Le immagini della fantasia trovano casa, ancora una volta, al museo Luzzati di Genova. Lo spazio espositivo di Porta Siberia propone, infatti, «Imaginarium», una mostra una e trina che comprende le esposizioni «Pinocchio Biennale 2014», «Burning Water» e «Temporary Artshop». Comune denominatore delle tre rassegne, visitabili fino al prossimo 25 gennaio, è la possibilità di portarsi via un po’ del mondo che fa capo al museo, dove immaginazione, fantasia e colore sono da sempre di casa. Tutto quello che è esposto è, infatti, in vendita, a partire dalle opere dedicate a Pinocchio per giungere alle proposte del «Temporary Artshop», vetrina espositiva che ogni Natale permette agli amanti dell’illustrazione di acquistare idee-regalo che coniugano qualità, fantasia e valore come, per esempio, serigrafie, stampe d’arte, grafiche con opere di Emanuele Luzzati, Flavio Costantini, Quentin Blake, Silver, Nicoletta Costa e Altan.
La prima delle tre mostre in programma, «Biennale Pinocchio 2014», continua il percorso iniziato nel 2012 e dedicato alla figura del burattino italiano più celebre e amato nel mondo. L’idea era nata nel 2011 da un incontro con il pittore Flavio Costantini, allora presidente del Museo internazionale Luzzati. L’edizione del 2012 accolse, tra l’altro, le opere di Baj, Dine, Dalisi, Fiorato, Grondona, Innocenti, Jacovitti, Luzzati, Nespolo, Paladino e Topor; fu corredata da un corposo catalogo e ricevette importanti riconoscimenti come il premio di rappresentanza della Presidenza della Repubblica.
Mentre la nuova edizione presenta sculture di Vincent Maillard e Piergiorgio Colombara, con una serie di tavole a collage firmate da Fabio de Poli per un libro su testo di Andrea Rauch.
A queste opere vanno affiancati i lavori vincitori dei premi messi in palio nel 2012 da Latte Tigullio e Faber-Castell. Si trovano così in mostra trentadue nuovi illustratori, autori di tavole realizzate con le tecniche più varie. Ecco così il Pinocchio a forma di pallone aerostatico di Francesca Di Martino o il burattino sognante di Laura Desirèe Pozzi o, ancora, la poetica illustrazione «Radici» di Michela Costantin.
«Burning Water» è, invece, la sezione di «Imaginarium» in cui vengono esposti i lavori dell’omonimo concorso organizzato nel 2013 da « AnoMali Festival», in collaborazione con l’associazione culturale «Campo di carte» e la libreria «Cibrario» di Acqui Terme. Il tema analizzato lo scorso anno dalla competizione artistica era «Acqua che brucia», un ossimoro di particolare suggestione che viene rivisitato ora a Genova attraverso una cinquantina illustrazioni provenienti da tutto il mondo, Giappone compreso, come documentano i lavori di Kumiko Matsumoto.
Mentre nel «Temporary Artshop» si potrà trovare una vasta scelta di idee-regalo come sagome in legno dipinte a mano dagli allievi del maestro Emanuele Luzzati, grandi riproduzioni su tela o microforato, oggetti d’arredo e parti di scenografie.
«Imaginarium» propone, poi, tre incontri per i bambini, nelle giornate del 16 e del 30 novembre e del 7 dicembre. Un’occasione, questa, per avvicinare i più piccoli all’arte costruendo sculture in terracotta o inventando storie, in compagnia di Piergiorgio Colombara, Vincent Maillard e Fabio De Paoli.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Sagome di un Pulcinella di Emanuele Luzzati; [fig. 2] Vincent Maillard, «Balena», scultura in terracotta; [fig. 3] Michela Costantin, «Radici»
Informazioni utili
«Imaginarium». Museo Luzzati a Porta Siberia, Area Porto Antico, 6 - Genova. Orari: martedì-venerdì, ore 10.00-13.00 e ore 14.00-18.00; sabato e domenica, ore 10.00-18.00; chiuso il lunedì. Ingresso: gratuito. Laboratori didattici: € 5,00. Informazioni: tel. 010.2530328 o info@museoluzzati.it. Sito web: www.museoluzzati.it. Fino al 25 gennaio 2015.
ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
venerdì 14 novembre 2014
giovedì 13 novembre 2014
Louis Michel van Loo e Giovanni Battista Quadrone, a Torino un percorso tra ritrattistica e pittura di genere ottocentesca
Fu uno dei più famosi e richiesti ritrattisti del XVIII secolo, tanto da lavorare alla corte spagnola di Filippo V e a quella francese di Luigi XV. Stiamo parlando di Louis Michel van Loo (Tolone, 1701 – Parigi, 1771), discendente di una dinastia di artisti originaria dell’Olanda, che operò tra il Seicento e il Settecento a Parigi, Torino, Madrid e Berlino. Alla sua mano si devono i ritratti dei quattro figli piccoli di Carlo Emanuele III di Savoia: Vittorio Amedeo, Maria Luisa Gabriella, Maria Felicita Vittoria ed Eleonora Maria Teresa.
Il pittore realizzò questi quattro quadri, pagatigli il 4 gennaio 1734, poco prima di ritornare in Francia, al termine del suo secondo soggiorno italiano, che lo vide nel 1733 a Torino in compagnia dello zio Charles-André; tre anni prima Louis Michel van Loo era, invece, stato a Roma, ospite all’Accademia di Francia, per studiare la pittura rinascimentale e la scultura antica, dando prova delle sue potenzialità in una serie di ritratti raffiguranti gli allievi dell’istituzione francese.
Dei quattro ritratti sabaudi si perse ben presto memoria, al punto che per molto tempo si è pensato fossero andati perduti. Almeno fino a una recente asta, quando dei quattro documentati ne sono stati presentati tre. Di questi la Fondazione Accorsi-Ometto di Torino se ne è aggiudicato uno, quello raffigurante Maria Luisa Gabriella, e, grazie alla disponibilità degli altri proprietari, il quadro viene ora esposto insieme a quelli raffiguranti le due sorelle, Maria Felicita Vittoria ed Eleonora Maria Teresa.
Si tratta di tre opere straordinarie, cariche di fascino che rivelano pienamente le capacità dell’artista nella levigata stesura degli incarnati, nella salda qualità della composizione e nella perfetta resa dei tessuti, nell’uso costante di colori luminosi e ben sfumati. Per eseguire i dipinti, van Loo attinse ai modelli della grande ritrattistica francese, da Hyacinthe Rigaud a Nicolas Largille. Pur indulgendo su una rappresentazione ufficiale delle fanciulle, eredi di un’importante dinastia europea, il pitture scelse di raffigurarle con estrema modernità e con una vena quasi intimista, cogliendole ognuna in un’azione diversa.
Questi ritratti ebbero un peso notevole nella codificazione delle immagini infantili all’interno della corte sabauda e garantirono all’artista un rapporto privilegiato con i Savoia. Un rapporto, questo, testimoniato dallo splendido ritratto che il pittore fece a Madrid nel 1750 della principessa Maria Antonia Ferdinanda di Borbone, andata in sposa quello stesso anno a Vittorio Amedeo III principe di Piemonte.
In contemporanea, alla Fondazione Accorsi Ometto di Torino è allestita la mostra «Giovanni Battista Quadrone. Un iperrealista nella pittura piemontese dell’Ottocento», curata dal professore Giuseppe Luigi Marini e organizzata in collaborazione con lo Studio Berman di Giuliana Godio.
Il percorso espositivo si apre con una selezione di quadri giovanili, di ispirazione romantica, come «L’agguato», «Un giullare», «Vergognosa» e «Ogni occasione è buona! », nei quali l’artista di Mondovì dipinge soggetti in costume del passato, di riferimento letterario, ma collocati in situazioni riferibili al proprio tempo. Ampio spazio è, poi, dedicato ai temi quali lo sport venatorio e il mondo arcaico della Sardegna, come documentano le tele «Cacciatore fortunato», «Entrate che fa freddo» e «Una vecchia berlina».
Tra i soggetti di riferimento cinegetici, sono presenti in mostra anche capolavori che colgono attimi di vita quotidiana, quali «Fortune diverse», che fissa un momento del dopo caccia, e «L’occasione fa il ladro», titolo che spiega le simultanee reazioni a catena di una mancata sorveglianza.
La mostra è completata da due quadri dell’ultimo periodo: «Il circo» e «Ciarlatani con oche», in cui l’attenzione vira dalla collettività della rappresentazione –i protagonisti sulla pista e gli spettatori sulle panche- a momenti più intimi legati alla vita quotidiana, del backstage e degli artisti dello spettacolo.
