ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 24 febbraio 2021

In mostra a Milano i tappeti di René Gruau, l’illustratore di moda che raccontò lo stile Dior

È stato uno dei più celebri illustratori italiani che hanno segnato la storia della moda. René Gruau, al secolo Renato Zovagli Ricciardelli delle Caminate (Rimini, 4 febbraio 1909 – Roma, 31 marzo 2004), ha collaborato con i più grandi stilisti del Novecento, da Dior a Yves Saint-Laurent, da Chanel a Balenciaga.
Il suo talento viene riconosciuto quasi subito, quando da Rimini si trasferisce prima a Milano, dove lavora per il mensile «Lidel», diretto da Vera Rossi Lodomez, e disegna figurini in stile Déco per varie case di moda, e, poi, a Parigi, dove il suo inconfondibile tratto conquista le pagine della rivista «Fémina», antagonista dell’edizione francese di «Vogue». È il 1937 e il nome di René Gruau con la sua inconfondibile firma – una G con sopra una macchiolina a forma di stella - inizia ad accompagnarsi a quello di altri già celebri illustratori del tempo: Pierre Mourgue, Bernard Blossac e Claude Simon.
In quegli stessi anni arriva la collaborazione con «Marie Claire», dove l’artista riminese rimane per tutto il periodo della Seconda guerra mondiale. Con la Liberazione sono «Vogue», «L’Officiel de la Couture», «Harper’s Bazaar», «Flair», «Très Chic» e ancora «Fémina» a richiedere il suo segno grafico, curvilineo e marcato, dai colori forti e contrastanti, con una predominanza di rosso, nero e bianco.
Sempre in quegli anni, «L’Album de la Mode du Figaro» pubblica per il suo sesto numero, uscito a cavallo tra il 1945 e il 1946, trentatrè disegni di René Gruau – che occupano più di un quarto della rivista da soli – illustrando le collezioni di trenta diversi stilisti tra cui Marcel Rochas, Nina Ricci, Jean Patou e Lucien Lelong.
Il passo verso le grandi maison di moda è breve. Arrivano, infatti, le collaborazioni con i più grandi couturier del tempo, da Pierre Balmain a Cristóbal Balenciaga, da Hubert de Givenchy a Yves Saint-Laurent, da Christian LacroixChanel, senza dimenticare l’italiana Laura Biagiotti, per cui l’illustratore riminese studia il logo e l’immagine coordinata.
Fin dalla sfilata d'esordio nell'immediato Dopoguerra, quella del 12 febbraio 1947, René Gruau è accanto a Christian Dior, l’artefice della rinascita della moda francese, con il quale condivide la stessa visione stilistica sulla femminilità, dando così vita al leggendario New Look, che dimentica la cupezza e le restrizioni degli anni appena trascorsi, quelli del conflitto bellico, con abiti dalle spalle arrotondate e dalla vita stretta, con gonne ampie e lunghe simili a corolle, con orli svolazzanti in un turbinio di sete e chiffon.
È con lo stilista francese che René Gruau inizia a occuparsi di un nuovo settore: la pubblicità. Tutto ha inizio con il profumo «Miss Dior», per cui l’illustratore riminese disegna anche la boccetta. Arrivano, poi, le affiches per la Martini, per le case produttrici di cosmetici Pajor ed Elizabeth Arden, per i tessuti di Dormeuil e Rodier, per la biancheria di Scandale e Léjaby, per gli ombrelli e gli impermeabili del marchio Ortalion. Non manca, poi, nel curriculum la cartellonistica per le fodere Bemberg, per le camicie Pancaldi, per i guanti Perrin, per i cappelli Montezin, per le auto della Maserati, per le scarpe dei Fratelli Rossetti, per il profumo «Schu-Schu» di Schuberth e per il centocinquantesimo anniversario dei Bagni di Rimini.
René Gruau dedica il suo tratto anche al mondo dello spettacolo, collaborando con famosi locali di Parigi quali Moulin Rouge e il Lido, disegnando l’affiche per il film «La dolce vita» di Federico Fellini, realizzando le scenografie per l’Opéra Comique e per il Theâtre du Palais Royal.
