Da sette anni trasforma il volto di Imola. Stiamo parlando di RestArt, un festival di rigenerazione urbana e riqualificazione estetica della città attraverso la street art e più in generale la cultura, tenuto a battesimo nel settembre del 2013 dall’associazione Noi giovani, presieduta da Vincenzo Rossi.
L’ultima edizione, andata in scena dal 13 al 15 settembre all’Autodromo Enzo e Dino Ferrari, ha coinvolto oltre ventimila persone di tutte le età, permettendo loro di vedere mostre fotografiche, divertirsi ascoltando buona musica, partecipare a laboratori e, evento abbastanza raro, ammirare al lavoro importanti street artist di fama internazionale.
Questa edizione del festival -che gode del sostegno, tra gli altri, del Comune di Imola, della Città metropolitana di Bologna e della Regione Emilia- rimarrà nella memoria dei più per un evento artistico strettamente legato alla storia di quella che in molti chiamano la «città dei motori». RestArt ha, infatti, portato in Romagna uno dei più famosi street artist brasiliani, Eduardo Kobra, e lui ha regalato all’arredo urbano imolese un nuovo murales dedicato a uno dei più grandi piloti di sempre della Formula 1.
Da qualche giorno la pista dell’autodromo Enzo e Dino Ferrari è abbellita dall’immagine di Ayrton Senna, il campione dal casco giallo e dalla tuta rossa, che proprio su quel circuito perse la vita il primo maggio di venticinque anni fa, rimanendo nel cuore di molti non solo per le sue imprese sulla pista, che gli valsero ben tre titoli mondiali (1988, 1990 e 1991), ma anche per le sue tante e silenziose opere di solidarietà.
Il murales è stato ideato per la facciata del Maicc - Museo multimediale autodromo di Imola Checco Costa, dove è attualmente allestita la mostra immersiva «Ayrton Magico, l’anima oltre i limiti»: un susseguirsi di immagini, audio e filmati concessi dagli archivi Rai, che raccontano il percorso del pilota sudamericano dal debutto del 1984 al fatale Gran Premio di San Marino del 1994.
Kobra, street artist di San Paolo del Brasile –la stessa città natale di Senna-, è famoso nel mondo per i suoi murales colorati e per l’attivismo su temi come la guerra e il cambiamento climatico. Al campione brasiliano della Fomula 1 l’artista ha già dedicato due murales, visibili a San Paolo e a Rio De Janeiro.
Quello di Imola è il primo lavoro sul pilota realizzato fuori dal suo Paese d’origine.
L’artista, che ha lavorato in Romagna con Agnaldo Brito e Marcos Rafael, ha scelto di ritrarre Senna mentre guarda la pista con le dita puntate verso l’alto, ringraziando Dio.
«Il pilota -spiega Kobra- è stato un esempio di applicazione, duro lavoro e fede. È un simbolo brasiliano, di cui siamo molto orgogliosi e che ci serve da ispirazione. Rappresenta i valori più importanti della nostra cultura e non solo in termini legati al mondo delle competizioni, ma anche a livello umano. Senna era una persona buona e generosa, era sempre pronto ad aiutare gli altri, senza fare notizia o chiedere nulla in cambio. Nonostante il Brasile abbia avuto tanti campioni, nessuno ha mai rappresentato il nostro Paese in maniera così positiva».
La tecnica usata da Kobra è solo quella dello spray e smalti da compressore, dopo aver suddiviso la parete in tanti quadrati, dove ad ogni quadrato corrisponde un colore o sfumatura e diversa.
«Un dettaglio del murales -racconta ancora l’artista- è la bandiera dell’Austria, che ho inserito nel casco. Nella triste gara in cui ha perso la vita, Senna voleva onorare il collega austriaco Ratzenberger, deceduto nello stesso circuito, quello stesso fine settimana del 1994. La storia di Senna è presente sulla fascia gialla del casco, in cui mostro l’inizio della sua carriera sui kart». Una carriera che lo stesso pilota spiegava così: «Correre, competere, è nel mio sangue, fa parte della mia vita».
