ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 25 ottobre 2016

Prato saluta il nuovo Centro Pecci

Una navicella spaziale. «Una virgola di luna». Un’architettura ad anello, color oro, con un’antenna sulla cima in grado di intercettare -e di trasmettere- fermenti, tendenze e umori della scena artistica contemporanea. Si presenta così «Sensing the Waves», il progetto ideato dall’architetto olandese Maurice Nio per rinnovare il Centro Pecci di Prato, la cui struttura fu ideata nel 1988 dal fiorentino Italo Gamberini per volontà di Enrico Pecci con l’intento di onorare la memoria del figlio Luigi, scomparso prematuramente.
Riaperto dopo nove anni di cantiere, il “nuovo” museo toscano si presenta ampliato nei suoi spazi, estendendosi ora su una superficie di oltre diecimila metri quadrati, articolata in diverse sale espositive, un archivio, una biblioteca specializzata con un patrimonio di oltre cinquantamila volumi, un teatro all’aperto per mille spettatori, un cinema-auditorium da centoquaranta posti, uno spazio performativo da quattrocento, un bookshop, un bistrot, un ristorante e varie sale d’incontro.
Ma il Centro Pecci non si presenta rinnovato solo negli spazi, che permetteranno finalmente di valorizzare al meglio la sua collezione che vanta oltre mille opere dei principali artisti internazionali: da Anish Kapoor a Jan Fabre, da Jannis Kounellis a Sol LeWitt, senza dimenticare gli italiani Mario Merz o Michelangelo Pistoletto.
Rinnovato è anche il programma culturale aperto all’interdisciplinarietà, alla commistione tra arti: il nuovo corso del museo pratese, avviato domenica 16 ottobre, promette, infatti, di indagare tutte le discipline della cultura contemporanea, toccando anche cinema, musica, perfoming arts, architettura, design, moda e letteratura e cercando, al contempo, di avvicinare il più possibile l’arte alla società.
L’opening del rinnovato e ampliato Centro Pecci di Prato spetta alla mostra «La fine del mondo», a cura di Fabio Cavallucci, che allinea, accanto a lavori storici di Marcel Duchamp e Pablo Picasso, le opere di una cinquantina di artisti contemporanei ormai affermati internazionalmente, dal nativo americano Jimmie Durham al cubano Carlos Garaicoa, dai cinesi Qiu Zhijie e Cai Guo-Qiang a giovani come il brasiliano Henrique Oliveira o lo svizzero Julian Charrière, del quale viene presentato un lavoro realizzato a quattro mani insieme al tedesco Julius Von Bismarck.
«In tempi di cambiamenti climatici globali, di guerre diffuse che hanno fatto dire al Papa che siamo di fronte alla terza guerra mondiale anche se combattuta a pezzetti, di esodi e di migrazioni irrefrenabili, di Brexit che se non di tutto il globo segna perlomeno la fine dell’Europa, -afferma Fabio Cavallucci- non sembra eccessivo parlare di fine del mondo: uno sguardo catastrofico sembrerebbe consentito ed è, diciamolo, avvallato dagli eventi. Ma non è questo il tema che la mostra vuole affrontare». A Prato si intende, infatti, far vivere al visitatore una specie di esercizio della distanza, che spinge a guardare il presente da lontano.
Lungo il percorso espositivo, secondo le nuove linee strategiche del Pecci, vengono documentati tutti linguaggi artistici: la musica, il teatro, il cinema, l’architettura e la danza contribuiscono a costruire una narrazione immersiva e coinvolgente grazie alla presenza di personalità eclettiche e visionarie che arricchiranno il racconto con il loro contributo, dalla celebre cantante Bjork all’architetto Didier Fiuza Faustino, dal drammaturgo e attore Pippo Delbono fino al musicista elettronico Joakim.
Intanto in tutta la città di Prato e anche in altri centri vicini come Firenze, Pisa, Vinci si festeggia la riapertura del Pecci con mostre e progetti che fanno ben sperare in uno slancio per l’intera scena creativa e culturale toscana.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] «Sensing the Waves», nuova ala progettata da  Maurice Nio. Foto: Ivan D'Alì; [fig. 2] Map of Mythological Creatures, 2013, inchiostro su carta 7 pezzi, 120 x 240 cm, courtesy of Galleria Continua, San Gimignano / Beijing / Les Moulins / Habana; [fig. 3] Break-through (two) - yellow foam, tape, cardboard, wood, paint - variable dimensions, Luciano Romano, courtesy of Galleria Alfonso Artiaco

