ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 8 novembre 2024

«Buon compleanno, Heidi»: a Lugano una mostra per i cinquant’anni della serie animata

«Tenera, piccola, con un cuore così…»: le parole in musica di Franco Migliacci, cantate da Elisabetta Viviani, hanno accompagnato più di una generazione di piccoli telespettatori verso l’adolescenza. Si aprivano, infatti, così, in Italia, le puntate del cartone animato «Heidi», la storia della «bambina delle Alpi», dalle gote sempre rosse e dall’allegria contagiosa, a cui «sorridono i monti» e le caprette «fanno ciao», che ci ha insegnato l’amore per la natura e la gentilezza e l’empatia come leve per superare ogni avversità.

Quella bambina, che nel nostro Paese fece la sua prima comparsa il 7 febbraio 1978 su RaiUno, per poi diventare una delle beniamine di «Bim, Bum, Bam», il programma per bambini delle reti Mediaset, è diventata grande e quest’anno compie cinquant’anni. Era, infatti, il 6 gennaio 1974 quando in Giappone, su Fuji Television, veniva trasmessa la prima puntata di «Arupusu no shōjo Haiji», conosciuta in almeno tre continenti come «Heidi – Girl of the Alps», serie televisiva in cinquantadue episodi ispirata al romanzo che la scrittrice zurighese Johanna Louise Heusser, coniugata Spyri, pubblicò nel 1880, un vero e proprio best-seller tra i romanzi di formazione, con oltre 50milioni di copie vendute, in più di cinquanta lingue, e con una ventina di trasposizioni cinematografiche (dal cortometraggio muto di Frederick A. Thomson con Madge Evans al musical «Zoccoletti olandesi» con Shirley Temple, senza dimenticare il film «Sono tornata per te» del 1952, con la regia di un allora giovanissimo Luigi Comencini).

Prodotto da Zuiyo Eizo per il piccolo schermo, il cartone animato, per il quale furono realizzati dai 6mila agli 8mila disegni per ogni puntata, si avvaleva della regia del compianto Isao Takahata e vedeva nel ruolo di scenografo e animatore il maestro Hayao Miyazaki, artista da molti soprannominato il «Disney nipponico», premiato alla Biennale di Venezia del 2005 con il Leone d’Oro alla carriera e recentemente insignito del Golden Globe e dell’Oscar per il film d’animazione «Il ragazzo e l’airone».

Per celebrare la ricorrenza, l’associazione ticinese «La nona arte», che si occupa di promuovere il fumetto con eventi di vario genere e di affiancare i giovani autori svizzeri nella loro crescita, ha ideato la mostra «Buon compleanno Heidi! 50 anni della serie animata», in cartellone fino al 12 gennaio a Lugano, nella cornice della Sala San Rocco a Quartiere Maghetti.

Grazie a un allestimento che in cartella stampa viene definito «immersivo, romantico e nostalgico», realizzato principalmente con materiali naturali come legno e cartone, il pubblico viene trasportato nelle atmosfere incantate della natura bucolica e idilliaca di Heidi, tra un prato verde, balle di fieno e un limpido cielo azzurro con delle piccole nuvole, che fanno da sfondo a una riproduzione delle maestose Alpi svizzere.

L’esposizione, curata da Luigi Paolo Zeni con Christian Esposito, presenta oltre novanta opere originali provenienti da collezioni private giapponesi e svizzere, molte delle quali mai presentate finora al pubblico. Si spazia dagli schizzi preparatori agli sfondi dipinti a mano passando per i fogli di acetato di cellulosa coi personaggi della serie e gli sketch del character designer Yōichi Kotabe, il disegnatore, noto per «Super Mario» di Nintendo, a cui si deve il volto della «bambina più iconica dei cartoni animati», una piccola Greta ante-litteram che ci ha insegnato l’ambientalismo, il rispetto dei ritmi della natura e della ciclicità delle stagioni, quando il cambiamento climatico non era ancora il problema che stiamo vivendo ora.

Non mancano lungo il percorso espositivo delle fotografie storiche che documentano il viaggio che tre disegnatori e animatori del team creativo della casa di produzione Zuiyo Eizo, capitanati dal regista Isao Takahata, fecero nell’estate del 1973 nel Canton Grigioni, e nella cittadina di Maienfeld, per poter osservare i luoghi e le persone della regione in cui era ambientato il racconto di Johanna Spyri, entrando anche in contatto con le usanze dei contadini e degli allevatori locali.

