«Se una star è quasi sempre garanzia di successo, due insieme promettono faville». Sembra essere questo, secondo l’agenzia Ansa, il fil rouge del nuovo anno teatrale in Italia, dove, tra grandi reunion e nuove affinità, «in locandina si punterà sempre più sul confronto a due».
Su una coppia scommette anche il cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio per l’inizio della sua nuova stagione teatrale. Venerdì 27 ottobre a calcare le assi del palcoscenico di via Calatafimi saranno, infatti, Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia, gli straordinari protagonisti del musical «Grease» che, dopo vent'anni, tornano nuovamente in scena insieme nella commedia «Non mi hai più detto ti amo», scritta e diretta da Gabriele Pignotta.
Si apre, dunque, in grande stile la programmazione della sala di via Calatafimi che, fino a venerdì 4 maggio 2018, vedrà succedersi sul suo palcoscenico otto spettacoli teatrali capaci di accontentare i gusti di un pubblico eterogeneo.
Commedia brillante, prosa classica e di impegno civile, one woman show comico e cabaret musicale sono solo alcuni dei generi scenici che compongono il cartellone, nel quale spiccano i nomi di conosciuti e apprezzati protagonisti del teatro e della cultura italiana come Geppi Cucciari, Sergio Assisi, Vanessa Gravina, Valentina Lodovini, Ivano Marescotti e Max Pisu.
Il ruolo della famiglia e della donna nella società contemporanea, le passioni civili, la parola come strumento comunicativo che segna la cronaca di un’epoca sono alcune delle tematiche al centro della nuova stagione, per la quale è stato scelto ancora una volta il titolo «Mettiamo in circolo la cultura».
«Non mi hai più detto ti amo», lo spettacolo che apre il cartellone, racconta, per esempio, «la storia di una famiglia italiana contemporanea, costretta -si legge nella sinossi- ad affrontare un cambiamento traumatico improvviso e che, alla fine di un percorso umano difficile e intenso, si ritroverà completamente trasformata e forse più preparata a sopravvivere». Lorella Cuccarini, al debutto in una commedia non musicale, interpreta Serena, una madre che, con grande coraggio, trova la forza di mettersi in discussione per riscoprire il suo essere donna. Giampiero Ingrassia è suo marito, Giulio, un uomo che reagirà al repentino cambiamento della moglie, riscoprendo, finalmente, il suo ruolo di padre.
I due attori romani passeranno il testimone a Sergio Sgrilli che, nella serata di venerdì 17 novembre, proporrà lo spettacolo interattivo «20 in poppa», uno show celebrativo di vent’anni di carriera o, meglio, una sorta di Bignami di quasi tutto quello che l’artista toscano ha fatto per «sbarcare il lunario al meglio che si può». Dalle origini in Maremma ai primi concerti come musicista-cantante «colorati» di battute e aneddoti, fino ad arrivare ai monologhi che lo hanno reso una delle star di «Zelig»: Sergio Sgrilli si racconterà a tutto tondo, tra risate a crepapelle e momenti introspettivi, in un appuntamento all’insegna della musica (con qualche canzone del nuovo cd «Dieci venti d’amore») e della comicità d’autore.
La stagione proseguirà nella serata di giovedì 25 gennaio 2018 con la commedia «Queste pazze donne» del viennese Gabriel Barylli, che vedrà salire sul palco tre note e apprezzate protagoniste del teatro italiano: Paola Quattrini, Vanessa Gravina ed Emanuela Grimalda. «Uno sguardo autentico, divertente, sensuale, brillante e disincantato sul mondo femminile» è ciò che offre al pubblico questo spettacolo, tra commedia e melodramma, la cui regia è firmata da Stefano Artissunch. Dalle confessioni delle protagoniste, tre donne diverse nel temperamento e nelle scelte di vita, emergeranno «storie di amori negati o vissuti, intrecci, gelosie, figli segreti, case, vestiti colorati, scenari quotidiani a tinte vagamente gialle».