Informazioni utili 
Centro d'arte contemporanea Pecci, viale della Repubblica, 277 - Prato. Orari: da martedì a domenica, ore 11.00-23.00; chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 7,00.  Informazioni: tel.  0574.5317 o info@centropecci.it. Sito internet: http://www.centropecci.it

lunedì 24 ottobre 2016

Bologna, ottant'anni d'arte a Villa delle Rose

Sono passati cent’anni da quando la contessa Nerina Armandi Avogli donava alla Città di di Bologna Villa delle Rose: un atto, questo, alla base della nascita della Galleria d’arte moderna cittadina che, con i suoi successivi sviluppi, avrebbe condotto all’apertura del Mambo. Per ricordare questo evento il comune felsineo promuove, nell’ambito delle celebra-zioni per il nono centenario della sua fondazione, la mostra «Villa delle Rose 1936», a cura di Uliana Zanetti e Barbara Secci, nella quale si presenta una ricostruzio-ne dell'allestimento realizzato ottanta anni or sono da Guido Zucchini, il primo a dare piena esecuzione delle volontà della donatrice includendo esclusivamente opere del XX secolo.
Nonostante le numerose perdite registrate durante la seconda guerra mondiale, grazie alle oltre cento opere superstiti e lavorando sull'attuale stato architettonico della villa è stato possibile far rivivere nelle sue linee generali quel primo assetto delle collezioni, dando la possibilità al pubblico di oggi di vedere lavori raramente esposti negli ultimi decenni. La mostra costituisce, inoltre, un'occasione per la revisione critica di un periodo ancora poco studiato della storia dell'arte bolognese.
La ricostruzione portata avanti dalle curatrici ha potuto contare su una vasta documentazione fotografica che testimonia con dovizia di particolari quale fosse l'assetto della collezione tra il 1936 e il 1940, rendendo più agevole immaginare come Zucchini abbia ragionato nell'accostare un numero di opere che oggi appare esorbitante: duecentosette lavori all'interno e diciannove sculture all'esterno della villa, tutti appartenenti al XX secolo e a centoventotto artisti quasi tutti all'epoca ancora viventi.
Il riordino delle collezioni condotto otto decenni fa riusciva a dipanare un patrimonio disorganico, spesso costruito tramite premi cittadini prestigiosi, acquisti alle Biennali, alle mostre di associazioni private o del sindacato fascista, oltre che ovviamente donazioni di svariata provenienza, rendendo comunque leggibile la distinzione fra autori disomogenei, alternando generi e stili differenti nei vari ambienti.
Il percorso espositivo del 1936 si articolava in undici sale (più la loggia d'ingresso, il portico e il giardino) di cui oggi si è cercato di mantenere l'impostazione attraverso una per quanto possibile fedele collocazione delle opere ancora disponibili.
Gaele Covelli, Giuseppe Graziosi e Giovanni Masotti, tutti vincitori del Premio Baruzzi, aprono il percorso espositivo, che continua con i lavori di Ferruccio Ferrazzi, Ferruccio Giacomelli, Casimiro Jodi, Ludovico Lambertini, Silverio Montaguti, Emilio Notte e Ferruccio Scandellari. Di quanto Zucchini aveva posizionato nella terza sala sono oggi visibili opere di Giuseppe Brugo, Ettore Burzi, Domenico Ferri, Augusto Majani, Ottavio Steffenini e Ugo Valeri, mentre della quarta sala ritroviamo i premi del Curlandese di prospettiva con Aldo Avati, Dante Comelli, Gualtiero Pontoni, Guido Venturi, e di scultura con Cleto Tomba, insieme ai paesaggi di Teodoro Wolf Ferrari e Luigi Zago. A parte vanno considerate le quattro opere superstiti di Amleto Montevecchi, con la sua accorata attenzione ai temi del lavoro e alle classi meno agiate, affiancate a uno studio di Gaetano Leonesi.
Si assiste, a seguire, al confronto tra i dipinti di due grandi maestri della pittura bolognese, Alfredo Protti e Guglielmo Pizzirani, che Zucchini collocava nella quinta sala. In mostra si ritrovano opere come «Il vestito alla marinara (Ragazzo)», «Il piumino e la Figura allo specchio» del primo: esempi fra i più riusciti di quel naturalismo addolcito e di quell'inclinazione intimista che restano cifra distintiva di molta pittura bolognese di quegli anni. Più aspro e severo appare, invece, «Mia madre e mia sorella», ritratto eseguito da Pizzirani che, pur rispettando una fedele resa del vero, documenta la persistenza nella sua arte di quei modi post-impressionisti che, se ai suoi esordi ne avevano fatto un ribelle al passo con i tempi, l'avrebbero però privato delle attenzioni di molta critica successiva.