Didascalie delle immagini
Tutte le foto pubblicate sono di Adrian Lungu
Per saperne di più
https://www.facebook.com/restarturbanfestival/
ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
giovedì 26 settembre 2019
martedì 24 settembre 2019
«Morandi-esque»: il design contemporaneo incontra le nature morte di Morandi
L’estremo equilibrio compositivo delle sue nature morte, intrise di luce e poesia, ne hanno fatto uno degli artisti più amati e quotati del Novecento. Il bolognese Giorgio Morandi, figura caratterialmente schiva e creativamente estranea alla lezione dei grandi movimenti pittorici del suo tempo, è stato capace di dare una solennità pacata e austera a tanti oggetti semplici e banali, protagonisti involontari della nostra quotidianità: bottiglie, vasi, brocche, caffettiere, ciotole, fiori. Il mondo del design contemporaneo non poteva non guardare alle sue tele, dai colori tenui e dai delicati accordi cromatici, come a dei modelli iconici imprescindibili. Basti pensare, solo per fare un esempio, alle candele artistiche e ai vasi in ceramica di Sonia Pedrazzini per la serie «Le Morandine», che portano nelle nostre case lo stile inimitabile del maestro bolognese con i suoi silenzi compositivi e i suoi oggetti dalla linearità senza tempo, straordinariamente contemporanei pur essendo tradizionali.
In occasione di Cersaie 2019, il salone internazionale della ceramica per l’architettura che si tiene alla Fiera di Bologna dal 23 al 28 settembre, il mondo del design contemporaneo torna a guardare all’insegnamento di quello che una vulgata fin troppo riduttiva ha definito «il maestro delle bottiglie».
Casa Morandi - realtà afferente allo straordinario patrimonio dell’Istituzione Bologna Musei con il Mambo, Villa delle Rose e il Museo della memoria di Ustica- presenta ilprogetto espositivo «Morandi-esque» .
L’originale dimora–atelier al numero 36 di via Fondazza, dove il maestro ha vissuto e lavorato dal 1910 al 1964, ospita i lavori in stampa digitale e i modelli in 3D realizzati dagli studenti partecipanti al workshop dedicato alla relazione fra le tecniche architettoniche e l’arte di Giorgio Morandi, ideato e condotto nel 2018 da Zaid Kashef Alghata, fondatore di House of Zka e docente di design architettonico all’Università del Barhain.
Il tema su cui si è sviluppato il percorso formativo è stata la verifica progettuale su quanto il lavoro di Morandi abbia in comune con concetti e schemi usati nello studio dell’architettura e quanto allo stesso tempo il metodo e l’approccio dell’artista abbiano influenzato lo studio dell’architettura.
Incentrato sulle procedure architettoniche di interpretazione, il workshop ha proposto la comprensione dello spostamento da una prospettiva pittorica, che l’architetto statunitense Peter Eisenman descrive come una «semplice membrana, una linea fra una figura e una superficie» a «un profilo architettonico a tre dimensioni, a un recipiente con una sua propria forma», producendo così un divario nelle sembianze fra ciò che può essere costruito, sia come speculazione della immaginazione del pittore che come realtà fisica dell’oggetto originario. In una sorta di ribaltamento del processo creativo morandiano, gli studenti sono partiti dall'esito pittorico per tornare alla forma originale attraverso un percorso inverso. La correlazione leggibile fra rappresentazione e oggetto della rappresentazione, inerente alla pratica di architettura, fra il disegno e il modello o il disegno e l’edificio, coinvolge tecniche di analisi e costruzione, interpretazione e documentazione.
I partecipanti al workshop sono partiti analizzando una decina di dipinti dell’artista bolognese, ridefinendoli e ridisegnandoli da un punto di vista architettonico, ma sempre rifacendosi ad un’interpretazione precisa e letterale del dipinto. Pur tentando di rendere gli oggetti con un certo grado di autonomia, si sono sempre assicurati che questi combaciassero con la fonte originale. L’esercizio iniziale ha richiesto un metodo geometrico rigoroso nel tracciare le silhouettes degli oggetti attraverso l’uso di archi e cerchi, ripetendo gli stessi gesti compiuti dallo stesso Morandi nel segnare la posizione dei suoi modelli sul piano di lavoro. Le tracce sono state poi rese in tridimensione attraverso le proiezioni, mantenendo come riferimento la distanza dell’oggetto dalla linea dell’orizzonte presente nel dipinto e il loro angolo prospettico, per limitare così la distorsione del disegno morandiano originale. Sfruttando le sottili variazioni operate da Morandi nel rappresentare sempre lo stesso gruppo di oggetti, le inevitabili discrepanze immaginative hanno creato delle differenze formali e prodotto oggetti dalle molteplici fogge. Questo lavoro è stato guidato dal pensiero e dal fondamentale insegnamento del noto storico e critico dell’architettura Robin Evans che riteneva il disegno architettonico «non dominante ma sempre interagente con ciò che rappresenta» e ha offerto al contempo un’ulteriore riflessione sui metodi di rappresentazione attraverso le nuove tecnologie digitali.
