In Val di Sole va in scena il ciclismo. In occasione del Campionato del mondo di mountain bike (specialità Cross Country, 4X, Downhill, Xcc, E-Mtb), in programma dal 25 al 29 agosto, l’antico Castello di Caldes ospita, in prima mondiale, la mostra «Vite di corsa. La bicicletta e i fotografi di Magnum. Da Robert Capa ad Alex Majoli». Ottanta immagini, molte delle quali mai prima esposte al pubblico, esplorano, attraverso l'occhio dei maestri della celebre agenzia fotografica Magnum, la dimensione umana di uno degli sport più popolari e amati.
Il curatore Marco Minuz ha scelto di raccontare le epopee dei campioni e delle grandi manifestazioni internazionali, Tour de France in primis, ma anche la quotidianità del pubblico che, ai bordi delle strade e al traguardo, sostiene i suoi beniamini, immedesimandosi con il loro impegno, o l'indifferenza serena di una mandria che continua a brucare mentre gli umani sembrano impazzire per i loro campioni. Sudore, fango, tenacia, imprese di uomini che macinano chilometri misurandosi innanzitutto con sé stessi, la propria forza e i propri limiti scorrono così sotto gli occhi dei visitatori.
La mostra è aperta da una serie, poco nota, realizzata da Robert Capa nel 1939, quando seguì per la rivista «Match» il Tour de France. Lungo il percorso espositivo è, poi, visibile una selezione di scatti di Guy Le Querre, realizzati durante la gara ciclistica francese del 1954; all’epoca il fotografo aveva solo 13 anni e stava trascorrendo le vacanze estive in Bretagna, una delle tappe della corsa. Circa trent'anni dopo, nel 1985, il maestro francese venne invitato a seguire la squadra della Renault-Elf durante gli allenamenti invernali; in questa stagione scattò una serie di fotografie a Laurent Fignon e seguì il campionato di ciclo-cross.
Il percorso, visibile fino al prossimo 26 settembre, prosegue con le immagini che Christopher Anderson dedicò nel 2004 al ciclista Lance Amstrong, prima del triste epilogo per doping, e cib le fotografie di Harry Gruyaert per il Tour del 1982, oltre agli scatti di René Burri, Stuart Franklin e Raymond Depardon dedicati ai velodrom. Mentre Alex Majoli è presente in mostra con una selezione di immagini dedicate al celebre produttore di bici milanese Alberto Masi, il cui laboratorio si trovava sotto le curve del Velodromo Vigorelli. Ci sono, infine, delle immagini di Mark Power, Robert Capa, Harry Gruyaert e Richard Kalvar che raccontano i riti del pubblico; mentre Peter Marlow ci mostra frammenti di quotidianità dei corridori impegnati nel giro di Bretagna nel 2003.
Il progetto espositivo, nel suo insieme, permette di andare oltre alle gesta sportive e di porre l’attenzione sulle alchimie del ciclismo, l’unico sport, come ripeteva Gianni Mura, dove «chi fugge non è un vigliacco».
Per maggiori informazioni: www.visitvaldisole.it.
[Nella foto: Tour de France, 1939 © Robert Capa © International Center of Photography / Magnum Photos]
«UNA SERA A PALAZZO», TRE APERTURE STRAORDINARIE PER IL MUSEO VENEZIANO DI PALAZZO GRIMANI A SANTA FORMOSA
Si intitola «Una sera a palazzo» il cartellone di eventi promosso per il mese di luglio dal Museo di Palazzo Grimani a Santa Maria Formosa in Venezia. Le iniziative prenderanno il via nella serata di sabato 3 luglio quando in tutto in Vecchio Continente si festeggerà la Notte europea dei musei. Per l'occasione, la dimora lagunare rimarrà aperta fino alle ore 22:00 e offrirà, a partire dalle ore 18:30, l'ingresso ridotto a 7,50 euro. L'apertura serale del museo, con biglietto scontato, sarà proposta anche nelle serate del 17 e del 24 luglio. Il primo dei due appuntamenti, quello di sabato 17, sarà, inoltre, impreziosito da un concerto di Amir Gwirtman, celebre artista di origini israeliane, di stanza a Zagabria, conosciuto come uno dei più grandi virtuosi di strumenti a fiato al mondo. Per l'appuntamento musicale, inserito nel cartellone del Venezia Jazz Festival, è previsto un biglietto combinato di 18,00 euro per l'intero e 12 euro per il ridotto.