Dalla sua matita esce un mondo elegante, sensuale, gioioso e pieno di humor, che crea atmosfere più che ritrarre la realtà. Le figure femminili vaporose e danzanti, emblemi delle eleganti viveuses dell’epoca, strizzano l'occhio a Giovanni Boldini ed Henri de Toulouse-Lautrec: sono donne consapevoli del proprio fascino e della loro capacità di seduzione. La cartellonistica, essenziale e raffinata, non può, poi, fare a meno di riferimenti importanti come Leonetto Cappiello, Jules Chéret e Marcello Dudovich, maestri di un’epoca d’oro per il settore dell’affiche come la Belle Époque.
Da vent’anni, dal 2000, René Gruau è protagonista di una mostra permanente al Museo della Città di Rimini. Litografie, schizzi, disegni, bozzetti, dipinti, riviste di moda, pagine e affiche pubblicitarie, oggetti in tessuto, cartoline, opuscoli, piatti in ceramica e libri documentano la parabola creativa dell’illustratore, a partire dagli anni Venti per giungere agli anni Novanta del XX secolo. Il museo romagnolo, che conserva in archivio oltre quattrocento opere dell’artista, è, dunque, un ottimo punto di partenza per conoscere la storia di un uomo «nato con la matita in mano», per usare un’espressione cara allo stesso René Gruau, che con il suo stile inconfondibile ci ha lasciato un mondo lussuoso e sognante, dal fascino intramontabile.
L’illustratore riminese è protagonista, in questi giorni, anche di una mostra a Milano, negli spazi dello showroom Amini, dove sono esposti, fino al 13 marzo, i tappeti nati dai suoi disegni tratti dall’archivio storico di Fede Cheti. Già presentati a Parigi nel 2020, in occasione della Paris Déco Home, questi manufatti consegnano al visitatore uno stile dalle suggestioni orientaliste, dal tratto grafico e dal gusto tipico dei primi anni del Novecento.
«À la mode de Gruau» - così si intitola l'esposizione milanese - allinea una selezione di disegni, scritti e fotografie accanto a tre tappeti figurativi, realizzati in un blend pregiato di lana e seta annodati a mano: «Cap», «Man» e «Woman». «Come in un frame cinematografico, - raccontano allo spazio di via Borgogna - le tre figure sembrano dialogare attraverso un passaggio veloce di sguardi, divertiti, educati».
Questi tappeti rappresentano, dunque, bene la strategia comunicativa dell’epoca: «i primissimi piani dei soggetti, le inquadrature e lo sviluppo del disegno su linee diagonali – raccontano ancora dallo showroom di Amini - sono espedienti per catturare l’attenzione dell’osservatore e guidarne lo sguardo, per animare così la rappresentazione».
Nello specifico, «Cap» raffigura un corpo colto nel gesto scanzonato e divertito di coprirsi con un cappello; una realtà gioiosa, libera da imposizioni e stereotipi, racconta un’immagine che evoca con forza il gusto di un’epoca. «Man» è, invece, la rappresentazione di un uomo e allo stesso tempo di un’atmosfera; il segno incisivo di René Gruau illustra meglio di una fotografa una figura maschile, emblema di un immaginario di vizi e virtù tipico delle località balneari del XX secolo. Con «Woman», infine, emerge tutta la dedizione e l’attenzione dell’illustratore nella raffigurazione della figura femminile. La donna è, infatti, rappresentata con l’obiettivo di coglierne i tratti più sensuali e maliziosi; la sua posa è ammiccante. René Gruau ci rimanda così tutta l’allure degli anni del Dopoguerra, con le sue donne di classe, i grandi cappelli, la bocca sinuosa, i guanti lunghi, le schiene nude allusive, la vita che sembra un’opera d’arte.