Mercoledì 21 febbraio sarà, quindi, la volta dell’ironica e tagliente Geppy Cucciari che, sotto la regia di Matteo Torre (autore anche del testo), porterà in scena il suo nuovo one woman show: «Perfetta», «radiografia sociale ed emotiva, fisica, -si legge nella sinossi- di ventotto comici e disperati giorni della vita» di una donna, attraverso le quattro fasi del ciclo femminile.
Riflettori puntati, poi, su Sergio Assisi che venerdì 9 marzo calcherà il palcoscenico bustese, nella doppia veste di attore e regista, con la commedia «L’ispettore Drake e il delitto perfetto» del britannico David Tristram. In scena per questo frizzante spettacolo, dalla miscela esplosiva e irresistibilmente comica, ci saranno anche Luigi Di Fiore, Francesco Procopio, Fabrizio Sabatucci e Beatrice Gattai. Protagonista della storia è l’ispettore Drake, personaggio bizzarro al servizio di un thriller surreale, che racchiude in sé tutti i luoghi comuni del detective esasperati all’ennesima potenza. «La sua lampante incompetenza, malcelata da un atteggiamento serioso e goffamente beffardo, -si legge nella sinossi- è resa ancora più esilarante dall’accoppiata con il sergente Plod, il peggior assistente che un detective possa desiderare di avere a fianco, quando si sta indagando su un omicidio».
Giovedì 29 marzo il pubblico bustese potrà, quindi, ammirare un’altra coppia di attori, questa volta inedita per la scena italiana. Dopo Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia sarà la volta di Ivano Marescotti e Valentina Lodovini con «I have a dream – Le parole che hanno cambiato la storia», spettacolo scritto da Ennio Speranza e Gabriele Guidi, autore anche della regia. Da Demostene a Martin Luther King, da Pericle a Robespierre, passando per Lady Astor, Gandhi, Kennedy, Churchill, Fidel Castro, Mandela, Umberto Eco e molti altri: l'atto unico propone un viaggio tra i discorsi di uomini che, con il loro pensiero e la loro azione, hanno scritto il nostro futuro. Democrazia, identità etnica, ruolo delle donne, eccidi, intolleranza religiosa, ma anche arte e letteratura come strumenti di protezione dell’essere umano sono solo alcune delle tematiche che il pubblico potrà approfondire.
Di tutt'altro genere lo spettacolo che venerdì 13 aprile vedrà salire sul palco bustese due volti noti del cabaret, il legnanese Max Pisu e Claudio Batta, insieme con gli attori Claudio Moneta, Stefania Pepe, Roberta Petrozzi e Giorgio Verduci. «Veloce, agile, divertente, e con un (falso) finale thriller» si presenta così lo spettacolo in scena: la commedia «Il rompiballe», uno dei capolavori di France Veber, il «Neil Simon francese», nella rilettura e per la regia di Marco Rampoldi. La trama promette risate a non finire: un killer deve uccidere un importante uomo politico attraverso la finestra di una camera d’albergo; a complicare la situazione, nella stanza accanto, c’è il classico «rompiballe», un maldestro fotografo con tendenze suicide che si porta dietro un assurdo viavai di mogli esasperate, amanti aggressivi, cameriere impiccione e poliziotti maldestri.
A chiudere la stagione sarà «Freddy Aggiustatutto» di Lorenzo Riopi e Tobia Rossi, testo vincitore della quinta edizione del concorso «Una commedia in cerca d'autori», con il quale il Manzoni di Busto Arsizio prosegue la propria collaborazione con «La Bilancia Produzioni» (società che gestisce i teatri Martinitt di Milano e de’ Servi di Roma) nella ricerca di talentuosi drammaturghi under 40 che diano nuovo vigore a un genere, quale quello del teatro brillante, che fa parte della nostra storia. Lo spettacolo, in programma per la serata di venerdì 4 maggio 2018, offre una fotografia spietata e cinica del mondo televisivo, emblema della superficialità e della manipolazione, raccontando la storia di Freddy, un ragazzo ipocondriaco e ingenuo, che, sul piccolo schermo, si trasforma in un macho palestrato disponibile ad aiutare casalinghe disperate. Sul palco, sotto la regia di Roberto Marafante, saliranno Giuseppe Cantore, Giulia Carpaneto, Alessia Punzo e Alessandra Schiavoni.