Un’occasione, dunque, quella offerta dalla mostra a Casa Morandi per parlare ancora una volta della modernità di quello che Roberto Longhi chiamava «il solitario di via Fondazza», un artista che ha reso pittura la riservatezza e la bellezza semplice della sua anima.
Didascalie delle immagini
Per tutte le fotografie: Credito / Credit: House of ZKA | @houseofzka | www.houseofzka.com
Informazioni utili
«Morandi-esque». Casa Morandi, via Fondazza 36 | 40125 Bologna. Orari: dal 24 al 29 settembre (Bologna Design Week), ore 17.00–21.00; dal 4 ottobre fino al 1° dicembre (solo su appuntamento) venerdì e sabato, ore 14.00–16.00; domenica, ore 11.00–13.00. Ingresso: libero. Informazioni: tel. 051.300150/6496611. Sito internet: www.mambo-bologna.org/museomorandi/. Inaugurazione: martedì 24 settembre 2019 h 18.00. Dal 25 settembre al 1° dicembre 2019.
In occasione di Cersaie 2019, il salone internazionale della ceramica per l’architettura che si tiene alla Fiera di Bologna dal 23 al 28 settembre, il mondo del design contemporaneo torna a guardare all’insegnamento di quello che una vulgata fin troppo riduttiva ha definito «il maestro delle bottiglie».
Casa Morandi - realtà afferente allo straordinario patrimonio dell’Istituzione Bologna Musei con il Mambo, Villa delle Rose e il Museo della memoria di Ustica- presenta il
L’originale dimora–atelier al numero 36 di via Fondazza, dove il maestro ha vissuto e lavorato dal 1910 al 1964, ospita i lavori in stampa digitale e i modelli in 3D realizzati dagli studenti partecipanti al workshop dedicato alla relazione fra le tecniche architettoniche e l’arte di Giorgio Morandi, ideato e condotto nel 2018 da Zaid Kashef Alghata, fondatore di House of Zka e docente di design architettonico all’Università del Barhain.
Il tema su cui si è sviluppato il percorso formativo è stata la verifica progettuale su quanto il lavoro di Morandi abbia in comune con concetti e schemi usati nello studio dell’architettura e quanto allo stesso tempo il metodo e l’approccio dell’artista abbiano influenzato lo studio dell’architettura.
Incentrato sulle procedure architettoniche di interpretazione, il workshop ha proposto la comprensione dello spostamento da una prospettiva pittorica, che l’architetto statunitense Peter Eisenman descrive come una «semplice membrana, una linea fra una figura e una superficie» a «un profilo architettonico a tre dimensioni, a un recipiente con una sua propria forma», producendo così un divario nelle sembianze fra ciò che può essere costruito, sia come speculazione della immaginazione del pittore che come realtà fisica dell’oggetto originario. In una sorta di ribaltamento del processo creativo morandiano, gli studenti sono partiti dall'esito pittorico per tornare alla forma originale attraverso un percorso inverso. La correlazione leggibile fra rappresentazione e oggetto della rappresentazione, inerente alla pratica di architettura, fra il disegno e il modello o il disegno e l’edificio, coinvolge tecniche di analisi e costruzione, interpretazione e documentazione.
I partecipanti al workshop sono partiti analizzando una decina di dipinti dell’artista bolognese, ridefinendoli e ridisegnandoli da un punto di vista architettonico, ma sempre rifacendosi ad un’interpretazione precisa e letterale del dipinto. Pur tentando di rendere gli oggetti con un certo grado di autonomia, si sono sempre assicurati che questi combaciassero con la fonte originale. L’esercizio iniziale ha richiesto un metodo geometrico rigoroso nel tracciare le silhouettes degli oggetti attraverso l’uso di archi e cerchi, ripetendo gli stessi gesti compiuti dallo stesso Morandi nel segnare la posizione dei suoi modelli sul piano di lavoro. Le tracce sono state poi rese in tridimensione attraverso le proiezioni, mantenendo come riferimento la distanza dell’oggetto dalla linea dell’orizzonte presente nel dipinto e il loro angolo prospettico, per limitare così la distorsione del disegno morandiano originale. Sfruttando le sottili variazioni operate da Morandi nel rappresentare sempre lo stesso gruppo di oggetti, le inevitabili discrepanze immaginative hanno creato delle differenze formali e prodotto oggetti dalle molteplici fogge. Questo lavoro è stato guidato dal pensiero e dal fondamentale insegnamento del noto storico e critico dell’architettura Robin Evans che riteneva il disegno architettonico «non dominante ma sempre interagente con ciò che rappresenta» e ha offerto al contempo un’ulteriore riflessione sui metodi di rappresentazione attraverso le nuove tecnologie digitali.