Giovanni Battista Quadrone fu autore di dipinti finitissimi, di piccole e medie dimensioni. Il fil rouge che lega tutti i soggetti delle sue opere è la paziente definizione «iperrealistica»; il maestro cesellava, con il colore, i particolari anche minimi, con tecnica e precisione inesorabili, nulla dimenticando e a nulla rinunciando di quanto riteneva utile alla completa rappresentazione di una situazione.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Louis Michel van Loo, ritratto di Maria Luisa Gabriella di Savoia, 1733. Torino, Fondazione Accorsi–Ometto; [fig. 2] Giovanni Battista Quadrone, Pranzo democratico, 1894. Olio su tavola, cm32 x 44. Collezione privata; [fig. 3] Giovanni Battista Quadrone, Il circo (I saltimbanchi), 1894. Olio su tela. Collezione privata
Informazioni utili
«Giovanni Battista Quadrone. Un iperrealista nella pittura piemontese dell’Ottocento» e « Louis Michel van Loo - Le tre principessine di Casa Savoia». Museo di arti decorative Accorsi–Ometto, via Po, 55 - Torino. Orari: martedì-venerdì, ore 10.00-13.00 e ore 14.00-18.00; sabato e domenica, ore 10.00-13.00 e ore 14.00-19.00; lunedì chiuso. Visite guidate: tutti i giorni, ore 11.00 e ore 17.00; domenica, ore 11.00, ore 17.00 e ore 18.00. Ingresso: mostra € 6,00; mostra con visita guidata - intero € 8,00, ridotto € 6,00; abbonamento musei € 3,00. Informazioni: Biglietteria, tel. 011.837.688 (int. 3). Sito web: www.fondazioneaccorsi-ometto.it. Fino all’11 giugno 2015.
Il pittore realizzò questi quattro quadri, pagatigli il 4 gennaio 1734, poco prima di ritornare in Francia, al termine del suo secondo soggiorno italiano, che lo vide nel 1733 a Torino in compagnia dello zio Charles-André; tre anni prima Louis Michel van Loo era, invece, stato a Roma, ospite all’Accademia di Francia, per studiare la pittura rinascimentale e la scultura antica, dando prova delle sue potenzialità in una serie di ritratti raffiguranti gli allievi dell’istituzione francese.
Dei quattro ritratti sabaudi si perse ben presto memoria, al punto che per molto tempo si è pensato fossero andati perduti. Almeno fino a una recente asta, quando dei quattro documentati ne sono stati presentati tre. Di questi la Fondazione Accorsi-Ometto di Torino se ne è aggiudicato uno, quello raffigurante Maria Luisa Gabriella, e, grazie alla disponibilità degli altri proprietari, il quadro viene ora esposto insieme a quelli raffiguranti le due sorelle, Maria Felicita Vittoria ed Eleonora Maria Teresa.
Si tratta di tre opere straordinarie, cariche di fascino che rivelano pienamente le capacità dell’artista nella levigata stesura degli incarnati, nella salda qualità della composizione e nella perfetta resa dei tessuti, nell’uso costante di colori luminosi e ben sfumati. Per eseguire i dipinti, van Loo attinse ai modelli della grande ritrattistica francese, da Hyacinthe Rigaud a Nicolas Largille. Pur indulgendo su una rappresentazione ufficiale delle fanciulle, eredi di un’importante dinastia europea, il pitture scelse di raffigurarle con estrema modernità e con una vena quasi intimista, cogliendole ognuna in un’azione diversa.
Questi ritratti ebbero un peso notevole nella codificazione delle immagini infantili all’interno della corte sabauda e garantirono all’artista un rapporto privilegiato con i Savoia. Un rapporto, questo, testimoniato dallo splendido ritratto che il pittore fece a Madrid nel 1750 della principessa Maria Antonia Ferdinanda di Borbone, andata in sposa quello stesso anno a Vittorio Amedeo III principe di Piemonte.
In contemporanea, alla Fondazione Accorsi Ometto di Torino è allestita la mostra «Giovanni Battista Quadrone. Un iperrealista nella pittura piemontese dell’Ottocento», curata dal professore Giuseppe Luigi Marini e organizzata in collaborazione con lo Studio Berman di Giuliana Godio.
