ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 30 luglio 2025

Da Caravaggio a Maiorca: un viaggio tra le sale di Siramuse, il nuovo museo multimediale di Siracusa

Nell'antico grembo di Ortigia, tra pietre greche, respiri barocchi e la luce del mare, si è appena aperta una nuova «porta di ingresso» da cui partire per scoprire le stratificate e millenarie vicende di Siracusa, città Unesco - Patrimonio dell’Umanità. Negli spazi dell’ex Galleria civica d’arte contemporanea Montevergini, nota per aver ospitato importanti mostre di Enzo Cucchi ed Ettore Sottsass e sorta all’interno di un antico convento benedettino di origine tardo cinquecentesca, a pochi metri da piazza Duomo, è stato inaugurato Siramuse. Non si tratta del solito museo con teche impolverate e reperti antichi, ma di uno spazio multimediale e immersivo, con ambienti da vivere, nato da un accordo decennale di partenariato speciale tra pubblico e privato, tra il Comune e l’impresa Civita Sicilia, che, anche grazie al sostegno economico dell’Istituto per il Credito sportivo e culturale, mette in scena il patrimonio immateriale della città, in un percorso lungo 2.500 anni, dove arte, scienza e mito si intrecciano e si raccontano a chi ha sete di storia, ma ama anche tutto ciò che parla di sperimentazione e futuro. E così, come dentro a una macchina del tempo, Caravaggio dipinge ancora il silenzio con ombre sacre, il genio limpido di Archimede gioca con l’acqua e la luce, Eschilo si racconta nel teatro della sua città ed Enzo Maiorca si fa custode del blu profondo e respira l’abisso.

Tecnologie multimediali
, scenografie d’avanguardia e attori virtuali danno, infatti, vita a una galleria narrativa, articolata in sei sale immersive all’interno delle quali prendono parola, come in teatro della memoria, otto personaggi e personalità, protagonisti di varie epoche, che, a Siracusa e grazie ad essa sono stati capaci di dare vita a opere di straordinario valore. Il percorso, della durata di circa un’ora, intende stimolare anche una riflessione su temi attuali come la violenza sulle donne, la salvaguardia dell’ambiente e il turismo sostenibile.

Interpretando le linee guida di organismi internazionali come Unesco e Icom, il progetto vuole, inoltre, essere fortemente inclusivo e partecipativo. Ogni contenuto è fruibile in tre lingue straniere (inglese, francese e spagnolo), oltre all’italiano e alla Lis (la lingua dei segni). La visita include elementi pensati per i bambini e le famiglie, e, grazie al prezioso lavoro di Michela D’Agata, il museo presenta percorsi facilitati per accogliere persone con disabilità visive, uditive e cognitive.

Lo storytelling di Siramuse - che nella sua fase progettuale ha visto all’opera un qualificato comitato scientifico comprendente studiosi di archeologia, teatro antico, storia barocca e memoria locale come Monica Centanni, Giovanni Di Pasquale, Lorenzo Guzzardi, Patrizia Maiorca, Pucci Piccione, Cettina Pipitone Voza e Lucia Trigilia - è stato supervisionato dalla museologa e storica dell’arte Anna Villari. Mentre il progetto di brand identity è stato curato dalla graphic designer Francesca Pavese, con Vito Della Speranza e Gianni Napoleone, e, in una logica di attenzione alle eccellenze del territorio, ha coinvolto gli allievi del terzo anno del triennio in Arti visive dell’Accademia di belle arti «Rosario Gagliardi» di Siracusa.

Il percorso espositivo - lungo il quale si ascoltano le voci di Davide Bardi, Sergio Grasso, Massimo Popolizio e Gaetano Rizzo in qualità di narratori - parte con la sala «La luce e l’apparizione», dove Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, racconta il suo primo lavoro siciliano, il «Seppellimento di Santa Lucia», eseguito nel 1608, dietro commissione della Confraternita dei Ministri degl’Infermi, per il Santuario di Santa Lucia al Sepolcro. L’immersione nel capolavoro del maestro milanese, con la sua forza drammatica enfatizzata da un gioco di contrasti fra luci e ombre e con la sua palette cromatica nei toni dei rossi e dei bruni terrosi, introduce al racconto della vita della santa siracusana, giovane cittadina sotto l’impero di Diocleziano, morta martire nel 304 d.C. per la sua fede cristiana. Attraverso tecnologie innovative e l’interpretazione attoriale di Ilenia Antonizzi, il visitatore scopre anche l’evoluzione iconografica della figura di Santa Lucia nel corso dei secoli e l’apparato di usanze, riti e pratiche che ruotano intorno alla grande festa patronale del 13 dicembre.