È anche grazie a questo viaggio alla scoperta della natura svizzera e di alcune delle città più simboliche del territorio elvetico, come Zurigo e Francoforte, se Heidi è stata un’eccellente finestra turistica nel mondo per il Paese di Guglielmo Tell, come ha documentato un convegno tenutosi nel 2019 per iniziativa dell’Università di Zurigo, sotto la supervisione dello storico dell'arte Hans Bjarne Thomsen. Va, inoltre, ricordato che la figura di Heidi è un così importante patrimonio culturale svizzero che, nel maggio del 2023, l’Archivio Johanna Spyri, gestito dall’Istituto svizzero per la gioventù e i media (Isjm), e il Progetto Heidi Heritage (Heidiseum), di cui l’Università di Zurigo è responsabile per la parte scientifica, sono stati inseriti nel Registro Memoria del mondo dell’Unesco.


Ritornando al cartone animato, Isao Takahata e il suo staff hanno saputo ricreare con un senso di perfezione e di delicatezza tipicamente nipponico, che racconta i dettagli del pittoresco territorio elvetico grazie alla fresca bellezza dei disegni e a colori scintillanti e vivaci capaci di attrarre l’attenzione dei più piccoli, l’idillio delle Alpi svizzere, con le sue vette innevati, i pascoli illuminati dal sole, le greggi e gli animali del bosco. Ma hanno anche avuto la giusta sensibilità e profondità per restituirci la storia scritta dall’elvetica Johanna Spyri, quella di una graziosa bambina di cinque anni, orfana di entrambi i genitori, che sa farsi amare dalle persone intorno a lei per il suo grande cuore e per la sua contagiosa allegria e che trova la felicità nella baita montana del nonno burbero ma premuroso, un posto semplice, privo di tutte le comodità della città e senz’altro impervio, ma «accipicchia […] fantastico», tanto da essere sicuro come un «nido».

È in questo scenario alpino che Heidi vive le sue esperienze più belle, in compagnia dei suoi due migliori amici: il pastorello Peter e una ragazzina di dodici anni costretta a vivere sulla sedia a rotelle di nome Clara, che proprio grazie all’aria fresca di montagna, un medicamento straordinario e miracoloso per ogni dolore, tornerà a camminare.

Non manca, come in ogni storia che si rispetti, la cattiva di turno: la celeberrima signorina Rottenmeier, la severa governante della nobile famiglia Sesemann di Francoforte, nella cui casa Heidi va a vivere con la zia Dete per compiere il suo ciclo obbligatorio di studi. L’anziana e severa donna punisce ogni intemperanza della piccola con imperiose reprimende, ma alla fine anche lei sarà conquistata dal candore, dalla tenerezza, dalla libertà e dalla gentilezza della «bambina dell’Alpe».

La mostra di Lugano si struttura su tre temi che il visitatore può approfondire in autonomia, senza un percorso prestabilito. C’è una sezione che riguarda la produzione dell’anime (termine nipponico con cui si indicano i cartoni animati) a partire dal viaggio dei creativi giapponesi in Svizzera fino ad arrivare alla realizzazione degli episodi. Ce ne è un’altra dedicata alle curiosità, dove si scopre che, in origine, Heidi dovesse avere le treccine anziché la chioma selvaggia e arruffata che ben conosciamo. C’è, infine, un focus sui membri di Zuiyo Eizo, tutti destinati a diventare grandi protagonisti nel mondo dell’animazione.
Non manca in mostra, poi, un confronto fra gli ambienti reali e quelli disegnati, un racconto delle differenze tra il cartone e il romanzo di Johanna Spyri e un percorso alla scoperta dei tanti animali raccontati nella serie televisiva, a cominciare dal grosso cane San Bernardo e dalla simpatica capretta Fiocco di neve.

Di immagine in immagine, si scopre così che, cinquant’anni dopo, la storia di Heidi non ha perso la sua freschezza e la sua capacità di parlare ai più piccoli perché come tutti i classici è sempre attuale: parla di temi eterni e offre spunti ogni volta nuovi per riflettere sul nostro presente.