Un cartellone, dunque, nato con l’intento di divertire, ma anche di suscitare riflessioni e di offrire conoscenza quello che il cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio propone per la nuova stagione con l’intento di avvicinare nuovo pubblico.
Informazioni utili
Stagione 2017-2018. Cinema teatro Manzoni, via Calatafimi, 5 - Busto Arsizio (Varese). tel. 0331.677961 Orari botteghino: dal lunedì al sabato, dalle 17.00 alle 19.00. Informazioni: tel. 0331.677961, info@cinemateatromanzoni.it. Sito internet: www.cinemateatromanzoni.it.
ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
venerdì 29 settembre 2017
mercoledì 27 settembre 2017
Milano, mounir fatmi inaugura la nuova sede della galleria Officine dell’Immagine
È tra i protagonisti della Biennale di Venezia, dove espone al Padiglione Tunisino e e al NSK State Pavilion e, questo autunno, sarà protagonista, a Milano, della sua prima personale in Italia. Stiamo parlando di mounir fatmi (Tangeri, Marocco, 1970), artista marocchino chiamato a esporre in prestigiosi musei come il Centre Georges Pompidou, il Victoria & Albert Museum e il Mori Art Museum di Tokyo, che dal 26 ottobre inaugurerà la nuova sede della galleria Officine dell’Immagine.
La mostra, dal titolo «Transition State», ripercorre i tratti distintivi della sua vasta sintesi poetica, ponendo l’accento sul concetto di ibridazione culturale, una combinazione di preconcetti e stereotipi svelati e poi screditati, che rafforzano una visione d’insieme costruita sul dialogo fra religione, scienza, le ambivalenze del linguaggio e quanto queste si trasformino nel corso della storia.
Un chiaro esempio del potere del linguaggio sulla verità è «Martyrs», un dittico realizzato su neri pannelli di legno, la cui superficie è tagliata da una moltitudine di linee che sembrano muoversi come ferite sulla pelle di un corpo. L’emblematico titolo gioca sulle varianti semantiche di questa parola che, nel corso della storia, hanno trasformato il suo significato. Dall’antico greco martus, testimone”ì, a colui che sacrifica se stesso in nome della fede, fino ad arrivare all’accezione di oggi, quando viene erroneamente affiancato al concetto di kamikaze.
Il tema del martirio torna anche nel video «The Silence of Saint Peter Martyr» (2011), con protagonista San Pietro Martire, anche noto come Pietro da Verona, un prete del XIII secolo appartenente all’Ordine dei Domenicani, che fu giustiziato atrocemente a causa della sua forte opposizione agli eretici. La quiete della scena, che vede il soggetto muovere lentamente il dito mimando il pacifico gesto del silenzio, si contrappone violentemente all’audio del video stesso, un sottofondo disturbante e aggressivo.
L’ispirazione di materia religiosa si riconferma nella serie fotografica «Blinding Light» (2013), un progetto che vede la manipolazione sia concettuale che visiva della cosiddetta «Guarigione del Diacono Giustiniano», un miracolo immortalato anche in un noto dipinto del Beato Angelico. La storia narra di due santi, Cosma e Damiano -celebri per le loro capacità mediche- che una notte entrarono nella stanza di Giustiniano e gli scambiarono la gamba malata con quella di un etiope appena deceduto. Al risveglio Giustiniano si accorse quindi di avere la gamba destra guarita, ma di colore. Giocata sulle sovrapposizioni fra il dipinto antico e scene di chirurgia odierna, mounir fatmi sorprende per l’abilità lessicale con la quale riesce ad affrontare temi di grande richiamo come l’identità etnica, l’ibridazione e la nozione di diversità con una sorprendete sensibilità culturale.