Segue la sala «La scienza», che - attraverso ricostruzioni storiche, episodi biografici e un focus sulle macchine belliche - restituisce vita e opere di Archimede, matematico, fisico e inventore siracusano, universalmente riconosciuto come una delle figure più geniali dall’antichità a oggi.

Si entra, poi, in una struttura scenografica abitabile che ricalca una porzione della cavea di età arcaica del teatro greco di Siracusa. Qui si incontrano il drammaturgo Eschilo e il filosofo Platone, due figure che hanno segnato profondamente la cultura e il pensiero occidentale, interpretate, a video, da Gaetano Rizzo e Davide Bardi.

Dalla sala «Il teatro e la tribuna politica» si passa, quindi, a quella successiva, dedicata all’archeologo Paolo Orsi, che contribuì in modo straordinario alla ricostruzione della storia antica della città. In questa stanza, soprannominata «Lo scavo», il visitatore si trova a confrontarsi con un’installazione ludico-esplorativa, all’interno della quale sono collocate copie dei reperti conservati al Museo archeologico regionale di Siracusa, manufatti che abbracciano un ampio arco temporale, che spazia dall’età del bronzo antico sino al IV secolo d.C..

Non manca, quindi, un omaggio a Federico II di Svevia, il sovrano medioevale passato alla storia come lo «stupor mundi», noto per aver favorito nel Duecento la nascita della scuola poetica siciliana e amato a Siracusa per aver fatto costruire, sulla punta estrema dell’isola, il castello Maniace, roccaforte difensiva simbolo del prestigio e della forza del potere imperiale svevo. «Il volo del falco di Federico II» è il titolo della stanza a lui dedicata, nella quale si svela il suo rapporto con la falconeria, disciplina alla quale il re dedicò anche un trattato, oggi una dei diciannove elementi italiani iscritti nella Lista rappresentativa del Patrimonio culturale immateriale Unesco.
In questo spazio, due «finestre» immersive invitano a entrare nel mondo federiciano attraverso un’esperienza di gaming che combina sonoro e immagini per restituire un’interpretazione poetica e dinamica della sua eredità.

Chiude il percorso espositivo la sala «Il profondo blu», un omaggio al mare e al legame profondo che unisce la città siciliana a questo elemento attraverso la memoria delle imprese straordinarie di Enzo Maiorca, il campione di apnea più volte detentore del record mondiale d’immersione. Un grande schermo circolare avvolge visitatrici e visitatori, offrendo un’immersione totale, molto scenografica, nelle profondità marine, che permette anche di interagire con elementi animati.

Fuori dal museo, nel cortile, si può vedere, infine, un intervento dell’artista romano Claudio Palmieri, che ha immaginato lo spazio - si legge nella presentazione scritta dallo stesso autore - come «un piccolo teatro dove potesse accadere una fantasia alchemica», ospitando «una danza scenografica suggerita dall'utilizzo delle reti dei pescatori, omaggio alle tradizioni marinare ma anche alla visione di Maiorca e al suo impegno per la difesa dell’ecosistema marino, green, ecosostenibile». 
In questa danza ondosa appaiono delle «”rose” a vortice, metalliche, di natura altra, come modellate dal vento, dalle forme barocche che alludono anche alle forme armoniose delle creature marine che abitano il mare». Quel mare che fa da cornice alla città e alle sue vestigie antiche, la cui bellezza ha conquistato, nel corso dei secoli, molti, da Cicerone a Gabriele D’Annunzio, da Tito Livio a Edmondo De Amicis.