Vedi anche 

Informazioni utili 
# Spazio Gruau - Museo della Città di Rimini, via Tonini, 1 - Rimini. Informazioni: tel. 0541.793851, musei@comune.rimini.it. Sito internet: www.museicomunalirimini.it
# À la mode de Gruau. Amini, via Borgogna, 7 - Milano- Informazioni: tel. 02.45391455, info@amini.it. Sito web: www.amini.it. Fino al 13 marzo 2021

martedì 23 febbraio 2021

A Brera «Le fantasie» di Mario Mafai, ventidue dipinti contro la guerra

Era il 2018 quando l’ingegnere Aldo Bassetti donava alla Pinacoteca di Brera «Le fantasie», ventidue dipinti di Mario Mafai (Roma, 12 febbraio 1902 – Roma, 31 marzo 1965), uno degli esponenti della cosiddetta «Scuola di via Cavour», insieme con Scipione e Antonietta Raphaël. Quelle opere - destinate a far parte della collezione di arte moderna che sarà ospitata a Palazzo Citterio, il futuro Brera Modern – sono esposte dallo scorso 17 febbraio nella sala diciotto del museo milanese, in un progetto espositivo a cura di Alessandra Quarto e Marco Carminati
Visti i nostri tempi incerti, caratterizzati dal Coronavirus e nei quali la continuità dell’offerta di ogni singolo museo è legata al mantenimento dell’indice RT sotto l’uno nella regione di appartenenza, la Pinacoteca di Brera ha pensato di trasformare la mostra in un documentario, visibile dal 29 marzo sulla piattaforma BreraPlus+.
Di piccolo formato, ma di enorme importanza per la storia dell’arte del Novecento, «Le fantasie» sono un atto di denuncia dei massacri della guerra e del nazifascismo. Dipinte con pennellate veloci e colori allucinati di derivazione espressionista, queste tavole raffigurano scene di atrocità, violenza, stupri, esecuzioni di massa, orrori.
Mario Mafai iniziò a dipingerle nel periodo del suo soggiorno a Genova, dove si era trasferito da Roma con la famiglia, nel 1939, per timore delle discriminazioni nei confronti della moglie Antonietta Raphaël, ebrea, all’indomani dell’approvazione delle leggi razziali del 1938. Ci lavorò, poi, fino al 1944.
L’intero ciclo, nella sua integrità, si è visto molto di rado in ottant’anni dalla sua realizzazione. Ancora più preziosa si rivela, dunque, l’occasione offerta dalla Pinacoteca di Brera, che -racconta il direttore James Bradburne - nel 2021 celebrerà con una serie di appuntamenti «la generosità e la sensibilità dei donatori che hanno contribuito ad arricchire le collezioni del museo».
Aldo Bassetti acquistò il ciclo pittorico da Giovanni Pirelli, figlio primogenito dell’industriale, che però scelse di rinunciare a un destino nell’impresa di famiglia per diventare comandante partigiano prima, scrittore poi.