La visione sensoriale dello spettatore viene, poi, esortata nel video «Technologia» (2010), dove il susseguirsi convulso di dettagli geometrici e motivi calligrafici arabi di natura religiosa, danno vita a un processo dal forte carattere ipnotico. Lo sguardo dello spettatore a fatica riesce a resistere, così come anche il suo udito, messo alla prova da suoni stridenti.
La giustapposizione fra oggetto, il suo utilizzo e il suo significato culturale si conferma centrale nell’installazione «Civilization» (2013), realizzata semplicemente con un paio di scarpe nere da uomo poste sopra un libro; con questi due oggetti, spesso utilizzati come indicatori del livello di civilizzazione delle persone, l’artista marocchino s’interroga sulla seduzione della materialità e sul suo ingannevole potere nella cultura contemporanea.
La mostra milanese, che vede la curatela di Silvia Cirelli, permette, quindi, di approfondire alcuni temi di attualità che fanno parte da sempre della poetica di mounir fatmi come l’identità, la multiculturalità, le ambiguità del potere e della violenza. Negli anni l’artista marocchino è riuscito a rinnovarsi costantemente, esplorando una molteplice varietà di linguaggi stilistici che vanno dal video all’installazione, dalla fotografia alla performance. Il suo è un percorso narrativo che oltre a confermare una notevole abilità lessicale, miscela ingredienti personali a testimonianze del reale, tracciando importanti passaggi della storia contemporanea. Lo dimostrerà anche la performance inaugurale costruita attorno all’installazione «Constructing Illusions», un’opera partecipativa che gioca sugli equilibri fra immaginazione e realtà, concetti che spesso si mescolano fra loro, fino ad arrivare anche a scambiarsi completamente di significato.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] mounir fatmi, The Silence of Saint Peter Martyr, 2011. Video HD in bianco e nero con audio, 5'04" edizione di 5. Courtesy l’artista e Officine dell’Immagine, Milano; [fig. 2] mounir fatmi, Civilization, 2013. Artist’s shoes and book 30x43 cm edizione di 5. Courtesy l’artista e Officine dell’Immagine, Milano; [fig. 3] mounir fatmi, Technologia, 2010. Video HD in bianco e nero con audio, 15' edizione di 5. Courtesy l’artista e Officine dell’Immagine, Milano
Informazioni utili
mounir fatmi.Transition State. Officine dell’Immagine, via Carlo Vittadini, 11 – Milano. Orari: martedì – sabato, ore 11.00 – 19.00; lunedì e giorni festivi su appuntamento. Ingresso libero. Informazioni: tel. 02.91638758 o info@officinedellimmagine.com. Sito internet: www.officinedellimmagine.com. Dal 26 ottobre al 7 gennaio 2018.
La mostra, dal titolo «Transition State», ripercorre i tratti distintivi della sua vasta sintesi poetica, ponendo l’accento sul concetto di ibridazione culturale, una combinazione di preconcetti e stereotipi svelati e poi screditati, che rafforzano una visione d’insieme costruita sul dialogo fra religione, scienza, le ambivalenze del linguaggio e quanto queste si trasformino nel corso della storia.
Un chiaro esempio del potere del linguaggio sulla verità è «Martyrs», un dittico realizzato su neri pannelli di legno, la cui superficie è tagliata da una moltitudine di linee che sembrano muoversi come ferite sulla pelle di un corpo. L’emblematico titolo gioca sulle varianti semantiche di questa parola che, nel corso della storia, hanno trasformato il suo significato. Dall’antico greco martus, testimone”ì, a colui che sacrifica se stesso in nome della fede, fino ad arrivare all’accezione di oggi, quando viene erroneamente affiancato al concetto di kamikaze.
