità creativa.
La programmazione espositiva sarà parzialmente e temporaneamente interrotta per dare un luogo di lavoro agli artisti del territorio che ne abbiano bisogno per ripartire.
Nel mese di maggio 2020 l'Istituzione Bologna Musei lancerà una open call rivolta ad artisti residenti o domiciliati a Bologna, al momento privi di uno spazio/laboratorio in cui portare avanti i propri progetti.
Il numero dei creativi selezionati dallo staff interno del museo sarà commisurato alle indicazioni sull'organizzazione degli spazi di lavoro stabiliti dalle autorità governative e locali per la gestione della Fase 2 dell'emergenza Coronavirus. Dalla selezione scaturirà una graduatoria per l'assegnazione degli spazi e di un incentivo per l'avvio della produzione di nuove opere.
Alle medesime (oltre che alle preesistenti normative) si farà riferimento anche per il riallestimento degli spazi della Sala delle Ciminiere e di altre aree del museo, che saranno suddivisi in atelier/laboratorio e potranno comprendere, oltre ai veri e propri studi, anche altre strutture aperte a diversi soggetti come, ad esempio: una sala di registrazione/montaggio video, un laboratorio fotografico e camera oscura, una piccola stamperia, un laboratorio di falegnameria, uno spazio di sperimentazione sulle nuove tecnologie di Realtà aumentata, un'emittente radiofonica (è allo studio una collaborazione Neu Radio), uno spazio per l'editoria artistica, una sala musica, un'area performativa e una dedicata a reading group di auto-formazione.
In questo contesto, le collezioni permanenti del Mambo e del Museo Morandi e la biblioteca (con le sezioni dedicate alla storia della Gam, all'attività espositiva, a Giorgio Morandi e al Fondo Concetto Pozzati), con le modalità di gradualità nella riapertura dei musei definite dall'Istituzione Bologna Musei, proseguiranno nelle loro funzioni fondamentali di valorizzazione del patrimonio, di testimonianza dell'identità dell'istituzione e delle urgenze del presente, ma diventeranno al contempo luoghi in cui sperimentare la museologia più radicale, proponendo piccoli focus temporanei che attingeranno alle opere non esposte, riflettendo sui temi della contemporaneità.
È previsto inoltre, a fronte di una minore attività espositiva causata dalle particolari circostanze, un incremento della ricerca scientifica e della produzione di schede delle opere, destinato sia a piattaforme digitali e App che a nuove produzioni editoriali, con un impegno dello staff museale secondo una modalità organizzativa di tipo redazionale. Una riconfigurazione museale come quella proposta dal Nuovo Forno del Pane non può prescindere da una rimodulazione delle attività di mediazione, che saranno elemento fondante di un nuovo rapporto con il pubblico, più che in passato: in un probabile scenario di orari di apertura ridotti e stringenti norme di sicurezza, si supererà la tradizionale dinamica guardasala/visitatore per andare verso la relazione mediatore/persona. Attraverso lo sviluppo dei progetti già avviati dal Comune di Bologna grazie ai fondi europei Pon Metro e intensificando le partnership con Accademia di belle arti e Università di Bologna si svilupperanno attività di formazione di mediatori museali qualificati che interagiranno con il pubblico.
Nel contesto del centro di produzione e degli studi d'artista che vedranno la luce nel museo, l'attività del Dipartimento educativo sarà ulteriormente valorizzata in termini progettuali, lavorando a proposte basate sul fare arte, con il coinvolgimento diretto degli artisti, dei professionisti e degli addetti del settore in un approccio non esclusivamente basato sulle opere ma anche e soprattutto sulle pratiche, sul processo, sulla relazione e sull'uso di laboratori e materiali a disposizione.
Anche sul piano delle nuove acquisizioni, la trasformazione del Mambo da luogo di esposizione e valorizzazione di collezioni esistenti a luogo di produzione potrà avere positive ricadute sulla possibilità di incrementare il patrimonio: se da un lato gli artisti emergenti potranno avere un spazio in cui produrre nuove opere da immettere nel mercato dell’arte, dall'altra, in una seconda fase del progetto, gli artisti senior, già dotati di studio in cui lavorare, potranno presentare dei progetti per opere da realizzare usando i laboratori del Nuovo Forno del Pane, destinati ad essere acquisite tramite fondi pubblici o di privati sensibilizzati a nuove forme di mecenatismo.
La comunicazione del progetto del Nuovo Forno del Pane sarà anch'essa improntata a un diverso paradigma rispetto al passato, assumendo come target non più e non solo il visitatore abituale o potenziale ma una nuova figura di conoscitore che esperisce personalmente il museo.
L'artista Aldo Giannotti ha sviluppato un logo che rappresenterà visivamente la nuova vocazione produttiva del museo enfatizzandone gli elementi formali e architettonici che più rimandano alla sua identità storica. Credendo fermamente nell'insostituibilità della fruizione dell'arte in presenza, i principali canali di comunicazione del Nuovo Forno del Pane saranno non solo il web e i social media, ma soprattutto un'intensa attività relazionale attraverso studio visit, dialoghi, giornate di open studio con gli artisti, restituzioni pubbliche delle opere prodotte e dei progetti portati a termine e un public program di incontri, lezioni e presentazioni nelle modalità che saranno consentite durante la fase post-emergenziale.