Un’occasione, dunque, quella offerta dalla mostra a Casa Morandi per parlare ancora una volta della modernità di quello che Roberto Longhi chiamava «il solitario di via Fondazza», un artista che ha reso pittura la riservatezza e la bellezza semplice della sua anima.
Didascalie delle immagini
Per tutte le fotografie: Credito / Credit: House of ZKA | @houseofzka | www.houseofzka.com
Informazioni utili
«Morandi-esque». Casa Morandi, via Fondazza 36 | 40125 Bologna. Orari: dal 24 al 29 settembre (Bologna Design Week), ore 17.00–21.00; dal 4 ottobre fino al 1° dicembre (solo su appuntamento) venerdì e sabato, ore 14.00–16.00; domenica, ore 11.00–13.00. Ingresso: libero. Informazioni: tel. 051.300150/6496611. Sito internet: www.mambo-bologna.org/museomorandi/. Inaugurazione: martedì 24 settembre 2019 h 18.00. Dal 25 settembre al 1° dicembre 2019.
giovedì 20 giugno 2019
Nella Marchesini: una pittura di famiglia, donne e silenzi. A Torino
Visse l’arte come una «stella polare». Lavorò con pennelli, chine e colori con grande dedizione e assaporò quella capacità unica della pittura e del disegno di far dimenticare le «incombenze» della vita quotidiana. Stiamo parlando di Nella Marchesini (Marina di Massa, 1901 - Torino, 1953), artista della prima metà del Novecento a cui la Gam di Torino dedica la sua prossima mostra negli spazi della Wunderkammer, la «Camera delle meraviglie» dove, dal 2009, è possibile scoprire una delle raccolte meno conosciute e più cospicue del museo piemontese, quella dedicata alla grafica d’autore.
Nata a Marina di Massa nel 1901, insieme alla famiglia, Nella Marchesini si trasferisce a Torino durante la Grande guerra. Con le sorelle Maria e Ada, appartiene alla cerchia intellettuale dei giovani raccolti intorno a Piero Gobetti e alle sue riviste. È legata ad Ada Prospero, moglie e poi vedova di Gobetti, partigiana, sposata con Ettore, uno dei fratelli Marchesini. È amica di Carlo Levi, non ancora pittore, e dei futuri letterati e storici Natalino Sapegno, Edmondo Rho e Federico Chabod. È la prima allieva di Felice Casorati, la capostipite della sua Scuola libera di pittura, dove lavorerà fianco a fianco a molte compagne e compagni, fra i quali Lalla Romano, Paola Levi Montalcini, Daphne Maugham, Albino Galvano e Marisa Mori.
La scuola di Casorati è un «chiostro», come lo definirà l’artista stessa, lo spazio di un apprendistato severo e disciplinato e, allo stesso tempo, un luogo aperto, frequentato da amici e personalità come Mario Soldati, Giulio Carlo Argan e Italo Cremona. Il matrimonio, nel 1930, con Ugo Malvano, pittore di formazione parigina, estenderà il raggio delle sue referenze, aprendo il consueto lavoro in atelier, basato sulla lezione degli antichi maestri e concentrato sulla figura e sulla natura morta, a quello dell’arte e dei paesaggi della modernità internazionale. Nella Marchesini esce all’aperto, si addentra nella natura, scoperta e indagata durante le villeggiature estive che trascorre con i tre figli piccoli in Val d’Aosta e poi, negli anni della Seconda guerra mondiale, in Valchiusella, al riparo dai bombardamenti su Torino.
La mostra alla Gam di Torino -curata da Giorgina Bertolino e Alessandro Botta, autori nel 2014 del Catalogo generale dedicato all’artista- presenta un gruppo di trenta opere, fra dipinti e disegni, realizzati tra il 1920 e il 1953. Le opere sono sia provenienti da collezioni private sia di proprietà della Gam, dove giunsero con un’acquisizione del 1954 e grazie alla generosa donazione degli eredi Malvano-Marchesini, accolta da Rosanna Maggio Serra nel 1978.