Il percorso espositivo si apre con una selezione di quadri giovanili, di ispirazione romantica, come «L’agguato», «Un giullare», «Vergognosa» e «Ogni occasione è buona! », nei quali l’artista di Mondovì dipinge soggetti in costume del passato, di riferimento letterario, ma collocati in situazioni riferibili al proprio tempo. Ampio spazio è, poi, dedicato ai temi quali lo sport venatorio e il mondo arcaico della Sardegna, come documentano le tele «Cacciatore fortunato», «Entrate che fa freddo» e «Una vecchia berlina».
Tra i soggetti di riferimento cinegetici, sono presenti in mostra anche capolavori che colgono attimi di vita quotidiana, quali «Fortune diverse», che fissa un momento del dopo caccia, e «L’occasione fa il ladro», titolo che spiega le simultanee reazioni a catena di una mancata sorveglianza.
La mostra è completata da due quadri dell’ultimo periodo: «Il circo» e «Ciarlatani con oche», in cui l’attenzione vira dalla collettività della rappresentazione –i protagonisti sulla pista e gli spettatori sulle panche- a momenti più intimi legati alla vita quotidiana, del backstage e degli artisti dello spettacolo.
Giovanni Battista Quadrone fu autore di dipinti finitissimi, di piccole e medie dimensioni. Il fil rouge che lega tutti i soggetti delle sue opere è la paziente definizione «iperrealistica»; il maestro cesellava, con il colore, i particolari anche minimi, con tecnica e precisione inesorabili, nulla dimenticando e a nulla rinunciando di quanto riteneva utile alla completa rappresentazione di una situazione.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Louis Michel van Loo, ritratto di Maria Luisa Gabriella di Savoia, 1733. Torino, Fondazione Accorsi–Ometto; [fig. 2] Giovanni Battista Quadrone, Pranzo democratico, 1894. Olio su tavola, cm32 x 44. Collezione privata; [fig. 3] Giovanni Battista Quadrone, Il circo (I saltimbanchi), 1894. Olio su tela. Collezione privata
Informazioni utili
«Giovanni Battista Quadrone. Un iperrealista nella pittura piemontese dell’Ottocento» e « Louis Michel van Loo - Le tre principessine di Casa Savoia». Museo di arti decorative Accorsi–Ometto, via Po, 55 - Torino. Orari: martedì-venerdì, ore 10.00-13.00 e ore 14.00-18.00; sabato e domenica, ore 10.00-13.00 e ore 14.00-19.00; lunedì chiuso. Visite guidate: tutti i giorni, ore 11.00 e ore 17.00; domenica, ore 11.00, ore 17.00 e ore 18.00. Ingresso: mostra € 6,00; mostra con visita guidata - intero € 8,00, ridotto € 6,00; abbonamento musei € 3,00. Informazioni: Biglietteria, tel. 011.837.688 (int. 3). Sito web: www.fondazioneaccorsi-ometto.it. Fino all’11 giugno 2015.
mercoledì 12 novembre 2014
«Morandi e l’antico» in mostra a Bologna
Federico Barocci, Giuseppe Maria Crespi, Rembrandt van Rijn e Vitale da Bologna: sono questi gli artisti selezionati per la mostra «Morandi e l’antico» che, in occasione dei cinquant’anni dalla morte del maestro bolognese, focalizza l’attenzione sul suo rapporto con l’arte del passato, scegliendo di introdurre nel percorso espositivo del Museo Morandi di Bologna alcuni capolavori di autori che hanno operato tra il Trecento e il Settecento.
Il rinnovato allestimento, visitabile fino al 17 maggio, va di pari passo con gli importanti prestiti legati all'imminente apertura al National Museum of Modern and Contemporary Art di Deoksugung della mostra su Giorgio Morandi promossa in occasione delle celebrazioni per i centotrent'anni delle relazioni diplomatiche tra Italia e Corea e che, dal 19 novembre al 25 febbraio, vedrà protagonista il «pittore delle bottiglie» della prima personale a lui dedicata nel Paese asiatico.
Per Giorgio Morandi l’osservazione degli antichi non era solo studio accademico e parte integrante della pratica che accompagna ogni formazione artistica. Si trattava soprattutto di una traiettoria per collegarsi a quella linea ideale che congiungeva Piero della Francesca a Paul Cézanne attraverso Chardin e Camille Corot. L'artista era assiduo visitatore della Pinacoteca cittadina, dove non si stancava di osservare le tele di Guido Reni e del Guercino o i dipinti di Giuseppe Maria Crespi, di cui possedeva alcune opere nella sua collezione privata. Ma amava anche le tavole dei Primitivi ed era un fine conoscitore della pittura bolognese delle origini fino a conservare per sé tre frammenti attribuiti da Roberto Longhi allo Pseudo Jacopino di Francesco.