Per saperne di più
www.mambo-bologna.org

«Piranesi Roma Basilico», una mostra sui muri delle calli veneziane

 Dalla Pinacoteca di Brera ai Musei Vaticani, Dal Met di New York all'Hermitage di San Pietroburgo, dagli Uffizi di Firenze al Prado di Madrid: in questi giorni di emergenza sanitaria per il Covid 19 i musei più importanti del mondo consentono al pubblico di ammirare le proprie bellezze attraverso visite virtuali.
Con gli spazi espositivi italiani ancora chiusi a causa delle disposizioni ministeriali per l’epidemia mondiale (la riapertura è fissata per il prossimo 19 maggio), la Fondazione Giorgio Cini sceglie un modo alternativo per stare vicina al suo pubblico: l’arte «esce in strada» e va incontro ai cittadini con il progetto speciale «Palazzo Cini per le calli di Venezia», ideato da Luca Massimo Barbero.
Fino a metà giugno le mura della città ospiteranno così, grazie all'affissione pubblica, il dialogo tra l’opera incisoria di Giambattista Piranesi (Venezia, 1720 - Roma, 1778), artista del quale si celebrano quest’anno i trecento anni dalla nascita, e la fotografia contemporanea di Gabriele Basilico.
Il progetto en plein air anticipa il tema che sarà anche al centro della mostra «Piranesi Roma Basilico», di prossima apertura a Palazzo Cini a San Vio, in partnership con Assicurazioni Generali.
I passanti potranno così vedere le riproduzioni di alcuni dei luoghi più simbolici della Città eterna, rappresentate dalla combinazione tra le stampe originali realizzate nel ‘700 dall’incisore veneziano (oggi conservate dalla Fondazione Cini) e le vedute di Roma del fotografo milanese Gabriele Basilico, realizzate con le stesse angolazioni delle incisioni piranesiane su commissione della Cini nel 2010.
Gli stessi confronti saranno, poi, visibili a San Vio in occasione della mostra «Piranesi Roma Basilico»- curata da Luca Massimo Barbero e realizzata grazie alla collaborazione dell’Archivio Gabriele Basilico - insieme a una più ampia selezione, di cui «Palazzo Cini per le calli di Venezia» rappresenta un'anticipazione speciale.
Il più importante omaggio veneziano a Giambattista Piranesi mostrerà, infatti, venticinque stampe originali e ventisei vedute di Roma del fotografo milanese, di cui dodici mai esposte prima. Le incisioni di Piranesi oggetto del dialogo con Basilico, sono state selezionate dal corpus integrale parte delle collezioni grafiche della Fondazione Cini. Il corpus Piranesi costituisce uno dei fondi di grafica più rilevanti conservati da un’istituzione privata, che in questa occasione si offe allo sguardo della città.
Il progetto en plein air – afferma Luca Massimo Barbero, direttore dell’Istituto di storia dell’arte della Cini – «è un omaggio a Venezia, città della cultura per antonomasia, e ai veneziani. In un momento storico in cui i luoghi dell’arte sono fisicamente ancora inaccessibili a causa delle restrizioni per contrastare la pandemia, un’arte nata per essere stampata come le incisioni di Piranesi e le foto di un maestro contemporaneo come Basilico, come è loro naturale si danno allo sguardo di chi cammina e si ferma per un attimo. L’arte anche in questo caso è un viaggiare senza spostarsi e travalica le barriere dei musei per incontrare e ispirare le persone anche in questo momento. E i muri labirintici della città diventano un atlante per questo possibile viaggio».

Per saperne di più
www.cini.it