Anche la sesta sala propone un raffronto tra due protagonisti del panorama regionale, Giovanni Romagnoli e Bruno Saetti, coronati da un esteso successo, all'epoca, nell'ambito delle esposizioni nazionali. Di Romagnoli, che fin dalla partecipazione alle mostre della Secessione Romana aveva ottenuto rilevanti riconoscimenti e che nel 1935 aveva avuto una sala personale alla Quadriennale di Roma, sono visibili tre dipinti di figura tutti premiati ai concorsi bolognesi, che restano fra i suoi capolavori: «Merlettaie» del 1921, «Ballerina con fior»i e «Toeletta» del 1923. Bruno Saetti, più giovane di una decina d'anni e all'epoca già trasferito da oltre un lustro a Venezia come docente della locale Accademia, nel 1939 avrebbe clamorosamente vinto il primo premio per la pittura alla Quadriennale romana, superando Morandi che arrivò secondo. A Villa delle Rose nel 1936 era presente con tre quadri insigniti dei premi bolognesi e con altri tre acquistati, tutti oggi visibili: due paesaggi - «Canale della Giudecca» del 1931 e «Paesaggio della Ciociaria» del 1933 - e quattro tele con figure - «Bambino con fiori» del 1926, due «Maternità» e «Donna uscita dal bagno», tutte del 1929-. Nella ricostruzione del 2016 è stato deciso di collocare in questa sala anche dipinti di Ilario Rossi e a Farpi Vignoli.
Della settima e dell'ottava sala allestite da Guido Zucchini ci rimangono opere di Ettore Bocchini, Luigi Cervellati, Gino Marzocchi, Antonio Maria Nardi, Alberto Negroni, Bruno Santi e Antonino Sartini. Della sala nove, che raggruppava disegni e stampe, sono, invece, presentate le ricercate xilografie di Francesco Dal Pozzo, le incisioni di Ubaldo Magnavacca, un monotipo di Giovanni Secchi, una altera testa di donna di Oddone Scabia, i diciotto cartoni con figure di scolaretti di Lorenzo Viani e, soprattutto, tre preziose acqueforti di Giorgio Morandi, le cui incisioni disperse vengono qui sostituite con altri esemplari degli stessi soggetti, donati al Comune di Bologna nel 1961 dall'artista stesso, facenti oggi parte del patrimonio del Museo Morandi: «Paesaggio del Poggio» (1927), «Case del Campiaro a Grizzana» (1929) e «Grande natura morta scura» (1934).
Della decima sala, che esponeva recentissime acquisizioni dell'epoca, rimangono innanzitutto il piccolo olio «Strada» di Filippo De Pisis acquistato alla V Mostra Interprovinciale d'arte e «L'auriga» (1934) del già citato Farpi Vignoli, già allora avvicinato dai critici alle temerarie sperimentazioni di Arturo Martini; sono arrivati a noi anche lavori di Pietro Angelini, Nino Bertocchi, Aldo Carboni e Mario Gamero.
Dell'undicesima sala, a chiusura del percorso, oggi abbiamo ancora le opere dei futuristi Alberto Alberti e Angelo Caviglioni, insieme a un dipinto di Mario Pozzati.
Nel dopoguerra le collezioni di Villa delle Rose si arricchirono, grazie a qualche acquisto e a diverse donazioni – talvolta intese a ricostituire il patrimonio disperso durante il conflitto – di numerose opere di pregio degli artisti bolognesi attivi nella prima metà del XX secolo. Per la mostra sono stati selezionati alcuni lavori che vengono esposti in rappresentanza di Carlo Corsi, Flavio Bertelli e Garzia Fioresi: figure troppo importanti per consentire che la dispersione di quanto mostrato nel 1936 permettesse di ignorarle. Sono state invece omesse, soprattutto per ragioni logistiche, le sculture che il catalogo di Zucchini segnalava all'esterno.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Alberto Alberti (Alberto Vincenzi), «Verso il cielo», 1931. Olio su tela, cm. 180 x 110. Acquistato dal-l'artista, 1932; [fig. 2] Giuseppe Brugo, «Giovane signora (Mughetto) », 1905-1906. Olio su tela, cm. 125 x 76. Concorso Curlandese 1905, premio di pittura; [fig. 3] Giovanni Romagnoli, «Merlettaie [Scuola di ricamo] », 1921. Olio su tela, cm. 100 x 90. Premio Baruzzi 1920; [fig. 4] Bruno Saetti, «Maternità», 1929. Olio su tela, cm. 77 x 62. Acquistato alla XVII Biennale di Venezia, 1930