Quando non entrava in una chiesa della sua città per ammirare le pale d’altare, il maestro emiliano era a Firenze, Padova, Roma, Venezia o a mostre e biennali, dove aveva occasione di confrontarsi con i francesi Renoir, Monet e Courbet.
Ma l’occhio del grande artista e la sua eccezionale capacità percettiva si manifestavano ancor prima nella conoscenza e nella profonda comprensione degli artisti attraverso le sole riproduzioni in bianco e nero. Oltre a Cézanne, Giorgio Morandi scoprì la pennellata lenta di Chardin, la nitidezza dell’immagine di Vermeer, i paesaggi immensi di Corot, cui si aggiungono i fondamentali esempi di Seurat e Rousseau.
L'artista non ebbe meno interesse nei confronti di Rembrandt, considerato un maestro assoluto dell'arte incisoria. È, infatti, a lui che il pittore bolognese si ispirò per diventare uno fra i più grandi incisori all’acquaforte di tutti i tempi, tecnica che insegnò ininterrottamente all'Accademia di Belle Arti di Bologna dal 1930 al 1956.
Il progetto espositivo rilegge il percorso di Giorgio Morandi, analizzandone i temi e le stagioni che hanno caratterizzato la sua attività artistica. Una prima area tematica, denominata «Oltre il genere», evidenzia come nature morte e paesaggi, ovvero i motivi frequentati assiduamente dal maestro bolognese, costituiscano la via privilegiata per superare i temi della rappresentazione a favore di una concentrazione sulla pratica pittorica. A seguire, la sezione «Tempo e composizione» esemplifica come nell'approccio agli oggetti comuni, allo spazio dei paesaggi, ai fiori di stoffa, l’artista individui composizioni di geometrie elementari come cubi, cilindri, sfere e triangoli, in cui si esprime l’essenza delle rispettive qualità visibili. Sulla tela il pittore spoglia l'oggetto di ogni elemento superfluo per restituire, limpido, il sentimento del visibile. Il rigore formale delle nature morte morandiane si accompagna a un'atmosfera silenziosa e contemplativa, che ben si sposa con le due opere di arte antica scelte per il nuovo allestimento, studiato dall’Istituzione Bologna Musei, in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni storici, artistici ed etnoantropologici per le Province di Bologna, Ferrara, Forlì/Cesena, Ravenna e Rimini e la Pinacoteca nazionale.Lungo il percorso si trova così la tela «Giocatori di dadi» di Giuseppe Maria Crespi (Bologna, 1665 - 1747),un’opera del 1740 conservata al Museo Davia Bargelini e comparsa per la prima volta nelle fonti nel 1920 grazie all’interessamento del critico Matteo Marangoni, la cui essenzialità della fattura e il vibrare dei chiari sui toni fondi, ma colorati la rendeva degna dell’ammirazione di Giorgio Morandi.
Nella stessa sezione sono, poi, visibili due lavori di Vitale da Bologna (notizie dal 1330 al 1359): le tempere su tavola «Sant'Antonio Abate e San Giacomo Maggiore» (1345-50 ca.) e «San Pietro benedicente un donatore con veste da pellegrino» (1345-50 ca.), per lungo tempo credute parti di un polittico al cui centro avrebbe dovuto trovarsi la «Madonna col Bambino», detta «Madonna dei Denti», ora al museo Davia Bargellini, che il pittore bolognese celebrò in una lettera all'amico Cesare Brandi del marzo 1939: «[...]Oggi sono stato in Municipio a vedere i due laterali del trittico di Vitale. Sono veramente stupendi; molto più belli, almeno per me, della parte centrale della Galleria Bargellini...».
Il percorso espositivo dedica, quindi, una bella sezione all'incisione, nella quale sono accostate diciannove acqueforti morandiane, tra le quali «Natura morta con pane e limone» (1921) e «Il giardino di via Fondazza» (1924), a due opere di Rembrandt (Leiden, 1606 – Amsterdam, 1669) e Federico Barocci (Urbino, 1535 – 1612). Del primo artista è esposto «Nudo femminile disteso (La negra sdraiata)», un'opera grafica appartenuta all'artista bolognese, nella quale il maestro olandese riuscì a far emergere la figura scura dalla penombra dello sfondo, modulando con cura i diversi volumi del corpo in toni e semitoni. Di Barocci è, invece, esposta un'«Annunciazione» (1584–1588), nella quale il maestro urbinate sperimenta per la prima volta il nuovo processo delle morsure replicate, caratterizzato da una copertura a cera, mezzo fondamentale per creare profondità prospettica e diverse intensità di chiaroscuro.