Attraverso questi lavori vengono ricostruite tutte le stagioni dell’arte di Nella Marchesini e le tappe di una carriera espositiva scandita dalla partecipazione alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma e dalle presenze nelle gallerie private di Torino, Milano, Genova e Firenze.
Dal «Ritratto del padre» (1923) a «Tre donne» (1952), le opere esposte accompagnano il visitatore lungo un tragitto che mette in luce, attraverso il mutare della materia pittorica, le evoluzioni e le ricorrenze dei temi iconografici, dei soggetti e delle fonti. La predominanza dell’autoritratto, nelle diverse fasi dell’esistenza, offre il senso e la chiave di una pittura esercitata nella forma della narrazione e dell’autobiografia.
Le lettere, le cartoline, le fotografie d’epoca, i volumi e alcune pagine degli scritti dell’artista, conservati nell’Archivio Malvano-Marchesini, completano la rassegna, fornendo una mappa di documenti personali che racconta, in parallelo, la Torino fra gli anni Venti e Cinquanta del Novecento.
«Sarebbe assurdo cercare il posto della sua pittura nel "giro" materiale dell'arte di oggi, di ieri e neppure di domani […] Isolamento? No, eccezione»: disse di lei Filippo Casorati tre anni dopo la sua morte, nel 1956. Nella Marchesini arricchì, infatti, con la sua cifra e voce peculiare il dialogo di quella intensa stagione della pittura italiana che fu l’inizio del Novecento, alimentando il versante di ricerca delle donne artiste attive in quegli anni. Lasciò ai posteri un universo poetico e professionale che si identifica con i confini dello spazio domestico e familiare, in cui figure femminili, nudi, autoritratti, nature morte dialogano con una serie di ritratti di famiglia.
I sobri accordi tonali e le geometrie nitide degli inizi lasciano, con gli anni, spazio a volumi quasi sfaldati, a pennellate rapide e a una luminosità più soffusa e indefinita, come dimostrano «L'Ireos» (1931 circa) e «La finestra dello studio» (1931). Opere, queste, che rendono palpabile anche il ricco mondo interiore dell'artista, quel suo essere sempre -disse Natalino Sapegno- «la più remota e la più silenziosa».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Nella Marchesini, in una fotografia del 1924 circa. Collezione privata; [fig. 2] Nella Marchesini, L’ireos (Autoritratto), 1931. Olio su cartone, 99 x 69,5 cm. Torino, collezione eredi Malvano-Marchesini; [fig. 3] Nella Marchesini, La finestra dello studio, 1931. Olio su cartone, 71 x 50,5 cm. Torino, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea; [fig. 4] Nella Marchesini, Tre donne, 1952. Tempera e olio su compensato, 83 x 84,5 cm. Torino, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea
Informazioni utili
Nella Marchesini. La vita nella pittura. Opere dal 1920 al 1953. Gam – Galleria civica d’arte moderna e contemporanea, via Magenta, 31 - Torino. Orari: da martedì a domenica, ore 10.00 - 18.00, lunedì chiuso. La biglietteria chiude un’ora prima. Biglietti: intero € 10,00, ridotto € 8,00; Ingresso libero Abbonamento Musei e Torino Card. Informazioni: tel. 011.4429518 – 011.4436907, gam@fondazionetorinomusei.it . Sito internet: www.gamtorino.it. Dal 27 giugno al 29 settembre 2019.
Nata a Marina di Massa nel 1901, insieme alla famiglia, Nella Marchesini si trasferisce a Torino durante la Grande guerra. Con le sorelle Maria e Ada, appartiene alla cerchia intellettuale dei giovani raccolti intorno a Piero Gobetti e alle sue riviste. È legata ad Ada Prospero, moglie e poi vedova di Gobetti, partigiana, sposata con Ettore, uno dei fratelli Marchesini. È amica di Carlo Levi, non ancora pittore, e dei futuri letterati e storici Natalino Sapegno, Edmondo Rho e Federico Chabod. È la prima allieva di Felice Casorati, la capostipite della sua Scuola libera di pittura, dove lavorerà fianco a fianco a molte compagne e compagni, fra i quali Lalla Romano, Paola Levi Montalcini, Daphne Maugham, Albino Galvano e Marisa Mori.