In questi mesi il Museo di Palazzo Grimani a Santa Maria Formosa presenta il riallestimento di uno dei suoi ambienti più spettacolari ed evocativi: la Sala del Doge, creata contestualmente ai lavori di ampliamento terminati nel 1568 e voluti da Giovanni Grimani, patriarca di Aquileia. Questo spazio - abbellito con marmi antichi e preziosi come l’alabastro giallo, il serpentino verde e il porfido rosso, tutti provenienti dal Mediterraneo orientale - voleva celebrare la figura di Antonio Grimani, abile mercante di spezie e primo doge della famiglia.
Frutto della collaborazione tra la Direzione regionale Musei Veneto e la fondazione Venetian Heritage, l'intervento conservativo, documentato in un catalogo di Marsilio editore, ha visto il ricollocamento nella sala della statuaria greca e romana della collezione Grimani. Attraverso un attento studio delle fonti storiche – tra cui l’inventario dei beni di Giovanni Grimani, descrizioni storiche dell’epoca e fotografie di fine ‘800 recentemente scoperte nella biblioteca della National Gallery di Washington – Daniele Ferrara e Toto Bergamo Rossi hanno potuto ricollocare venti opere, tra cui il gruppo «Dioniso appoggiato a un satiro» di epoca romana imperiale nella nicchia della parete frontale.
Contemporaneamente al riallestimento della Sala del Doge, il Museo ospita una mostra, curata da Mario Codognato, di nuovi e recenti lavori dell’artista tedesco Georg Baselitz, oltre a dodici tele realizzate appositamente per la Sala del Portego collocate nelle sue originarie cornici settecentesche a stucco, dove fino all’800 campeggiavano i ritratti della famiglia Grimani.
«Archinto», questo il titolo dell'esposizione, rende omaggio a Venezia e alla sua ricca tradizione artistica, da una parte ristabilendo una continuità storica e dall’altra segnalando una rottura tra la celebrata ritrattistica rinascimentale e i suoi equivalenti contemporanei. «Il titolo della mostra e i suoi lavori - si legge nella nota stampa - fanno riferimento all’enigmatico ritratto del cardinale Filippo Archinto che Tiziano realizzò nel 1558. Portando la sensibilità dei maestri antichi in un contesto attuale, la qualità spettrale dei dipinti di Baselitz conferma il suo interesse per le tecniche di incisione e allude al tema artistico costante della mortalità umana».
Per maggiori informazioni: https://polomusealeveneto.beniculturali.it/musei/museo-di-palazzo-grimani.
Si intitola «Una sera a palazzo» il cartellone di eventi promosso per il mese di luglio dal Museo di Palazzo Grimani a Santa Maria Formosa in Venezia. Le iniziative prenderanno il via nella serata di sabato 3 luglio quando in tutto in Vecchio Continente si festeggerà la Notte europea dei musei. Per l'occasione, la dimora lagunare rimarrà aperta fino alle ore 22:00 e offrirà, a partire dalle ore 18:30, l'ingresso ridotto a 7,50 euro. L'apertura serale del museo, con biglietto scontato, sarà proposta anche nelle serate del 17 e del 24 luglio. Il primo dei due appuntamenti, quello di sabato 17, sarà, inoltre, impreziosito da un concerto di Amir Gwirtman, celebre artista di origini israeliane, di stanza a Zagabria, conosciuto come uno dei più grandi virtuosi di strumenti a fiato al mondo. Per l'appuntamento musicale, inserito nel cartellone del Venezia Jazz Festival, è previsto un biglietto combinato di 18,00 euro per l'intero e 12 euro per il ridotto.