L’utilizzo sulla stessa lastra di tecniche diverse quali il tratteggio, il reticolo e il puntinato consente all’artista di raggiungere esiti altissimi, e di risolvere il problema del rapporto forma – luce – spazio, graduando l’intensità del segno e ottenendo così inediti valori tonali. Nell'area tematica successiva, «La poetica dell'oggetto», le nature morte della maturità, con le loro forme, i lori colori e i loro giochi di luci ed ombre, divengono poco più che suggestioni. Le sagome sfumano una dentro l'altra in una fusione di luci e colori ma l'oggetto rimane nella memoria dell'artista e sulla tela come forma stabile e primaria, elemento fondante di una poetica che non prescinde mai dalla realtà. È qui visibile l'ultima natura morta dipinta e firmata da Morandi nel 1964, che rimase sul cavalletto come epilogo o possibile apertura di una nuova stagione.
l tema dell'oggetto sempre presente e visibile seppur nella sua dissolvenza emerge con forza nel lavoro qui esposto di Tony Cragg, «Eroded Landscape» (1999), in cui i bicchieri, le bottiglie e i vasi che lo compongono trascendono la propria funzione, manifestandosi in una fisicità effimera, ma durevole.
Chiude il percorso espositivo una sezione di approfondimento sulla figura e l'opera di Giorgio Morandi, nella quale sono presentati una serie di dieci immagini fotografiche dello studio e degli oggetti dell'artista, realizzate da Jean-Michel Folon. Trova, inoltre, collocazione in questa parte conclusiva l'opera «Not Morandi (natura morta), 1943» (1985) dell'artista americano Mike Bidlo, recentemente entrata a far parte della collezione permanente del Mambo.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Rembrandt van Rijn (Leiden, 1606 – Amsterdam, 1669), «Nudo femminile disteso (La negra sdraiata)», 1658. Acquaforte, bulino e puntasecca su rame, 80 x 157 mm. Istituzione Bologna Musei - Casa Morandi; [fig. 2] Giorgio Morandi, «Natura morta con pane e limone», 1921 (V.inc.13). Acquaforte su rame. Istituzione Bologna Musei - Museo Morandi; [fig. 3] Giuseppe Maria Crespi (Bologna, 1665 - 1747), «Giocatori di dadi», 1740 ca.. Olio su tela, 58 x 46,5 cm. Museo Davia Bargellini, Bologna; [fig. 4] Giorgio Morandi, «Natura morta», 1963 (V.1323). Olio su tela. Istituzione Bologna Musei | Museo Morandi; [fig. 5] Federico Barocci (Urbino, 1535–1612), «Annunciazione», 1584–1588. Acquaforte e bulino, 438 x 313 mm. Pinacoteca Nazionale, Bologna; [fig. 6] Giorgio Morandi,«Natura morta con panneggio a sinistra», 1927 (V.inc.31).Acquaforte su zinco. Collezione privata
Informazioni utili
«Morandi e l’antico: Vitale da Bologna, Barocci, Rembrandt e Crespi». Museo Morandi @ Mambo, via Don Minzoni, 14 – Bologna. Orari: martedì, mercoledì e venerdì, ore 12.00-18.00, giovedì, sabato, domenica e festivi, ore 12.00-20.00. Ingresso: intero (comprensivo di accesso alle mostre temporanee) € 6,00, ridotto € 4,00. Informazioni: tel. 051.6496611, fax 051.6496637 o info@mambo-bologna.org. Sito internet: www.mambo-bologna.org. Fino al 17 maggio 2015.
Il rinnovato allestimento, visitabile fino al 17 maggio, va di pari passo con gli importanti prestiti legati all'imminente apertura al National Museum of Modern and Contemporary Art di Deoksugung della mostra su Giorgio Morandi promossa in occasione delle celebrazioni per i centotrent'anni delle relazioni diplomatiche tra Italia e Corea e che, dal 19 novembre al 25 febbraio, vedrà protagonista il «pittore delle bottiglie» della prima personale a lui dedicata nel Paese asiatico.