La scuola di Casorati è un «chiostro», come lo definirà l’artista stessa, lo spazio di un apprendistato severo e disciplinato e, allo stesso tempo, un luogo aperto, frequentato da amici e personalità come Mario Soldati, Giulio Carlo Argan e Italo Cremona. Il matrimonio, nel 1930, con Ugo Malvano, pittore di formazione parigina, estenderà il raggio delle sue referenze, aprendo il consueto lavoro in atelier, basato sulla lezione degli antichi maestri e concentrato sulla figura e sulla natura morta, a quello dell’arte e dei paesaggi della modernità internazionale. Nella Marchesini esce all’aperto, si addentra nella natura, scoperta e indagata durante le villeggiature estive che trascorre con i tre figli piccoli in Val d’Aosta e poi, negli anni della Seconda guerra mondiale, in Valchiusella, al riparo dai bombardamenti su Torino.
La mostra alla Gam di Torino -curata da Giorgina Bertolino e Alessandro Botta, autori nel 2014 del Catalogo generale dedicato all’artista- presenta un gruppo di trenta opere, fra dipinti e disegni, realizzati tra il 1920 e il 1953. Le opere sono sia provenienti da collezioni private sia di proprietà della Gam, dove giunsero con un’acquisizione del 1954 e grazie alla generosa donazione degli eredi Malvano-Marchesini, accolta da Rosanna Maggio Serra nel 1978.
Attraverso questi lavori vengono ricostruite tutte le stagioni dell’arte di Nella Marchesini e le tappe di una carriera espositiva scandita dalla partecipazione alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma e dalle presenze nelle gallerie private di Torino, Milano, Genova e Firenze.
Dal «Ritratto del padre» (1923) a «Tre donne» (1952), le opere esposte accompagnano il visitatore lungo un tragitto che mette in luce, attraverso il mutare della materia pittorica, le evoluzioni e le ricorrenze dei temi iconografici, dei soggetti e delle fonti. La predominanza dell’autoritratto, nelle diverse fasi dell’esistenza, offre il senso e la chiave di una pittura esercitata nella forma della narrazione e dell’autobiografia.
Le lettere, le cartoline, le fotografie d’epoca, i volumi e alcune pagine degli scritti dell’artista, conservati nell’Archivio Malvano-Marchesini, completano la rassegna, fornendo una mappa di documenti personali che racconta, in parallelo, la Torino fra gli anni Venti e Cinquanta del Novecento.
«Sarebbe assurdo cercare il posto della sua pittura nel "giro" materiale dell'arte di oggi, di ieri e neppure di domani […] Isolamento? No, eccezione»: disse di lei Filippo Casorati tre anni dopo la sua morte, nel 1956. Nella Marchesini arricchì, infatti, con la sua cifra e voce peculiare il dialogo di quella intensa stagione della pittura italiana che fu l’inizio del Novecento, alimentando il versante di ricerca delle donne artiste attive in quegli anni. Lasciò ai posteri un universo poetico e professionale che si identifica con i confini dello spazio domestico e familiare, in cui figure femminili, nudi, autoritratti, nature morte dialogano con una serie di ritratti di famiglia.
I sobri accordi tonali e le geometrie nitide degli inizi lasciano, con gli anni, spazio a volumi quasi sfaldati, a pennellate rapide e a una luminosità più soffusa e indefinita, come dimostrano «L'Ireos» (1931 circa) e «La finestra dello studio» (1931). Opere, queste, che rendono palpabile anche il ricco mondo interiore dell'artista, quel suo essere sempre -disse Natalino Sapegno- «la più remota e la più silenziosa».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Nella Marchesini, in una fotografia del 1924 circa. Collezione privata; [fig. 2] Nella Marchesini, L’ireos (Autoritratto), 1931. Olio su cartone, 99 x 69,5 cm. Torino, collezione eredi Malvano-Marchesini; [fig. 3] Nella Marchesini, La finestra dello studio, 1931. Olio su cartone, 71 x 50,5 cm. Torino, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea; [fig. 4] Nella Marchesini, Tre donne, 1952. Tempera e olio su compensato, 83 x 84,5 cm. Torino, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea
Informazioni utili
Nella Marchesini. La vita nella pittura. Opere dal 1920 al 1953. Gam – Galleria civica d’arte moderna e contemporanea, via Magenta, 31 - Torino. Orari: da martedì a domenica, ore 10.00 - 18.00, lunedì chiuso. La biglietteria chiude un’ora prima. Biglietti: intero € 10,00, ridotto € 8,00; Ingresso libero Abbonamento Musei e Torino Card. Informazioni: tel. 011.4429518 – 011.4436907, gam@fondazionetorinomusei.it . Sito internet: www.gamtorino.it. Dal 27 giugno al 29 settembre 2019.
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