L’ispirazione di materia religiosa si riconferma nella serie fotografica «Blinding Light» (2013), un progetto che vede la manipolazione sia concettuale che visiva della cosiddetta «Guarigione del Diacono Giustiniano», un miracolo immortalato anche in un noto dipinto del Beato Angelico. La storia narra di due santi, Cosma e Damiano -celebri per le loro capacità mediche- che una notte entrarono nella stanza di Giustiniano e gli scambiarono la gamba malata con quella di un etiope appena deceduto. Al risveglio Giustiniano si accorse quindi di avere la gamba destra guarita, ma di colore. Giocata sulle sovrapposizioni fra il dipinto antico e scene di chirurgia odierna, mounir fatmi sorprende per l’abilità lessicale con la quale riesce ad affrontare temi di grande richiamo come l’identità etnica, l’ibridazione e la nozione di diversità con una sorprendete sensibilità culturale.
La visione sensoriale dello spettatore viene, poi, esortata nel video «Technologia» (2010), dove il susseguirsi convulso di dettagli geometrici e motivi calligrafici arabi di natura religiosa, danno vita a un processo dal forte carattere ipnotico. Lo sguardo dello spettatore a fatica riesce a resistere, così come anche il suo udito, messo alla prova da suoni stridenti.
La giustapposizione fra oggetto, il suo utilizzo e il suo significato culturale si conferma centrale nell’installazione «Civilization» (2013), realizzata semplicemente con un paio di scarpe nere da uomo poste sopra un libro; con questi due oggetti, spesso utilizzati come indicatori del livello di civilizzazione delle persone, l’artista marocchino s’interroga sulla seduzione della materialità e sul suo ingannevole potere nella cultura contemporanea.
La mostra milanese, che vede la curatela di Silvia Cirelli, permette, quindi, di approfondire alcuni temi di attualità che fanno parte da sempre della poetica di mounir fatmi come l’identità, la multiculturalità, le ambiguità del potere e della violenza. Negli anni l’artista marocchino è riuscito a rinnovarsi costantemente, esplorando una molteplice varietà di linguaggi stilistici che vanno dal video all’installazione, dalla fotografia alla performance. Il suo è un percorso narrativo che oltre a confermare una notevole abilità lessicale, miscela ingredienti personali a testimonianze del reale, tracciando importanti passaggi della storia contemporanea. Lo dimostrerà anche la performance inaugurale costruita attorno all’installazione «Constructing Illusions», un’opera partecipativa che gioca sugli equilibri fra immaginazione e realtà, concetti che spesso si mescolano fra loro, fino ad arrivare anche a scambiarsi completamente di significato.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] mounir fatmi, The Silence of Saint Peter Martyr, 2011. Video HD in bianco e nero con audio, 5'04" edizione di 5. Courtesy l’artista e Officine dell’Immagine, Milano; [fig. 2] mounir fatmi, Civilization, 2013. Artist’s shoes and book 30x43 cm edizione di 5. Courtesy l’artista e Officine dell’Immagine, Milano; [fig. 3] mounir fatmi, Technologia, 2010. Video HD in bianco e nero con audio, 15' edizione di 5. Courtesy l’artista e Officine dell’Immagine, Milano
Informazioni utili
mounir fatmi.Transition State. Officine dell’Immagine, via Carlo Vittadini, 11 – Milano. Orari: martedì – sabato, ore 11.00 – 19.00; lunedì e giorni festivi su appuntamento. Ingresso libero. Informazioni: tel. 02.91638758 o info@officinedellimmagine.com. Sito internet: www.officinedellimmagine.com. Dal 26 ottobre al 7 gennaio 2018.