Per Giorgio Morandi l’osservazione degli antichi non era solo studio accademico e parte integrante della pratica che accompagna ogni formazione artistica. Si trattava soprattutto di una traiettoria per collegarsi a quella linea ideale che congiungeva Piero della Francesca a Paul Cézanne attraverso Chardin e Camille Corot. L'artista era assiduo visitatore della Pinacoteca cittadina, dove non si stancava di osservare le tele di Guido Reni e del Guercino o i dipinti di Giuseppe Maria Crespi, di cui possedeva alcune opere nella sua collezione privata. Ma amava anche le tavole dei Primitivi ed era un fine conoscitore della pittura bolognese delle origini fino a conservare per sé tre frammenti attribuiti da Roberto Longhi allo Pseudo Jacopino di Francesco.
Quando non entrava in una chiesa della sua città per ammirare le pale d’altare, il maestro emiliano era a Firenze, Padova, Roma, Venezia o a mostre e biennali, dove aveva occasione di confrontarsi con i francesi Renoir, Monet e Courbet.
Ma l’occhio del grande artista e la sua eccezionale capacità percettiva si manifestavano ancor prima nella conoscenza e nella profonda comprensione degli artisti attraverso le sole riproduzioni in bianco e nero. Oltre a Cézanne, Giorgio Morandi scoprì la pennellata lenta di Chardin, la nitidezza dell’immagine di Vermeer, i paesaggi immensi di Corot, cui si aggiungono i fondamentali esempi di Seurat e Rousseau.
L'artista non ebbe meno interesse nei confronti di Rembrandt, considerato un maestro assoluto dell'arte incisoria. È, infatti, a lui che il pittore bolognese si ispirò per diventare uno fra i più grandi incisori all’acquaforte di tutti i tempi, tecnica che insegnò ininterrottamente all'Accademia di Belle Arti di Bologna dal 1930 al 1956.
Il progetto espositivo rilegge il percorso di Giorgio Morandi, analizzandone i temi e le stagioni che hanno caratterizzato la sua attività artistica. Una prima area tematica, denominata «Oltre il genere», evidenzia come nature morte e paesaggi, ovvero i motivi frequentati assiduamente dal maestro bolognese, costituiscano la via privilegiata per superare i temi della rappresentazione a favore di una concentrazione sulla pratica pittorica. A seguire, la sezione «Tempo e composizione» esemplifica come nell'approccio agli oggetti comuni, allo spazio dei paesaggi, ai fiori di stoffa, l’artista individui composizioni di geometrie elementari come cubi, cilindri, sfere e triangoli, in cui si esprime l’essenza delle rispettive qualità visibili. Sulla tela il pittore spoglia l'oggetto di ogni elemento superfluo per restituire, limpido, il sentimento del visibile. Il rigore formale delle nature morte morandiane si accompagna a un'atmosfera silenziosa e contemplativa, che ben si sposa con le due opere di arte antica scelte per il nuovo allestimento, studiato dall’Istituzione Bologna Musei, in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni storici, artistici ed etnoantropologici per le Province di Bologna, Ferrara, Forlì/Cesena, Ravenna e Rimini e la Pinacoteca nazionale.Lungo il percorso si trova così la tela «Giocatori di dadi» di Giuseppe Maria Crespi (Bologna, 1665 - 1747),un’opera del 1740 conservata al Museo Davia Bargelini e comparsa per la prima volta nelle fonti nel 1920 grazie all’interessamento del critico Matteo Marangoni, la cui essenzialità della fattura e il vibrare dei chiari sui toni fondi, ma colorati la rendeva degna dell’ammirazione di Giorgio Morandi.
Nella stessa sezione sono, poi, visibili due lavori di Vitale da Bologna (notizie dal 1330 al 1359): le tempere su tavola «Sant'Antonio Abate e San Giacomo Maggiore» (1345-50 ca.) e «San Pietro benedicente un donatore con veste da pellegrino» (1345-50 ca.), per lungo tempo credute parti di un polittico al cui centro avrebbe dovuto trovarsi la «Madonna col Bambino», detta «Madonna dei Denti», ora al museo Davia Bargellini, che il pittore bolognese celebrò in una lettera all'amico Cesare Brandi del marzo 1939: «[...]Oggi sono stato in Municipio a vedere i due laterali del trittico di Vitale. Sono veramente stupendi; molto più belli, almeno per me, della parte centrale della Galleria Bargellini...».