Didascalie delle immagini
1. Heidi sorridente, 1974, cel, inchiostro e anime colour su lastra di triacetato di cellulosa trasparente © Studio 100 International; 2. Masahiro Ioka (1941–1985), veduta delle Alpi al tramonto, 1973, art board, poster colour su carta; 3. Masahiro Ioka (1941–1985), casa del nonno in inverno, 1973, art board, poster colour su carta; 4. Masahiro Ioka (1941–1985), paesaggio montano con la pila di rocce in primo piano e le Alpi innevate sullo sfondo, 1973, art board, poster colour su carta; 5. Yōichi Kotabe (* 1936), Heidi in primo piano che piange, 1974, fotogramma chiave numero tre, matita su carta; 6. Yōichi Kotabe (* 1936), disegni realizzati durante il viaggio in Svizzera, luglio 1973, matita su carta; 7. Yōichi Kotabe (* 1936), Heidi in primo piano che piange, 1974, fotogramma chiave numero quattro, matita su carta

Informazioni utili
Buon compleanno Heidi! 50 anni della serie animata. Sala San Rocco 1, Quartiere Maghetti, 6900 Lugano, Svizzera. Orari: dalle ore 10.00 alle ore 18.00; xhiuso martedì. Nel mese di dicembre la mostra sarà aperta tutti i giorni fatta eccezione per i giorni festivi (8 dicembre, 25 dicembre e 31 dicembre). Biglietto: intero 13 franchi, ridotto 6 franchi (ridotto per bambini e studenti), biglietto famiglia 30 franchi (due adulti e fino a tre bambini). Biglietteria: https://biglietteria.ch/evento/buon-compleanno-heidi-50-anni-della-serie-animata-2024-10-17-lugano/7113/detail. Fino al 12 gennaio 2025

giovedì 7 novembre 2024

In viaggio con Luigi Ghirri tra Lugano e Parigi

«Credo che ci sia molta gentilezza nel suo sguardo. Non aggredisce mai le persone puntando addosso l’obbiettivo. Non tanto per una questione poetica, ma per etica. Le sue immagini raccontano molto di chi era e di come guardava il mondo. Per lui la fotografia non era mera tecnica, ma un linguaggio visivo». C'è tutto l'affetto di una figlia che ha perso il padre a soli quattordici mesi e che, quindi, lo ha dovuto obbligatoriamente conoscere attraverso il racconto degli altri, i suoi scritti e le sue fotografie - setacciate con la puntigliosa attenzione e la spiccata sensibilità di chi compie un viaggio di scoperta e di decifrazione per ricostruire la memoria di una vita e il geroglifico di un’anima - nelle parole che Adele Ghirri pronuncia in un video a chiusura della mostra antologica «Luigi Ghirri. Viaggi. Fotografie 1970-1991», allestita fino al 26 gennaio 2025 a Lugano, negli spazi del Masi – Museo d'arte della Svizzera italiana (e più precisamente nella sede del Lac), per la curatela di James Lingwood e con il coordinamento di Ludovica Introini.

A Lugano Luigi Ghirri e «gli strani grovigli del vedere»
Una selezione di circa centoquaranta fotografie a colori, per lo più stampe vintage degli anni Settanta e Ottanta, provenienti in massima parte dalla collezione dello Csas - Centro studi e Archivio della comunicazione dell’Università di Parma e dalla raccolta di famiglia - la Eredi Ghirri, che ha sede a Reggio Emilia, nella frazione di Roncocesi, nell’ultima casa dell’artista - raccontano la fascinazione del fotografo di Scandiano – classe 1943, scomparso prematuramente nel 1992, a soli 49 anni - per il tema del viaggio, quello reale e quello immaginario. Ma questi scatti gettano luce anche e soprattutto sulla «poetica» di Luigi Ghirri, sul suo sguardo «gentile», mai giudicante e sempre perspicacemente attento e umanamente rispettoso. Uno sguardo che si posava come una carezza sui paesaggi e – seppure raramente - sugli altri, su quei tanti turisti incontrati lungo il cammino, quasi sempre ritratti di spalle, mentre passeggiano in montagna, giocano in spiaggia o bevono un caffè al bar.
 
L’opera del fotografo emiliano, come si legge nell’introduzione al libro «Paesaggio italiano» del 1989, presenta «una cartografia imprecisa, senza punti cardinali, che riguarda più la percezione di un luogo che non la sua catalogazione o descrizione, come una geografia sentimentale dove gli itinerari non sono segnati né precisi, ma ubbidiscono agli strani grovigli del vedere». E questa «cartografia imprecisa» è resa sempre con il colore perché «il mondo non è in bianco e nero», amava dire Luigi Ghirri, figura pionieristica e influente pensatore della fotografia e del suo ruolo nella cultura moderna.