In questi mesi il Museo di Palazzo Grimani a Santa Maria Formosa presenta il riallestimento di uno dei suoi ambienti più spettacolari ed evocativi: la Sala del Doge, creata contestualmente ai lavori di ampliamento terminati nel 1568 e voluti da Giovanni Grimani, patriarca di Aquileia. Questo spazio - abbellito con marmi antichi e preziosi come l’alabastro giallo, il serpentino verde e il porfido rosso, tutti provenienti dal Mediterraneo orientale - voleva celebrare la figura di Antonio Grimani, abile mercante di spezie e primo doge della famiglia.
Frutto della collaborazione tra la Direzione regionale Musei Veneto e la fondazione Venetian Heritage, l'intervento conservativo, documentato in un catalogo di Marsilio editore, ha visto il ricollocamento nella sala della statuaria greca e romana della collezione Grimani. Attraverso un attento studio delle fonti storiche – tra cui l’inventario dei beni di Giovanni Grimani, descrizioni storiche dell’epoca e fotografie di fine ‘800 recentemente scoperte nella biblioteca della National Gallery di Washington – Daniele Ferrara e Toto Bergamo Rossi hanno potuto ricollocare venti opere, tra cui il gruppo «Dioniso appoggiato a un satiro» di epoca romana imperiale nella nicchia della parete frontale.
Contemporaneamente al riallestimento della Sala del Doge, il Museo ospita una mostra, curata da Mario Codognato, di nuovi e recenti lavori dell’artista tedesco Georg Baselitz, oltre a dodici tele realizzate appositamente per la Sala del Portego collocate nelle sue originarie cornici settecentesche a stucco, dove fino all’800 campeggiavano i ritratti della famiglia Grimani.
«Archinto», questo il titolo dell'esposizione, rende omaggio a Venezia e alla sua ricca tradizione artistica, da una parte ristabilendo una continuità storica e dall’altra segnalando una rottura tra la celebrata ritrattistica rinascimentale e i suoi equivalenti contemporanei. «Il titolo della mostra e i suoi lavori - si legge nella nota stampa - fanno riferimento all’enigmatico ritratto del cardinale Filippo Archinto che Tiziano realizzò nel 1558. Portando la sensibilità dei maestri antichi in un contesto attuale, la qualità spettrale dei dipinti di Baselitz conferma il suo interesse per le tecniche di incisione e allude al tema artistico costante della mortalità umana».
Per maggiori informazioni: https://polomusealeveneto.beniculturali.it/musei/museo-di-palazzo-grimani.
[Le fotografie sono di Matteo De Fina]
«LA STORIA DENTRO», A BRESCIA UN’INSTALLAZIONE AMBIENTALE DEI FRATELLI RADICI SULLE X GIORNATE DEL 1849
Uno strumento di riflessione collettiva al servizio della comunità: si presenta così il progetto «La storia dentro» dei fratelli Giuliano e Roberto Radici, un’installazione visibile fino al prossimo 11 luglio in largo Formentone a Brescia, che ha coinvolto nella sua realizzazione l’Amministrazione comunale, la Croce Bianca e l’associazione 7milamiglialontano.
L’opera è una fotografia in formato 6 x 7 metri, che fonde varie fasi creative e diversi linguaggi artistici – pittura, fotografia, cinema, teatro, moda, racconto - prendendo le mosse da un momento storico emblematico per la «Leonessa d’Italia», le X Giornate (23 marzo – 2 aprile 1849).
Gli artisti hanno realizzato l’installazione attraverso tre distinti passaggi creativi, direttamente in piazza, circondati da un pubblico che ha partecipato con calore e interrogato con curiosità.
La prima fase ha visto Roberto Radici impegnato in una performance pittorica in cui ha riprodotto una stampa delle «Dieci Giornate» di Edoardo Matania, autore di numerose incisioni dedicate al Risorgimento. L’opera rappresenta un episodio di ordinaria violenza del marzo 1849 che ben si presta a esprimere simbolicamente la compresenza di storia collettiva e individuale, esprimendo in modo concreto la sofferenza di quei giorni che valsero a Brescia il nome di «Leonessa d’Italia».