Informazioni utili
Siramuse. Museo Multimediale delle storie di Siracusa, Via Santa Lucia alla Badia, 4 – Siracusa (pochi metri da Piazza Duomo).Orari: ► Dal 1° maggio al 30 settembre 11.00 - 19.00 (la biglietteria chiude alle 18.00) - Tutti i giorni aperto; ► Dal 1° ottobre al 30 aprile  10.00 - 17.00 (la biglietteria chiude alle 16.00) – Chiuso il martedì; ► Dal 7 gennaio al 28 febbraio apertura su prenotazione per scuole e gruppi; aperto sabato e domenica 10.00 - 17.00 (la biglietteria chiude alle 16.00). Chiusure: 1° gennaio, 13 dicembre, 25 dicembre (15 agosto aperto). Modalità di visita: ► percorso completo: 60 minuti; ► 40 persone per fascia, gruppi o singoli; ► la visita si svolge in autonomia con audioguide contemporaneamente in IT/EN/FR/ES. Biglietti:  intero € 12,00,tidotto € 8,00 (giovani dai 6 ai 25 anni e residenti), ridotto speciale € 6,00 (Scuole di ogni ordine e grado) Università? O intero o ridotto a seconda dell’età; integrazione di € 2,00 per la visita dell’Artemision (sito archeologico distante 100 metri); famiglie con 1 figlio € 25,00; famiglie con 2 figli € 30,00; gratuito: bambini 0/6 anni; Soci Icom; diversamente abili e accompagnatore; guide turistiche abilitate; giornalisti iscritti all’Ordine o accreditati dalla testata. Biglietti online: https://siramuse.madeticket.it/it/shop/biglietti. Prevendita online €1,50 a biglietto. Contact Center: +39 091 8488813

lunedì 28 luglio 2025

L’inquietudine del genio "incontra" la quiete del sapere: al Palazzo Ducale di Urbino l’estro di barocco di Cantarini e il rinnovato Studiolo del Duca Federico di Montefeltro

Importante testimonianza del Rinascimento italiano e cuore pulsante del Palazzo Ducale di Urbino, lo Studiolo del Duca Federico da Montefeltro (1422-82) si presenta, quest’estate, ai suoi visitatori in una veste totalmente nuova. L’ambiente, affacciato sull’ultima e più decorata loggia tra i due Torricini, è stato sottoposto, negli scorsi mesi (tra novembre 2024 e maggio 2025), a un importante intervento di restauro e di riallestimento al fine di restituirne l’aspetto originario, quello che aveva sul finire del Quattrocento, al termine dei lavori di progettazione, probabilmente eseguiti dall’architetto Donato Bramante, e di quelli di decorazione, a opera dei fratelli Giuliano e Benedetto da Maiano, maestri della tarsia prospettica e dell’illusione ottica, lodati anche da Giorgio Vasari nel suo libro «Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori».
I due intagliatori toscani idearono per lo Studiolo urbinate - una stanza piccola con un’altezza inusuale e un perimetro irregolare (3,60x3,35 metri) che aveva, dunque, bisogno dell’inganno dell’arte per dilatare profondità e contorni - una decorazione a trompe-l’œil a fasce sovrapposte, costruita con minuscole tesserine di essenze diverse o della stessa essenza, ma con stagionature e tagli differenti.
Le raffigurazioni erano emblematiche degli ideali umanistici della vita attiva e della vita contemplativa, a ribadire la duplice natura di condottiero e di uomo di cultura di Federico da Moltefeltro. E presentavano un repertorio iconografico che spaziava da libri a strumenti musicali, da armature a clessidre e conchiglie, da apparecchi scientifici alle personificazioni delle Virtù teologali (Fede, Speranza e Carità) e cardinali (Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza), dai simboli delle Arti liberali del Trivio (Dialettica, Grammatica, Retorica) e del Quadrivio (Aritmetica, Astronomia, Geometria, Musica) a candele consunte dal fuoco e dal tempo.

Luogo di studio, meditazione e crescita personale e, al contempo, sala di rappresentanza, dove il duca urbinate conduceva i suoi ospiti più illustri, lo Studiolo mantenne la sua disposizione iniziale dal 1476, data di termine dei lavori (come conferma l’iscrizione che corre sotto il soffitto a lacunari), al 1632, anno in cui il cardinale Antonio Barberini, nipote di papa Urbano VIII e legato dello Stato pontificio, asportò le tavole della serie «Uomini illustri», progettata dal fiammingo Giusto di Gand e terminata dal castigliano Pedro Berruguete (detto «Pietro Spagnolo», del quale rimane significativa l’opera «Federico di Montefeltro con il figlio Guidubaldo» del 1475 circa), per portarle a Roma, nella residenza di famiglia.
Questi ventotto dipinti con personalità del mondo greco-romano e medioevale, ciascuno di 115x70 centimetri circa, rimasero nella dimora capitolina dei Barberini fino al 1812, quando quattordici di essi passarono, in eredità, alla famiglia Colonna di Sciarra e poi, dopo una vendita, al marchese Giampietro Campana per arrivare infine, nel 1863, nelle collezioni del Louvre di Parigi grazie a una felice intuizione di Napoleone III. Le altre quattordici opere fecero, invece, ritorno a Urbino nel 1934, acquistate dallo Stato italiano per la Galleria nazionale delle Marche, dove vennero, però, riallestite solo nel 1983.