Giovanni Pirelli aveva comprato queste tavole direttamente dal pittore, nel 1957.
Il mio acquisto e il mio regalo — ha spiegato Aldo Bassetti, che dal 2007 al 2020 è stato presidente degli «Amici di Brera» — hanno un significato strettamente politico. Questi lavori rappresentano un uomo, Mario Mafai, che come artista aveva avuto la priorità di descrivere le tristezze e le infamie dei campi di concentramento. Qui c'è il mio pensiero, un pensiero antifascista. Io desidero che si conosca quanto è accaduto nella storia, affinché sia ricordato per sempre».
La vicenda di queste opere è, infatti, parte integrante dell’esistenza di Aldo Bassetti e ha inizio da lontano, da quando il collezionista aveva appena 14 anni e un episodio tragico segnò profondamente la sua vita: la strage dell’Hotel Meina sul Lago Maggiore nel 1943. 
Vittime di una retata tedesca, compiuta su tutta la costa novarese del Lago Maggiore, sedici ebrei ospiti dell’Albergo Meina di Meina vennero prima identificati e trattenuti per alcuni giorni in una stanza e poi, in due notti successive (quelle del 22 e del 23 settembre 1943), furono uccisi e gettati con zavorre nel lago. Tra le vittime figurava Lotte Froehlich Mazzucchelli, di anni 38, la zia di Aldo Bassetti. Il giovane fu chiamato a riconoscerne il cadavere. Quell’esperienza - ricorda il collezionista - «ha cambiato completamente la mia sensibilità morale, politica e sociale. Ecco allora che Mafai diventa un simbolo della mia vita».
Quella di Aldo Bassetti è una donazione importante, «testimonianza - raccontano alla Pinacoteca di Brera - di argomenti sempre attuali». Un donazione «che riafferma il ruolo di un grande museo, che è davvero tale non solo se ha una grande collezione, ma se riesce ad agire nel proprio tempo, nel presente, riflettendo sul passato e provando a costruire il futuro, continuando a informare e a formare coscienze».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Mario Mafai, Vinti e vincitori (Fantasia n. 8), olio su tavola, cm 36,5 × 61,5. Pinacoteca di Brera, Sala 18; [fig. 2] Mario Mafai, Fucilazione (Fantasia n. 1), olio su tavola, cm 38,5 × 52,5. Pinacoteca di Brera, Sala 18; [fig. 3] Mario Mafai, Interrogatorio (Fantasia n. 7), olio su tavola, cm 36,5 × 47. Pinacoteca di Brera, Sala 18; [fig. 4] Mario Mafai, Massacro (Fantasia n. 14), olio su tavola, cm 35 × 78. Pinacoteca di Brera, Sala 18; [fig. 5] Mario Mafai, Corteo (la guerra è fnita) (Fantasia n. 22), olio su tela, cm 34,5 × 54,7. Pinacoteca di Brera, Sala 18 