La fotografia, la cui estetica è anche un omaggio a Gregory Crewdson, per lo studio dell’illuminazione, e al pittore Jonathan Jansen, si propone come sintesi tra passato e presente. Sulla superficie convivono, infatti, la ribellione e la sofferenza delle Dieci Giornate e il dolore e la resilienza della pandemia, con scene tipiche del primo lockdown: «un viaggiatore – si legge nella nota stampa - bloccato davanti alla televisione sfinito dall’immobilità, Il mondo dello spettacolo annichilito, muto come una chitarra elettrica senza amplificatore, l’ambulanza, la natura che prende il sopravvento e si fa messaggio di vita e di speranza».
Ai piedi della fotografia è stato posto uno striscione su cui sono stampati dieci brevi testi redatti da Beatrice Mazzocchi, che parlano indirettamente dell’opera e dei suoi simboli, ma che documentano anche la presenza in ciascuno di noi di sentimenti contrastanti di fronte al dispiegarsi degli eventi. Il pubblico potrà intervenire sulla tela, scrivendo i propri pensieri. Il lavoro dei fratelli Radici si fa così simbolo dell’arte che costruisce, che ascolta, che coinvolge.
L’installazione ha anche un importante risvolto solidale: il telo pittorico realizzato da Roberto Radici verrà infatti tagliato e rielaborato artisticamente, dando vita a tante opere uniche che andranno in asta, con lo scatto di Giuliano Radici, a ottobre 2021, a beneficio della Carolina Zani Melanoma Foundation, per contribuire alla promozione di un programma di screening gratuito che coinvolgerà tutto il territorio bresciano.
Uno strumento di riflessione collettiva al servizio della comunità: si presenta così il progetto «La storia dentro» dei fratelli Giuliano e Roberto Radici, un’installazione visibile fino al prossimo 11 luglio in largo Formentone a Brescia, che ha coinvolto nella sua realizzazione l’Amministrazione comunale, la Croce Bianca e l’associazione 7milamiglialontano.
L’opera è una fotografia in formato 6 x 7 metri, che fonde varie fasi creative e diversi linguaggi artistici – pittura, fotografia, cinema, teatro, moda, racconto - prendendo le mosse da un momento storico emblematico per la «Leonessa d’Italia», le X Giornate (23 marzo – 2 aprile 1849).
Gli artisti hanno realizzato l’installazione attraverso tre distinti passaggi creativi, direttamente in piazza, circondati da un pubblico che ha partecipato con calore e interrogato con curiosità.
La prima fase ha visto Roberto Radici impegnato in una performance pittorica in cui ha riprodotto una stampa delle «Dieci Giornate» di Edoardo Matania, autore di numerose incisioni dedicate al Risorgimento. L’opera rappresenta un episodio di ordinaria violenza del marzo 1849 che ben si presta a esprimere simbolicamente la compresenza di storia collettiva e individuale, esprimendo in modo concreto la sofferenza di quei giorni che valsero a Brescia il nome di «Leonessa d’Italia».
La fotografia, la cui estetica è anche un omaggio a Gregory Crewdson, per lo studio dell’illuminazione, e al pittore Jonathan Jansen, si propone come sintesi tra passato e presente. Sulla superficie convivono, infatti, la ribellione e la sofferenza delle Dieci Giornate e il dolore e la resilienza della pandemia, con scene tipiche del primo lockdown: «un viaggiatore – si legge nella nota stampa - bloccato davanti alla televisione sfinito dall’immobilità, Il mondo dello spettacolo annichilito, muto come una chitarra elettrica senza amplificatore, l’ambulanza, la natura che prende il sopravvento e si fa messaggio di vita e di speranza».