Informazioni utili 
«Villa delle Rose 1936». Villa delle Rose, via Saragozza 228 – 230, Bologna. Orari: da giovedì a domenica, ore 15,00-20.00; lunedì 31 ottobre (apertura straordinaria), ore 15.00-20.00.

Ingresso: intero € 5,00, ridotto € 3,00 (Card Musei Metropolitani Bologna e altri convenzionati). Sito internet: www.mambo-bologna.org. Fino al 31 ottobre 2016.

venerdì 21 ottobre 2016

Rapporto Federculture, in Italia cresce il consumo culturale

È una buona notizia quella che emerge dalle pagine del dodicesimo Rapporto annuale Federculture presentato nei giorni scorsi a Roma, negli spazi del Maxxi. Il volume, edito da Gangemi e realizzato quest’anno in collaborazione con Agis, racconta, infatti, di un momento positivo per la cultura in Italia.
Maggiori risorse economiche per il settore, crescente autonomia operativa ai musei statali, nuovo protagonismo nelle politiche nazionali per gli operatori delle attività ricreative: questi sono, infatti, i dati che si leggono nel libro «Impresa Cultura. Creatività, partecipazione, competitività», introdotto da una prefazione di Dario Franceschini.
Il rapporto descrive un settore investito, dopo anni di stasi, da politiche di respiro strategico che coniugano valorizzazione della cultura, come uno dei maggiori fattori competitivi dell'Italia, e promozione della conoscenza, in particolare tra i giovani, per favorire la partecipazione dei cittadini alla tutela e fruizione del patrimonio nazionale.
Questo impegno sembra dare risultati positivi: gli italiani sono tornati a teatro (+4% sul 2014 e +8% sul 2013), nei musei (+7% e +18%), e nei siti archeologici (+8 e + 16%).
Il consumo culturale è cresciuto soprattutto tra le nuove generazioni: nella fascia di età 15-17 anni la fruizione teatrale aumenta del 16,6% e quella dei musei del 10,6%; in quella 20-24 anni si registra per il teatro una crescita dell’11,4%, per musei e mostre un +14,3%, nei concerti di musica classica +8,2%.
Tuttavia, in un quadro complessivamente positivo, non si possono tralasciare alcuni elementi di criticità che rischiano di frenare la ripresa e il recupero di competitività, anche internazionale, del settore e dell’intero sistema Paese. Tra questi, per esempio, il fatto che la partecipazione alla cultura sia ancora diffusa tra fasce ristrette della popolazione: l’astensione culturale, in calo nel 2015 del 4% rispetto all’anno precedente, riguarda ancora il 18,5% dei cittadini vale a dire circa 11 milioni di italiani che non fruiscono di cinema, teatro, musei, concerti, né praticano la lettura. E in particolare sul fronte della lettura i dati sono sconfortanti: nel 2015 si stima che meno di un italiano su due, cioè il 42% delle persone di 6 anni e più (circa 24 milioni), abbia letto almeno un libro, cifra stabile rispetto all’anno precedente, ma complessivamente in calo da diversi anni (nel 2010 la percentuale di lettori era del 47% circa).