lunedì 25 settembre 2017
Giacomo Grosso, un artista ottocentesco tra pittura e Accademia
Si articola in tre sedi espositive l’omaggio che la città di Torino fa a Giacomo Grosso (Cambiano 1860 - Torino 1938), uno dei pittori piemontesi più conosciuti e amati nel periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento, che fu per oltre quarant’anni docente di pittura all’Accademia Albertina. Il Museo di arti decorative Accorsi-Ometto, la Pinacoteca dell’Accademia di Belle arti e Palazzo Madama, insieme con il Comune di Cambiano, sono i luoghi selezionati per ospitare l’esposizione curata da Angelo Mistrangelo, con l’intento di raccontare l’ultima stagione pittorica dell’artista caratterizzata da una ritrattistica di sicura fascinazione come mostrano i dipinti dedicati ai Duchi d’Aosta, Lorenzo Delleani, Arturo Toscanini e Giuseppe Verdi.
La storia e il percorso del pittore piemontese comincia idealmente nella Sala del Consiglio del Palazzo comunale di Cambiano. Il corpus di opere e di documenti esposti in questa sede concorre a delineare la vita e la storia artistica di Giacomo Grosso: si va dagli studi giovanili alla formazione presso l’Accademia Albertina, dove fu allievo di Andrea Gastaldi, dai ritratti dei genitori a quelli dei figli e della moglie Carolina. Questa sezione, nella quale si trova esposto un capolavoro come l’imponente e suggestiva tela «Il Pater Noster», permette di conoscere i momenti salienti di un percorso che nel 1895 raggiunse l’importante palcoscenico della Biennale internazionale di Venezia, dove il quadro «Il supremo convegno» -che raffigura un gruppo di donne nude intorno alla bara aperta di Don Giovanni, collocata all’interno di una chiesa- fece così tanto scalpore da essere condannato dal Patriarca Giuseppe Sarto, il futuro Pio X.
L’artista legò il suo nome alla Biennale altre tredici volte con un corpus di oltre cento opere esposte, ma fu protagonista anche alla Quadriennale di Torino, alle sociali della «Promotrice» e del Circolo degli artisti, oltre a varie esposizioni a Parigi, Vienna, Dresda, Buenos Aires e in diverse rassegne internazionali.
Questa storia viene raccontata quasi in toto alla Pinacoteca dell’Accademia Albertina di Belle arti. Attorno all’autoritratto dell’artista, si possono scoprire paesaggi e vedute urbane, bozzetti inediti, nature morte, composizioni floreali, ritratti e nudi femminili, tutte opere di assoluto rilievo. Tra i capolavori allestiti in Pinacoteca spiccano «La nuda» del 1896, proveniente dalla Gam di Torino, e i sontuosi ritratti di Umberto I, della Regina Elena e di Vittorio Emanuele III di Savoia, oltre al dipinto su cui Giacomo Grosso diede l’ultima pennellata poco prima di morire, nel 1938.
Particolarmente affascinante è la sezione «Studium», curata dal direttore Salvo Bitonti e da alcuni docenti dell’Albertina, che propone la ricostruzione dello studio di Giacomo Grosso all'interno dell’accademia attraverso le sorprendenti fotografie autocrome stereoscopiche scattate all’inizio del Novecento da Ferdinando Fino, mentre un video racconta, con una tecnica raffinata e innovativa (picture motion), il mondo pittorico dell'artista.
Al Museo Accorsi-Ometto si possono, invece, ammirare i grandi ritratti: personalità della cultura, affascinanti signore dell’aristocrazia e dell’alta borghesia, tutti raffigurati con sorprendente capacità compositiva ed espressiva.
«Lidia Bass Kuster» (1903), «Luisa Chessa» (1903), «Daisy de Robilant Francesetti di Malgrà» (1897), «La Contessa Gallo» (1918), «Eleonora Guglielminetti Vigliardi Paravia» (1919), «L’ingegner Vittorio Tedeschi» (1925) sono solo alcuni dei personaggi che con i loro volti signorili, gli sguardi profondi e i sontuosi vestiti esprimono il senso della ricerca visiva di Grosso e la straordinaria definizione degli interni, con le figure che quasi emergono dallo spazio della tela e che creano un intrigante rapporto con gli ambienti e l’arredamento del museo.