Ai piedi della fotografia è stato posto uno striscione su cui sono stampati dieci brevi testi redatti da Beatrice Mazzocchi, che parlano indirettamente dell’opera e dei suoi simboli, ma che documentano anche la presenza in ciascuno di noi di sentimenti contrastanti di fronte al dispiegarsi degli eventi. Il pubblico potrà intervenire sulla tela, scrivendo i propri pensieri. Il lavoro dei fratelli Radici si fa così simbolo dell’arte che costruisce, che ascolta, che coinvolge.
L’installazione ha anche un importante risvolto solidale: il telo pittorico realizzato da Roberto Radici verrà infatti tagliato e rielaborato artisticamente, dando vita a tante opere uniche che andranno in asta, con lo scatto di Giuliano Radici, a ottobre 2021, a beneficio della Carolina Zani Melanoma Foundation, per contribuire alla promozione di un programma di screening gratuito che coinvolgerà tutto il territorio bresciano.
UNA NUOVA OPERA PER IL BORGO DI PECCIOLI. NEL MUSEO A CIELO APERTO DELLA TOSCANA L'OPERA «GIUDIZIO UNIVERSALE» DI NICOLA BOCCINI
«LA STELLA DI DANTE» DÀ OSSIGENO A FIRENZE. CINQUANTA QUERCE RILEGGONO LA «DIVINA COMMEDIA»
TORINO, UN'OPERA SOLIDALE DI FRANCESCO SIMETI PER CASA GIGLIO
Il borgo medievale di Peccioli, protagonista questa estate alla diciassettesima edizione della Biennale di architettura di Venezia (nel Padiglione Italia), amplia la propria collezione di opere d’arte, un sorprendente museo a cielo aperto con opere di David Tremlett, Nakagawa, Massimo Bartolini, Umberto Cavenago, Alberto Garuti, Federico de Leonardis, Vedovamazzei, Vittorio Corsini, Fortuyn/O’Brien, Vittorio Messina, Patrik Tuttofuoco e Sergio Staino.
A questo patrimonio artistico davvero unico – tanto che la cittadina è stata definita «la piccola capitale italiana dell’arte contemporanea» – si aggiunge ora «Giudizio universale» di Nicola Boccini, un’installazione multimediale e interattiva in ceramica ispirata all’omonimo polittico di Hans Memling, datato 1467 circa, e commissionata all’artista italiano nel 2016 dal Museo nazionale di Danzica come reinterpretazione del capolavoro lì conservato.
Dallo scorso 11 giugno il lavoro è esposto per la prima volta in Italia, creando così un nuovo dialogo con un’altra opera, il tabernacolo di Benozzo Gozzoli, affrescato tra il 1479 e il 1480. Il dipinto di Memling, pertanto, fa simbolicamente ritorno in Toscana, dove era destinato oltre cinque secoli fa prima del suo trafugamento nel 1473.
Il «Giudizio universale» – situato nella Chiesa dei Santi Giusto e Bartolomeo - è composto da ventidue pannelli realizzati a mano attraverso la tecnica di colaggio in stampi di gesso e tre cotture, di cui una a 1320°. Questa procedura permette di creare pannelli perfettamente traslucidi, in cui, attraverso l’inserimento di fili di rame (una tecnica che prende il nome di Porcelain Veins), è possibile riconoscere i simboli cristiani presenti nel dipinto di Memling e reinterpretati dall'artista sperimentale, in mostra in questi giorni anche alla Biennale di Venezia con «Lane», opera frutto della collaborazione con il fumettista Riccardo Burchielli.
Attraverso retroproiezioni e una tecnologia interattiva, che prende il nome di «Tecnica Boccini» e che prevede l’innesto di micro-sensori all’interno del composto ceramico che si attivano con la voce o il tatto, lo spettatore può attivare a Peccioli, sui pannelli, una sequenza di immagini diventando co-autore dell’opera d’arte.
L’iniziativa si inserisce nel trentennale impegno del Comune di Peccioli di valorizzazione del territorio attraverso opere di arte contemporanea, in dialogo e confronto con il luogo, la sua storia e il suo paesaggio. Il distretto pecciolese è, infatti, da decenni oggetto di interventi artistici e si è trasformato in inaspettato e sorprendente anfiteatro, palcoscenico e circuito culturale, ribalta inedita di rassegne di spettacoli, di teatro, di musica, nonché passerella per servizi di moda e set fotografico scelto da brand planetari.