Tra scatti inediti e immagini conosciute al grande pubblico
, che insieme compongono «una riflessione giocosa, poetica e profonda sul mezzo fotografico», è lo stesso autore, immortalato in un ritratto a tutta parete, ad accogliere il visitatore in mostra e a condurlo, metaforicamente, per mano in un percorso che attraversa le strade dell’Emilia per andare verso mari, montagne, laghi e grandi città, dove quelle che lo stesso Luigi Ghirri definiva le «avventure minime», ovvero le gite dei fine settimana sulla riviera romagnola o nelle città del Modenese, si fondono e si confondono con i viaggi verso destinazioni più turistiche e convenzionali come Parigi, l’Alpe di Susi, i faraglioni di Capri, il lago Maggiore, la Corsica, Amsterdam.

Con lo scopo di offrire uno sguardo completo sulla tematica del viaggio, non manca, poi, in mostra una selezione di fotografie più concettuali, che indaga il soggetto dal punto di vista mentale attraverso oggetti trovati nell’ambiente quotidiano come mappe, atlanti, pubblicità per il turismo e cartoline.

Ubbidendo agli «strani grovigli del vedere», per usare un’altra espressione cara al fotografo emiliano, l’esposizione presenta – si legge nella nota stampa – un «allestimento tematico fluido, in cui il pubblico è invitato a stabilire liberamente pause, collegamenti e connessioni tra pensieri e immagini», muovendosi «anche a ritroso». Sono, dunque, l’emozione e la voglia di scoprire prospettive inedite sul mondo a guidare i passi del visitatore lungo le quattro sale in cui si articola la rassegna, che si apre idealmente con «Paesaggi di cartone», le cui fotografie dimostrano come dei cartelloni pubblicitari possano trasportare un’esotica cascata tra le montagne svizzere o un panorama alpino a Reggio Emilia o, ancora, un mare scintillante a Modena.

Sono luoghi mentali, paesaggi interiori anche quelli proposti dalla serie «Atlante» (1973), con dettagli ravvicinati di mappe, o da «Identikit» (1976-1979), un autoritratto privato del fotografo composto da scatti degli scaffali della sua libreria su cui compaiono libri, dischi, mappe, cartoline, ninnoli e souvenir.

Ci sono, poi, lungo il percorso espositivo le immagini della serie «In Scala», realizzati a più riprese, tra il 1977 e il 1985, nel parco a tema Italia in miniatura a Viserba (in provincia di Rimini). La fascinazione di Luigi Ghirri per le duplicazioni e le moltiplicazioni della realtà trova in questo luogo fittizio, in cui storia e geografia sono fortemente compresse, e pochi passi dividono il Duomo di Milano dalle Dolomiti, il veneziano Ponte dei Sospiri dalla Basilica di San Pietro a Roma, l’ambiente ideale.

A queste immagini fanno da contraltare quelle tratte dalla realtà con paesaggi come, per esempio, le vedute di uno scivolo e di una giostra vuoti al Lido di Spina, di un ombrellone a Orbetello, di un’altalena sulla spiaggia di Marina di Ravenna o di una coppia che gioca a tennis a Île-Rousse, in Corsica, con la pallina poggiata proprio sulla linea dell’orizzonte, là dove il mare incontra il cielo e la fotografia diventa poesia.

Chiude il percorso espositivo una selezione di fotografie realizzate negli anni Ottanta per diversi enti turistici e per il Touring Club Italiano. Destinati a un vasto pubblico, questi lavori su commissione combinano le immagini stereotipate del genere divulgativo con altre più insolite e particolari, configurandosi come strumento di narrazione e analisi della realtà, che non può fare a meno dell'espressione dell’animo di chi, quel paesaggio, lo ha fotografato.

Per realizzarle, Luigi Ghirri passa a una macchina fotografica di medio formato, che conferisce maggiore profondità e colori più vivaci alle sue raffigurazioni, anche se rimane invariato il suo stile misurato e volutamente non teatrale, che rende palpabile e parlante anche il silenzio.

«Viaggio in Italia»: venti fotografi e il loro sguardo sul mondo. Quarant’anni dopo

Da questo archivio prende vita, nel 1984, «Viaggio in Italia», la leggendaria mostra con cui il fotografo raccoglie intorno a sé una serie di autori che, da diversi anni, portavano avanti ricerche visive sul paesaggio, sull’architettura, sui segni della presenza umana nel territorio fuori dagli schemi convenzionali di allora, con l’intento di rifondare la fotografia italiana.