Nel progetto globale di attualizzazione della Galleria nazionale delle Marche - che sta intraprendendo il direttore Luigi Gallo e che per l’occasione ha visto al lavoro l'architetto Francesco Primari, lo storico dell’arte Giovanni Russo e la restauratrice Giulia Papini - lo Studiolo federiciano è stato interessato da un ammodernamento degli impianti, che ha portato anche allo smontaggio e al rimontaggio di tarsie, porte e soffitto ligneo, alla pulitura del pavimento in cotto e alla realizzazione di un nuovo sistema di illuminazione.
Il nuovo allestimento riporta, inoltre, a Urbino, grazie a riproduzioni high tech, i quattordici ritratti di proprietà del Louvre, restituendo così l’aspetto originale dello Studiolo, al quale sono state tolte anche le superfetazioni ottocentesche per far respirare appieno il colto e raffinato clima rinascimentale di questa stanza, dove dominano armonia e bellezza.

La visita al Palazzo Ducale di Urbino diventa, questa estate, anche l’occasione per ammirare la mostra «Simone Cantarini (1612-1648). Un giovane maestro tra Pesaro, Bologna e Roma», curata da Luigi Gallo, Anna Maria Ambrosini Massari e Yuri Primarosa, in collaborazione con le Gallerie nazionali Barberini Corsini di Roma.
Una selezione di cinquantasei dipinti, allestita fino a domenica 12 ottobre, ricostruisce la breve, ma intensa carriera dell’artista pesarese, talento inquieto e innovativo del Barocco, morto in circostanze ancora misteriose ad appena trentasei anni, che, tra il 1630 e il 1639, fu allievo di Guido Reni a Bologna.

Straordinario disegnatore, fine incisore e pittore capace di coniugare gli insegnamenti reniani con la lezione del massimo artista italiano del tardo Cinquecento, Federico Barocci, e di due ottimi maestri appartenenti alla tendenza caravaggesca, Orazio Gentileschi e Giovanni Francesco Fossombrone, guardando anche al colorismo veneto del Sassoferrato, Simone Cantarini, «petit-maître di rara sensibilità stilistica» (per usare un’espressione di Andrea Emiliani), dà vita a un linguaggio proprio e personalissimo, delicato e intimista, caratterizzato da un dialogo costante tra classicismo e naturalismo, dove emergono il tratto morbido della composizione, l’uso atmosferico del colore, la resa luministica di taglio teatrale e un’impareggiabile finezza psicologica nel dare voce ai sentimenti dei personaggi raffigurati.

Sono proprio i ritratti, per i quali secondo il biografo Carlo Cesare Malvasia l'artista era «provisto di una particolar dote», uno dei nuclei tematici della mostra urbinate, che allinea anche pitture sacre, quadri di devozione e composizioni filosofiche e profane, in un percorso che permette di vedere, tra l’altro, una raffinata «Allegoria della pittura» (dalla Collezione Cassa di Risparmio della Repubblica di San Marino), una delicata «Madonna della Rosa» (da una raccolta privata), il «Ritratto di Guido Reni» (dalla Pinacoteca nazionale di Bologna), l’«Autoritratto», risalente gli anni Trenta del XVII secolo (dalle Gallerie nazionali di arte antica di Roma), e, per finire, l’inedito dipinto «Ercole e Iole» (da una raccolta privata), quadro che si meritò  anche le lodi  di Carlo Cesare Malvasia. Ci sono, poi, in mostra lavori come i «Santi Barbara e Terenzio» e la «Visione di Sant’Antonio», provenienti dai depositi della Pinacoteca di Brera, nell’ambito del progetto «100 opere tornano a casa», voluto dal Ministero della Cultura.