A questo patrimonio artistico davvero unico – tanto che la cittadina è stata definita «la piccola capitale italiana dell’arte contemporanea» – si aggiunge ora «Giudizio universale» di Nicola Boccini, un’installazione multimediale e interattiva in ceramica ispirata all’omonimo polittico di Hans Memling, datato 1467 circa, e commissionata all’artista italiano nel 2016 dal Museo nazionale di Danzica come reinterpretazione del capolavoro lì conservato.
Dallo scorso 11 giugno il lavoro è esposto per la prima volta in Italia, creando così un nuovo dialogo con un’altra opera, il tabernacolo di Benozzo Gozzoli, affrescato tra il 1479 e il 1480. Il dipinto di Memling, pertanto, fa simbolicamente ritorno in Toscana, dove era destinato oltre cinque secoli fa prima del suo trafugamento nel 1473.
Il «Giudizio universale» – situato nella Chiesa dei Santi Giusto e Bartolomeo - è composto da ventidue pannelli realizzati a mano attraverso la tecnica di colaggio in stampi di gesso e tre cotture, di cui una a 1320°. Questa procedura permette di creare pannelli perfettamente traslucidi, in cui, attraverso l’inserimento di fili di rame (una tecnica che prende il nome di Porcelain Veins), è possibile riconoscere i simboli cristiani presenti nel dipinto di Memling e reinterpretati dall'artista sperimentale, in mostra in questi giorni anche alla Biennale di Venezia con «Lane», opera frutto della collaborazione con il fumettista Riccardo Burchielli.
Attraverso retroproiezioni e una tecnologia interattiva, che prende il nome di «Tecnica Boccini» e che prevede l’innesto di micro-sensori all’interno del composto ceramico che si attivano con la voce o il tatto, lo spettatore può attivare a Peccioli, sui pannelli, una sequenza di immagini diventando co-autore dell’opera d’arte.
L’iniziativa si inserisce nel trentennale impegno del Comune di Peccioli di valorizzazione del territorio attraverso opere di arte contemporanea, in dialogo e confronto con il luogo, la sua storia e il suo paesaggio. Il distretto pecciolese è, infatti, da decenni oggetto di interventi artistici e si è trasformato in inaspettato e sorprendente anfiteatro, palcoscenico e circuito culturale, ribalta inedita di rassegne di spettacoli, di teatro, di musica, nonché passerella per servizi di moda e set fotografico scelto da brand planetari.
Firenze omaggia Dante Alighieri con un'installazione ambientale, donata dalla maison fiorentina «Il Bisonte». L'opera, realizzata in occasione dei settecento anni dalla morte del «Sommo poeta», è stata creata da Felice Limosani, con la consulenza scientifica di Stefano Mancuso e la supervisione paesaggistica di Alberto Giuntoli.
Ubicato al Parco di San Donato, nel quartiere di Novoli, il lavoro, realizzato con cinquanta querce alte sei metri che hanno trent'anni di vita, traduce in simbolo le frasi che chiudono le tre cantiche della «Divina Commedia»: «e quindi uscimmo a riveder le stelle» (Inferno); «puro e disposto a salire alle stelle» (Purgatorio); «l'amor che move il sole e l'altre stelle» (Paradiso).
«La Stella di Dante», questo il titolo dell'opera, si inserisce nella prima cinta urbana di Firenze, protagonista di una grande espansione a seguito del boom edilizio degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso e recentemente al centro di un imponente intervento di riqualificazione urbanistica che ha visto la nascita del parco come elemento di connessione verde tra le nuove edificazioni universitarie e residenziali da una parte, e il Palazzo di Giustizia dall’altra, voluto per migliorare la vivibilità dell’area. E proprio al Palazzo di Giustizia si rivolge la punta a est della «Stella di Dante», che simbolicamente ha anche l’intento di riscattare l’immeritato esilio del «Sommo poeta». Con il suo segno artistico, l'opera contribuirà ad arricchire il contesto paesaggistico oltre che il contenuto culturale dello spazio, creando un nuovo riferimento identitario per il parco di San Donato. Inoltre, l’aumento della superficie ombreggiata renderà il parco più attraente e fruibile dalla cittadinanza, creando un nuovo spazio di ritrovo e condivisione.