Quarant’anni dopo quel progetto rivive in Francia nei giorni di Paris Photo (7-10 novembre 2024), e nelle pagine di un libro, grazie alla Direzione generale Creatività contemporanea del Ministero della cultura e al Museo di fotografia contemporanea di Cinisello Balsamo (nel Milanese).

Tutte e ottantasei le immagini contenute nel catalogo originario, verranno presentate da venerdì 8 novembre 2024 a mercoledì 8 gennaio 2025 (con inaugurazione giovedì 7 novembre 2024, alle ore 18:00) all’Istituto italiano di Cultura di Parigi, in una ricostruzione fedele e filologica, nella struttura e nei contenuti, ideata da Matteo Balduzzi.

Gabriele Basilico, Olivo Barbieri, Gianantonio Battistella, Vincenzo Castella, Andrea Cavazzuti, Giovanni Chiaramonte, Mario Cresci, Vittore Fossati, Carlo Garzia, Guido Guidi, Shelley Hill, Mimmo Jodice, Gianni Leone, Claude Nori, Umberto Sartorello, Mario Tinelli, Ernesto Tuliozi, Fulvio Ventura, Cuchi White e, ovviamente, Luigi Ghirri sono gli autori in mostra, tutti accomunati – disse Gabriele Basilico nel film sul progetto fotografico realizzato da Maurizio Magri nel 2004 - dall’urgente «bisogno di scoprire una normalità delle cose, antieroica, antimitica, quotidiana e non retorica».

Per l’occasione, la casa editrice Quodlibet di Milano pubblica la copia fac-simile del catalogo edito nel 1984 da Il Quadrante Edizioni di Alessandria, a cura di Luigi Ghirri, Gianni Leone e Enzo Velati, con la veste grafica disegnata da Paola Borgonzoni e con un saggio di Arturo Carlo Quintavalle e uno scritto di Gianni Celati.

Il volume, che conteneva una selezione di ottantasei fotografie delle oltre trecento in mostra, è oggi accompagnato da una aura mitologica, perché sempre più introvabile nelle rare librerie di settore o sulle bancarelle e perché disponibile quasi esclusivamente, a prezzi elevati, nel mercato collezionistico. 

La pubblicazione, che verrà presentata nella serata di venerdì 8 novembre al Mep - Maison Européenne de la Photographie di Parigi, per essere poi disponibile nelle librerie italiane da mercoledì 13 novembre, conterrà i testi in traduzione francese e inglese, nonché la riproduzione delle fotografie ottenuta a partire dalla ri-digitalizzazione dei negativi originali, «con l’obiettivo - si legge nella nota stampa - di raggiungere una sorta di sound comune per densità, contrasto e dominanti rimanendo così intatta l’anima inconfondibile del libro del 1984».

In un'epoca in cui l'immagine è diventata un linguaggio universale, «Viaggio in Italia» assume ancora più valore perché ci ricorda l'importanza della fotografia come strumento di narrazione e di analisi della realtà, come documento per scoprire le trasformazioni che ha subito il nostro paesaggio - naturale e urbano, storico e paesaggistico – negli ultimi quarant’anni. Quei venti amici che volevano «ridare dignità a luoghi e persone che nessuno si sarebbe neppure sognato di guardare», per usare le parole di Paola Borgonzoni, hanno, dunque, scritto, più o meno inconsapevolmente, una pagina di storia. E hanno anche «aperto alle generazioni future - afferma Adele Ghirri, che cura l’archivio del padre - una finestra attraverso cui guardare le cose e il mondo in cui viviamo, e gli altri suoi abitanti, con cura e affetto, mettendosi in ascolto. Un invito ad adottare un punto di vista sull’esterno gentile e salvifico».