Di opera in opera, la mostra di Urbino ci parla, dunque, di «un’arte fatta di sguardi e silenzi, momenti intimi e quotidiani». Emerge in toto la vena delicata, poetica, malinconica ed elegante della pittura di Simone Cantarini. E sembra quasi impossibile far combaciare questo estro creativo, che ha contribuito alla grandezza della scuola bolognese, con la biografia dell’artista pesarese, con il suo essere pungente, polemico, iroso o – come scrisse Carlo Cesare Malvasia – «troppo fiero per essere discepolo, troppo giovane per essere maestro».

Didascalie delle immagini
1. e 2. e 3. Allestimento dello Studiolo del Duca. Urbino, Palazzo Ducale; 4. Simone Cantarini, Autoritratto, anni Trenta del XVII secolo. Roma, Gallerie nazionali d'arte antica; 5.6. e 7. Allestimento della mostra Simone Cantarini (1612-1648). Un giovane maestro tra Pesaro, Bologna e Roma,

Informazioni utili
Simone Cantarini (1612-1648). Un giovane maestro tra Pesaro, Bologna e Roma, a cura di Luigi Gallo, Anna Maria Ambrosini Massari e Yuri Primarosa. Galleria Nazionale delle Marche - Palazzo Ducale di Urbino, Piazza Rinascimento 13, 61029 Urbino (PU).Orari: da martedì a domenica: dalle ore 8:30 alle ore 19:15 (chiusura biglietteria ore 18:15); Lunedì chiuso. Ingresso: € 12 intero; € 2 ridotto. Catalogo edito da Officina Libraria. Informazioni: https://www.gallerianazionalemarche.it. Fino al 12 ottobre 2025

Nota apertura estive: fino al 15 settembre 2025 il Palazzo Ducale di Urbino sarà visitabile in via straordinaria anche il lunedì pomeriggio dalle ore 15 alle ore 19 (ultimo ingresso alle ore 18); l'ingresso è consentito con biglietto ordinario, o abbonamento annuale, e include anche la visita alla mostra di Simone Cantarini. Per venire incontro alle richieste dei visitatori, anche durante il mese di agosto lo staff della Galleria nazionale delle Marche offre la visita guidata gratuita all'esposizione (già inclusa nel biglietto di ingresso) ogni mercoledì alle ore 17

venerdì 25 luglio 2025

Carlo Scarpa e il Museo Correr, quando esporre è un’arte

È stato «un artigiano della materia», un poeta del dettaglio, un architetto che ha saputo unire la tradizione italiana alla modernità, senza mai tradire l’anima storica dei luoghi, mettendo, anzi, al primo posto la dimensione spirituale del progetto, quel quid unico che va oltre la funzionalità e l’estetica per generare un’esperienza emotiva, in un alternarsi continuo di pace, inquietudine, mistero, silenziosa meditazione e bellezza. Lo provano i tanti progetti disegnati per la «sua» Venezia, dall’ingresso della Fondazione Querini Stampalia, dove l’acqua diventa parte integrante dello spazio, all’innovativo allestimento per il negozio Olivetti in piazza San Marco, con la scala centrale quasi sospesa nel vuoto, senza dimenticare il Giardino delle sculture nel Padiglione centrale della Biennale, un angolo zen con una sinfonia di curve sinuose in cemento e una copertura in legno a sbalzo che ricorda lo scafo di una barca.
Lo documenta anche la mostra «Il Correr di Carlo Scarpa 1953-1960», allestita fino al 19 ottobre nella Sala delle Quattro Porte, per la curatela di Chiara Squarcina e Andrea Bellieni. Si tratta di un’occasione di studio, documentazione e censimento dei materiali originali usati dal progettista veneto nei suoi due interventi alle Procuratie nuove, il nobile edificio rinascimentale che domina il lato sud di piazza San Marco, in vista del futuro riallestimento del museo.

Fotografie d’epoca e arredi originali
– teche, vetrine, il celebre cavalletto per dipinti, supporti, snodi e incastri – raccontano un approccio radicalmente nuovo nel modo di esporre l’arte, che diventa modello esemplare della linea italiana nella museografia, elegante e innovativa, ispirata al razionalismo internazionale.