L’installazione – che si estende per un’ampiezza di centoottanta metri e sarà visibile da Google Earth e dai voli dell'adiacente aeroporto di Peretola – è destinata a cambiare cromaticamente con il variare delle stagioni. In autunno, le foglie diventeranno progressivamente prima gialle e poi rosse, e cadendo riporteranno il disegno della stella direttamente sul terreno del parco.
«Ho interpretato il 'visibile parlare' dantesco, trasformando le stelle ricorrenti nelle frasi di chiusura delle tre cantiche della «Divina Commedia» in un’installazione dalla forma 'vivente'. Ispirandomi a Dante ho sperimentato, oltre la funzione estetica, la ricerca di connessioni più ampie dei significati che il «Sommo poeta» ci ha lasciato. In questo momento storico, creare valore a lungo termine tra arte e ambiente con la persona al centro è una priorità», racconta Felice Limosani.
L’intervento artistico avrà un impatto positivo a livello ambientale, grazie all’azione di assorbimento di anidride carbonica e di rilascio d’ossigeno attivata dalle querce, alla cattura dei composti inquinanti presenti nell’aria – come polveri sottili e ossidi di azoto – e alla conseguente riduzione della loro dispersione nell’ambiente, a un netto contributo al miglioramento della gestione delle acque urbane per via dell’aumentata permeabilità del suolo e una derivante diminuzione delle spese di gestione ambientale. Gli alberi, opportunamente gestiti e curati, contribuiranno così ad apportare benefici estetici, sociali, ambientali ed economici negli anni a venire.
DUE APPUNTAMENTI NEL SEGNO DELL'INCLUSIONE ALLA PEGGY GUGGENHEIM DI VENEZIA
Proseguono nel segno dell'accessibilità e dell'inclusione le attività in presenza della collezione Peggy Guggenheim di Venezia, il cui lavoro per questo 2021 ruota attorno al Manifesto per la rinascita, le cui parole chiave ispirazione, sostenibilità e presente.
Mercoledì 30 giugno, prima dell’orario di apertura al pubblico, il museo ha ospitato il progetto «Il corpo creativo», laboratorio di arte e danza/movimento nato nel 2019 dall’incontro tra la scultrice veneziana Michela Bortolozzi, la danzatrice Isabella Moro e Alice Venezia Odv, associazione per la lotta all’ictus cerebrale. Il laboratorio è stato reso possibile anche grazie al contributo del fondo di solidarietà messo a disposizione dal Comune di Venezia ed è concepito come momento conclusivo di un percorso intrapreso lo scorso settembre che ruota proprio intorno al tema della scultura e della danza, finalizzato a creare un gruppo coeso, in grado di memorizzare le cose sperimentandole di persona e confrontandosi. I partecipanti, un ristretto gruppo di persone colpite da ictus celebrale, verranno in un primo momento portati da Michela Bortolozzi a osservare alcune delle sculture di Alberto Giacometti esposte negli spazi verdi di Palazzo Venier dei Leoni. Successivamente, sotto la guida di Isabella Moro, saranno accompagnati nello svolgimento di una breve attività motoria.
Il calendario proseguirà il 26 agosto con il secondo appuntamento con «Estate a Palazzo», progetto rivolto agli over 75, promosso dall’Associazione Red Carpet for All e patrocinato dal Comune di Venezia. Dalle 9 alle 10 un gruppo di ospiti della quarta età seguirà una visita guidata gratuita nel giardino delle sculture del museo, condividendo un momento volto al benessere personale. Per maggiori informazioni e per prenotarsi è possibile chiamare il numero +39.370.1260488 o scrivere a estateapalazzo@gmail.com.