Didascalie delle immagini
1. Luigi Ghirri, Lago Maggiore, 1984. Cibachrome print, new print (1990-1991). CSAC, Università di Parma. Crediti fotografici: CSAC, Università di Parma. Opera esposta nella mostra «Luigi Ghirri. Viaggi. Fotografie 1970-1991» (Lugano, Masi, 8 settembre 2024- 26 gennaio 2025); 2. Luigi Ghirri, Alpe di Siusi, 1979. C-print, new print (2001). Eredi di Luigi Ghirri, Courtesy Eredi di Luigi Ghirri. © Eredi di Luigi Ghirri. Opera esposta nella mostra «Luigi Ghirri. Viaggi. Fotografie 1970-1991» (Lugano, Masi, 8 settembre 2024- 26 gennaio 2025); 3. Luigi Ghirri, Capri, 1981. C-print, new print (2008). Eredi di Luigi Ghirri. Courtesy Eredi di Luigi Ghirri. © Eredi di Luigi Ghirri; Opera esposta nella mostra «Luigi Ghirri. Viaggi. Fotografie 1970-1991» (Lugano, Masi, 8 settembre 2024- 26 gennaio 2025); 4. Luigi Ghirri, Marina di Ravenna, 1972. C-print, vintage print. CSAC, Università di Parma. Crediti fotografici: CSAC, Università di Parma. © Eredi di Luigi Ghirri; 5. Luigi Ghirri, Rifugio Grosté, 1983. Lambda print, new print (2013). Eredi di Luigi Ghirri. Courtesy Eredi di Luigi Ghirri. © Eredi di Luigi Ghirri. Opera esposta nella mostra «Luigi Ghirri. Viaggi. Fotografie 1970-1991» (Lugano, Masi, 8 settembre 2024- 26 gennaio 2025); 6. Mario Cresci, Stigliano, Potenza, 1983 © Mario Cresci - Museo di Fotografia Contemporanea, Milano-Cinisello Balsamo. Opera esposta nella mostra «Luigi Ghirri. Viaggio in Italia. Quarant'anni dopo» (Parigi, Istituto italiano di Cultura, 8 novembre 2024- 8 gennaio 2025); 7. Giovanni Chiaramonte, Mottarone, Novara, 1980 © Eredi di Giovanni Chiaramonte  - Museo di Fotografia Contemporanea, Milano-Cinisello Balsamo. Opera esposta nella mostra «Luigi Ghirri. Viaggio in Italia. Quarant'anni dopo» (Parigi, Istituto italiano di Cultura, 8 novembre 2024- 8 gennaio 2025); 8. Ernesto Tuliozi, Modena, 1983 © Ernesto Tuliozi - Museo di Fotografia Contemporanea, Milano-Cinisello Balsamo. Opera esposta nella mostra «Luigi Ghirri. Viaggio in Italia. Quarant'anni dopo» (Parigi, Istituto italiano di Cultura, 8 novembre 2024- 8 gennaio 2025); 9. Shelley Hill, Fiumicino, Roma, 1983 © Shelley Hill - Museo di Fotografia Contemporanea, Milano-Cinisello Balsamo. Opera esposta nella mostra «Luigi Ghirri. Viaggio in Italia. Quarant'anni dopo» (Parigi, Istituto italiano di Cultura, 8 novembre 2024- 8 gennaio 2025)

Informazioni utili
«Luigi Ghirri. Viaggi. Fotografie 1970-1991», a cura di James Lingwood. Masi - Museo della Svizzera italiana | LAC, piazza Bernardino Luini 6, 6900 Lugano. Orari d'apertura: martedì / mercoledì / venerdì, ore 11.00 – 18.00; giovedì, ore 11.00 – 20.00; sabato / domenica / festivi, ore 10.00 – 18.00; lunedì chiuso. Ingresso: intero CHF 20.–, ridotto CHF 16.–; Ticino Ticket/IoInsegno CHF 14.-. Informazioni: https://www.masilugano.ch. Fino al 26 gennaio 2025

Viaggio in Italia, a cura di Matteo Balduzzi. Istituto italiano di Cultura di Parigi - Hôtel de Galliffet, 50, rue de Varenne, 75007 Parigi. Orari: dal lunedì al venerdì ore 10.00 - 13.00 / 15:00 - 18:00. Ingresso gratuito. Catalogo: Quodlibet Editore. Informazioni: Museo di Fotografia Contemporanea, Villa Ghirlanda, via Frova 10 - Cinisello Balsamo (Milano) | www.mufoco.org. Dall'8 novembre 2024 all'8 gennaio 2025

mercoledì 6 novembre 2024

«Arte, fantasia, colore»: al teatro Biondo di Palermo una mostra su Santuzza Calì