Inoltre, esiste un evidente ritardo del Mezzogiorno del Paese, dove tutti gli indicatori seppure positivi sono decisamente inferiori al resto della penisola. Per esempio la spesa media mensile delle famiglie dedicata a cultura, spettacoli e ricreazione che, a livello nazionale è pari a 126,41 euro, nel nord-est è di 159 euro, nel centro il dato scende a 128 euro e crolla nel sud e nelle isole rispettivamente a 84 e 78 euro, la metà di quanto si spende nel triveneto e circa due terzi della spesa media nazionale.
Inoltre, sul fronte del turismo, se da una parte recuperiamo ben diciotto posizioni nella classifica della competitività turistica del World Economic Forum passando dal ventiseiesimo posto del 2013 all’ottavo del 2015, arrivi e presenze sono ancora è fortemente concentrato in alcune regioni e gran parte delle numerose attrattive del territorio, in particolar modo ancora una volta al Sud, non sono adeguatamente valorizzate. Ne è un chiaro indicatore il fatto che il 64,5% della spesa turistica degli stranieri si concentra in cinque regioni (Lazio, Lombardia, Veneto, Toscana, Campania), con differenze molto significative: ad esempio in Lombardia i turisti stranieri hanno speso 6 miliardi di euro e in Sardegna esattamente un decimo, 600 milioni.
Un analogo problema di concentrazione si registra sul fronte dei visitatori dei musei che per l’86% si riversano in 5 regioni – Lazio, Campania, Toscana, Piemonte, Lombardia – con i siti del Lazio che ne accolgono quasi 20 milioni, quelli della Campania e Toscana circa 7 milioni ciascuna, mentre in molte altre regioni, come Basilicata, Abruzzo, Calabria, se ne registrano poche centinaia di migliaia.
Dunque, seppure ci sia un’inequivocabile tendenza all’investimento e alla promozione della crescita del settore e una chiara disponibilità a considerare la cultura come un valore per il Paese, è necessario approfondire e intensificare le azioni intraprese per renderle più efficaci nel raggiungimento degli obiettivi.
Federculture ha individuato alcuni nodi cruciali sui quali intervenire come, per esempio, la defiscalizzazione del consumo culturale, l’estensione dell’Art bonus a tutti i soggetti che praticano cultura, la promozione dell’applicazione del bonus giovani, sperimentandone anche una possibile estensione alla popolazione anziana.
«Le nostre sono alcune proposte che potrebbero dare una nuova spinta ad un settore del Paese che è fortemente connesso con lo sviluppo dell'economia -sottolinea il presidente di Federculture Andrea Cacellato-. In modo particolare, il sostegno al consumo culturale può rappresentare la grande svolta capace di mettere in gioco risorse inaspettate, che possono moltiplicare gli effetti nella produzione culturale e nella vita delle Istituzioni, liberando anche una salutare competizione, in connessione con l’aumento della partecipazione dei cittadini alla vita culturale delle città e del Paese. La tensione che tutti dobbiamo avere verso la crescita economica, come fattore indispensabile per aiutare il Paese ad uscire da una lunga e difficile crisi, non può sottacere anche il ruolo che abbiamo nella crescita culturale, premessa necessaria, per rendere il nostro Paese più aperto alla conoscenza, più curioso del futuro, più consapevole dei propri mezzi. Ci sono tutte le condizioni, questa volta, per una vera svolta».

Informazioni utili 
www.federculture.it