Entrambi gli appuntamenti si svolgono all’aria aperta, nel rispetto della normative di contenimento del Covid-19 e delle sue varianti.
Per saperne di più: www.guggenheim-venice.it.
Si intitola «Gigli, cinghiali, qualche carpa e poi conigli, galline e asini in gran quantità» l'installazione ambientale permanente realizzata da Francesci Simeti per Casa Giglio, lo spazio di Torino che offre ospitalità gratuita alle famiglie, prive di mezzi, con bambini ricoverati all’Ospedale Regina Margherita.
Posizionata nell'atrio, su una parete di circa quarantacinque metri quadrati, l’opera non è solo un messaggio di benvenuto; vuole trasmettere anche la filosofia e la missione di Giglio onlus, basata sulla solidarietà e sull’accoglienza.
L’installazione, realizzata con la curatela di Luisa Perlo e Francesca Comisso per a.titolo, è stata espressamente concepita come uno scenario fantastico in cui immergersi, risultato di una lunga ricerca di archivio e di un formidabile esercizio di ars combinatoria. Il lavoro è stato, quindi, stampato su un rivestimento speciale in fibra di vetro, sul quale trovano collocazione alcuni elementi aggettanti in ceramica smaltata.
Immaginari collettivi e tradizioni iconografiche di varie culture, specie vegetali e animali di tutto il pianeta, vengono a trovarsi insieme senza alcuna barriera, esattamente come le famiglie che abitano Casa Giglio, in arrivo dall’Italia e da vari Paesi del mondo.
Il progetto, che si è avvalso del generoso supporto della Fondation de France di Parigi e del contributo della Regione Piemonte, della Fondazione Crt e dell’azienda Om Project di Borgaro, è stato realizzato nell'ambito del programma d’arte pubblica «Nuovi committenti», che si occupa della produzione di opere d’arte commissionate dai cittadini per i loro luoghi di vita o di lavoro. In autunno, compatibilmente con le normative Covid-19, si prevede di inaugurare l’opera con una presentazione pubblica in presenza dell’artista, ma l’opera è già visibile in occasione degli eventi pubblici organizzati da Casa Giglio e su prenotazione https://www.giglio-onlus.it/.
Per ulteriori informazioni: info@atitolo.it.
[Le foto sono di Federico Fogliani]
Posizionata nell'atrio, su una parete di circa quarantacinque metri quadrati, l’opera non è solo un messaggio di benvenuto; vuole trasmettere anche la filosofia e la missione di Giglio onlus, basata sulla solidarietà e sull’accoglienza.
L’installazione, realizzata con la curatela di Luisa Perlo e Francesca Comisso per a.titolo, è stata espressamente concepita come uno scenario fantastico in cui immergersi, risultato di una lunga ricerca di archivio e di un formidabile esercizio di ars combinatoria. Il lavoro è stato, quindi, stampato su un rivestimento speciale in fibra di vetro, sul quale trovano collocazione alcuni elementi aggettanti in ceramica smaltata.
Immaginari collettivi e tradizioni iconografiche di varie culture, specie vegetali e animali di tutto il pianeta, vengono a trovarsi insieme senza alcuna barriera, esattamente come le famiglie che abitano Casa Giglio, in arrivo dall’Italia e da vari Paesi del mondo.
Il progetto, che si è avvalso del generoso supporto della Fondation de France di Parigi e del contributo della Regione Piemonte, della Fondazione Crt e dell’azienda Om Project di Borgaro, è stato realizzato nell'ambito del programma d’arte pubblica «Nuovi committenti», che si occupa della produzione di opere d’arte commissionate dai cittadini per i loro luoghi di vita o di lavoro. In autunno, compatibilmente con le normative Covid-19, si prevede di inaugurare l’opera con una presentazione pubblica in presenza dell’artista, ma l’opera è già visibile in occasione degli eventi pubblici organizzati da Casa Giglio e su prenotazione https://www.giglio-onlus.it/.
Per ulteriori informazioni: info@atitolo.it.
[Le foto sono di Federico Fogliani]