Ha disegnato i costumi e le scene di più di duecentocinquanta spettacoli di prosa, opera lirica e teatro per bambini, collaborando con registi come Tonino Conte, Gianfranco De Bosio, Franco Enriquez, Vittorio Gassman, Ermanno Olmi, Aldo Trionfo, Paolo Poli e Maurizio Scaparro. Ha lavorato come illustratrice di libri per Emme Edizioni e Rai Eri regalando il suo inconfondibile segno a testi come «Le filastrocche del cavallo rampante» di Gianni Rodari, «L’amore delle tre melarance» di Torino Conte, «Storie senza tempo» di Alberto Manzi, «L’albergo della fantasia» di Antonella Tarquini e «Il mondo alla rovescia» di Donatella Ziliotto. Ha portato il suo estro di costumista e scenografa anche sul grande schermo in un film come «La parola segreta» di Stelio Fiorenza (1988). Ha vinto premi prestigiosi quali il Gassman - I teatranti dell’anno, l’Eti, l’Ubu della critica e Le maschere del teatro. Ha inventato anche una tecnica artistica, quella del meta-collage, che fonde insieme legno e metallo. Santuzza Calì (Pulfero - Udine, 28 marzo 1934), madre friulana e padre siciliano, ha avuto una vita intensa alla quale hanno fatto da filo rosso tre parole, le stesse scelte come titolo per il catalogo ragionato del suo archivio alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia, appena pubblicato da Silvana editoriale: «arte, fantasia, colore».

Nipote della pittrice Pina Calì, notevole esponente della pittura siciliana degli anni ’30, e di Silvestre Cuffaro, scultore dalla potente impronta etica, l’artista è partita giovanissima da un paesino friulano di poche centinaia di anime sulle sponde del Natisone, Pulfero, alla conquista del mondo. In un periodo in cui era raro vedere una ragazza della provincia italiana viaggiare in Europa, agli inizi degli anni Sessanta, lei si diploma all’Accademia di Belle arti di Palermo e, poi, parte per Salisburgo, dove frequenta la «Scuola del Vedere» di Oskar Kokoschka, il padre dell’Espressionismo nordico, la cui pittura racconta l’asperità del vivere. Ne diventa assistente; impara da lui a «vedere, osservare, guardare» la realtà, portandosi a casa una profezia che sarebbe diventata realtà: «Tu farai teatro».
Poi, dopo un seminario estivo a Venezia con Le Courbusier, la giovane parte, con una borsa di studio, per l’America, mossa dalla curiosità, dalla brama di studiare, di conoscere altra gente e altre realtà.

Bisogna aspettare il 1969 per il secondo incontro importante di Santuzza Calì, quello con l’amico e collega Lele Luzzati, un rapporto «così speciale e unico che – racconta la scenografa e costumista friulana - fa parte dei miracoli e dei segreti della mia vita». La loro collaborazione è considerata tra le più feconde e proficue della scena teatrale italiana; i due artisti, ugualmente raffinati e fantasiosi, si capiscono al volo: «sembrava che lavorassimo gomito a gomito controllando ogni sfumatura di colore, - racconta ancora Santuzza Calì - ma non è mai stato così. Dopo brevi accordi ci impegnavamo su uno stesso progetto, lontani, in mari diversi, lui in quello ligure, io in quello mediterraneo – in Sicilia o su un’isola greca».

Le porte del teatro sono aperte e l’arte della scenografa e costumista di Pulfero, che unisce una vasta cultura figurativa con una straordinaria abilità artigianale e una spiccata intelligenza nella collaborazione con le maestranze del palcoscenico, incrocia anche la storia dell’opera lirica, un genere musical-teatrale che lei aveva imparato da piccola grazie al nonno paterno: «mi faceva sentire le arie di Mozart, Rossini, Verdi… e mi raccontava le storie – racconta Santuzza Calì -. Così per capirle meglio facevo piccoli teatrini con dentro piccoli personaggi colorati di rosso, verde e blu. Erano di carta e li muovevo con i fili. Non mi ricordo se immaginavo o no di continuare da grande a fare questo gioco».
Le sue creazioni fatte di fantasia, artigianalità e manualità, ma anche di un attento studio dei testi e del carattere dei personaggi, salgono così su palcoscenici importanti come La Fenice di Venezia, il Massimo di Palermo, il Carlo Felice di Genova, il San Carlo di Napoli, il Regio di Torino, il Rossini Opera Festival di Pesaro, il Maggio musicale Fiorentino, il Ciclo verdiano di Parma, i teatri dell’Opera di Vienna, Strasburgo, Parigi, Ginevra, Losanna, Stoccolma, Oslo, Atene e Zurigo.