Il percorso espositivo dedica, quindi, una bella sezione all'incisione, nella quale sono accostate diciannove acqueforti morandiane, tra le quali «Natura morta con pane e limone» (1921) e «Il giardino di via Fondazza» (1924), a due opere di Rembrandt (Leiden, 1606 – Amsterdam, 1669) e Federico Barocci (Urbino, 1535 – 1612). Del primo artista è esposto «Nudo femminile disteso (La negra sdraiata)», un'opera grafica appartenuta all'artista bolognese, nella quale il maestro olandese riuscì a far emergere la figura scura dalla penombra dello sfondo, modulando con cura i diversi volumi del corpo in toni e semitoni. Di Barocci è, invece, esposta un'«Annunciazione» (1584–1588), nella quale il maestro urbinate sperimenta per la prima volta il nuovo processo delle morsure replicate, caratterizzato da una copertura a cera, mezzo fondamentale per creare profondità prospettica e diverse intensità di chiaroscuro.
L’utilizzo sulla stessa lastra di tecniche diverse quali il tratteggio, il reticolo e il puntinato consente all’artista di raggiungere esiti altissimi, e di risolvere il problema del rapporto forma – luce – spazio, graduando l’intensità del segno e ottenendo così inediti valori tonali. Nell'area tematica successiva, «La poetica dell'oggetto», le nature morte della maturità, con le loro forme, i lori colori e i loro giochi di luci ed ombre, divengono poco più che suggestioni. Le sagome sfumano una dentro l'altra in una fusione di luci e colori ma l'oggetto rimane nella memoria dell'artista e sulla tela come forma stabile e primaria, elemento fondante di una poetica che non prescinde mai dalla realtà. È qui visibile l'ultima natura morta dipinta e firmata da Morandi nel 1964, che rimase sul cavalletto come epilogo o possibile apertura di una nuova stagione.
l tema dell'oggetto sempre presente e visibile seppur nella sua dissolvenza emerge con forza nel lavoro qui esposto di Tony Cragg, «Eroded Landscape» (1999), in cui i bicchieri, le bottiglie e i vasi che lo compongono trascendono la propria funzione, manifestandosi in una fisicità effimera, ma durevole.
Chiude il percorso espositivo una sezione di approfondimento sulla figura e l'opera di Giorgio Morandi, nella quale sono presentati una serie di dieci immagini fotografiche dello studio e degli oggetti dell'artista, realizzate da Jean-Michel Folon. Trova, inoltre, collocazione in questa parte conclusiva l'opera «Not Morandi (natura morta), 1943» (1985) dell'artista americano Mike Bidlo, recentemente entrata a far parte della collezione permanente del Mambo.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Rembrandt van Rijn (Leiden, 1606 – Amsterdam, 1669), «Nudo femminile disteso (La negra sdraiata)», 1658. Acquaforte, bulino e puntasecca su rame, 80 x 157 mm. Istituzione Bologna Musei - Casa Morandi; [fig. 2] Giorgio Morandi, «Natura morta con pane e limone», 1921 (V.inc.13). Acquaforte su rame. Istituzione Bologna Musei - Museo Morandi; [fig. 3] Giuseppe Maria Crespi (Bologna, 1665 - 1747), «Giocatori di dadi», 1740 ca.. Olio su tela, 58 x 46,5 cm. Museo Davia Bargellini, Bologna; [fig. 4] Giorgio Morandi, «Natura morta», 1963 (V.1323). Olio su tela. Istituzione Bologna Musei | Museo Morandi; [fig. 5] Federico Barocci (Urbino, 1535–1612), «Annunciazione», 1584–1588. Acquaforte e bulino, 438 x 313 mm. Pinacoteca Nazionale, Bologna; [fig. 6] Giorgio Morandi,«Natura morta con panneggio a sinistra», 1927 (V.inc.31).Acquaforte su zinco. Collezione privata
Informazioni utili
«Morandi e l’antico: Vitale da Bologna, Barocci, Rembrandt e Crespi». Museo Morandi @ Mambo, via Don Minzoni, 14 – Bologna. Orari: martedì, mercoledì e venerdì, ore 12.00-18.00, giovedì, sabato, domenica e festivi, ore 12.00-20.00. Ingresso: intero (comprensivo di accesso alle mostre temporanee) € 6,00, ridotto € 4,00. Informazioni: tel. 051.6496611, fax 051.6496637 o info@mambo-bologna.org. Sito internet: www.mambo-bologna.org. Fino al 17 maggio 2015.
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