Informazioni utili 

lunedì 22 febbraio 2021

Milano, «I dormienti» di Mimmo Paladino incontrano la musica di Brian Eno

È il 1998 quando Mimmo Paladino (Paduli, 18 dicembre 1948), uno tra i principali esponenti della Transavanguardia, espone per la prima volta in Toscana, a Poggibonsi, nell’ambito della mostra «Arte all’Arte», promossa annualmente dalla Galleria Continua, i suoi «Dormienti». All’interno della Fonte delle Fate trovano posto coccodrilli e uomini in posizione fetale; le figure, in terracotta, sono collocate su lastre di ferro scuro e sembrano immerse in un sonno che richiama la profondità dell'inconscio e l'immagine stessa dei sogni. Due anni dopo, nel 2000, le opere vengono fuse in bronzo e vanno a comporre l’installazione permanente che ancora oggi è visibile a Poggibonsi, in quella che è l’unica fonte medievale superstite del castello di Poggiobonizzo, raso al suolo dai fiorentini nel 1270. Le opere sono parzialmente immerse nelle acque, che variando di livello (a causa delle piogge) le sommergono o le rivelano. La vegetazione sulle pareti e il picchiettare delle gocce d’acqua creano un’atmosfera suggestiva e sospesa.
Quegli imperturbabili uomini eterni realizzati in terracotta accostando frammenti provenienti dalla stessa matrice, ma combinati diversamente, ognuno con il colore unico dell'argilla utilizzata, vengono esposti anche, nel 1999, in una grande mostra negli spazi sotterranei della Roundhouse di Londra, in dialogo con un impianto sonoro appositamente ideato dal musicista, compositore e produttore britannico Brian Eno.
A vent’anni di distanza, i «Dormienti» arrivano per la prima volta a Milano, dove rimarranno esposti fino al prossimo 8 maggio alla Cardi Gallery, in un nuovo allestimento inedito, un unicum irripetibile pensato per l’occasione dallo stesso artista.
La scelta non è casuale: «desideriamo inaugurare questo nuovo anno con una mostra importante e ambiziosa – spiega, infatti, Nicolò Cardi –. In un momento particolare come quello di oggi continuiamo a produrre concretamente contenuti di altissima qualità, così da stimolare una nuova progettualità per il sistema dell'arte e dare un segno di fiducia al mondo della cultura».
Nella penombra del grande open space della galleria milanese, l’artista dispone trentadue sculture secondo una nuova costruzione concettuale, rimodulando il tono dell’installazione con solennità. Le composizioni musicali di Brian Eno anche questa volta liberano i «Dormienti» dalla pesantezza del sonno o dall’evanescenza del sogno, restituendo loro un soffio vitale e una serena concretezza.
Per l’occasione verrà pubblicato un catalogo, con un testo di Demetrio Paparoni, che così racconta la ricerca dell’artista campano: «ricorre in Paladino l’idea di assemblare delle forme come se fossero moduli. Non va dimenticato che l'artista ha in più occasioni manifestato l’attitudine a realizzare opere concepite come un insieme di frammenti archiviati nel suo immaginario visivo. È questa attitudine che lo ha portato a realizzare dei lavori insieme a Sol Le Witt, Alighiero Boetti e non ultimo Brian Eno, artisti che hanno sempre lavorato con un concetto di modulo e di ripetizione differente».
La mostra può essere vista anche on-line, sul sito www.cardigallery.com. Elemento innovativo alla base del progetto, realizzato in collaborazione con la start up milanese Wide Vr, è la tecnologia Real-time 3D Streaming, derivata dal gaming. La galleria utilizza questa nuova modalità digitale, che integra le più avanzate ricerche tecnologiche sulla realtà virtuale, per offrire al suo pubblico un risultato di altissima qualità. Le trentadue sculture in terracotta che compongono l'installazione sono state scansionate con un procedimento di fotogrammetria che restituisce l'immagine tridimensionale nel minimo dettaglio. Il visitatore può muoversi tra le opere e osservare a 360 gradi i particolari che le compongono, proprio come farebbe nello spazio reale, con la possibilità di usufruire anche di approfondimenti e contenuti inediti.
I corpi dei «Dormienti» – in cui molti hanno visto un’ispirazione ai resti degli abitanti di Pompei e Ercolano, ma che in realtà fanno riferimento ai disegni di Henry Moore dei ricoveri di guerra inglesi durante la Seconda guerra mondiale – sono accompagnati al primo piano della Cardi Gallery dalla grande opera inedita «Sunday Mornin' Comin' Down», composta da cento disegni realizzati nel corso del 2020. Anche quest’opera, così come «I Dormienti», è emblematica del modo in cui l'artista concepisce il lavoro, un puzzle nel quale i frammenti convergono in un unicum monumentale, una «finestra panoramica» sulle immagini che popolano il mondo dell'artista alla ricerca di un equilibrio naturale tra intimismo e memoria collettiva.

(aggiornato il 4 maggio 2021, alle ore 15:00)
 

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Mimmo Paladino, Ritratto. Foto di Lorenzo_Palmieri; [figg. 2 e 3] Mimmo Paladino, I dormienti, 1998-2020. Foto di Carlo Vannini. Courtesy Cardi Gallery, Milano; [fig. 4] Mimmo Paladino, Sunday Mornin' Comin' Down», 2020. Foto di Carlo Vannini. Courtesy Cardi Gallery, Milano

Informazioni utili 
Cardi Gallery | Milano, corso di Porta Nuova, 38 - Milano. Orari: da lunedì a venerdì dalle 10.00 alle 18.30, sabato dalle 11.00 alle 18.00. Ingresso libero. Informazioni: tel. (+39)02.45478189; mail@cardigallery.com. Sito internet: www.cardigallery.com. Social Network: @cardigallery. Fino all'8 maggio 2021