Santuzza Calì, che oggi ha novant’anni e che tre anni fa si è trasferita a Sperlinga (in provincia di Enna), dopo una vita passata a Roma, è stata instancabile e tuttora studia, disegna, inventa. Lo dimostra il catalogo ragionato della sua attività, appena pubblicato da Silvana Editoriale. E lo documenta anche l’antologica che le dedica fino alla fine dell’anno il teatro Biondo di Palermo. Curata da Giovanna A. Bufalini, Paola Tosti, Laura Zanca e Giulia Barbera, con la collaborazione della Fondazione Giorgio Cini di Venezia, l’esposizione allinea acquerelli, bozzetti, figurini, costumi, oggetti di scena che raccontano in sintesi i momenti più significativi di una storia creativa durata più di cinquant’anni, dal 1969 a oggi.

«In tutta l’opera di Santuzza Calì – sottolinea una delle curatrici, Giovanna A. Bufalini – prevale il gusto del colore, che dà vita alla sua visione del mondo. Un costume non è mai solo un costume, è un’opera pittorica; un tessuto non è mai solo un tessuto, ma si stinge o si arricchisce di una velatura di azzurro, o di un effetto stencil. Ogni costume è un’opera a sé. Una piccola gobba in più, qualche centimetro in meno di un pantalone, sono rivelatori di una sottile ironia nei confronti del personaggio, mentre un costume che si trasforma in una scenografia diventa a volte un inatteso intervento registico».

«Il talento di Santuzza Calì sta tutto nell’estro e nella potenza creativa – le fa eco Maria Ida Biggi, direttrice dell’Istituto per il Teatro e il Melodramma della Fondazione Giorgio Cini di Venezia - che riesce a esprimere con il genio della combinazione dei colori, della scelta dei tessuti e delle tecniche di montaggio che servono per immaginare le caratteristiche del personaggio. Tutta la sua creatività appare attraverso una lente deformante, in cui i riferimenti filologici, spesso, si possono scoprire sotto la fantasia, piuttosto che nella ricerca di ricostruire un’epoca storica. La sua invenzione si rafforza attraverso il costante confronto con il regista e con lo scenografo, con i quali, di frequente, basta uno sguardo, una parola, una lunghezza d’onda, come lei stessa riferisce».

Completa il percorso espositivo una selezione di manufatti realizzati da Santuzza Calì con Gabriella Saladino nello Studio di via Maqueda a Palermo. Le due artiste hanno prodotto per anni un artigianato di altissima qualità: i «giocattoli» di cartapesta, le teline con «il mondo alla rovescia», le maschere, i metal-collage sembrano pensati per bambini di altri tempi, appartengono a una dimensione in cui il mondo è buono e la cattiveria diventa quasi comica. Un mondo in cui la fantasia è al potere.

Vedi anche

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1. Figurino per O Cesare o nessuno di Vittorio Gassmann, 1974. Archivio Santuzza Calì, Istituto per il Teatro e il Melodramma, Fondazione Giorgio Cini; 2. Figurino per I tre moschettieri di Alexandre Dumas, 1970. Archivio Santuzza Calì, Istituto per il Teatro e il Melodramma, Fondazione Giorgio Cini; 3. Bozzetto per Una tranquilla dimora di campagna di Stanislaw Witkiewicz, 1975. Archivio Santuzza Calì, Istituto per il Teatro e il Melodramma, Fondazione Giorgio Cini; 4. Figurino per La zia di Carlo di Brandon Thomas, 1994. Archivio Santuzza Calì, Istituto per il Teatro e il Melodramma, Fondazione Giorgio Cini; 5. Figurino per Le mille e una note di Gigi Palla da Antoine Galland, 2007. Archivio Santuzza Calì, Istituto per il Teatro e il Melodramma, Fondazione Giorgio Cini

Informazioni utili
Santuzza Calì – Acquerelli, bozzetti, figurini, costumi. Teatro Biondo - Palermo. Apertura al pubblico: da martedì a sabato dalle 9:00 alle 13:00 e dalle 15:00 alle 19:00, domenica dalle 9:00 alle 12:00 e dalle 15:00 alle 19:00; lunedì chiuso. Ingresso gratuito. Informazioni: tel. 091.7434331 o 091.7434345. Sito web: https://www.teatrobiondo.it. Fino al 29 dicembre 2024.