In mostra, i dipinti sono affiancati da una serie di accessori, quali raffinati cappelli, ventagli di piume di struzzo, scarpe da sera in raso e guanti in camoscio, oltre a due abiti che occhieggiano e ricreano la suggestione delle toilettes delle dame ritratte da Grosso.
Alla Corte medievale di Palazzo Madama sarà, infine, possibile vedere, all'interno dell’imponente «Cornice d’alcova», una significativa tela dell’artista, la «Ninfea», esposta nel 1907 alla Biennale Internazionale di Venezia.
Un viaggio, dunque, completo attraverso l’opera di Giacomo Grosso quello proposto a partire dal 28 settembre dalla città di Torino, a ventisette anni dalla mostra ospitata alla Promotrice delle Belle arti, che permette di mettere in risalto il talento, caratterizzato da un altissimo valore tecnico-artistico, del maestro piemontese, ma anche numerose testimonianze della sua vita, alcune delle quali inedite.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Giacomo Grosso, Autoritratto, 1931. Olio su tela, cm 86 x 66. Pinacoteca dell’Accademia Albertina, Torino (inv. 396); [fig. 2] Giacomo Grosso, Il Pater Noster (Sacra Famiglia), 1934. Olio su tela, cm 198 x 271,5. Palazzo Comunale, Cambiano; [fig. 3] Giacomo Grosso, Ninfea, 1907. Olio su tela, cm 230 x 100. Collezione privata; [fig.4] Giacomo Grosso, Nudo di donna. Olio su tela, cm 200 x 69. Pinacoteca dell’Accademia Albertina, Torino (inv. 418)
Informazioni utili
«Giacomo Grosso. Una stagione tra pittura e accademia». Museo di Arti Decorative Accorsi - Ometto, via Po, 55 – Torino; Pinacoteca Accademia Albertina, via Accademia Albertina 8 – Torino; Palazzo Madama, piazza Castello – Torino; Palazzo del Comune di Cambiano, piazza Vittorio Veneto - Cambiano. Informazioni: comunicazione@accademialbertina.torino.it, tel. 011.0897370 | info@fondazioneaccorsi-ometto.it, tel. 011.837688 (int. 3). Dal 28 settembre 2017 al 7 gennaio 2018
La storia e il percorso del pittore piemontese comincia idealmente nella Sala del Consiglio del Palazzo comunale di Cambiano. Il corpus di opere e di documenti esposti in questa sede concorre a delineare la vita e la storia artistica di Giacomo Grosso: si va dagli studi giovanili alla formazione presso l’Accademia Albertina, dove fu allievo di Andrea Gastaldi, dai ritratti dei genitori a quelli dei figli e della moglie Carolina. Questa sezione, nella quale si trova esposto un capolavoro come l’imponente e suggestiva tela «Il Pater Noster», permette di conoscere i momenti salienti di un percorso che nel 1895 raggiunse l’importante palcoscenico della Biennale internazionale di Venezia, dove il quadro «Il supremo convegno» -che raffigura un gruppo di donne nude intorno alla bara aperta di Don Giovanni, collocata all’interno di una chiesa- fece così tanto scalpore da essere condannato dal Patriarca Giuseppe Sarto, il futuro Pio X.
L’artista legò il suo nome alla Biennale altre tredici volte con un corpus di oltre cento opere esposte, ma fu protagonista anche alla Quadriennale di Torino, alle sociali della «Promotrice» e del Circolo degli artisti, oltre a varie esposizioni a Parigi, Vienna, Dresda, Buenos Aires e in diverse rassegne internazionali.