Carlo Scarpa (Venezia, 1906 - Giappone, Sendai, 1978) opera in due differenti occasioni all’interno del Correr: nel 1952–53 è attivo nelle sale di Storia veneziana al primo piano, in occasione della riapertura dopo la lunga interruzione bellica; nel 1959–60 lavora nella Quadreria al secondo piano, che custodisce importanti capolavori della pittura veneziana e italiana del Rinascimento.
La sua visione di restyling si fonda sull’ascolto del contesto, sulla valorizzazione dei materiali, sull’equilibrio tra luce, forma e funzione. Questo metodo prevede un posizionamento dell’opera meditato e accurato, tale da generare «risonanze» significative, talvolta sorprendenti o persino rivelatrici, nella sua interazione con lo spazio e il resto della collezione.

Per quando riguarda il primo intervento, le sale vengono semplicemente ripulite nelle pareti bianche e nei soffitti lignei. Carlo Scarpa vi inserisce pochi ma incisivi elementi museografici originali: teche che espongono le toghe dei senatori e procuratori accanto ai ritratti a figura intera degli stessi patrizi veneziani; pannelli per i vivaci scudi ottomani delle guerre di Morea, disposti in file alte accanto al busto del vittorioso Francesco Morosini. Particolarmente riuscite appaiono anche soluzioni espositive come le appensioni di antichi stendardi su fondi in tessuto grezzo o i sostegni per i monumentali fanali da galera, tra cui quello triplice della capitana di Morosini, realizzati con raffinata complessità e proporzionati con giustezza agli oggetti storici esposti.

Più radicale è il secondo intervento, che avviene in ambienti ormai privi di configurazioni significative precedenti (a eccezione della sala centrale, lasciata nella sua essenzialità).
Le superfici delle stanze, trattate con calce rasata, esaltano il ruolo della luce, quella naturale, diffusa dai balconi su piazza San Marco o filtrata da moderne veneziane industriali nelle finestre interne.
Con l’occhio di un curatore più che di un architetto, Carlo Scarpa posiziona i dipinti su cavalletti in palissandro ad angolo retto rispetto alle pareti, come se fossero tornati negli studi degli artisti.
Vengono, inoltre, progettate piccole sale dedicate: il cubicolo per la «Pietà» di Cosmè Tura; quello per le «Due dame veneziane» di Carpaccio; o ancora la saletta rivestita in travertino per il «Cristo morto sostenuto dagli angeli» di Antonello da Messina, dove la luce riverbera calda, dorata, in armonia con quella interna al dipinto, esposto su un supporto inclinato per accogliere al meglio l’illuminazione, grande protagonista dell’intero progetto di riallestimento.

La mostra al Correr non celebra, dunque, solo il lavoro di Carlo Scarpa, uno dei grandi maestri del Novecento, ma offre anche spunti di riflessione sull'evoluzione del concetto di museo e sull'importanza della sua progettazione. Con l'architetto veneziano gli allestimenti vanno a creare un'opere d'arte totale, dove contenuto e contenitore dialogano costantemente. Accade a Venezia, ma anche al Museo di Castelvecchio a Verona, al Museo Gypsotheca Antonio Canova a Possagno, al Palazzo Abatellis di Palermo, ma non solo. È una vera e propria rivoluzione per la museografia del XX secolo, tanto che negli anni Settanta lo storico dell’arte francese André Chastel scriveva di Carlo Scarpa: «Molti di coloro che viaggiano in Italia lo conoscono senza saperlo: è il più grande allestitore di mostre d’arte lì e forse in tutta Europa».

Informazioni utli
Il Museo Correr di Carlo Scarpa. Museo Correr San Marco 52 - 30124 Venezia. Orari: aperto tutti i giorni; dal 1° aprile al 31 ottobre, 10.00 – 18.00 (ultimo ingresso ore 17.00); dal 1° novembre al 31 marzo: 10.00 – 17.00 (ultimo ingresso ore 16.00). Speciali aperture serali: fino al 30 settembre 2025, ogni venerdì e sabato apertura fino alle 23.00 (ultimo ingresso ore 22.00). Per informazioni sul costo dei biglietti o per altre notizie sulla visita alla mostra si rimanda alla pagina https://correr.visitmuve.it/. Fino al 19 ottobre 2025