Questa storia viene raccontata quasi in toto alla Pinacoteca dell’Accademia Albertina di Belle arti. Attorno all’autoritratto dell’artista, si possono scoprire paesaggi e vedute urbane, bozzetti inediti, nature morte, composizioni floreali, ritratti e nudi femminili, tutte opere di assoluto rilievo. Tra i capolavori allestiti in Pinacoteca spiccano «La nuda» del 1896, proveniente dalla Gam di Torino, e i sontuosi ritratti di Umberto I, della Regina Elena e di Vittorio Emanuele III di Savoia, oltre al dipinto su cui Giacomo Grosso diede l’ultima pennellata poco prima di morire, nel 1938.
Particolarmente affascinante è la sezione «Studium», curata dal direttore Salvo Bitonti e da alcuni docenti dell’Albertina, che propone la ricostruzione dello studio di Giacomo Grosso all'interno dell’accademia attraverso le sorprendenti fotografie autocrome stereoscopiche scattate all’inizio del Novecento da Ferdinando Fino, mentre un video racconta, con una tecnica raffinata e innovativa (picture motion), il mondo pittorico dell'artista.
Al Museo Accorsi-Ometto si possono, invece, ammirare i grandi ritratti: personalità della cultura, affascinanti signore dell’aristocrazia e dell’alta borghesia, tutti raffigurati con sorprendente capacità compositiva ed espressiva.
«Lidia Bass Kuster» (1903), «Luisa Chessa» (1903), «Daisy de Robilant Francesetti di Malgrà» (1897), «La Contessa Gallo» (1918), «Eleonora Guglielminetti Vigliardi Paravia» (1919), «L’ingegner Vittorio Tedeschi» (1925) sono solo alcuni dei personaggi che con i loro volti signorili, gli sguardi profondi e i sontuosi vestiti esprimono il senso della ricerca visiva di Grosso e la straordinaria definizione degli interni, con le figure che quasi emergono dallo spazio della tela e che creano un intrigante rapporto con gli ambienti e l’arredamento del museo.
In mostra, i dipinti sono affiancati da una serie di accessori, quali raffinati cappelli, ventagli di piume di struzzo, scarpe da sera in raso e guanti in camoscio, oltre a due abiti che occhieggiano e ricreano la suggestione delle toilettes delle dame ritratte da Grosso.
Alla Corte medievale di Palazzo Madama sarà, infine, possibile vedere, all'interno dell’imponente «Cornice d’alcova», una significativa tela dell’artista, la «Ninfea», esposta nel 1907 alla Biennale Internazionale di Venezia.
Un viaggio, dunque, completo attraverso l’opera di Giacomo Grosso quello proposto a partire dal 28 settembre dalla città di Torino, a ventisette anni dalla mostra ospitata alla Promotrice delle Belle arti, che permette di mettere in risalto il talento, caratterizzato da un altissimo valore tecnico-artistico, del maestro piemontese, ma anche numerose testimonianze della sua vita, alcune delle quali inedite.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Giacomo Grosso, Autoritratto, 1931. Olio su tela, cm 86 x 66. Pinacoteca dell’Accademia Albertina, Torino (inv. 396); [fig. 2] Giacomo Grosso, Il Pater Noster (Sacra Famiglia), 1934. Olio su tela, cm 198 x 271,5. Palazzo Comunale, Cambiano; [fig. 3] Giacomo Grosso, Ninfea, 1907. Olio su tela, cm 230 x 100. Collezione privata; [fig.4] Giacomo Grosso, Nudo di donna. Olio su tela, cm 200 x 69. Pinacoteca dell’Accademia Albertina, Torino (inv. 418)
Informazioni utili
«Giacomo Grosso. Una stagione tra pittura e accademia». Museo di Arti Decorative Accorsi - Ometto, via Po, 55 – Torino; Pinacoteca Accademia Albertina, via Accademia Albertina 8 – Torino; Palazzo Madama, piazza Castello – Torino; Palazzo del Comune di Cambiano, piazza Vittorio Veneto - Cambiano. Informazioni: comunicazione@accademialbertina.torino.it, tel. 011.0897370 | info@fondazioneaccorsi-ometto.it, tel. 011.837688 (int. 3). Dal 28 settembre 2017 al 7 gennaio 2018
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